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Autore: acculturazione    20/11/2012    1 recensioni
Quest'FF racconta della notte in cui Andromeda Black è scappata di casa per potersi sposare con Ted.
Nella mia testa, la loro storia è sempre stata complicata, e il loro matrimonio ostacolato, ma priam dis crivere la storia non ho mai pensato a tutto il dolore che deve aver provato Andromeda abbandonando la sua famiglia.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black | Coppie: Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Una notte di fuga bagnata dal pianto

 
Notte. Piena notte.
Fredda, scura, infinita notte di lacrime.
Strinse gli occhi forte, era arrivata l’ora. Adesso sarebbe dovuta essere pronta. Ma non lo era per nulla. Però voleva, lo desiderava con tutto il cuore.
Riaprì gli occhi e tanti piccoli scoppi di lucette bianche le volarono davanti alla visuale. Quando finalmente il buio tornò buio, privo di bagliori anomali, Andromeda si alzò. Sempre lentamente, poiché aveva paura, effettivamente era sorpresa che le sue membra non fossero così congelate dal terrore da non riuscire a muoverle, fortunatamente ce la faceva. Uscì da sotto le coperte già vestita, lentamente e con mani tremanti mise due cuscini sotto il piumone, per rallentare la scoperta della sua fuga almeno di qualche ora. Quando ebbe finito, si mise in piedi al centro della sua stanza.
Si sentì stupida. Il silenzio della fuga le premeva i timpani più rumoroso di mille tamburi, il terrore le faceva battere il cuore tanto in fretta che temeva che Bella nella stanza li accanto, potesse sentirlo. Finalmente la sua vista si abituò all’oscurità della camera, riuscì a vedere il profilo degli oggetti che avevano fatto la sua vita.
Vedeva la scrivania ordinata, con sopra alcuni fascicoli sulla politica che aveva finto di leggere per evitare l’ira del padre. Vide la sagoma della cassettiera ricoperta da svariate boccette di profumo, che non aveva neanche mai usato e che reputava troppo forti. Sopra la testiera del letto intagliata di spire di fluide vipere, poteva intravvedere lo stemma dei Black che aveva ricoperto con un piccolo stendardo di Serpeverde, e con una bella foto sua e delle sue amiche. Poteva anche vedere le smorte tende bianche solleticare la moquette, mosse dal venticello leggero che entrava dalla finestra semiaperta. Giustamente semiaperta.
Andromeda non seppe trattenersi. Le lacrime iniziarono a scivolare copiose sulle guance chiare, era immobile al centro della sua stanza, costretta ad abbandonare il suo difficile passato per seguire un promettente futuro. Ma aveva paura, aveva paura che la scoprissero, aveva paura perché lo sapeva che mai più avrebbe potuto parlare con le sue sorelle. E purtroppo lei amava le sue sorelle.
Perché si, erano cattive e credevano in Lei-Sapeva-Chi, ma erano le sue sorelle. Non erano Bellatrix Black futura Lestrenge e Narcissa Black promessa Malfoy.
Per lei erano Bella che l’aveva protetta e consolata nonostante tutto, ma che mai più l’avrebbe fatto, e Cissy che le aveva chiesto aiuto quando aveva avuto paura, ma che più avrebbe avuto paura con lei.
Sentiva le lacrime bollenti bagnarle la faccia senza voler accennare a fermarsi. Sentiva il sapore del sale sulle labbra.
Avrebbe tirato su col naso se solo non fosse stata letteralmente paralizzata dal dolore.  Rimase immobile un altro paio di secondi, poi capì che doveva farlo: non sarebbe mai stata Domeda in quella casa, sarebbe stata per sempre Andromeda Black impegnata Rosier.
Le sue gambe si mossero a quel pensiero come se ne avessero avuto la capacità dall’inizio, Andromeda batté due volte le palpebre per poter vedere senza l’impiccio dei lucciconi, calzò il pesante cappotto verde e tirò fuori la valigia fatta da giorni da sotto il letto. Poi un minuscolo sassolino colpì delicatamente l’esterno della finestra, tanto piano che se la diciassettenne non avesse tenuto d’occhio il vetro dall’inizio non se ne sarebbe accorta, ma ugualmente ebbe paura che qualcuno avesse potuto sentire qualcosa. Niente. Trascinò  la borsa sotto la finestra accostata, e la schiuse di più, attenta al minimo cigolio, quando l’ebbe spalancata del tutto guardò giù. Ted era li ad aspettarla, i capelli biondi spettinata dalla leggera brezza serale, il sorriso dolce come sempre al suo posto.
Senza dire nulla Andromeda lasciò calare la borsa verso di lui, con un incantesimo, e quando il ragazzo l’acchiappò si ricordò di una cosa importantissima.
Non riuscì a dire nulla a Ted, per via della gola piena di calde lacrime di amarezza, ma lui capì. Lui capiva sempre.
Riportò la testa all’interno della stanza, si diresse verso il suo comodino, dove appoggiata alla lampada decorata da grossi serpenti neri, stava una foto magica raffigurante tre ragazze.
La più grande aveva le palpebre pesanti e i capelli neri, ed aveva un fascino disinteressato aumentato dal ghigno che si teneva sul viso, aveva un braccio attorno alle spalle di un ragazza dai castani capelli mossi, gli occhi grandi e benevoli, e un timido sorriso sereno, in mezzo alle due stava l’ultima, poco più che quattordicenne, bionda e pallida, fragile, il viso aperto in un riso sinceramente felice.
Nuove lacrime nacquero dagli occhi scuri di Andromeda, e scivolarono giù ad inumidirle il mento e il bavero della giacca. Si portò la foto vicino al cuore, e per la prima volta quella notte fece un suono, lasciò che un profondo verso gutturale saturo di angoscia le si liberasse dalla gola.
 
Ripose la foto in una tasca vicino al cuore.
Si asciugò le lacrime.
Non permise mai più al suo complicato passato di farla piangere.
 

Per tutta la vita era stata solo un’ombra delle sorelle perfette,
un’estranea portatrice del loro ridicolo cognome.
Ed ora come un ombra se ne andava




 

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