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Autore: RadioHysteriaBK    21/11/2012    2 recensioni
"Di nuovo quella strana sensazione. La pelle d'oca e un piccolo brivido freddo in fondo alla schiena. Mi voltai a guardarmi indietro. Sentivo che qualcuno mi stava spiando. Ma da dove? La strada era deserta: nemmeno una macchina. Osservai le finestra per vedere se qualche tendina si muoveva e il mio sguardo si fermò sul numero 483."
Questa è la storia di una ragazza, di nome Ashley che decide di traslocare da sola a Berlino, per prima e senza i suoi genitori. Una storia che si racconterà in modo un pò strano, ovvero: Dalla parte di Lei, e contemporaneamente dalla parte di Lui. Ashley incontrerà nuovi amici e persone che cambieranno per sempre la sua vita... to be continued ;)
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutte! rieccomi tornata con il secondo capitoletto, che poi sarebbe il primo pechè raccontato dal nostro 'misterioso' ragazzo! :-) Senza tante parole vi lascio subito alla lettura! spero vi piaccia! a prestoooo!

xoxo, RadioHysteriaBK




Dalla parte di Lui,…
 

[***]

 
Di nuovo quella strana sensazione. La pelle d’oca e un piccolo brivido freddo in fondo alla schiena. Mi voltai a guardarmi indietro. Sentivo che qualcuno mi stava spiando. Ma da dove? La strada era deserta: nemmeno una macchina. Osservai le finestre per vedere se qualche tendina si muoveva, e il mio sguardo si fermò sul numero 483.

Il numero 483 era sprangato da secoli, cioè da quando era morto il vecchio signor Liham, che ci abitava. C’era stata una specie di battaglia legale tra gli eredi, e non si poteva vendere la casa finché la faccenda non fosse risolta.

Tom, Georg e Jamie, il nostro piccolo ‘fratellino’ che nostra madre aveva avuto con il nostro patrigno, Klaus, la chiamavano “la casa delle tenebre”, e devo ammettere che ogni tanto, quando erano particolarmente insopportabili, mi ero inventato qualche storia di fantasmi con l’aiuto di Gustav, giusto per tenerli buoni, proprio come si fa con i bambini. Poi, una notte, Jamie aveva avuto un incubo e si era svegliato urlando, così nostra madre Simone, che era rimasta con noi per qualche giorno, si era arrabbiata molto e ovviamente, aveva ordinato a me, che sono il più grande di 10 minuti, di smetterla. Devo ammettere che questa cosa, a volte mi dava seriamente sui nervi.

In effetti il numero 483 aveva l’aria piuttosto inquietante, specialmente in un pomeriggio nuvoloso come quello. Era un casa a due piani uguale a tutte le altre, ma le finestre sbarrate da assi le davano un’aria cieca e desolata. La vernice degli infissi era tutta scrostata, il vialetto pieno di erbacce, e sotto il cornicione c’era una fila di nidi di rondine. La natura ne stava lentamente prendendo possesso.

Alla fine decisi di lasciar perdere e di proseguire; dopotutto, quella strana impressione poteva essere frutto della mia immaginazione, forse un po’ troppo fervida.

Fu proprio quella sera che, dopo essersi nascosto dietro le tende di camera mia per sfuggire alla mamma, ben decisa a metterlo a letto, Jamie, si lasciò sfuggire un gemito di paura e corse verso di me.

-       Bill!
-       Ehi… che c’è?
-       Ci sono…ci sono davvero….
-       Chi, edove?
-       Al numero 483… i fantasmi!
-       Non fare lo scemo. I fantasmi non esistono, lo sai, no?
-       E invece esistono. Sono lì dentro… - Mi tirò per la manica. – Vieni a vedere. Dentro la casa c’è una luce che si muove.
-       Che stupidaggini – dissi. Adesso tutti e cinque eravamo accanto alla finestra. Mi sembrava di avere a che fare con dei bambini, ma più di tutto, di far parte di una delle avventure dei ‘Piccoli brividi’. Ma in realtà avevo un po’ di pelle d’oca anch’io. – Te lo sarai sognato.
-       No, Bill…. Ci sono davvero. Guarda.

Mi lasciai trascinare ancora più vicino alla finestra e ci accalcammo tutti nella zona buia tra le tende e il vetro, per guardare fuori.

-       Allora? – chiesi. Era tipico di Jamie drammatizzare ogni cosa. Bè, un po’ come me , del resto.
-       Aspetta… - sussurrò. Mi stringeva il braccio talmente forte da farmi male.

Studiai la squallida facciata del numero 483, e mi sentii gelare. Era vero. C’era una luce. Era debolissima, ma si muoveva di stanza in stanza: la si vedeva attraverso le fessure delle assi. Ogni tanto si fermava e diventava un po’ meno fioca; poi proseguiva. Ora stava salendo di sopra. Sembrava che galleggiasse…

-       Cosa state combinando, voi cinque? – Simone tirò le tende all’improvviso.
-       Abbiamo scoperto un fantasma – disse Jamie, ritrovando un po’ di coraggio.
-       Bill… - disse mia madre con un sguardo di avvertimento
-       No… stavolta non c’entro. C’è davvero qualcosa, o qualcuno, al numero 483. Vieni a vedere anche tu.

Ci accoccolammo tutti e sei dietro la tenda, e dopo un po’ mamma sentenziò: - Squatter.

-       Cos’è uno squatter? – chiese Jamie in tono preoccupato.
-       Me lo aspettavo – disse Simone.
-       Sapevo che prima o poi sarebbe successo, con la casa vuota per tutto questo tempo. – e andò giù a cercare Klaus.
-       Bill… cos’è uno squatter? – mi chiese di nuovo Jamie, dopotutto aveva solo nove anni.

Gli misi un braccio intorno alle spalle. – Gli squatter sono persone che non hanno una casa, e allora ne cercano una vuota, ci entrano e ci “squattano” dentro.

-       Cosa vuol dire “squattano”? – non era ancora del tutto sazio di risposte.
-       Non vuol dire niente, scemo. Vuol dire entrare in una casa e restarci senza pagare l’affitto.  Ribatté Tom al posto mio.

Fu in quel momento che arrivò papà. Entrò in camera, mise la testa fra le tende e guardò fuori.

-       Non si vede niente. Ve lo sarete immaginato.
-       Non sono fantasmi, sono squatter -  annunciò Jamie tutto fiero.  – Non hanno una casa e allora vanno a vivere in quella di qualcun altro che non c’è…
-       Lo so cosa sono gli squatter, Jamie… sshhh! – Papà agitò una mano per imporre il silenzio. Mi infilai dietro la tenda e per un po’ continuammo a fissare la “casa delle tenebre”.
-        Guarda… eccola lì, al piano di sopra – traballa… dev’essere una candela.
-       Perfetto. Vado a chiamare la polizia – disse mia madre.
-       No, aspetta un attimo – Klaus riemerse dai tendaggi. – Pensiamoci un momento.
-       Cosa c’è da pensare?
-       Bè … da quant’è che quella casa è vuota?
-       Da almeno due anni. Forse tre.
-       Due o tre anni in cui avrebbe potuto fornire un tetto a qualche poveraccio che dorme sotto un ponte, o sui bocchettoni della metropolitana.

Mi piace sentirlo parlare così. Rimango sempre sorpreso dalla sua capacità di vedere le cose da altri punti di vista.

-       Papà ha ragione. Magari è un poveraccio che non sa dove andare.
-       Un poveraccio che non sa dove andare! Riempirà la strada di sporcizia, topi, siringhe e chissà cos’altro…
-       Quello dei senzatetto è un problema sociale che ci riguarda tutti – ribatté lui.
-       Questa è una zona tranquilla e rispettabile. Ci sono un sacco di bambini. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono gli squatter.

In quel preciso istante Jamie fece cadere tutta la collezione dei nostri CD che regaliamo a Simone quando escono in commercio, attirando l’attenzione e ricordando a nostra madre il motivo per cui era salita in camera.

-       A letto, Jamie. Accidenti, guarda che ora sono!

Se ne andò con lui, borbottando a papà: - Tu e le tue idee così “aperte”.


 
-       Forse te ne sei dimenticato… anch’io ho vissuto in una casa occupata, una volta – le gridò lui.
-       Tu? Tu sei stato uno squatter? – Questa poi!
-       Non per molto. È successo quando ero all’università. Eravamo così al verde che non c’era altra scelta. Ma abbiamo rimesso a nuovo il posto: i proprietari avrebbero dovuto ringraziarci. Era una vecchia casa umida e in pessimo stato, prima che ci mettessimo le mani.
-       Allora, cosa pensi di fare?
-       Innanzitutto penso che andrò a far visita al nostro nuovo vicino, per controllare che non abbia le zanne o gli zoccoli…
-       E se ce li avesse?
-       Ti va di coprirmi le spalle?
-       Certo…
-       Prendi il cordless, e se vedi qualcun che mi aggredisce con una mannaia chiama il 112…ah, e…ehm...non dirlo alla mamma!

Mentre Tom, Georg, Gustav, Jamie e la mamma se ne erano ritornati nelle rispettive stanze, io rimasi incollato alla finestra, con il telefono in mano e il cuore in gola. E se l’occupante della casa fosse stato violento? O un criminale? O magari un serial killer?

Vidi papà che attraversava la strada, entrava nel vialetto coperto da erbacce e bussava alla porta. Per un po’ non accadde nulla, poi Klaus, mio padre, bussò di nuovo, stavolta più forte. Niente. Dal numero 483 veniva solo silenzio. La casa sembrava assolutamente disabitata…. E poi il barlume di luce apparve di nuovo tra le assi. Galleggiava  e tremolava, e stava scendendo al piano di sotto.

Ero terribilmente teso: mi aspettavo che da un momento all’altro la porta si aprisse e l’equivalente dell’incredibile Hulk sbucasse fuori urlando. Ma non successe niente. Klaus rimase lì impalato, parlando con un interlocutore invisibile e agitando le braccia.

Dopo un po’ si arrese, scosse la testa e riattraversò la strada.

Sentii la porta sbattere e mi fiondai giù per le scale.

-       Cos’è successo? Cosa ti hanno detto?
 
Papà si schiarì la voce. – E’ una strafottente, chiunque sia. Ha detto che ha tutto il diritto di stare in quella casa. Poi ha aggiunto che ero un vecchio ficcanaso, e mi ha suggerito di togliermi dai piedi.
Sembrava che Klaus fosse ferito nel suo orgoglio di maschio: era andato lì pieno di buone intenzioni, con spirito di solidarietà, e si era sentito dire  di levarsi di torno. Mi trattenni a stento dal ridere. Lui prese una birra dal frigo e si sedette, con aria meditabonda.
 
-       Come ti è sembrato, questo tipo? Un attaccabrighe?
-       No, per niente. E’ una donna, almeno dalla voce… ed è piuttosto giovane…
-       Quanto giovane?
-       Non deve avere più di diciotto, diciannove anni.
-       Chi? – Jamie si era svegliato per venire in cucina a fare il pieno di succo di frutta.
-       Qualcuno che si è stabilito al  numero 483, a quanto pare.
-       Cosa? Nella casa dei fantasmi?
-       Non è la casa dei fantasmi, Jamie. I fantasmi non esistono – disse Klaus, togliendogli di mano la bottiglia del succo di frutta, prima che se la scolasse fino all’ultima goccia.
-       Diciotto o diciannove anni, hai detto. E com’è carina? – chiese Jamie. Sapevo che  questa ‘piccola’ chicca l’aveva sicuramente imparata da Tom!
-       In realtà non l’ho vista. Abbiamo parlato attraverso la porta.
-       Oh… ma si può capire anche dalla voce. Me lo ha detto Tom. – Ecco, appunto. Proprio come pensavo.
-       Senti, Jamie – intervenni. – questa qui dev’essere una specie di barbona pelosa, strabica e panciuta. Probabilmente puzza da morire. Una tipa tremenda.
-       Non sembrava tremenda, solo scocciata
-       Osservò papà. – Che strana storia.

Sentimmo i passi di mamma che scendeva le scale, e naturalmente papà decise di concludere la conversazione.

-       Ehi, Jam, è ora di andare a dormire.
-       Devo proprio?

Simone apparve sulla soglia della cucina.

-       Sì che devi. Sbaglio, o domani comincia la scuola?

Prima di andare a dormire, un po’ più tardi, aprii la finestra come al solito. Klaus è fissato con l’aria fresca e, a meno che fuori non ci siano dieci gradi sotto zero, vuole che dormiamo tutti con le finestre aperte. Dice che i polmoni giovani hanno bisogno di ossigeno, e che di notte si respira meglio perché circolano meno auto (in effetti, Klaus è notevolmente fissato anche con il traffico). Guardai fuori dalla finestra. La luce tremolava ancora, dietro le assi che sbarravano le finestre del primo piano. Dopo essermi chiuso le tende alle spalle, mi piazzai in attenta osservazione. Sapevo che domani sarebbe stata una giornata piuttosto pesante, in quanto saremmo dovuti andare a trovare David e a provare in sala registrazioni per il nuovo album, ma ormai il sonno era passato.

Non succedeva praticamente niente: ogni tanto la luce si spostava un po’. E faceva piuttosto freddo.

-       Che succede? – Tom mi scivolò accanto.
-       Shhh! – dissi, anche se era perfettamente inutile. Come se dall’altra parte della strada potessero sentirci! – Niente.
-       Vi ho sentiti prima, da basso! Sicuramente somiglia a Blake Lively. Sai, con i capelli un po’ scompigliati e l’aria affamata. Sexy da matti.
-       E tu che ne sai? – Dopotutto, Tom era sempre il solito.
-       E tu ,allora? – ribatté. – Non hai mai avuto una ragazza, nemmeno per un minuto!

Aveva ragione. A ventitré anni , il mio punteggio in fatto di ragazze era uguale a zero. A meno di contare il bacio con la stessa ragazza di Tom, che mi aveva dato Luz a Natale. I miei compagni di scuola, hanno cominciato a uscire con le femmine più o meno a dodici anni, e all’epoca mi prendevano in giro perché io non lo facevo. Purtroppo non avevo nemmeno grandi occasioni di fare conquiste, sempre in giro per registrare canzoni…,  a meno che mi capitasse di andare a sbattere contro la ragazza dei miei sogni nel bel mezzo del centro commerciale. Mamma e papà (il nostro vero padre) erano sempre stati contrari ai pub e alle discoteche, e io e Tom dovevamo negoziare duramente perfino per andare alle feste. Non era giusto.

-       Guarda, si è spenta – disse a un tratto Tom, distraendomi dai miei pensieri.

Restammo lì in silenzio per un altro paio di minuti. Guadare una candela tremolante era già abbastanza noioso, ma guardare una casa completamente buia era addirittura ridicolo.

Una volta a letto rimasi sveglio per ore, inventando sempre nuove identikit per il nostro misterioso vicino.

Con l’immaginazione di Tom, ero appena arrivato all’Identikit Numero Nove: una donnona abbronzata stile “Baywatch” fuggito dagli Stati Uniti e venuta in Germania allo scopo di dimostrare la propria innocenza, perché l’Interpol la ricercava per un omicidio che non aveva commesso. Nella storia c’eravamo naturalmente anche io e Tom. Io ero un’agente segreto che collezionava atti erotici, no.. aspettate.. forse quello era mio fratello… ed io ero talmente stupito e ammirato che stavo proprio sul punto di…


E a quel punto mi addormentai.

  
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