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Autore: Garth Herzog    08/06/2007    14 recensioni
Aveva scelto il suo percorso, segnato nella sua anima da tempi immemorabili.
Sapeva che il mistero al quale era iniziata oltrepassava le barriere dell'umana comprensione, ma lei era predestinata a conoscere questa verità.
L'indissolubile certezza delle leggi della natura.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Torno a scrivere con questa breve one-shot, maturata in un momento d'ispirazione. Ultimamente sto abbastanza giù di morale, quindi non sorprendetevi se vi parrà estremamente deprimente.
Parte del titolo della storia è preso da una canzone dei Tristania. Il resto è frutto della mia fantasia malata, non sarò responsabile di eventuali ricoveri in ospedale dovuti alla lettura di questa cosa. Buona lettura, e vedete di sopravvivere in tempo per lasciarmi un qualsiasi commento, se desiderate.

Follow the Shining Path (or Die)

C’era qualcosa che sapeva da tempo, forse da ere immemorabili, quando la sua anima non era ancora imprigionata in quella gabbia che gli esseri umani chiamano corpo. Libera di poter esplorare i recessi reconditi di tutti i segreti che ancora portava dentro di sé, come il ricordo di un antichissimo sogno che le riaffiorava alla mente nel momento in cui il suo contatto con l’eterno era palpabile.
Sapeva che qualcosa si nascondeva ove l’uomo non osava addentrarsi ma, a differenza dei comuni mortali, lei non era sopraffatta dal terrore che poteva incutere. Era sicura che ciò che si celava non potesse esser male, poiché esso esisteva indipendentemente dal resto dei viventi. Anzi, era lo spirito stesso di tutto ciò che popola il suolo terrestre. Così aveva cominciato ad esplorare sin da bambina i boschi che circondavano il suo villaggio, curiosa di poter scorgere il volto di quello che per gli altri era il simbolo della punizione inflitta agli uomini da Dio stesso.
Un giorno, quando aveva poco più di sette anni, sentì l’irrefrenabile impulso di addentrarsi ove i suoi genitori le avevano sempre vietato di andare, spaventandola con racconti di indicibili mostri divoratori di fanciulli e morti viventi che seppellivano vivi nelle loro stesse tombe gli avventati esploratori, avendo disturbato il loro sonno eterno.
Nel suo cuore sentiva quello strano richiamo, tale da non poter esser qualcosa di malvagio. Era lascivo, seducente, come il canto del Diavolo, ma al tempo stesso provocava una sensazione di pace e quiete interiore. Sentendosi come nell’abbraccio di una madre protettiva, la bambina ben presto si sentì quasi coccolata dal buio che pian piano scivolava nella macchia più profonda, allungando le ombre degli alberi al suolo. La flebile luce arancio del sole morente illuminava scarsamente la radura, ma lei sapeva perfettamente dove andare: qualcuno la stava guidando, come per mano, promettendole protezione e sicurezza.
Ben presto il buio divenne pesto, e la bambina scoprì di essersi persa.
Quelle tenebre che inizialmente le parvero accoglienti cominciarono a sembrarle piene di pericoli nascosti. Forse il motivo per cui tutti si tenevano alla larga dal bosco era proprio il senso di oppressione che sembrava esercitare, quasi come se fosse un’antica cattedrale costituita da un intreccio di rami e foglie, anziché da blocchi di granito. Al timore si sostituì il rispetto per la sacralità che quel luogo emanava, alla pace e alla quiete che la circondavano. Gli occhi che la circondavano non erano affatto minacciosi, mentre i suoni che udiva erano dolci e melodici, quasi come se stessero intonando un canto.
Nulla di innaturale o malvagio, quindi.
Anzi.
Comprese che quel luogo era un vero e proprio santuario, che gli alberi che lo circondavano erano le colonne di quella naturale architettura, e che il canto melodioso degli animali notturni altro non era che un inno alla vita stessa. Ancora stordita dalla bellezza senza tempo di quel luogo, avvertì solo molto dopo il sussurro nella sua mente: quella sensazione strana e confortante che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto ora aveva una voce. Riuscì ad udire il suo nome che veniva pronunciato da labbra inumane. Si voltò, aspettandosi di trovare la strana creatura dietro di lei, ma ciò che scorse era solo la profondità senza fine del bosco dietro di lei.
Poi, quasi come in un sogno, vide una lucciola passare incurante davanti al suo volto, illuminandolo per qualche secondo. Prese a seguirla, incantata da quella luminescenza quasi ipnotica. Senza sapere come, e perché, ben presto si ritrovò alla periferia del suo villaggio, ai margini di una fattoria. Guardandosi indietro notò che la lucciola si allontanava da lei sempre di più, fino a perdersi nel buio profondo della foresta.
Fu severamente punita per aver disobbedito, anche se i suoi genitori furono lieti e anche un po’ sorpresi nel vederla tornare a casa sana e salva.
Eppure la piccola non riusciva più a togliersi dalla mente quel luogo bellissimo e quella voce che continuava a sentir sussurrata nei suoi sogni. Decise che, una volta cresciuta, avrebbe cercato quel luogo, tentando di tornare in comunione con quella strana creatura che l’aveva accompagnata fin lì. Si rese conto che per riuscirci doveva conquistarsi la sua fiducia e la sua benevolenza. Sapeva che quella voce era il vessillo della natura stessa.
Il suo amore e il rispetto per tutte le forme di vita divenne quasi un’ossessione per lei. Molto spesso percorreva i sentieri vicino al suo villaggio beandosi semplicemente della tranquillità che pervadeva il suo corpo nella contemplazione della natura. Cominciò anche a prendersi cura di animali feriti, di qualsiasi specie o colore fossero essi. Una volta i suoi genitori le vietarono di portare in casa un barbagianni con un’ala ferita, dicendole che avrebbe attirato la sventura sotto il loro tetto. La ragazzina allora costruì una piccola voliera con dei vimini intrecciati e se ne prese cura nella stalla della fattoria di famiglia.
Con il passare degli anni la fanciulla maturò sia fisicamente che mentalmente, acquisendo con il tempo una strana aura e un fascino del tutto particolari. Molto spesso era assorta in pensieri che nessuno mai avrebbe potuto decifrare, quasi come se fosse sospesa tra sogno e realtà.
Le voci sussurrate al suo orecchio divennero ben presto sempre più nitide, e una su tutte cominciò a imporsi sulle altre. Il giorno del suo diciannovesimo compleanno avvertì questa chiaramente chiamarla per nome. Era profonda, dal timbro prettamente maschile, morbida e calda. Era forte ma delicata al tempo stesso, come la carezza di un vento tiepido che preannuncia un temporale.
«Seguimi.» Le sussurrò, sicuro che lei avrebbe capito.
Si addentrò nel bosco, seguendo lo stesso percorso di molti anni prima. O almeno, le sembrava fosse quello.
E, nuovamente, si ritrovò in quel luogo la cui santità superava quella di qualsiasi costruzione creata dagli uomini per adorare Dio. Perché, se nelle cattedrali Dio era dentro la costruzione, qui Dio era la costruzione stessa. Era tutto quello che la circondava: alberi, cespugli, animali… perfino il tetto stesso, rappresentato dal cielo trapunto di stelle, era l’espressione dell’eternità dell’essenza divina.
Una lacrima solcò il suo volto, commossa dalla bellezza di quella natura che adorava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ora, con occhi adulti, poté osservare meglio le fattezze di quella pregiata architettura. L’area circolare del santuario era circondata da alberi di ogni forma e dimensione, sulla cui corteccia vi erano gli indecifrabili bassorilievi che recavano con sé i segreti della vita stessa. I rami svettavano verso l’alto, creando una specie di cupola tra le cui trame si potevano scorgere lembi di cielo stellato, quasi come i vetri a mosaico che adornavano le finestre delle chiese. Il suolo era coperto da un soffice manto erboso, che nell’oscurità sembrava esser di un colore grigio-verde. Il profumo che emanava la lussureggiante natura che la circondava era tale da inebriare i sensi.
Tutto ciò era sorretto da un antichissimo albero posto al centro, quasi a reggere la cupola di rami intrecciati. Era altissimo, dal tronco gigantesco e dalla corteccia di un colore molto scuro. Le radici sporgevano dal suolo e di diramavano su tutta la superficie erbosa, ricoperte da muschi e licheni che le celavano malamente. Ciò che sorprese la ragazza fu la strana forma in rilievo sul tronco dell’albero. Si avvicinò per scrutarla meglio, per accertarsi di non trovarsi di fronte ad un sogno o – visto che per lei tutto questo era già vagamente onirico – un’allucinazione. La corteccia, in quel punto, aveva le fattezze di un volto umano, o quasi.
Presa da uno strano impulso si ritrovò ad accarezzare lentamente e con dolcezza i lineamenti di quel viso, che pure le sembrava fin troppo familiare. Sembrava lo avesse impresso nella sua mente dalla nascita, come una macchia indelebile sulla sua anima.
«Sei tu.» Mormorò nuovamente quella voce al suo orecchio, nel momento in cui le dita della giovane sfiorarono le labbra della creatura. Inconsciamente, sapeva cosa dover rispondere.
«Sì, sono io.» Sussurrò lei stessa, mentre strane sensazioni cominciarono a possederla.
«Ti ho aspettata per così tanto tempo.»
Lei sapeva che non si riferiva al fugace incontro di molti anni prima, ma a qualcosa di più antico, scavato dalle radici del tempo da ere immemorabili.
Il volto che la ragazza stava accarezzando si crepò in lunghezza, dividendosi in due parti. Intimorita, la giovane indietreggiò di qualche passo, per poi inciampare in una radice. Chiuse gli occhi, preparandosi alla caduta, ma una mano chiusa sul suo braccio lo impedì.
Aprì gli occhi solo per vedere uno strano angelo dalle ali nere come la pece davanti a sé. Era senz’altro la creatura più bella che lei avesse mai visto, le cui fattezze erano fin troppo umane.
«Questo» mormorò, sorridendole «è l’aspetto con cui mi mostro agli esseri umani, perché la mia essenza non può esser contemplata dagli occhi dei mortali.»
Lei restò senza fiato quando riconobbe nella voce dell’angelo quella che l’accompagnava da tantissimo tempo. Era lui allora il suo misterioso interlocutore. Cominciò a studiarne le fattezze, il suo volto allungato e dai lineamenti decisi – come la corteccia di un albero, pensò – la pelle alabastro e i capelli neri come le sue ali piumate. I suoi occhi erano lo specchio di quell’erba grigio-verde che era presente nella radura.
La creatura si avvicinò a lei, tenendole stretta una mano nella sua. «Sono lo spirito di quell’albero, il Chtonia* Elzrejan. Ho atteso per moltissimi secoli la venuta del mortale destinato a ricevere il dono della verità. Da tempo il mio spirito è al tuo fianco, ma non potevi ascoltarmi pienamente, perché era circondata dal lordume delle menzogne che gli umani pronunciano tramite la parola. Nella natura non vi è falsità, non vi è inganno. Tutto è regolato da leggi immutabili celate agli esseri di questo mondo, cosicché essi non possano possederle e padroneggiarle per i loro scopi. Ma tu sei destinata a conoscere questa verità. Il tuo spirito è puro e incontaminato, così come la natura che ti circonda.»
Lei restò ammaliata dalle sue parole, avvertì in esse la forza e la dolcezza dell’entità che egli rappresentava. I suoi occhi si incrociarono con quelli di colui che si proclamava il suo mentore, scorgendo la quintessenza della Natura.
«Elzrejan…» mormorò, facendo scivolare quel nome sulla sua lingua come se lo avesse pronunciato altri milioni di volte.
Il Chtonia si chinò su di lei, avvicinando il suo volto a quello della fanciulla. Quest’ultima avvertì nel suo fiato il profumo della terra, e ne restò incantata. Si tese a cercare le labbra della creatura, toccandole appena con le sue, assaporando l’ambrosia che le offriva in quel momento. Egli ricambiò il bacio, avvertendo la vita caduca e fremente che risiedeva nella carne della fanciulla. Era il suo battesimo, la sua comunione con l’eternità del tutto e dell’essenza. Era il tocco stesso della Madre che ella sentiva scivolare lentamente lungo i suoi fianchi, era il respiro della terra quello che avvertiva sul suo volto, era la natura stessa ad essere incarnata in quell’angelo nero. Quella creatura fatta di carne come lei, ma eterna nell’anima, esattamente come lei. Quanto due esseri possono apparire diversi, tanto essi sono simili. Nella loro materia provavano le stesse sensazioni, nella loro anima una catena li legava indissolubilmente l’uno all’altra, come in una simbiosi ultraterrena.
Nel momento in cui i loro corpi furono uno solo, l’anima della fanciulla si collegò con l’eterno scorrere del tempo e dello spazio, proiettata nell’essenza della natura stessa, come un’infante rannicchiato all’interno del ventre della Madre Terra.

La conoscenza che il Chtonia le tramandò fu infinita, così come le risposte che la Natura le dava ogniqualvolta avesse bisogno di lei. I loro incontri, frequenti ma fugaci, erano l’espressione della perfetta sincronia tra uomo e natura. Cambiò ulteriormente, aggiungendosi alla sua aura un velo di saggezza che nessun essere umano, anche vicino alla fine della sua vita, avrebbe potuto possedere. Cominciò a curare non solo gli animali, ma anche gli umani del suo villaggio. Si allontanava per alcune ore addentrandosi nelle profondità del bosco e ritornandone con strane erbe nella sua borsa da viaggio. Aveva allestito nella stalla una camera a parte in cui conservava tutto ciò che raccoglieva dal bosco. Spesso si trattava di erbe o cortecce l’albero, ma vi si potevano trovare anche uova, ossa di animali o pietre di varie forme, dimensioni e colori.
Riusciva a guarire quasi tutti i malanni, utilizzando delle precise misture di reagenti che solo lei conosceva. Tutti cominciarono a chiedersi come la giovane, già abbastanza strana di per sé da quando era piccina, avesse acquisito tali conoscenze. Cominciò ad insinuarsi il dubbio dell’opera del Maligno, ma finché quella ragazza faceva il bene della comunità, tutti erano disposti a tollerare la sua presenza o accettare il suo aiuto.

Avvenne un giorno che i campi coltivati a grano furono flagellati da una malattia terribile, che rendeva le cariossidi* immangiabili. La giovane cercò in tutti i modi di scoprire per quale motivo tutto intorno a lei morisse. Cominciò ad interpretarlo come un avvertimento per l’abuso che faceva della natura stessa nel cercare di aiutare i mortali. Temendo che gli abitanti del suo villaggio potessero morire di fame, si diresse verso il suo santuario, cercando delle risposte. Il Chtonia la attendeva, come ogni volta. La fanciulla lo abbracciò, e lui la avvolse con le sue ali corvine. L’uomo si rese conto che qualcosa non andava. Leggeva nell’anima della ragazza la sua inquietudine, e il suo timore di aver fatto qualcosa di sbagliato.
«La Natura non punisce.» La tranquillizzò lui. «Quello che sta accadendo fa parte delle leggi che regolano la vita. La malattia che uccide il grano non è altro che un fungo. Egli è un essere vivente, e come tutti deve pur sopravvivere, anche se questo va a discapito della sopravvivenza di altri individui.»
La ragazza tirò un sospiro di sollievo, ma al tempo stesso era preoccupata. Cosa avrebbe potuto fare per la sua famiglia, per il suo villaggio? Gli umani erano esseri viventi, come tutti gli altri, e aveva intenzione di proteggerli. «Non lasciarti trascinare dalle passioni.» Mormorò il Chtonia, accarezzando le labbra di lei con le proprie. «Devi esser prudente, e devi saper fare la scelta giusta al momento giusto.»
«Ma… nel villaggio c’è la mia famiglia… c’è tutta la mia vita. Non posso compromettere la loro esistenza… ne soffrirei anche io.» Sussurrò la giovane.
«Voi umani siete troppo impulsivi, troppo acerbi…» mormorò l’angelo nero.
«Abbiamo delle emozioni, come tutti i viventi.» Replicò lei.
Il Chtonia ridacchiò. «Cosa che vi fa molto onore.»
La ragazza sorrise, con una punta di amarezza nel cuore. Amava il Chtonia, lo amava perché era la Natura incarnata. Ma cosa provava lui per lei?
La Natura ama i propri figli allo stesso modo o ama alcuni figli più degli altri?
O non ama affatto?
Lei avvertì il silenzio nel flusso di pensieri dell’angelo nero. Comprese con dispiacere che non c’era risposta alla sua domanda.
«Tieni.» Le disse, porgendole un sacchetto. «Spargi questa polvere sul terreno dopo la trebbiatura. Per quest’anno ormai non vi è più nulla da fare, ma puoi evitare che la stessa infestazione avvenga al prossimo raccolto.»
Lei lo prese con mani tremanti, ancora grata per il sostegno che il Chtonia le dava.
«Ricorda» disse l’angelo, prendendola per un polso «che devi fare molta attenzione, e che questo va contro la natura stessa. Non ci è permesso modificare l’ambiente, perché le conseguenze sono imprevedibili.»
La giovane annuì, stringendo possessivamente il sacchetto tra le mani. «Grazie.»
Il Chtonia la congedò, osservando la sua figura allontanarsi nel buio profondo della foresta.
La Natura ama alcuni figli più di altri, o almeno i suoi figli amano alcuni figli più di altri. Fu la muta risposta dell’angelo nero.

Accadde qualcosa che lei non si aspettava. Gli abitanti del villaggio, vedendola spargere quella polvere datale dal suo mentore, la accusarono di esser la fautrice dell’epidemia del grano. Fu additata come la serva del Diavolo, come una strega malvagia che voleva uccider tutti loro. A nulla valsero i tentativi di difesa, le varie spiegazioni dello scopo reale della polvere contenuta in quel sacchetto. La imprigionarono giusto il tempo perché potessero preparare il rogo nella piazza principale del villaggio. C’era grande frenesia e sollievo tra gli umani, sicuri di aver trovato la causa della loro sofferenza.
La ragazza osservò con orrore il palo infisso e il quantitativo impressionante di legna e frasche raggruppato attorno a quest’ultimo. La spinsero brutalmente verso il luogo del supplizio, sotto lo sguardo muto e attonito dei suoi famigliari e le invocazioni sempre più alte degli abitanti del villaggio. Volevano la sua morte, perché questa avrebbe significato la purificazione dalla presenza del Maligno.
I suoi occhi avevano visto molte volte la Morte, molto spesso l’aveva avvertita camminare al suo fianco, ma ora che doveva affrontarla era pervasa da un senso di paura e inquietudine. Comprese che, nella loro furia, gli umani avevano raccolto quanto più legname fresco, abbattendo alberi, affinché potesse fare quanto più fumo possibile durante la combustione.
Sentì un moto di disgusto frammisto a terrore quando notò su un ceppo qualcosa a lei molto familiare.
Il volto del suo mentore.
Non più crepato in lunghezza, ma intatto.
Urlò e si lanciò verso il pezzo di legno, chinandosi su quest’ultimo. Le lacrime cominciarono a solcare il suo volto, comprendendo che quella era la fine di ogni cosa. Che ormai tutto era perduto, che tutto quello in cui aveva creduto negli ultimi anni stava per andare in fumo insieme a lei. Fece appena in tempo a baciare quelle labbra ruvide prima di venir trascinata verso il palo e legatavi. Alzò lo sguardo verso il cielo, riuscendo a scorgere le tremolanti stelle, e sorrise.
Vide l’eternità specchiata nei suoi occhi, vide la bellezza senza tempo della Madre.
Poi, sentì una voce sussurrare poche parole al suo orecchio.
«Non avere paura. Non sei sola.»
«Elzrejan…»
Il boia appiccò il fuoco, che lentamente cominciò a propagarsi. Lei continuò a tenere lo sguardo fisso verso l’immenso, accarezzata e cullata dall’anima del Chtonia il cui corpo bruciava poco più in basso di lei. Sentì l’anima del suo mentore abbracciare la sua, tenerla stretta nel legame indissolubile che si perdeva nella memoria della natura stessa. Non sentì il dolore quando le fiamme avvilupparono il suo corpo, bruciandolo.
Non sentiva più le voci dei folli umani, non udiva più le imprecazioni senza senso, non avvertiva più le loro menzogne. In quel fumo denso e acre che si disperdeva nel cielo limpido vi erano anime ed essenze, vi era l’indescrivibile disegno dell’eterno, vi era lei. Vi era il suo mentore.

Liberi dalla loro prigione di carne e legno, cullati dall’abbraccio senza pretese della Madre Natura.

Who’s the prey,
What’s the play
God created?
Stay with me,
We are the ones God hated!*


***

Non posso crederci, ce l’ho –coff, coff- fatta! Scusate se non mi prolungo nei commenti finali, ma ho bisogno al più presto di un kleenex, mi sa.
Grazie a tutti per l’attenzione e, se siete sopravvissuti, mi piacerebbe che lasciaste un commento.

Precisazioni:

*Chtonia: Definito nella mitologia medievale come “Demone della Terra”. Ho voluto dare un’interpretazione personale a questo tipo di creatura, legandolo strettamente alla Natura e alle sue manifestazioni.
*Cariossidi: i chicchi del grano, secondo il linguaggio tecnico.
*La strofa alla fine è presa dalla canzone “World of Glass”, dei Tristania.

Dragon85.


   
 
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