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Autore: Arisu95    20/11/2012    1 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Heilà! 
Chiedo scusa per l'attesa, sono stata impegnata, e ho passato anche diversi momenti di 'blocco dello scrittore' ... Anzi, dell'artista in genere, visto che la cosa si estende al disegno ... .___.'
Oh beh! In ogni caso, questo capitolo non mi fa impazzire, sinceramente, ma spero vi piaccia. Chiedo perdono, ancora una volta, per il linguaggio volgare di Romano, ma ripeto, a farlo parlare senza parolacce, mi sembra di farlo un po' OOC ... °u°'

Buona lettura~

:. Capitolo 11 .:
 


Il sole brillava limpido nel cielo, mentre gli uccelli si apprestavano ad uscire dai nidi e cantare, e le auto cominciavano la loro pigra corsa sull'asfalto secco della prima calura.
Il suono tintinnante delle stoviglie riempiva il silenzio delle stanze ancora addormentate, mentre la luce del sole illuminava le pareti bianche di un'atmosfera accogliente ed essenziale.

"Mmh, Eliza ..." - Sospirò Roderich, muovendo lento la mano tra le lenzuola, come a cercarla, ed aprendo gli occhi con pigro stupore, accorgendosi che la donna non era al suo fianco.
Emise un suono scocciato, appoggiando il mento sul cuscino e rimanendo così, le orecchie tese ai rumori del mattino.

Cercava la sua Elizaveta.
La cercava nel canto degli uccellini, intonato tra un ramo e l'altro, sugli alberi che sovrastavano la strada asfaltata, dove il rombo delle auto pareva quasi il respiro di una bestia moribonda, così ovattato dal vetro della finestra chiusa.
La cercava nel tichettìo incessante delle lancette dell'orologio, che scandivano precise i secondi, come un metronomo intento ad indicare il tempo di una melodia.
La cercava nelle pigre gocce d'acqua del rubinetto ormai chiuso, là in bagno, dove la luce della finestrella si rifletteva nella sua magnificenza sulle piastrelle smaltate, in un infinito gioco di rimbalzi.

Roderich amava ascoltare quei rumori.
La mattina, non importava quanto fosse di fretta, non rinunciava mai a starsene cinque minuti in silenzio, nel letto, con le palpebre ancora calate ma le orecchie ben tese al mondo.
Anche quell'insieme di suoni, erano musica.
Erano una musica straordinaria, talmente perfetta e spontanea, che non vi era bisogno di spartiti, per poterla eseguire.
Nessuno mai, avrebbe osato metter bocca sulla correttezza di ogni nota, né di ciascun gorgheggio di passero.
Forse, solo perché nessuno se ne era mai interessato.
Avevano altro da fare, i grandi della musica, che non starsene sdraiati sullo stomaco ad ascoltare i rumori della mattina.
Quelli erano i suoi Maestri, i suoi miti.
Quelli, vivevano nella magica frenesia dei viaggi, dell'opera, dei grandi concerti.
Erano abituati al vociare del pubblico, agli applausi crepitanti, alle note più melodiose e raffinate.
Non avevano tempo di tendere l'orecchio ai suoni.
O, perlomeno, non avevano il tempo di rifletterci troppo.
Ben altre note, ben altre melodie, deliziavano i loro timpani e la loro mente, anche quando non vi era nessuno a suonare.

Roderich si trovò a sorridere, quasi divertito.
Forse, non sarebbe mai stato all'altezza dei suoi Maestri.
Ma, forse, era giusto così.
Tra quei momenti magici, in cui era solo con sé stesso ed i suoni (che, infondo, sempre musica erano), e il ritrovarsi a suonare le più meravigliose melodie nei concerti più rinomati e importanti del mondo, proprio non avrebbe potuto scegliere.

Che cosa sarebbe stata, la fama, se si fosse trovato a perdere se stesso?
Cosa sarebbe stato di lui, cosa di Eliza?
Il successo, quello vero, quello che andava oltre il suo essere insegnante e modesto (quella parola gli lasciava un certo amaro in bocca, a dire il vero) musicista, segretamente lo spaventava.
Lo desiderava, ma lo temeva.
Temeva che il mondo lo cambiasse.
Temeva di non riuscire più ad apprezzare i suoni, con lo stesso compiacimento con cui apprezzava la grande musica.

Il cuore gli si riempiva di presunzione, orgoglio ed entusiasmo, a vedersi dirigere le orchestre di tutto il mondo.
Eppure sentiva la malinconia salirgli in gola.
Forse quei meravigliosi impegni, quegli agognati doveri, l'avrebbero allontanato da Eliza.
Non era un tipo avventuriero, Roderich.
Amava la casa, la vita domestica, i libri e la musica.
Amava starsene tra le sue quattro mura, a suonare e sognare.
Lì, c'era tutto quello di cui aveva bisogno.
Elizaveta, e il suo pianoforte.

Avrebbe mai potuto scambiare tutto questo per prestigio ...?
Non era bravo a prendere decisioni.
Forse, non ci stava neppure mettendo tutto il suo potenziale, in quel che faceva.
Inconsciamente, aveva quasi paura delle sue abilità.
Aveva paura di perdere cio' che amava di più.

La sua Eliza, sì.
Il suo pianoforte, sì.
... Cosa mancava?
Stava benissimo, eppure sentiva ancora un vuoto.
Non era la fama, non era nulla del genere.
Era qualcosa di più terreno.
Un desiderio strano e lontano, che sentiva a malapena.
Come se nella sua vita, se in quella casa, mancasse ancora qualcosa.
Eppure, proprio non riusciva a capire cosa ...
Non ancora.

~ ♪♫♪♫ ~
Minden vagyam visszaszall
Oda hol az edes hazam var
Zold erdo viragos ret
S all a regi regi hazam meg ...
~ ♪♫♪♫ ~


Elizaveta si era messa a cantare tranquilla dalla cucina.
La sua voce dolce e materna risuonava appena nelle stanze, coperta dal rumore dell'acqua corrente, mentre sciacquava una pentola nel lavandino.
Chiuse l'acqua, e smise di cantare.
Socchiuse appena gli occhi, lasciando cadere le lunghe ciglia nere sulle belle iridi verdi, asciugandosi le mani.

Tirò un sospiro, e gettò lo sguardo oltre la finestra, sulle cime degli alberi e il cielo azzurro.
Doveva dire a Roderich cio' che era successo con Feli.
Non era nulla, infondo, ma non si sentiva a posto con se stessa.
Aveva provato a dirglielo la notte prima, lo aveva quasi sussurrato, fissando il soffitto e giocando con le lenzuola tra le dita.
Ma Roderich si era addormentato, e lei aveva finito per pensarci tutta la notte.

Non si sarebbe arrabbiato, no ...?
Non era successo nulla ...
Glielo diceva giusto per scupolo, per correttezza.
Aveva detto a Feliciano che avrebbe mantenuto il sagreto, ma, infondo, chi mai lo sarebbe venuto a sapere.
Roderich ne avrebbe preso conoscenza, e buona notte.
Non c'era altro da aggiungere.
Nulla per cui litigare.
Eppure, il fatto stesso di non averglielo detto appena rientrata, la faceva sentire una bugiarda.
Anche se poco c'era da nascondere.
Voleva togliersi questo peso di dosso, il prima possibile ...

Clang
 

Sentì il frigorifero aprirsi, e si voltò di scatto.

"Guten Morgen, duchessa ..." - Le sorrise Roderich, per poi ritornare con lo sguardo al frigorifero aperto, dispiaciuto. - "Mmh, non c'é più Sacher ... Credevo di averne lasciata una fetta, ieri sera ..."

"Jò Reggelt!" - Rispose lei. - "Sei troppo goloso, Roddy! ... Comunque, non preoccuparti. Stavo preparando qualche palacsinta ..."

"..." - Accennò un mezzo sorriso, per poi chiudere il frigorifero ed avvicinarsi a lei.
Le poggiò appena le mani sui fianchi, per poi darle un lieve bacio sulle labbra.

"... Palatschinke." - Le sussurrò all'orecchio, e lei non poté fare a meno di staccarsi da lui.

"Palacsinta!" - Disse ancora, incrociando le braccia e fingendosi offesa. - "E' la stessa cosa, nel caso non lo sapesse, Maestro!"

"... Appunto." - Si sedette, senza toglierle gli occhi di dosso, divertendosi nel vederla agitarsi come una bambina. - "Palatschinke."

Elizaveta scosse la testa e si voltò, versando il caffé in due tazze.
Gliene porse una, ed appoggiò l'altra di fronte a lui, dove la donna si sarebbe seduta.
A preparare le palacsinta, ci avrebbe messo poco, questione di minuti.

Aveva già versato l'impasto nella padella bollente, e i pensieri non la abbandonavano.
Roderich la stava guardando, e per la prima volta se ne accorse.
Questione di pochi minuti.
L'aveva girata, aveva preso due piatti, aspettava con trepidazione.
Non vedeva l'ora di sedersi a tavola e parlarne.
Era stupida ... Sì, era stupida a fasciarsi la testa così per nulla.
Ma sentiva che andava detto, nonostante la promessa fatta a Feli.

"...!" - Girandosi verso il frigorifero, si era scontrata con l'austriaco.

"Alle fragole ... Ti va?" - Le chiese, porgendole un barattolo di marmellata.

"Sì! Volevo proprio prendere quella!"

"Siediti amore ... Faccio io." - Le consigliò sfiorandole un braccio, e la sua voce dolce si sciolse nei timpani dell'ungherese, calmandola come d'incanto.

"Ma no ... Non preoccuparti." - Stare seduta ad aspettare che gli altri la servissero, non le era mai piaciuto.

"..." - Sospirò. - "Insomma, per cosa la paghiamo la servitù, se poi lei insiste a voler fare il lavoro dei servi?"

Il ragazzo adagiò la palacsinta nel piatto, e rimise la padella sul fuoco. - "... Allora fai la prossima, io finisco questa."

Elizaveta annuì.
Era bello starsene lì, fianco a fianco, a dividersi i compiti.
Era bello sapere che anche l'altro stava provando le stesse sensazioni, respirando la stessa aria, sfiorandosi e lavorando insieme.
Era come un eterno gioco di squadra, un dolce susseguirsi di faccende condivise, e sapersi impegnati nella stessa cosa, rendeva il lavoro più sopportabile ad entrambi.
Soprattutto quando cucinavano dolci.
Ah! Com'era bello preparare dolci insieme!
Era come se ciascuno mettesse del proprio, per creare qualcosa di nuovo.
Come un padre e una madre che plasmano la vita di un figlio.

Presto, i due si sedettero davanti a due palacsinta fumanti.
Elizaveta lo guardava come da dietro un vetro invisibile, mentre si apprestava a tagliare il dolce.
Non un pensiero, pareva gli passasse per la testa.
La donna, al contrario, stava pensando per entrambi.
Tagliò con la forchetta un boccone.
Lo prese e lo avvicinò alla bocca.
No ... Prima doveva parlare.

"Roderich ..." - Chiamò, facendo tintinnare la forchetta nel piatto di ceramica. - "Ti devo dire una cosa ... A proposito di Feli."

"...?" - L'altro alzò appena la testa, guardandola con aria interrogativa, la bocca già piena, più goloso di un bambino.

"Gli ho promesso di non dirtelo, ma è giusto che tu lo sappia ... Non che sia accaduto nulla, infondo, ma ..." - Fece un sospiro liberatorio, riempiendosi d'ossigeno il petto fino al limite. - "... Ci siamo quasi baciati."

"Cosa?" - Roderich non era sicuro di aver sentito bene.

Era in cucina, vero?
Era sveglio?
Forse, era ancora in camera.
Forse, si era riaddormentato tra il canto dei passeri e il tichettìo delle lancette.
Sua moglie ... E Feliciano?
Quasi baciati?
Era impossibile!
Insomma, Feli non era forse ...

"Va tutto bene! Non l'ha fatto con malizia, ovviamente!" - La voce dell'ungherese interruppe i suoi pensieri. - "Per quanto cercasse di nasconderlo, io ho notato che ha passato la serata a pensare a Gilbert. Stava pensando a lui, anche in quel momento. Gliel'ho letto negli occhi ... Avevano addosso una tristezza che non gli ho mai visto prima ..."

"..." - Fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce, ma nessuna parola riuscì a sfuggire dalle sue labbra.

"Roddy ... Sei arrabbiato?"

"N-No ... Perché dovrei?" - Sentiva di mentire un poco.

Era un uomo, dopo tutto.
Era normale che provasse un minimo di gelosia, anche se sapeva benissimo anche lui, che Feliciano non stava certo cercando in Elizaveta quello che Roderich di lei aveva.
Lo sapeva benissimo, e non era arrabbiato.
Né con lei, tantomeno con Feli.
Provava giusto quel lontano senso di gelosia che gli provocava l'immaginare il volto di Elizaveta così vicino a quello di qualcuno che non fosse lui.
... Indipendentemente da chi.

"Mmh ..." - Lei accennò un sorriso, e proseguì. - "Comunque, dobbiamo aiutarlo ... Vederlo così é troppo ... Non se lo merita."

"Hai ragione ..." - Sospirò, sperando di cacciare via da se, con il fiato, anche quella strana sensazione. - "Io lo dico da sempre, che quel Gilbert era un poco di buono."

"Ma si amavano ... Feliciano lo amava. E, credo anche Gil." - Lo sguardo di Elizaveta era quasi sognante, e nelle iridi, si potevano vagamente intravedere le figure dei due ragazzi intrecciarsi e baciarsi. - "... Anche se poi ha buttato via la storia della sua vita per una notte di sesso."

"..." - Roderich rimase in silenzio. Avrebbe voluto farle notare come non amasse certe parole, soprattutto fuori dai loro momenti più intimi, ma sentirla parlare di queste faccende, infondo lo divertiva.

"Ma dico io! Ma come si fa a lasciare Feli?!" - Batté le mani sul tavolo, innervosita. - "E' il ragazzo più dolce e gentile del mondo ... Come fai a ferire in questo modo una creatura così indifesa?! ... E con suo fratello, poi! Bah ... Suo fratello, un altro ... Ho capito, sei stato appena scaricato, ho capito, ce l'hai col mondo intero perchè ti ha lasciato solo come un cane, ma con che coraggio ci provi col fidanzato di tuo fratello?! Tra l'altro Feli, stava pure cercando di consolarlo! E lo ripaghi così?!"

"Non so che dire ..." - Commentò quieto Roderich, abbassando la testa di fronte all'eccessivo impeto della moglie, che lo guardava ora come a cercare nei suoi occhi una conferma. - "Certo che Feliciano é proprio circondato da cattiva gente ... Ah, quasi mi fa pena."

"Vorrei solo poter fare qualcosa per lui ..." - Elizaveta sospirò, ora più calma. - "... Ma a quanto pare é tutto inutile. Spero che trovi presto qualcun altro, lo conosco, non può andare avanti così ... Ha bisogno di qualcuno che lo faccia sentire importante. Mi piacerebbe poterlo farlo sentire più sicuro, ma é evidente che le braccia di cui Feli ha bisogno, non sono le mie ..."

Roderich non rispose, ma si limitò a bere un sorso di caffé.
L'atmosfera si era fatta d'un colpo silenziosa, come in rispettoso lutto di un amore ormai morto.
Nella stanza, non si udiva altro che il loro respiro, e i loro sguardi preoccupati compensavano il vuoto più dei suoni.


Un rumore di vetri rotti infranse il silenzio dolente dei gemiti.


"Uggh...! Bastardo!" - Gridò Romano in un filo di voce, mentre le lacrime scendevano a terra come pioggia, sui vetri rotti della cornice e sulla foto che era al suo interno, ancora maledettamente intatta.

Il sorriso di Antonio lo faceva vomitare. Ancora un po', e quella bocca maledetta si sarebbe rotta, a forza di sorridere.
Ma magari! Magari gli si sfasciasse la mascella!
Allora, gli sarebbe piaciuto vedere, se quella puttana avrebbe avuto il coraggio di starci insieme, anche se fosse finito con mezza faccia frantumata in un letto d'ospedale.
Era proprio curioso di vedere se quella donnetta vogliosa avrebbe voluto stare ancora al suo fianco, se il suo corpo si fosse deturpato. se avesse dovuto passare anni in un maledetto letto, senza poterla far gridare di sporco piacere, come la prostituta che era.
... Lui ci sarebbe rimasto.
Lui lo avrebbe sempre aspettato ...
Sempre.

Invece, quel bastardo lo aveva buttato via.
Eccolo lì, come fingeva bene in quella foto, come in altre mille identiche, con il sorriso smagliante, il cocktail in mano e il braccio olivastro dietro le spalle di Romano.
Il pensiero lo fece nauseare.
Sì, non avrebbe mai più permesso a quel verme di toccarlo, nemmeno con un dito.

Ma con chi se la stava prendendo ...?
Antonio non voleva toccarlo.
Non più.

Al loro fianco, c'erano Gilbert e Francis.
Gil ...
Era proprio vicino a lui, in quella foto, e Romano si chiese come avesse fatto, anche in quell'occasione, a trattenersi dal baciarlo.
Oh sì, perché allora, aveva qualcosa da perdere ...
Qualcosa che riteneva prezioso.
Forse anche più di Gilbert.
Qualcosa che non meritava nemmeno un terzo delle sue attenzioni e premure.

Anche allora, piangendo, vedendo quanto meraviglioso era Gilbert, vedendo quanto stomachevole era Antonio, si detestava.
Si detestava, perché, se non aveva perso qualcosa, ora aveva perso qualcuno.
Qualcuno di molto, molto più importante.

Era caduto prigioniero.
Prigioniero del sorriso di Gilbert.
Dei suoi modi di fare così diversi da quelli dello spagnolo.
Della sua risata insopportabile.
Prigioniero dei suoi occhi scarlatti e dei capelli di neve.
Della pelle pallida e tesa e delle sue mani più grandi.
Prigioniero di quel corpo stupendo.
Prigioniero, ipnotizzato da quella croce lucente del colore dell'ombra, che si ergeva come un sovrano nel mezzo del suo petto.

Non sapeva nemmeno lui il perché.
Non sapeva nemmeno lui cosa l'avesse spinto a fare quella cazzata.
Sapeva di aver preteso il corpo del tedesco con le unghie e con i denti, e di averlo ottenuto.
Allora, era stato così stupido da dimenticarsi di tutto il resto.
Così stupido, così egoista, da dimenticarsi il sangue del suo sangue.
La persona, forse l'unica, che si era degnata di preoccuparsi di come si sentisse.
Invece no, doveva rovinare tutto.

Infondo, lui e Bella si somigliavano.
Lei aveva sedotto Antonio, lo aveva ipnotizzato e portato via per sempre.
Apparteneva ad una categoria bastarda, di quelle che pensano di poter cambiare un uomo 'facendogliela vedere'
... E, dannazione, ci era riuscita.

E lui, Romano, non aveva forse fatto lo stesso..?
Non aveva forse offerto il suo corpo all'albino, facendo crollare per sempre l'equilibrio che era riuscito a creare?
Cosa doveva pensare di Gilbert?
Si era lasciato andare a lui, così, senza opporre troppa resistenza.
Certo, ne aveva opposta, ma ...
Lui era più grande e più forte.
Se davvero non avesse voluto le sue attenzioni, avrebbe potuto ribaltarlo.
Invece, non l'aveva fatto.
Non aveva gridato il suo nome, ma neppure quello di suo fratello.
Aveva sospirato il nome di Feli, sì, ma Romano si era convinto che l'albino lo avesse fatto per pura paura di essere scoperto.

... Che sciocco, era stato, a credere che Gilbert amasse davvero Feliciano.
Il suo fratellino era proprio uno sprovveduto ...
Forse l'albino non aveva mai provato vero amore per Romano, ma attrazione sì, e su questo voleva crederci.
Era su questo, che stava puntando tutte le sue disperate speranze.

Feliciano, forse, ci avrebbe messo molto a perdonarlo.
Eppure, doveva essergli grato ...
Lo aveva salvato da un uomo che non lo amava.
Sì ... Era così.
Proprio ... Così.

"..." - Il ragazzo emise un verso infastidito.

Era rimasto in quella posizione, chino sul mobile a guardare una foto maledetta (se fino ad allora l'aveva tenuta, era solo perché c'era Gilbert) con delle stupide lacrime agli occhi, per troppo tempo.
Alzò lo sguardo verso il tavolo, scorgendo il suo cellulare.
Strinse la croce di ferro in una mano, e la portò al cuore.
Doveva parlare con Gil ... Doveva trovare la forza di farlo.

Si avvicinò all'apparecchio con passi lenti, e quel secondo gli parve un istante congelato nel tempo.
Lo prese, e quasi se ne dimenticò l'utilizzo.
Aspetta, lo sapeva ...
Rubrica, G ... Gilbert.
Eccolo.
Schiacciò il tasto con un dito tremante, e poggiò timoroso il cellulare all'orecchio, guardandosi intorno con gli occhi larghi, come se stesse facendo qualcosa di proibito.
Fece un grande sospiro per calmarsi, ma il suo cuore non fece altro che battere più forte, facendolo agitare.
Quella manciata di secondi, gli parvero secoli, pesanti come blocchi di marmo.

"... ... ... L'utente da lei cercato, é al momento impegnato in un'altra chiamata. La preghiamo di riprovare più tardi. Grazie."



"Maledizione! E' occupato!" - Esclamò nervoso Gilbert, terminando la chiamata e gettando il telefono sul letto, per poi seguirlo.

Ci aveva messo molto a decidersi a chiamare, ed ora Romano non rispondeva?!
Diamine ...
Ora non aveva proprio voglia di riprovarci.
Una volta era stata più che sufficiente.
Certo, la sua collana gli mancava, ma ...
No. Non aveva alcuna intenzione di rifare il numero.
Anzi, doveva essere stato un pazzo a farlo.
Per fortuna, non gli aveva risposto ...

Insomma, cosa avrebbe dovuto dire?

'Ciao Roma! Uhm, credo di aver dimenticato lì la mia collana. Posso passare a prenderla? Grazie!'.

... No.
Diamine, quello dall'altra parte non era uno qualunque.
Era Romano.
Il fratello di Feliciano.
La causa della fine della sua storia con lui.
Come poteva parlargli con così tanto candore, quando un peso così grande gravava sulle sue spalle magre ed abbronzate?

Quel ragazzo era come un incubo.
Ricordava la sua voce al telefono.
Somigliava tanto a quella di Feli.
... E no, non voleva sentire la voce di Feli.
Il solo pensiero era come una pugnalata.

Eppure, voleva vedere Feli.
Voleva vedere Romano ...
Voleva risolvere tutto.
Chiudere gli occhi, riaprirli, e ritrovare tutto come prima.
O, almeno, ogni questione risolta.
Feli non più arrabbiato, Romano colto da amnesia.
Come se nulla fosse accaduto.

Doveva affrontare ogni questione il prima possibile, o non lo avrebbe fatto mai più.
Doveva recuperare la sua collana.
Doveva scambiare tre parole con Romano.
Doveva, prima o poi, recarsi a casa di Feliciano.
... A riprendersi le sue cose, almeno.
E, se avesse incontrato i suoi occhi lucidi, le guance di latte e le labbra rosate, Dio solo sa cosa gli avrebbe fatto.
E, Dio solo sa come Feliciano avrebbe reagito.
Probabilmente piangendo, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime ed amore, la gola soffocata dal pianto, il cuore gonfio di dolore e svuotato di ogni altra cosa.
Probabilmente, si sarebbe rivoltato, come un cucciolo ferito, e dalla sua bocca sarebbero uscite offese che mai, prima d'allora, aveva osato dire.


"Cazzo! Questa è sfiga!" - Sbraitò Romano, posando il cellulare sul tavolo con così tanta forza, che per un istante lo credette rotto.

Abbassò il capo, e fece un profondo respiro.
Rimase così per qualche secondo, finché non riprese coscienza del suo corpo.
Le sue dita si mossero in uno scatto involontario, ricordandogli la collana che ancora stringeva.
Nella sua mano sudata, il ciondolo era diventato caldo, con le punte della croce che affondavano appena nella pelle umida, quasi a volerla bucare di proposito.
La portò di nuovo ai suoi occhi.

La pietra nera e lucida di cui era rivestita, si perdeva negli occhi verdi dell'italiano, come un corvo tra le fronde degli alberi.
Come ipnotizzato, il ragazzo si diresse di fronte ad uno specchio, e si guardò.

Non erano i denti serrati sul labbro inferiore e carnoso, che vedeva.
Non erano le lacrime secche e salate, che vedeva attorno agli occhi velati di rabbia e tristezza.
Non erano i capelli castani in disordine.
Nemmeno la pelle arrossata e lacera di pianto e sudore.

Aveva portato le mani dietro il collo.
Le mani di Gilbert erano lì, più grandi e più pallide, a litigare con il laccio.
Gli occhi color oliva fissavano il vuoto attraverso lo specchio, immaginando le dita intrecciarsi per riuscire ad allacciare la stringa.
Gli occhi scarlatti di Gilbert erano lì, poco più in alto, ad osservare dove quelli di Romano non arrivavano, con le iridi intrise di appassionato impegno.
Ora il ciondolo nero era proprio lì, sul suo petto, come un Re sul trono.
Romano accennava un sorriso.
Gilbert era dietro di lui, con uno più largo e deciso dipinto sul volto.
Le sue mani si erano posate sulle sue spalle temprate dal sole e dagli affanni.

Socchiuse gli occhi, il bell'italiano, e per un attimo credette davvero di sentire il peso di quelle mani sopra di lui.

Ich liebe dich, Romano ...


Gli era parso di sentire, proprio nel profondo dei suoi timpani, al che spalancò gli occhi con il cuore a mille.

Macchè ...
Non un'anima, era in quella stanza.
Il fantasma di Gilbert se n'era andato.
I suoi occhi si erano sciolti e dissolti nell'aria, la sua figura sparita dallo specchio.
Si voltò.
Nessuno.
Solo la sua libreria.
La maledetta libreria che aveva comprato, un fottutissimo giorno d'Inverno, insieme al bastardo.


"Romanito! Che te ne pare di questa?!" - Esclamò Antonio, con il suo solito modo di fare ingenuo e gioioso, così allegro da riuscire sempre a far saltare i deboli nervi di Romano.

"Ma stai scherzando, spero!" - Obiettò l'italiano, guardando lo spagnolo abbracciare una libreria rossa, come se ci si fosse già affezionato come ad un figlio - "Non vorrai mettere questa schifezza in casa nostra!!"

"Uhm ... Pero ... Es hermosa ..." - Protestò sottovoce Antonio, come un bambino rimproverato. Ma i suoi occhi color smeraldo ci misero poco a posarsi su qualcos'altro. - "E questa?! Dai, questa é perfetta !!!"

"...!" - Romano lo osservò dirigersi verso una libreria laccata color legno, terminante con due scaffali dalle maniglie rosse.

"Hermosisima! Y estos?" - Esclamò, toccando uno dei pomelli. - "No parecen tomates?!"

"... E va bene." - L'altro sbuffò, scuotendo la testa e spostando lo sguardo altrove. - "E' carina ... Ok?!"

"Davvero?! Allora la prendiamo?!" - La voce di Antonio scoppiò di felicità, e si diresse verso l'italiano per tentare un abbraccio.

"Uff! Sì! La prendiamo!" - Cercò di scansarsi, con successo. - "Basta che usciamo da questo posto! E' quasi ora di cena e non ho alcuna intenzione di mangiare delle fottutissime polpette svedesi!"

"Jaja! No te preocupes!" - Gli toccò una guancia. - "Andiamo in pizzeria...?"

"Tsk! guarda, mangerei anche il tuo schifosissimo cibo spagnolo, pur di uscire di qui!"

"Ah! Allora sai che faccio? Stasera mettiti comodo, che cucino io! Paella para todos!"

"Cosa?! Col cavolo! Pizzeria !!!" - Fece finta di mollargli uno schiaffo, e l'altro si spostò con fare giocoso.

"No no! Paella!!!"


Questa volta, una sola lacrima bagnò gli occhi dell'italiano.
Quel bastardo ... Non poteva sentirsi così a causa sua.
Non per lui.
Non per la sua voce.
Doveva reagire.
E poi ... Non era solo.
C'era Gil.
Sì ... C'era Gilbert con lui ...
A questo pensò, mentre immobile strinse il ciondolo tra le mani, ancora una volta, con una dolce ossessione, immaginando che al suo interno fossero custodite l'anima e il cuore dell'albino.


"Mi passi il sale?" - Chiese Gilbert, con la bocca piena.

Ludwig fece quanto richiesto, senza fiatare, ma guardandolo intensamente.
Non aveva detto nient'altro da quando si erano messi a tavola.
Anzi, era da quando si era svegliato, che gli aveva detto solo il minimo necessario.
Non era da lui ...
Quello non era suo fratello.
Non era il vecchio Gil.

"..." - Il biondo fece un respiro profondo, cercando le parole giuste per iniziare un discorso. Quell'atmosfera era davvero troppo tesa. - "Tutto bene al lavoro?"

Era una domanda stupida.
Davvero stupida.
Ma, del resto, non sapeva proprio che dire.
Chiedergli come stesse riguardo a Feli e Romano, gli pareva fuori luogo.
Era sicuro che l'albino avrebbe cambiato discorso, o l'avrebbe semplicemente ignorato.

"... Si campa." - Rispose freddo Gilbert, pur cercando di nascondere come si stesse sentendo.

"Mmh." - Fece un mezzo sorriso, e posò di nuovo gli occhi nel piatto. Non aveva funzionato. Doveva inventarsi qualcos'altro ...

"Tu?" - Aggiunse l'albino in un tono quasi scocciato, pasticciando e mischiando le salse con la forchetta, assorto nel suo mondo, con una mano a reggergli la fronte.

"...!" - La domanda lo sorprese, ma ne fu felice: probabilmente anche Gilbert sentiva il bisogno di sentire qualcos'altro, oltre allo sbattere delle forchette nei piatti. - "Bene! Uhm, insomma, come sempre. Tra l'altro, credo che riceverò dei soldi extra, questa settimana ..."

"Soldi extra ...?" - Il tono del ragazzo rendeva difficile capire se la discussione gli interessasse davvero.

'Gil, ti prego, reagisci ...'
Pensò Ludwig, prendendo un boccone.

"Sì. Vash mi ha chiesto di controllare la sua auto. Dice che c'é qualcosa che non va con il motore, ha provato a dargli un'occhiata lui, ma pare che non abbia scoperto il problema." - Bevve un sorso di birra, per poi riprendere. - "Gli ho detto che di non pagarmi, che é un amico, ma sai com'é fatto ..."

Lasciò la frase sospesa.
Ecco, a quel punto, il Gilbert che conosceva, gli avrebbe fatto un largo sorriso, e si sarebbe messo ad imitare lo svizzero, dicendo qualcosa di demente.

"..." - Anche l'albino si era messo a bere.

Fratellone ...
Di' qualcosa.
Ti prego.


"..." - si pulì le labbra con un polso, e fece una nuova pausa, per poi alzare la testa verso Ludwig. - "... Ah sì! Senso del dovere! Amici o no, il suo senso del dovere va addirittura oltre la sua avarizia!"

... Ok.
Non era il massimo.
Il tono non era quello di sempre.
La sua voce non sprizzava allegria, né sincera voglia di prendersi gioco di qualcuno.
Si leggeva quasi un dovere, il dovere di fare cio' che avrebbe fatto, se fosse stato un giorno come gli altri.
Un periodo come tutti gli altri.
Ma Ludwig si accontentò, e sorrise lieto.
Aveva apprezzato lo sforzo.
Era come se Gilbert, con quel segno, avesse voluto dirgli che stava bene, che voleva riprendersi, che non voleva essere trattato in modo diverso.
E, questo, era davvero un grande sollievo.

"Uhm ... Hai voglia di fare qualcosa in particolare, oggi?" - Ecco. Un'altra domanda stupida. Voleva fare qualcosa, Ludwig, ma davvero non sapeva cosa.

Non era abituato, a consolare le persone.
Soprattutto Gilbert.
Di solito, era lui ad aprire le sue grandi ali di colomba, ed offrirgli protezione.
Sapeva solo che, in quel momento, avrebbe realizzato qualsiasi desiderio dell'albino.
Anche arrivare in capo al mondo entro quella stessa sera.

"Dovrei ..." - Parlarne gli faceva male, ma a volte mentire era davvero più difficile che dire il vero. - "... Dovrei andare da Romano."

"...?"

"... La collana." - Spiegò. - "La rivoglio ... Anche se non so cosa potrebbe fare. Non posso levarmi di testa quello che é successo ... E' davvero troppo difficile."

"Gil ..." - Sospirò, e il cuore prese a battergli forte, insicuro delle parole che stava per pronunciare. - "Devi affrontare la questione. Dimenticati di quello che é successo. Stai solo andando a riprenderti qualcosa di tuo. Non pensare a Romano."

"Lo so, lo so, non dovrei ... Non capisco nemmeno perché me ne preoccupo. Voglio dire ... Sono Gil!" - A quest'ultima frase, ebbe un leggero sprazzo di egocentrismo, come ai vecchi tempi. - "Non dovrebbe essere un problema per me! Insomma, ho passato notti a destra e a manca, e non mi sono mai fatto problemi a rivedere certe persone in giro. Eppure ... Dopo di ... Ehm, lui, mi sento cambiato. Lui mi ha fatto capire che stavo sbagliando. Allora mi chiedo ... Perché ci sono ricascato? Se provo qualcosa di diverso, se mi importa di Romano ... Vuol dire che provo qualcosa per lui? Eppure lui mi fa ancora stare male ... E' lui, é lui quello che ancora sento di volere ..."

Lui ... Pronunciare il nome di Feliciano lo avrebbe fatto stare male.
Non che quello di Romano gli fosse uscito dalla bocca con meno fatica.
Insomma ... Che gli succedeva?
Ecco.
Doveva essere parso un emerito, enorme cretino, ora.
A vedersi da fuori, si sarebbe preso in giro, a farsi mille paranoie inutili come una ragazzina in preda agli ormoni.
Che idiota ... Era solo un moccioso.
Un ragazzino.
Ludwig era molto più maturo di lui ...
Che razza di fratello maggiore era?

"... Hai provato a chiamare Romano?" - Il biondo decise di ignorare i discorsi di Gilbert. Sapeva che, se avesse fatto altrimenti, lo avrebbe solo messo in ulteriore imbarazzo.

"Sì ... Ma ho trovato occupato, e, sinceramente, meglio così." - Alzò le spalle. - "Non ho voglia di sentire la sua voce al telefono, davvero ..."

"Allora mandagli un messaggio. Così avrà il tempo di prepararsi mentalmente all'incontro. In questo modo, sarà più lucido ..." - Propose il fratello minore, cercando conferma negli occhi scarlatti dell'altro.

"Mmh, sì, forse hai ragione ... Dopo mangiato glielo mando."

"Subito."

"Come ...?"

"Ti conosco. So che non lo farai." - Ora, era serio. Raramente parlava così a suo fratello, ma era per il suo bene. O, almeno, era quello che sperava ...

"Uff ... E va bene." - Prese il cellulare dalla tasca, come se nulla fosse.

Voleva apparire il più naturale possibile, benché il cuore aveva preso a battergli forte, e lo stomaco a chiudersi, lasciandolo con una sensazione di nausea infondo alla gola e le mani gelide e sudate.

"Uhm ... Romano. Ecco."

Vengo da te alle 17.30. Ti va bene? Devo aver dimenticato lì la mia collana.
- Gilbert.


"Opzioni ... Invia. Ecco. Contento?" - Lo ripose sul tavolo, e fece un lungo sospiro. - "... Non ho più fame, comunque."

"..."

La stanza era tornata silenziosa, governata solo dai rumore di piatti e forchette.
Ogni tanto il rombo di un'auto, o di un camion, che passavano sulla strada asfaltata di fronte al palazzo.
Ogni tanto, si udiva qualcuno parlare in lontananza.
In sottofondo, appena percettibile, il sibilare della televisione dei loro vicini.
Nient'altro, ma Ludwig era contento.
Almeno, era riuscito a far fare al fratello un passo verso la soluzione ai suoi problemi.
O almeno, pregava Gott che fosse così.


"Hanatamago !!!" - Chiamò Peter, e la cagnolina gli si gettò alle gambe, scodinzolando allegra, saltando più in alto che poteva, come a chiedere di essere presa in braccio.

Il ragazzino acconsentì alla muta richiesta, e la prese tra le braccia, soffice e bianca.
Alzò gli occhi verso il cielo.
Ecco.
Somigliava proprio ad una di quelle nuvolette che si spostavano pigre sopra di loro.
Bianche e vaporose, come pecorelle spensierate su un campo celeste.

Spensierate ...
Beate loro.

Appoggiò le labbra tra il pelo della maltese, stringendola forte al petto, come per rassicurarla.
Eppure, Hanatamago non ne aveva alcun bisogno.
No ...
Era lui a sentirsi agitato.

Si sedette per terra, su di uno scalino vicino alla porta d'ingresso, con la cagnolina ancora in braccio.
Si sentiva una musica provenire da dentro.
Suo padre doveva aver acceso la radio.
Lo faceva spesso.
Amava sentire la musica mentre lavorava in casa.

Acuì ancora l'udito, fino a sentire la televisione accesa in cucina.
Conosceva quel motivetto.
Non gli era affatto nuovo ...

Notturno op. 15 n. 1 - Fryderyk Chopin


Sorrise sotto i baffi, per un breve istante, ma la sua espressione mutò in fretta.
Quel Notturno ... L'aveva sentito tante, troppe volte.
Riecheggiava tra le pareti della scuola di musica, e quando lo sentivi, capivi subito sia da dove provenisse, sia chi lo stesse suonando.

Roderich Edelstein


Le braccia di Peter allentarono la presa, e Hanatamago alzò le orecchie guardandolo sorpresa, sebbene avesse deciso di non andarsene dalle sue gambe.

Provò un improvviso senso di nausea, e si morse il labbro.
Non poteva ... Non poteva più andare a scuola di musica.
Non poteva più andare da lui.
Non aveva più voglia di fare nulla ...

Ormai, aveva passato più di una settimana in quelle condizioni.
Si sentiva confuso e perso.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi, riaprirli e ritrovarsi già adulto.
Era stufo di essere un ragazzino ...
Era stufo di sentirsi così ... Così ...
Così inutile.

"Peter!"


"...! Mamma!" - Il ragazzino alzò lo sguardo, e la sua espressione cambiò di nuovo, ricacciando giù le insicurezze, negli abissi del suo cuore.

"Pensavo fossi nella tua stanza ..." - Gli sorrise, di quel sorriso dolce e senza pretese che solo le mamme sanno fare.

"..." - Ricambiò il sorriso, e tornò ad essere il dolce e spensierato bambino che era.

"Perché hai lasciato la torta sul tavolo? Non hai fame ...?" - Si sedette al suo fianco, e prese Hanatamago dalle gambe del figlio, adagiandola sulle sue e prendendo ad accarezzarla - "Ciao Hana! Stai qui col tuo padroncino?"

"Torta? Non sapevo nemmeno che ci fosse!"

"Oh ... Forse te l'ha lasciata Berwald, e poi si è dimenticato di avvisarti ..."

"Sì ... Dev'essere andata così ..." - Peter fece un mezzo sorriso, a metà tra la rassegnazione e la compassione. - "Uff, certo che però poteva anche ricordarsi!"

"Ahah! Avrà avuto la mente troppo impegnata ... Sta montando il mobiletto nuovo del bagno." - Seguì uno sguardo complice, a cui non ebbe bisogno di aggiungere altro.

"Ah beh ... Allora, si intende." - Ricambiò lo sguardo, stiracchiandosi ed alzandosi. - "Però! Ci stiamo facendo riempire la casa di mobili inutili solo perchè a papà piace montarli!"

"Eddai, non sono inutili ... Credimi, se non ci fossi stata io a fermarlo, a quest'ora non vedremmo più nemmeno le pareti!"

"Non poteva scegliersi un hobby peggiore ..."

"Ma no! Almeno sa fare qualcosa in casa! Sai, é una qualità che a noi donne piace trovare, negli uomini ..." - Spiegò, sorridendogli ancora una volta. La sua espressione, si fece poi più scherzosa, quasi infantile. - "... Giusto un consiglio, nel caso volessi far colpo su Lily!"

"Smettila!" - Il ragazzino arrossì, ed aprì d'istinto la porta. - "Vado a mangiare la torta!"

"... Come vuoi!" - La donna rimase seduta sullo scalino, ad accarezzare Hanatamago.

Ormai sola, fece un sospiro.
Ah ... Il loro Peter diventava ogni giorno più grande.
Le pareva di averlo visto solo il giorno prima, con la bocca corrucciata in una specie di smorfia, quando disse per la prima volta 'mamma', 'papà' e mille altre nuove parole.
Le pareva che fossero stati giusto due giorni prima, quando per la prima volta si aggrappò al tavolino del salotto, e fece i suoi primi, goffi passi.

Due giorni, sembravano essere passati.
Possibile che, in due giorni, si fosse fatto così grande?
Aveva imparato a camminare, parlare, scrivere, fare i conti.
Aveva imparato a scherzare, a fare battute e a ridere a quelle degli altri.
Aveva imparato a scrivere poesie e biglietti per le feste, e aveva imparato a suonare il pianoforte.

Quante cose ...
Quante cose aveva imparato, il suo Peter.
E quante cose, aveva ancora da imparare!
Quante cose, aveva ancora da vivere!

Fece un dolce sorriso, ed accarezzò Hanatamago con più passione, con il cuore gonfio d'amore e di soddisfazione.
Dalla vita, aveva ricevuto ogni dono che avesse potuto desiderare.
Un buon marito, una casa grande ed accogliente, un figlio, e anche una cagnolina.
La sua vita era semplicemente perfetta ...
Non l'avrebbe mai cambiata, per nulla al mondo.


Vuoto.
Voleva avere la mente svuotata.
Vuoto.
Nei timpani, non voleva sentire alcun suono.
Vuoto.
La sua casa sembrava vuota.
La sentiva vuota.
La voleva sentire vuota.

E, anche Romano, voleva sentirsi vuoto.
Voleva sentirsi leggero, libero da ogni peso.
La lingua spingeva forte contro i denti, mentre lo specchio verde dei suoi occhi rifletteva uno sguardo assente, quasi esanime.

Vengo da te alle 17.30. Ti va bene? Devo aver dimenticato lì la mia collana.
- Gilbert.

...
Gil.
No. Non doveva pensarci.
Non ora.
Era stato uno stupido ...
Aveva paura ad incontrarlo.

Come avrebbe reagito?
Sarebbe rimasto distaccato?
Avrebbe preso la collana e se ne sarebbe andato via senza dir nulla?
Gliel'avrebbe forse strappata di mano, urlandogli cose orribili, per poi sparire per sempre dalla vita di tutti?
E lui, Romano, come avrebbe reagito?
Era lucido, ora.
Non sarebbe accaduto nulla di simile alla sera di due giorni prima.
No.
Non poteva permetterlo.
Per quanto l'idea lo allettasse, per quanto i suoi sentimenti fossero stati sinceri, sapeva di essersi posto nel modo sbagliato.

Si era posto nel modo sbagliato nei confronti di tutti.
Di se stesso, di Gilbert, ma soprattutto ...
Di Feliciano.
Il suo fratellino non l'aveva mandata giù, ne era certo.
Non aveva avuto neppure la forza di chiamarlo, o di incontrarlo.
Temeva il confronto con lui ancor più di quello con Gil.

Era sangue del suo sangue ...
Era sangue del suo sangue, colui che aveva tradito.
La persona che aveva giurato di non abbandonare né tradire mai.
Il suo fratellino, quello che avrebbe dovuto proteggere, consolare, amare.
Quello per cui avrebbe dovuto dare la vita.

... Forse, la vita lui l'avrebbe data, per il suo Feli.
Forse ...
Ora non era nemmeno più sicuro di questo.
Ancora non riusciva a credere a cio' che aveva fatto.

"Sono un coglione ..." - Si era ripetuto nella mente, benché cercasse di mantenerla il più sgombra possibile da ogni pensiero.

Feliciano, si sarebbe sacrificato ad occhi chiusi, per lui.
Lo aveva amato, mentre lui già covava in silenzio fantasie proibite.
Lo aveva consolato, mentre una voce in lui diveniva sempre più forte.

"Non ho nulla da perdere ... Non più!"


Si era detto, benché sapesse che il suo sogno non si sarebbe mai potuto realizzare.
Non poteva tradire così il suo sangue, le sue ossa, la sua pelle, la sua terra.
Ma l'alcool aveva deciso per lui.
Si era stravolto.
Se l'era voluta.
Era tutta colpa sua.
Un bastardo ... Lui si che era stato bastardo!

...


"...!" - Il rumore del campanello lo fece immobilizzare.

Si sentì i muscoli farsi di pietra, e il sangue congelarsi nelle vene.
Rimase un attimo in silenzio, lo sguardo fisso e perso, col gelo che gli attraversava la spina dorsale.

Si alzò.
D'un tratto, la testa aveva preso a girargli.
Avanzava a passi lunghi, con la testa verso il basso, preso da un senso di svenimento.
Era Gilbert ...
Era lui, proprio dietro quella porta ...

"Uhm, ciao Romano." - Salutò l'albino, sfuggendo dal ricciolo ribelle dell'altro ragazzo e cercando un punto neutro da fissare. Il divano ... No ... Non lo doveva guardare.

"... Ciao." - Rispose Romano, gli occhi immobili sul pavimento, senza nemmeno il coraggio di guardargli le scarpe.

"... Hai letto il messaggio, vero?" - Chiese Gilbert, alzando un sopracciglio. Si sentiva davvero impacciato ...

"..." - L'italiano annuì, senza osare alzare il capo.

Sembrava un pulcino.
Un uccellino caduto dal cielo, trovatosi con l'ala ferita dopo mille acrobazie tra le nuvole.
Che strano effetto, gli faceva ...
Avrebbe voluto posare la mano sulla sua testa, lasciar passare le dita tra i suoi capelli lucenti, e dargli un bacio proprio in cima al capo.
Dirgli di stare tranquillo, che non aveva nemmeno la forza di odiarlo.
Dirgli che, infondo, ora erano nella stessa situazione ...
Due cuori infranti.
E, in quel momento, poco gli importò che, la causa del suo malessere, era proprio lì di fronte a lui, col capo chino e le mani chiuse a pugno.

"... Entra." - Aggiunse, con il tono scocciato e stanco.

Fece qualche passo verso il divano, e lì di fermò, con le spalle rivolte al tedesco.
L'altro era entrato timoroso, come un agnello nella tana di un lupo.
O meglio, come una vittima sul luogo del delitto.
Forse, la vittima era Romano?
Forse, l'assassino era lui?
... Pazzesco.
Non riusciva nemmeno più a capire il suo ruolo in tutto cio'.
Sapeva solo che la vista di quel divano lo infastidiva, come poche altre cose al mondo.
Si ergeva ancora lì, identico a quel giorno, e pareva fissarlo inebetito, con una faccia invisibile, con il sorriso idiota e malizioso di chi sa e non dice.

Quella era la porta che Feliciano aveva varcato.
Quella era la porta che Feliciano aveva attraversato, fuggendo via in lacrime.
Quella stanza, quell'appartamento, quel palazzo ... Erano stati il set della loro tragedia.

Romano si chinò sul tavolino e prese la collana, per poi voltarsi verso l'albino, le iridi verdi e sfuggenti.
Il sudore scottava e lasciava senza forze, sulla pelle sottile e già stanca.
Lo stomaco era stato colto da una bufera di neve, e giaceva infondo al suo ventre, in una morsa di ghiaccio.
Il cuore, come una pietra.
Anche respirare stava divenendo difficile, e ad ogni nuovo respiro, l'aria sembrava farsi più pesante, e sentiva i polmoni di cristallo creparsi miseramente.

Stringeva la croce nel palmo della mano, più forte che poteva.
Aveva la nausea ... Voleva chiudere gli occhi.
Chiudere gli occhi, svenire, lasciarsi morire.
Voleva aprire la finestra e buttarsi giù.
Gridare disperato che lo amava, e poi sciogliersi per sempre sull'asfalto ruvido.
Poi non gli sarebbe importato più nulla.
Tanto, sapeva già di essere destinato all'Inferno.
Avrebbe solo accorciato i tempi di attesa ...
Quel bastardo Signore degli Inferi avrebbe visto la sua faccia da stronzo molto prima di quanto immaginasse.
E in quale cerchio sarebbe finito?
Lussuriosi? Iracondi? Invidiosi? Sodomiti? Traditori? Seminatori di discordia?
... Le aveva tutte.

Ma perchè diamine qualcuno, lassù, si era preso la briga di mantenerlo in vita fino a quel momento?
Sarebbe stato meglio morire molto, molto prima.
Almeno non avrebbe fatto tutte quelle cazzate.
Non sarebbe stato invidioso di Feliciano, non si sarebbe innamorato di Antonio, non avrebbe sofferto come un cane, non avrebbe tradito il suo fratellino.
... E, a quell'ora, non sarebbe stato certo di fronte a Gilbert.
Ancora una volta, a chiedersi perché cazzo era destinato a quella vita.
Si odiava, si odiava con tutto se stesso.

"... Tieni." - Disse, con il volto girato, allungando il braccio verso l'albino e porgendogli la collana.


Gilbert gli aveva preso la mano.
Aveva stretto la collana nella sua mano, ed ora la stava accarezzando.
Si era sporto verso di lui, aveva lasciato le labbra accarezzargli una guancia, e gli aveva sussurrato che andava tutto bene.
Che non era arrabbiato.
Che voleva solo vedere i suoi occhi e il suo volto.
Voleva vedere la sua bocca incurvata in un sorriso, e dirgli che era suo.
Dirgli che non desiderava altro che vederlo felice di nuovo.
Dirgli che aveva perdonato ogni cosa, e che, da quel momento, nessuno dei due si sarebbe più sentito solo.


No ... Sarebbe stato troppo bello.
Il cuore di Romano già batteva più forte al pensiero, ma il malditesta e la nausea gli ricordarono presto che la situazione era ben diversa.
No ... Gilbert probabilmente era arrabbiato.
Gli avrebbe preso la collana con la forza, strappandogli anche l'ultima cosa che di lui aveva, ed andandosene per sempre.

"... Grazie." - Il tedesco gli prese la collana dalla mano, con una delicatezza che quasi pareva nascondere timidezza.

Con sua sorpresa, l'albino non sembrava arrabbiato.
Sembrava piuttosto ... Dispiaciuto.
Dispiaciuto e stanco.
Si allacciò la collana al collo, e per un attimo i suoi occhi scarlatti si fusero in quelli verde oliva dell'altro.
La sua bocca parve incurvarsi in qualcosa di simile ad un sorriso.
Solo per un attimo.
Giusto uno sfuggente attimo.

Romano deglutì.
Anche i suoi occhi faticavano a rimanere fissi sull'altro.
Lasciò ricadere il braccio lungo il suo fianco, e lasciò andare il respiro, fino a sentirsi i polmoni svuotati e le spalle più basse e pesanti.
Si tenne stretta la lingua tra i denti, in un tic nervoso, senza dir nulla.

"Romano ..."

"...?" - La voce di Gilbert gli riecheggiò nelle orecchie, e fece un cenno con il capo, di scatto, come un bambino ripreso nel mezzo di una marachella.

"Stai bene?" - La sua voce era bassa. Diversa da quella che aveva di solito ...

"..." - Rimase un attimo in silenzio. - "... Sì."

Eppure, la conferma sfuggì dalle sue labbra con una voce che la contraddiceva.
Sentiva il labbro inferiore tremare, ed una patina umida coprirgli già gli occhi.
Bene ...?
Sì, stava bene.
Benissimo.
Ahah, mai stato meglio.
... Da schifo.

"Hei ..." - All'albino dispiaceva vederlo così, nonostante tutto. - "Se é per l'altro giorno ... Guarda, non ce l'ho con te!"

L'affermazione sorprese entrambi.
Non ce l'aveva con Romano...?
Non avrebbe forse dovuto essere arrabbiato con la persona che gli aveva sottratto la felicità?
Eppure era lì ...
Romano, ora, somigliava a Feliciano più che mai.
Non era più un demonio, no, non era più il demone che si era impossessato del suo corpo.
Era anche lui un angelo caduto.
Dai tratti più scuri e più rudi, ma proveniente dallo stesso cielo.
Gli faceva uno strano effetto, vederlo così affranto ...
E non osava immaginare lo stato in cui Feliciano ancora fosse.
Erano diversi ... Ma in momenti come quello, parevano davvero gemelli.

Certo, pensare che quel ragazzo era lo stesso che aveva fatto litigare lui e Feliciano, faceva male.
Ma, infondo, cos'era Romano..?
Solo un ragazzo disperato, in preda ad un mix di emozioni contrapposte, il tutto enfatizzato dall'alcool che si era scolato.
Infondo, gli sarebbe bastato un piccolo sforzo, un minimo, per rifiutare le sue avances.
Quello con la fetta più grossa di colpa, non era l'italiano ...
Ma lui.

Il maledetto, vecchio Gil, stava solo dormendo in lui.
Aveva aspettato l'occasione migliore per svegliarsi e rivelarsi in tutta la sua forza autodistruttiva.
Non era buono a nulla ...
Quel nuovo Gil, filtrato dall'esperienza con Feliciano, era ancora peggiore.
Non solo gli aveva fatto fare l'errore più grosso della sua vita, ma ora non riusciva nemmeno a provare indifferenza per l'uomo per cui aveva tradito Feli.
Fosse stato almeno capace di non provare nulla, né per un fratello, né per l'altro, a quell'ora sarebbe già stato per le strade a divertirsi.
Invece no ... Era ancora inchiodato tra due mondi.

"Non é vero!" - Sbottò Romano, facendo tornare Gilbert alla realtà. - "Non é vero ... Non puoi non essere incazzato con me ... Sono la persona più vomitevole sulla faccia della Terra, cazzo! Sto rovinando la vita a tutti ... Antonio ha fatto bene a mollarmi. E io, da puttana che sono, cos'ho fatto? Ho subito cercato te. E sono stato talmente cretino, talmente stronzo da non pensare neppure a quello che stavo facendo! Sia a te, che a mio fratello!"

Ormai stava gridando.
Gridando e piangendo.
Tirò su col naso e si passò un polso sul volto, per asciugarsi le lacrime.
Si voltò di nuovo e fece qualche passo, come preso dalla voglia di fuggire.
Macché ... Quella casa era troppo piccola per fuggire.
Aveva già sbattuto le gambe contro quel maledetto divano.

"Romano ..." - Il tedesco era rimasto stupito. Conosceva bene i modi di fare dell'italiano, ma ancora faticava a credere che una creatura così realmente indifesa, com'era Feli, fosse capace di insultarsi ed insultare così tanto.

"Vattene. Il mio fratellino non credo che ci perdonerà ... Ma almeno tu sei libero di andartene. Di uscire per sempre dalle nostre vite. Vattene, vai da qualche altra parte! Quello che deve pagare, quello che avrà sulla coscienza la felicità di suo fratello, sarò e devo essere solo io ... Tu non c'entri niente con noi. Sei libero di aprire quella fottuta porta e sparire. Ti prego Gilbert, sparisci!" - Le parole di Romano faticavano a sentirsi tra i gemiti e gli spasmi.

Poi, d'un tratto si bloccò.

"Romano ... Davvero, sono io quello che avrebbe dovuto fermarsi. E poi ... Non ho intenzione di andarmene via. Non ... Non lo trovo giusto. Lasciarti in questo stato ..." - Tentò di abbracciarlo, e lo sentì rigido e silenzioso sotto il suo tocco. - "Romano ...?"

"Uhmm, Gil ... G-Gil!" - Quell'ultima invocazione fu quasi gridata, col poco fiato che gli era rimasto, prima di sentirsi le gambe cedere e la vista offuscarsi.

"Romano!" - Rispose spaventato l'albino, sorreggendolo a peso morto tra le braccia. - "Romano! Cos'hai?!"


~ Continua ...



NOTE. Spero vi sia piaciuto, anche se sinceramente non lo trovo chissà cosa ... :u:' A proposito della parte con Peter, mi sarebbe piaciuto mettere la SuFin con Tino, anziché Fem!Finland, ma mi sembrava un pochino forzato, dal momento che in Italia non é permesso né il matrimonio, né tantomeno l'adozione da parte di coppie omosessuali ... Avrei trovato una scappatoia, se avessi voluto, ma mi sembrava di complicare troppo le cose, oltretutto che la sottotrama di Peter é anche piuttosto irrilevante, ai fini della trama principale ...
Oh beh~ Alla prossima! ^^
Baci,
Arisu95. 

  
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