Ed eccoci finalmente al tanto sospirato epilogo. Spero che
possa ripagarvi della pazienza con cui avete dovuto aspettare i nuovi capitoli
e della gentilezza con cui mi avete seguita. Grazie a tutti i lettori e le
lettrici e soprattutto a chi ha sempre commentato: capire cosa ne pensate di
quello che scrivo mi aiuta tanto.
Spero che nessuno sia rimasto troppo deluso dal fatto che ho
preferito evitare spargimenti di sangue e vendette spietate…a me la
storia che uno è cattivo di sua natura non è mai andata
giù quindi ho preferito dare anche a Mark una seconda
possibilità! Questo è il mio finale, ma spero piaccia anche a
voi.
Grazie di nuovo e a presto!!
Buona lettura!
^_^ IMI
CAPITOLO 12 – Epilogo
Kyle osservava dall’alto dell’ampia terrazza la
sagoma di Ryan che si stagliava piccola e scura sulla riva del mare.
Sospirò rassegnato, poi si voltò, accorgendosi di una presenza
alle sue spalle.
-E’ ancora là?- chiese Pam appoggiandosi
elegantemente al corrimano in marmo bianco.
Kyle fece segno di sì con la testa.
Alla ragazza sfuggì un sorrisino saputo: se
l’era immaginato!
Kyle restò un altro po’ in silenzio continuando
a osservare l’amico poi si decise a dirlo.
-Sono preoccupato per lui…- borbottò senza
voltarsi.
Pam si scostò una ciocca di capelli dagli occhi.
-Non c’è ragione di esserlo…è solo
un po’ nervoso
-Non l’ho mai visto così…
-C’è sempre una prima volta…-
replicò lei con saggezza.
-Non è da Ryan! E’ strano!
-Io non vedo cosa ci sia di tanto strano! In fondo sono due
settimane che non la vede e…
-Credi che sia per quello?- la interruppe lui.
Lei sorrise di nuovo e lasciò che un suo gesto rispondesse
alla domanda di Kyle.
Lui guardò con rinnovato interesse la figura
dell’amico immobile sul bagnasciuga: era questo che lo rendeva tanto
agitato? Era l’arrivo di Strawberry?
-Credi davvero?- domandò ancora.
-Ma certo che sì!- confermò lei prima di
lasciare la terrazza.
Kyle sospirò per l’ennesima volta.
Seduta sul sedile posteriore della sua monovolume blu
Strawberry osservava il paesaggio scorrere rapido davanti ai suoi occhi. Era
già da molto che erano in viaggio, ma lei preferiva non pensare a quanto
ormai fosse vicina la sua meta. Preferiva immaginare che fosse così
distante e irraggiungibile che il suo viaggio sarebbe durato per sempre.
Il fatto era che si sentiva terribilmente agitata e a
disagio al pensiero di trovarsi di nuovo di fronte a Ryan. Aveva pensato a lui
e a tutto quello che era successo negli ultimi decisivi giorni per tutto il
tempo della sua degenza in ospedale e ogni volta sentiva come un tuffo al cuore
quando immaginava il suo futuro.
Cosa sarebbe successo adesso che il pericolo era
scongiurato, che la terra era salva? Cosa ne sarebbe stato del progetto mew, di
Gish, Pie e Tart, di Profondo blu, del loro gruppo, del caffè, di Kyle?
Cosa ne sarebbe stato di Ryan? sarebbe tornato in America dato che il suo
compito era stato portato a termine con successo?
E poi come avrebbe reagito al suo arrivo? Si sarebbe
comportato con la sua solita indifferenza?
Un nodo le si formò alla gola: voleva tornare a casa,
voleva andarsene di lì. Tutti quei bei ricordi che possedeva, tutte
quelle sensazioni così vivide che aveva provato tra le braccia del
ragazzo o anche solo guardandolo…era meglio che restassero tali.
Così sarebbero rimaste lì con lei per sempre, un piccolo angolo
di felicità che l’avrebbe aiutata e fatta sorridere. Era meglio
fingere un malore e farsi portare indietro, era meglio non vedere
Ryan…non voleva vederlo…non voleva…perché se avesse
trovato di nuovo quel muro impenetrabile nei suoi occhi era certa che si
sarebbe sentita morire.
In fondo loro due non si erano nemmeno parlati ed erano due
settimane che non si vedevano né sentivano.
Aprì la bocca per chiedere al padre di fare marcia
indietro, ma non un suono uscì dalla sua gola.
Qualcosa la tratteneva, qualcosa le diceva che valeva la
pena di rischiare, anche se era possibile che avrebbe sofferto ancora.
Si rammentò dell’espressione di Ryan quando lo
aveva pregato di ucciderla, oppure quando aveva creduto che lei fosse morta. Si
ricordò della sua mano che l’aveva sostenuta quando era
così debole e la forza con cui l’aveva stretta quando ormai tutto
era finito. Le tornò in mente la sua prima trasformazione in cavaliere
nero, il suo capo biondo adagiato, esanime, sul petto di lei e poi…quella
volta…prima dell’attacco di Profondo blu…lui l’aveva
guardata così intensamente, si era avvicinato così tanto al suo
viso che poteva sentire il suo respiro sulla pelle…
Strawberry chiuse gli occhi mentre un torpore caldo le
avvolgeva lo stomaco. Avrebbe desiderato che quel momento non finisse mai.
-Tutto bene, tesoro?- chiese sua madre preoccupata vedendola
accoccolarsi su sé stessa.
Lei la fissò per un secondo buono senza dire niente.
Sarebbe bastato un no, due misere
lettere e tutti quei ricordi sarebbero stati per sempre saldi nel suo cuore e
lei non avrebbe dovuto affrontare tutti quei dubbi. Solo un no…un
semplice no.
-No- disse infatti.
Ma poi aggiunse –Cioè non ti
preoccupare…va tutto bene…
La madre le sorrise.
-Meglio così perché siamo arrivati! Non
è quella là in fondo la casa del tuo amico?
Il cuore di Strawberry fece un balzo: la ragazza si
attaccò al finestrino scrutando l’imponente costruzione bianca
sulla riva del mare.
-Si…- rispose fievolmente –siamo arrivati…
Paddy aguzzò la sua vista scrutando la strada:
un’automobile blu stava percorrendo gli ultimi metri del viale che
conduceva al cancello della villa.
-Ehi ragazze…- chiamò – E’
arrivata!!!!
Lory Mina e Pam scattarono in piedi tutte insieme ridendo di
gioia e corsero verso il portone per accogliere la loro amica.
Sfrecciando nel corridoio incrociarono Kyle che andava nella
direzione opposta.
-Muoviti Kyle!- gli gridò Mina.
-Ma dove vai!?- rise Paddy –la porta è
dall’altra parte!
-Avete per caso visto Ryan?- chiese invece il moro.
Le ragazze scossero la testa senza neppure fermarsi: il
portone era ormai vicino.
La prima ad arrivare fu Mina e spalancò le porte con
tanta irruenza che la sua povera tata ne sarebbe stata davvero stupita.
-Strawberry!!!!- gridò Paddy correndo a perdifiato
giù dalle scale fino allo sportello della macchina che si era appena
aperto.
-RAGAZZE!!!- gridò a sua volta Strawberry sentendosi
improvvisamente immensamente felice. Si era dimenticata quanto le mancassero le
sue amiche, si era dimenticato quanto fosse bello stare tutte assieme!
Paddy le si avvinghiò al collo, Lory la strinse
iniziando a piangere, Mina l’abbracciò con trasporto e Pam , la
più grande, racchiuse tutto il mew team nel cerchio delle sue braccia.
Per qualche istante fu tutta una confusione di baci,
abbracci, saluti, risa e lacrime di gioia, poi le cinque amiche la aiutarono a
portare le valigie, salutando i suoi genitori che salirono in macchina per
tornarsene a casa.
-Oh, ragazze!- disse Strawberry mentre risalivano assieme le
scale –non sapete quanto mi siete mancate!
-Anche tu ci sei mancata dolce Strawberry!- disse una voce
maschile dalla soglia del portone.
Lei alzò lo sguardo e i suoi occhi si illuminarono
-Kyle!- esclamò correndo ad abbracciarlo.
Ma un ombra si materializzò all’improvviso a
separarli.
-Ehi…guarda che potrei diventare geloso…- disse
Gish sogghignando come solo lui sapeva fare.
-Gish!- esultò Strawberry al colmo della gioia abbracciandolo
–ma ci sei anche tu!
-Ci siamo tutti!- disse Tart comparendo accanto a Pie
–ma non ci sembrava il caso di farci vedere dai tuoi genitori!- Concluse
strofinandosi un dito sotto il naso.
-Oh che bello!- disse lei sentendo il cuore che si dilatava
a dismisura. Era felice! Tanto felice! Non avrebbe mai pensato che la vista dei
tre alieni e delle sue amiche in un così limitato spazio potesse darle
tanta sicurezza, non avrebbe mai potuto credere a quanto forte sarebbe stato il
legame che li univa, ora che erano divenuti compagni nella più
importante delle battaglie. Era tutto così perfetto, così perfetto!
Strawberry avrebbe quasi potuto perdersi in quel tiepido
piacere, se il suo cuore non avesse continuato a martellare disperatamente
cercando l’unica persona che ancora mancava. Si guardò attorno
ansiosa e a Kyle non fu certo difficile capire chi stesse cercando.
-Ehm…- disse leggermente a disagio
–Ryan…è andato a fare un giro in moto…non pensava
arrivassi così presto!- tentò di giustificarlo.
-Ma se ci hai ripetuto un sacco di volte che sarebbe
arrivata adesso!- lo smentì Paddy di riflesso.
Mina le lanciò un’occhiata inceneritrice e Kyle
arrossì fino alle orecchie.
-Arriverà presto…in ogni caso…- si
scusò grattandosi nervosamente la nuca.
-Non importa…- disse Strawberry sfoggiando il sorriso
più convincente che riuscì a trovare.
Ma a tutti fu subito chiaro che c’era rimasta male.
Gish strinse i pugni pensando che quel dannato umano era un
idiota. Peggio per lui…
-Vieni- disse poi prendendola per mano –devo mostrarti
una cosa!
Kyle restò a guardarli mentre scomparivano in un
vortice poi sospirò forte.
Proprio non riusciva a
capire il comportamento di Ryan! L’aveva aspettata tutto il giorno
con impazienza e proprio quando lei era arrivata lui era saltato in moto.
“Torno più tardi” gli aveva detto abbassando la visiera
scura del casco.
Era stato davvero maleducato dovette ammettere, suo malgrado,
Kyle.
Quando Strawberry poggiò di nuovo i piedi al suolo,
si trovò immersa nella luce arancio del tramonto. Si trovavano in una
stanza, probabilmente al piano superiore.
-Potevamo anche prendere le scale…- obiettò, ma
Gish le fece un immediato e perentorio segno di tacere. Poi restò un
attimo in ascolto.
-Vieni…- le sussurrò a voce bassissima
prendendola per la mano.
Strawberry lo seguì docile, incuriosita, pensando a
quanto odio aveva provato nei confronti di quell’alieno che ora sentiva
così vicino.
-Guarda…- riprese lui con lo stesso tono
–dorme…
Un sorriso si formò sul suo volto rivelando i canini
aguzzi, ma era un sorriso dolce, intenerito.
Strawberry avanzò di un altro passò e poi guardò
a sua volta nella culla.
Profondo blu dormiva, respirando tranquillo, muovendo a
volte le manine come a volere afferrare quello che stava sognando.
-E’ dolcissimo…- bisbigliò lei
socchiudendo gli occhi.
-Andiamo…non vorrei che si svegliasse- replicò
l’alieno.
Lei annuì.
Gish sistemò il lenzuolino che era scivolato di lato
sulle spalle del piccolo e poi la fece uscire sulla terrazza.
-Sei un papà molto premuroso…- osservò
Strawberry appena ebbero l’agio di parlare.
Gish, inaspettatamente arrossì.
-Ma cosa dici! Non è mica mio figlio e poi…io
sono un guerriero, non una balia
e…
-Calma…- lo fermò Strawberry, arginando quel
fiume di parole –non era un’offesa o un modo per prenderti in giro!
È una cosa molto bella, invece e…vuoi sapere una cosa? Sono molto
fiera di te!
Gish si accoccolò mitemente sul corrimano guardando
il mare. Non era stato facile assumersi quella responsabilità, non per
un tipo irruento e vendicativo come lui.
Insomma, fino a un attimo prima era pronto a infilare i suoi
tridenti nel collo di quel maledetto per ucciderlo senza pietà e
l’attimo dopo Strawberry glielo aveva adagiato sulle braccia chiedendogli
di prendersene cura! Se non se ne era disfatto subito era stato probabilmente
soltanto per il trauma che una richiesta del genere gli aveva provocato!
Come poteva anche solo pensare di potersi occupare di una
creatura così mostruosa? Così malvagia? Che aveva un’anima
tanto sporca di sangue, violenza e morte?
Certo, Strawberry aveva detto che nessuno poteva essere
cattivo fin dalla nascita, che nell’età dell’innocenza tutto
è ancora possibile, ma lui come poteva esserne certo?
Forse Profondo blu era un’eccezione. Forse in lui era
radicato il male e per questo i saggi del suo popolo lo avevano sigillato per
tanti anni.
Aveva passato una notte intera a scrutare quel fagotto,
rompendosi la testa con domande simili.
Poi aveva deciso.
Aveva sollevato il lembo della copertina che avvolgeva il
neonato e lo aveva guardato per la prima volta.
Dormiva, anche allora. Gish se lo ricordava bene: era
così piccolo, così fragile e quieto che tutta la sua rabbia si
era come dissolta, svanita.
In quel momento aveva compreso che Strawberry aveva ragione
e che Profondo blu non esisteva più.
-Vuoi saperla anche tu una cosa?- chiese
all’improvviso.
Lei annuì mentre i suoi capelli si muovevano alla
brezza.
-Gli ho dato un nome…
-Davvero? E come l’hai chiamato?
Lui sorrise enigmatico guardandola negli occhi.
-Mark- rispose.
Lei si morse un labbro abbassando lo sguardo: era
incredibile come il solo pronunciare quel nome riuscisse ancora a evocare tante
sensazioni.
-E’ un’ottima idea..- disse quando riuscì
a parlare di nuovo –è un nome bellissimo…
-Mi dispiace che tu abbia sofferto…è stato
anche per causa mia…
-Non importa più…ora…Mark è
salvo…in fondo! Lui…- mormorò lei con gli occhi quasi lucidi
–adesso sta bene…
Strawberry si tirò a sedere bruscamente sul letto
afferrando esasperata il lembo delle lenzuola. Per quanto si sforzasse, non
c’era verso di dormire!
Era una mezzora buona che si arrotolava inutilmente nelle
coperte, senza riuscire a trovare una posizione che le conciliasse il riposo,
anche se doveva ammettere che non era tutta colpa di quel letto estraneo se il
sonno le sfuggiva di continuo.
Si passò una mano tra i capelli cercando di mettere
un briciolo d’ordine in quella massa confusa che si era aggrovigliata
sempre più nei suoi continui spostamenti, ma rinunciò presto.
Aveva caldo, pensò.
Forse era tutto quel andirivieni di pensieri che le
surriscaldava il cervello e le arrossava le guance.
Forse.
In ogni caso aveva bisogno di aria.
Si, cercò di convincersi: una boccata di salubre aria
marina e sarebbe andato tutto meglio.
Appoggiò i piedi nudi sul parquet e si
avvicinò alla finestra. Non c’era bisogno di accendere la luce: la
luna piena inondava del suo splendore di perla la stanza e la brezza muoveva le
tende lunghe e bianche che incorniciavano la finestra.
Strawberry si accoccolò sull’ampio davanzale
scrutando il mare.
Era tutto così tranquillo là fuori! Tutto
così immutabilmente calmo! Se tendeva l’orecchio poteva persino
sentire lo sciabordio delle onde sulla riva.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente: forse
assieme all’aria sarebbe riuscita a intrappolare nei suoi polmoni un
po’ di quella pace cristallina e surreale. Ne aveva tanto
bisogno…si sentiva così strana!
Eppure avrebbe dovuto essere felice… Aveva passato
giorni terribili ed era riuscita nel compito impossibile di salvare
Eppure per l’intera serata non aveva potuto fare a
meno di sentirsi malinconica. Rideva alle battute, stava allo scherzo,
chiacchierava, ma si sentiva distante,
la sua mente era concentrata altrove. Aveva cercato di mascherarlo meglio che
poteva, ma a volte si ritrovava, senza sapere nemmeno lei bene come, a fissare
un punto lontano all’orizzonte.
Alla fine aveva addotto il pretesto di essere molto stanca
per il viaggio per potersi rinchiudere in camera e stare un po’ sola: non
se la sentiva più di fingere e di ostentare un’allegria falsa: era
un po’ come mentire alle sue amiche.
“Sei solo una stupida!” si disse corrucciando le
labbra “si può sapere che motivo hai di sentirti così?
È tutto perfetto…è andato tutto bene…sei in un posto
meraviglioso…con le tue amiche e …i tuoi amici…sei una
stupida a comportarti così! stupida!”
Eppure in fondo in fondo sapeva esattamente cos’era che la faceva stare tanto in ansia,
sapeva cosa cercava in quel punto lontano che si era trovata a fissare, sapeva
che anche se la stanza era piena di gente a cui era molto legata e di risa e di
allegria, c’era uno spazio vuoto che lei non poteva ignorare, uno spazio
che per quanto si sforzasse non riusciva a riempire…
Kyle aveva detto che Ryan sarebbe tornato presto, ma
Strawberry aveva intuito subito che non sarebbe stato così. E purtroppo
aveva avuto ragione: il ragazzo non si era fatto vedere per tutta la serata.
E nonostante continuasse ad illudersi e a voltarsi
speranzosa verso la porta a ogni minimo rumore esterno, sapeva benissimo che la
sola ragione per cui Ryan non si trovava lì, era lei. Semplicemente non voleva vederla. Era dura da
ammettere, ma era proprio così…
Non voleva incontrarla, era palese.
“fin troppo…” pensò amareggiata
Strawberry.
Ma in fondo che cosa si era aspettata? Cos’era
successo tra loro? Niente, assolutamente niente! Se le avessero chiesto allora
da cosa derivava quell’ansia che provava, quella speranza che lui
provasse qualcosa per lei, non avrebbe saputo cosa rispondere.
“Sei solo una stupida!” si disse di nuovo.
Eppure sapeva benissimo, nel profondo, che qualcosa era
successo. Certo non erano cose che si potessero raccontare a
parole…sarebbero sembrate così banali e stupide a sentirsele dire!
Eppure lei le aveva provate, per
quanto cercasse di dimenticarlo. E sapeva che in quei momenti anche lui aveva sentito
qualcosa.
E allora perché si era rifiutato di vederla? Forse si
era pentito di essersi lasciato andare tanto con lei…
Strawberry si sporse ancora un po’ dalla finestra:
l’aria non le bastava più, si sentiva di nuovo soffocare.
Doveva uscire di lì...le pareti le sembravano sempre
più strette.
Si, si disse, sarebbe andata in terrazza senza fare rumore:
lì sarebbe stata meglio…e chissà, forse i suoi pensieri non
l’avrebbero seguita…
Scivolò come un’ombra fuori dalla stanza: dal
piano terra sentì le voci delle amiche ancora sveglie che discutevano
fra loro. Tanto meglio: non l’avrebbero sentita.
Avanzò per il corridoio e grazie alla luna non le fu
necessario accendere le luci, che sarebbero state di certo inopportune. Un
movimento per le scale la fece sobbalzare, ma era solo Kyle che portava
qualcosa dalla cucina alla sala.
In ogni caso, Strawberry tirò un sospiro di sollievo
quando richiuse le porte a vetri scorrevoli della terrazza alle sue spalle. Non
voleva che si accorgessero che era lì e che aveva mentito dicendo di
avere sonno, anche se non stava facendo niente di male.
Camminò a passi lenti fino al parapetto, assaporando
il fresco del pavimento in pietra sotto i suoi piedi nudi e si appoggiò
scrutando il mare. Sospirò.
Era tutto molto bello, ma il suo cuore era troppo pesante e
gonfio di tristezza perché potesse gustare appieno quel panorama, quel
momento.
Nel buio della notte chiuse gli occhi, cercando di svuotare
la testa, mentre il vento le muoveva la camicia da notte leggera; era per
momenti come quello che aveva tanto duramente lottato, pensò, mentre i
pensieri cominciavano finalmente a scivolare via.
Stava iniziando a rilassarsi, quando avvertì all’improvviso
una presenza accanto a lei.
Sobbalzò aprendo gli occhi e il suo cuore si
fermò per un istante quando riconobbe nella sagoma scura lì
accanto proprio Ryan, quasi che il suo pensiero ossessivo lo avesse evocato.
La ragazza boccheggiò paralizzata, ma il ragazzo non
parve accorgersi di nulla e restò ostinatamente con lo sguardo fisso
all’orizzonte, senza dire una parola.
Strawberry si sentì ancora peggio.
Si voltò di nuovo a sua volta verso il mare per
evitare che lui si accorgesse dei suoi occhi lucidi.
“Improbabile che se ne accorga” pensò subito
dopo affranta mentre un sorriso amaro le increspava le labbra “visto che
si comporta come se non esistessi…”
Deglutì a fatica cercando di controllarsi: faceva
male essere così invisibile per lui, faceva male non capirne il
perché eppure Strawberry temeva che saperlo sarebbe stato perfino
peggio. Così restò in silenzio, immobile, cercando di ricacciare
indietro le lacrime.
Cercò di tranquillizzarsi seguendo il rumore ritmico
delle onde, ma la sua mente era affollata da mille pensieri, da mille paure e
la presenza di Ryan a un passo da lei era così reale e incombente da
bloccarla. E quel silenzio, quel silenzio così lungo la terrorizzava.
Era una lunga e dolorosa attesa, un lento stillicidio. Cosa sarebbe successo
poi?
Forse era questo che la impauriva di più: scoprire la
fine della situazione, quando inevitabilmente qualcosa sarebbe successo e lei
avrebbe finalmente trovato conferma a tutte le sue paure.
O forse sarebbero rimasti per sempre in quel limbo di non
detto, di vuoto, di dubbio?
-Ascolta…- disse improvvisamente Ryan con voce
profonda rompendo quel silenzio di vetro –c’è una
cosa…alcune cose che io…vorrei dirti…
Al suono della sua voce un brivido sottile scese lungo la
schiena di Strawberry e il suo cuore si arrestò per un istante mentre un
senso di panico, di caldo, di soffocamento la prese.
Si voltò di scatto verso di lui con gli occhi
sgranati, osservò per un istante quell’espressione grave, quegli
occhi persi lontano da li, lontano da lei, quel cipiglio severo sul viso: non
si era neppure voltato, non stava sorridendo, non poteva avere in mente nulla
di buono.
-NON DIRLO!- gridò premendosi forte le mani sulle
orecchie –NON DIRLO! NON POSSO SENTIRTELO DIRE!
Chiuse gli occhi ripiegandosi su sé stessa e una
lacrima le sfuggì dal ciglio brillando alla luna.
Ryan rimase sconcertato per alcuni attimi, poi
allungò una mano verso di lei, ma avvertendo il movimento Strawberry si
tirò indietro: non voleva la sua pietà, non era di quello che
aveva bisogno.
-non dirlo…- ripetè ancora ormai in un sussurro
sentendosi ferita, debole, stanca e stupida allo stesso tempo.
Corse verso la porta della terrazza per andarsene di
lì, per mettere quanta più distanza possibile fra lei e Ryan,
decisa a lasciare immediatamente quella maledetta casa dove tutti i suoi sogni
si erano infranti.
-Aspetta!- gridò lui.
E lei si fermò. Non voleva, ma si fermò lo
stesso, esitante.
Qualcosa nella voce di Ryan le aveva imposto di arrestarsi,
di starlo ad ascoltare. Non sapeva cosa fosse: forse quel timbro che sembrava
così caldo e lontano dalla freddezza con cui lui si rivolgeva a lei di
solito, forse quella nota di supplica e debolezza che ne aveva incrinato il tono
o forse semplicemente l’illusione di poter sperare ancora.
Strawberry avvertì alla sue spalle il ragazzo che si
avvicinava e appoggiò una mano alla vetrata per trovare sostegno.
-Mi dispiace se sono andato via- sussurrò Ryan
fermandosi a un passo da lei.
Le parole le rimbombarono nella mente.
Capì che erano sincere: a Ryan non piaceva chiedere
scusa e lei questo lo sapeva bene.
Alzò lo sguardo, scrutando la sagoma irregolare del
ragazzo riflessa nel vetro: aveva la testa china, i bellissimi occhi azzurri
dischiusi con espressione addolorata.
Il cuore di Strawberry ricominciò a battere
all’impazzata. Non capiva ancora dove il ragazzo volesse andare a parare,
dove li avrebbe portati la fine di quel discorso, ma Ryan era così
vicino e così…bello…
Come aveva potuto non capire prima quello che provava? O
meglio: come aveva potuto non accettarlo? Come aveva potuto soffocarlo?
Metterlo a tacere?
Persino dopo la battaglia finale la sua parte razionale si
era opposta con una resistenza strenua all’evidenza dei suoi sentimenti.
Ma alla fine aveva dovuto cedere e capitolare, sconfitta.
Non poteva esserci un’altra ragione che spiegasse quel
tormento, quel continuo pensare a Ryan, quel continuo vederlo dietro gli occhi
chiusi e nei sogni, quella continua paura di incontrarlo e restare sola con
lui, quel rossore e quell’imbarazzo che la prendevano quando parlava con
lui di Mark.
Già, Mark! Con Ryan era tutta un’altra cosa.
E poi c’erano gli ultimi avvenimenti a cui lei non
faceva altro che pensare quasi morbosamente. A quello che era accaduto e a come
si era sentita…
E adesso era lì, sulla quella terrazza, sotto un
cielo terso e stellato, a un passo da quel ragazzo che tanto le faceva battere
il cuore, in bilico tra la speranza che si era riaccesa e la paura che la
scuoteva con tremiti leggeri.
-Io…- disse Ryan senza riuscire a continuare.
Era difficile, dannatamente difficile per uno come lui
proseguire quella conversazione. Eppure, dopo averci pensato per giorni e
averne dovuto cercare il coraggio per svariate ore, aveva deciso che doveva
andare fino in fondo anche se era un rischio enorme, anche se doveva ammettere
di avere una dannata paura.
Era incredibile, a pensarci! Dopo tutti i pericoli che aveva
passato…aveva paura di quello!
Si inumidì le labbra. Sentiva il cuore che gli
batteva in petto così forte che si chiese se lei potesse sentirlo.
Cercò di convincersi che non c’era niente di
pericoloso in quello che stava per fare, che tutto sommato, comunque fosse
andata, per lui non sarebbe stato troppo difficile o doloroso…ma sapeva
bene che erano solo storie.
Dalla morte dei suoi genitori il cuore di Ryan e i
sentimenti che provava erano stati tenuti accuratamente sotto controllo dalla
sua mente razionale: niente legami, niente confidenti, niente
esteriorizzazioni. Quando aveva bisogno di emozioni forti saltava in moto e
sfrecciava come un pazzo per la città. Niente crolli, niente cedimenti.
Aveva tutto quello di cui aveva bisogno: uno scopo e i mezzi
per realizzarlo, un valido collaboratore che sapeva essere discreto e un motivo
che lo spingeva sempre avanti. Non aveva mai voluto complicazioni, non aveva
mai cercato nuovi affetti una volta che quelli più cari gli erano stati
così brutalmente strappati.
Ma la vita è piena di imprevisti e di novità:
qualcosa o meglio qualcuno, aveva
smosso quest’equilibrio perfetto mandando in cortocircuito il sistema. E
Ryan l’aveva capito subito e aveva cercato in tutti i modi di allontanare
Strawberry rendendosi insopportabile.
Ma la strategia non aveva funzionato. E, ora soltanto lo capiva,
non aveva funzionato perché lui
non lo voleva davvero, anche se ancora non ne era consapevole.
Era come se dopo anni di silenzio il suo cuore avesse
ricominciato a vivere: a battere forte e a soffrire.
E adesso lo aspettava la prova più dura.
-Io…- riprese un poco più deciso -…avevo
paura di incontrarti…- riuscì poi a dire sentendosi subito
più leggero.
Strawberry spalancò gli occhi stupita da una simile
affermazione così vicina alle sensazioni che lei stessa aveva provato
solo poche ore prima.
-Il fatto è che…io…ecco- fece una pausa:
l’ultimo passo, poi il vuoto di un salto da un baratro –è la
prima volta- disse –non so come si fa…non so cosa bisognerebbe fare
in questi casi…non so cosa bisognerebbe dire…quando…quando ci
si accorge di essere innamorati…
Un rossore irresistibile invase le guance di Strawberry
mentre il suo cuore si fermò per un istante. Sobbalzò staccandosi
dalla parete mentre le parole di Ryan le risuonavano nelle orecchie e la
invadevano mescolate al ribollire del sangue. Guardandosi allo specchio si
accorse che stava sorridendo e piangendo allo stesso tempo.
-Forse…- disse rompendo quel silenzio che era tanto
angoscioso per Ryan –si dovrebbe iniziare…dalle
cose…semplici…
Strawberry si voltò verso di lui, lentamente.
Sentiva i suoi occhi scrutarla nel buio e il ritmo spezzato
del suo respiro.
Avanzò di quell’unico passo che li separava e
appoggiò le mani sulla sua camicia avvicinando il viso mentre il profumo
di lui la avvolgeva.
Un brivido di paura e adrenalina scosse il suo corpo magro
quando sentì le braccia di Ryan stringerla a sé con forza e
dolcezza e il peso della sua testa bionda che si adagiava sulla sua.
Caldo, benessere, completezza, pace.
Finalmente.
Chiusero gli occhi, isolandosi in una dimensione parallela,
inaccessibile, dove le stelle brillavano più intense: per quella notte
FINE