Waiting Friday (Il venerdì dell’attesa)
Autore: Charlotte Doyle
Betaggio: Lilith The First
Data di creazione: 20-24 giugno 2004 (riveduta e corretta il 29)
Rating: PG
Note. La fanfiction doveva chiamarsi “Anello mancante” come la canzone di Carmen
Consoli da cui era ispirata. Visti però i risvolti successivi della vicenda,
massimo si può chiamare “Rotella mancante”, questo riferito evidentemente
all’autrice. Alla fine ho optato per “Il venerdì dell’attesa”. Chi scopre la
citazione vince un pupazzo di Goyle formato reale.
L’amicizia tra Pansy e Crabbe è presa da una ffic che lessi tempo fa su ff.net,
che si chiama “Relating” (veramente in quella ff è Goyle, ma a me piace più
Crabbe, e non chiedetemi perché: dopotutto io ancora non capisco come qualcuno
riesce a distinguere Fred da George). Grazie Laura per l’aiuto durante
l’impostazione dell’idea. Non so come fa ancora a sopportarmi. A Steinbeck la
mia devozione e i credits per le voci. Anche oggi è un fantastico giovedì.
Waiting Friday (Il venerdì dell’attesa)
Le fatture che avevano bloccato la Squadra Inquisitoriale nell’ufficio della
Umbridge erano svanite presto, ma era già troppo tardi per tentare di seguire
Potter e compagnia nella Foresta Proibita. Troppo tardi, e troppo vano, poi,
anche come pensiero. Rimasero fermi a guardarsi per un po’, non immaginando
neanche che, nel giro di poche ore, la Umbridge sarebbe stata spodestata,
Dumbledore avrebbe riacquisito il suo incarico da preside a Hogwarts insieme a
tutti quelli di cui era stato privato durante l’anno passato, e il Ministero
avrebbe finalmente confermato il ritorno del Signore Oscuro. E il padre di Draco
sarebbe stato sbattuto ad Azkaban. Così. Insieme ai padri di Goyle, Tiger, e
Nott, anche. Le prime luci del mattino non raggiungevano la Sala Comune di
Serpeverde nei sotterranei, ma bastavano certo a dare a quell’atmosfera già tesa
di suo l’ennesimo tocco di irrealtà. Non era possibile. Semplicemente, non lo
era. Pansy Parkinson si chiese per un momento chi, in tutta Hogwarts, quel
giorno, sarebbe stato disponibile a credere a quello che si diceva. La scuola
era già in movimento da un pezzo, e non erano neanche le sette. La Sala Grande
pullulava di studenti esagitati e di professori preoccupati, nessuno dormiva
ancora, e pochi avevano dormito. Di Potter e compagnia neanche l’ombra, se non
per quella strana Corvonero che se ne andava vagando per i corridoi senza meta,
salutando e chiamando per nome chiunque venisse in senso opposto, come fosse suo
amico. Pansy rimase intimorita dai gruppi che si formavano ai tavoli, anche a
quello di Serpeverde, dove sembrava che la sorella di Zabini stesse tenendo un
comizio. Non fece in tempo ad avvicinarsi abbastanza da sentire quello che stava
dicendo che già i suoi compagni di casa si erano voltati a guardarla. “Allora?”
chiese Francine Zabini con voce assetata di notizie. “E’ vero che il padre di
Malfoy è stato spedito ad Azkaban?” Pansy rimase in silenzio e assunse una certa
aria di sufficienza. Non era mai stata tanto disgustata dalle domande di quella
ragazza. “Che hai, i Grifondoro ti hanno tagliato la lingua?”. Un ragazzo del
sesto anno, che si era rifiutato categoricamente di prendere parte alla Squadra
Inquisitoriale, con grandi cenni di disprezzo verso quelli che avevano aderito,
le rivolse uno sguardo derisorio. Pansy respirò profondamente. “Se lo volete
sapere” disse poi “chiedetelo al diretto interessato” Passò avanti a loro e si
diresse facendo finta di sapere quel che voleva verso una panca desolata. Aveva
una voglia spaventosa di sputare per terra, o meglio, addosso a qualcuno. Dietro
di lei sentì Francine ridacchiare isterica. “E come facciamo a chiederlo a
Malfoy?, lui si è rinchiuso nel suo dormitorio!”. Subito uno gridò “Chiediamolo
a Nott!” Pansy si voltò. Dalle scale che portavano ai sotterranei era appena
apparso Theodore Nott, solitario e silenzioso, il suo sguardo vago relegato nei
suoi pensieri, altrove. Alle voci dei compagni non si fermò neanche, a vederseli
davanti, poi!, Pansy sembrò quasi scorgere la sua bocca piegarsi in un sorrisino
sarcastico come a voler chiedere “Da quando in qua si conosce il mio nome?”. Lei
si alzò e pure gli venne incontro – lui sembrò dapprima non riconoscerla, poi di
nuovo tornò alla sua espressione abituale, senza dare alcun cenno di aver fatto
caso alle parole frementi nella bocca della ragazza che aspettavano di esser
pronunciate. “Theodore!” esclamò lei, infine. Il ragazzo si fermò. “Mh?” “Come
sta Draco?” chiese la ragazza impaziente. “Io che ne so?” rispose lui,
distratto. “Theodore, per favore…” Nott sbuffò. “Se ti importa così tanto vai a
trovarlo, no?” Pansy indietreggiò. Nott passò avanti a lei e scomparve; la
ragazza non riuscì ad afferrare dove fosse andato, era troppo presa dai suoi
pensieri per dare attenzione a quello che le stava attorno.
Con aria pensierosa, quasi senza accorgersene, si diresse nuovamente verso i
sotterranei, e non percepì neanche degli sguardi beffardi dei suoi compagni di
casa, stavolta. Solo quando si ritrovò nella sua Sala Comune si fermò a pensare.
I divani e le poltrone erano quasi tutti vuoti, i Serpeverde avevano preferito
la Sala Grande quella mattina. Lei invece era tornata all’origine del suo mondo,
e se ne chiedeva il perché – perché aveva preferito fare il primo passo verso
Draco piuttosto che aspettare. La voce alta della sua mente diceva: lui ha
bisogno di me adesso più di chiunque altro, ma voce bassa disse: inutile
aspettare che lui venga da te. La voce media era rimasta in silenzio.
Pansy andò verso per il dormitorio maschile – era già stata nella camera di
Draco qualche volta, ma mai il corridoio era stato tanto scuro. Non vedeva dove
metteva i piedi, i tacchetti delle scarpe della divisa battevano contro la
pietra dura, un suono così familiare e tranquillo, contorto e stonato
dall’incertezza passo dopo passo, lei che camminava seguendo il muro con una
mano, senza toccarlo però, come rifiuto di una guida tanto esperta e secolare.
I suoi occhi si abituarono in poco al buio, le luci ai muri così fioche, e
davanti a lei la porta del dormitorio del quinto anno – aperta.
Si affacciò con timore misto a curiosità. Seduti sui letti, vestiti e pettinati,
c’erano Draco, Gregory e Vincent, che confabulavano tra loro, e che alzarono
appena lo sguardo a vedere chi era giunto.
“Ah, sei tu” borbottò Gregory, quasi deluso. “Pensavamo che era Zabini che
tornava dalle cucine” aggiunse.
Blaise Zabini passava lì la metà del suo soggiorno a Hogwarts. Sembrava si
divertisse a dirigere gli elfi domestici, diceva che non sapevano cucinare.
Pansy abbozzò una smorfia divertita, o almeno tentò, mentre alzava lo sguardo
sul Serpeverde biondo.
“Draco…” iniziò.
Lui le rispose con un cenno irritato. “Che vuoi?”
“Io… stavate parlando… scusa…” cercò di rispondere lei, puntando un piede
indietro come a fare per andarsene.
“Sì, stavamo parlando…” disse Draco sarcastico, e con una risatina che andava
dal nervoso al liberatorio, almeno per lui. Gli altri erano rimasti in silenzio
a guardarlo, tesi. Né Crabbe né tantomeno Goyle avevano capito la battuta.
“Allora?” la incalzò lui.
Pansy rabbrividì. “Io… io ero venuta… per sapere come stavi” acquistò più
sicurezza “ho incontrato Theodore, Nott, ecco, lui non mi ha detto niente…”
“Nott è un imbecille” disse Draco a denti stretti. Crabbe e Goyle scoppiarono a
ridere, ma poi Draco lanciò loro un’occhiataccia e si fermarono. “Sto bene,
comunque. Sto bene! Sei stata in Sala Grande, vero?”
Pansy annuì.
“Si è fatto vedere Potter? Uno dei suoi amici? O stanno tutti in infermeria?
Spero stiano morendo”
Pansy non seppe cosa rispondere. “Io… penso di aver visto solo Loony Lovegood…
Potter no, non credo” giunse le mani intrecciandole tra loro.
“Che fai?” sbottò il ragazzo, poi, senza aver dato alcuna importanza a quello
che aveva detto la ragazza (Loony Lovegood, figurarsi!), “Entra!”.
Lei entrò impettita, e venne a sedersi all’estremità del letto di Draco. Lui non
la stava guardando.
Vincent prese parola. “Allora che facciamo?”
La domanda era ovviamente rivolta a Draco.
Draco invece di rispondere si rivolse a Pansy. “Tu sai cos’è successo stanotte?”
chiese, ostentando una finta formalità.
“Francine Zabini dice… be’, lo dicono tutti… al Ministero della Magia, stanotte,
il… il Signore Oscuro…”
“Costruisci delle frasi intere, Pansy! Cosa vuoi dire ora? Il Signore Oscuro ha
fatto irruzione al Ministero della Magia! Potter e compagnia sono andati lì dopo
essere scappati dalla Umbridge! Hanno arrestato mio padre! Cosa vuoi dire?!”
Le stava gridando contro. Pansy sentì le lacrime salirle agli occhi e abbassò lo
sguardo, ma non disse niente. Crabbe a vederla così allungò una mano verso
quelle di lei, ancora intrecciate sopra le ginocchia. Lei tirò indietro le mani,
come terrorizzata da un possibile contatto, e guardò Draco, che ora aveva
ripreso un’espressione normale per quanto non tranquilla, e la osservava in
attesa di una risposta.
“Io…” iniziò “Io… non lo so”.
“Bene!” esclamò lui. “Puoi anche metterti a piangere se vuoi!”
Pansy, le mani che ora stringevano le ginocchia, gli occhi spalancati, a non
voler piangere, non riuscì comunque a trattenere un singhiozzo.
“Draco…” cominciò Vincent “lei non ha fatto niente, perché…”
“Me la prendo con chi voglio!” rispose lui, con aria di sfida. “E comunque vedi,
sono sempre così, loro, prendono e si mettono a piangere! Tutte!, nessuna
esclusa, anche quella Mezzosangue ieri… è solo un modo per farsi compatire, e
per ingannare!”
Pansy singhiozzò più forte e scoppiò a piangere definitivamente.
Goyle la guardava come uno spettacolo curioso, ma Crabbe ne sembrava ferito
quanto lei. Non a caso erano cresciuti insieme, le loro mamme erano molto
amiche.
“Scusa…” mormorò lei tra i singhiozzi. “Scusa…”
Draco sbuffò. “Di che cosa ti scusi? Non hai fatto niente!” il suo tono era un
po’ meno aggressivo però ora. Pansy sembrò calmarsi. Draco si rivolse ai suoi
due amici, come a riprendere il discorso interrotto quando era apparsa Pansy.
“Certo se Nott non si presenta è un po’ difficile decidere sul da farsi – non
che lui serva a niente, ma fa numero, sapete” aggiunse subito.
Dopodiché con nonchalance porse a Pansy un fazzoletto di stoffa tirato fuori da
chissà dove. La ragazza lo afferrò e se lo portò agli occhi ad asciugare le
lacrime.
Draco sospirò.
“Bene” disse, di nuovo rivolto a Pansy, respirando profondamente. “Eri venuta
qui solo per questo?”
Pansy alzò appena lo sguardo ad incrociare quello di lui. Si sentì arrossire.
“Draco… lo sai… lo sai che ci tengo… a te, lo sai, no?” sentì la sua voce dire.
Draco spalancò gli occhi per un attimo, poi guardò i suoi due amici, e mostrando
disappunto sbottò “Allora!? Non lo andate a chiamare quell’idiota di Nott?! Che
state aspettando!?”
Crabbe e Goyle si alzarono. Pansy sussurrò appena “Forse è in biblioteca…”, ma
Draco con un cenno della mano la fece ammutolire.
I due erano già sulla soglia, e Gregory ridacchiando disse rivolto a Vincent
“Adesso pomiciano”. Ma fu solo lui a ridere della battuta. Vincent non fece
neanche in tempo a seguirlo a ruota, che Draco aveva già gridato irritato
“Fuori!”.
Rimasti soli, sui due piombò un silenzio colmo di disagio.
“Mi dà fastidio quando dici certe cose” disse Draco ad un certo punto, senza
rivolgere lo sguardo a Pansy anzi guardanto dritto davanti a sé. Pansy, che
stava fissando con grande interesse il pavimento, alzò gli occhi, grandi, sul
biondo Serpeverde, e chiese “Come!?”
Draco si passò una mano tra i capelli, e stavolta la guardò, l’espressione più
sicura che poteva assumere in volto. “Certo, quando dici cose come che ci tieni
a me… eccetera”
Pansy sembrò mortificata. “Io…” si fermò. “Ti dà fastidio che lo dica davanti a
Vincent e Gregory?”
Draco sospirò. “Non è quello!, mi dà fastidio e basta, sono cose assurde”
Adesso l’indignazione. “Ma Draco, se le dico è perché le penso! Io ti voglio
bene davvero, non… e poi stai rinchiuso qua dentro, e voglio esserti vicina,
non-“
“Che ne sai tu di me? Ma insomma…” Draco distolse nuovamente lo sguardo.
Pansy rimase in silenzio.
“E’ tutta colpa di Potter, lo sai?” continuò poi lui, e nella voce c’era
qualcosa di forzato. “E’ tutta colpa di quello Sfregiato del cazzo!” gridò. “E
te lo giuro, guardami, guardami!, ti giuro che avrà quello che merita… e anche
quel pazzo di Dumbledore, anche lui… il Ministro è un’idiota… si pentirà di
avergli dato ascolto. Se ne pentirà amaramente!”
Pansy deglutì. “Che… che vuoi fare adesso, Draco?”
Lui si trovava in piedi davanti a lei, teneva una mano alzata, e la agitava
mentre parlava, quasi a voler simulare un massacro.
“Bene… mio padre…” cominciò. Poi guardò Pansy, si ricompose, abbassò la mano.
“Mio padre non avrà problemi ad evadere da Azkaban… e poi… poi, mi unirò a lui,
ecco”
“Lasci la scuola?!”
“Non lo so… mia madre vuole che la finisca, sai, è importante e tutto, anche se
Hogwarts è ormai piena di gente come Dumbledore… ma questa guerra è più
importante.” Aveva riacquistato in un attimo la sua spavalderia, il suo
atteggiamento da grandioso, la sua aria da illuminato.
Pansy rimase a guardarlo mentre sentiva la sua voce alta sussurrare: sa quello
che dice, e la sua voce media dire: è il migliore, ma quella bassa gridare: non
ha capito niente! Ascoltò solo quest’ultima.
“Sei… sei sicuro?”
Draco scoppiò a ridere, buttando la testa indietro. Poi tornò a fissarla. “Certo
che sono sicuro!” sbottò. “Cosa ne vuoi sapere tu?”
Cosa ne voleva sapere lei? Lei che a casa avrebbe ritrovato il padre e la madre
e non avrebbe dovuto combattere contro i preconcetti e le maldicenze di tanta
gente comune?
Cosa ne voleva sapere?
“Allora… allora” disse, lentamente “Spiegami”, visto che sono così stupida,
aggiunse ironica la sua voce bassa.
Draco si mise le mani in tasca. “Bene, è semplicissimo” cominciò così, “Mio
padre…” poi si fermò.
Pansy lo stava fissando, e lui scorgeva in lei quasi un’espressione derisoria
che non c’era – era un incubo, un sogno, cosa? Si dannò.
“Io…” riprese, e le parole seguenti svanirono. “Io… non… non lo so” e mentre
questa affermazione moriva una volta pronunciata, il ragazzo sentì la sua gola
pervasa da uno strano fastidioso bruciore. Scivolò in un’altra dimensione per un
tempo indefinito.
E poi Pansy si alzò e venne ad abbracciarlo. Lui rimase paralizzato e non fu
capace di scansarsi. Era ancora nell’altra dimensione, sapete. E quando da
lontano sentì Pansy, compiaciuta, mormorare “Ooh, Draco…” amorevolmente, si
portò una mano al viso e si accorse che era bagnato.
Allora fu invaso da un certo terrore teatrale che lo tentò a scacciare via la
ragazza, uscire dalla stanza, salire sulla torre più alta di Hogwarts e
buttarsi, senza scordarsi però di gridare, prima. E anche nel durante. Dopo… no.
Eppure se ne stava lì, immobile, con Pansy che lo stringeva e lo coccolava come
fosse un pupazzo. Non si stava tanto male, dopotutto. Al terrore teatrale si era
sostituito un certo senso di comodità prepotente, e stava cominciando a
rilassarsi…
Theodore Nott entrò silenzioso nella stanza. Non li guardò neanche, ma quando
Draco lo vide si sentì le guance infuocate e da lì a staccarsi da Pansy fu ben
poca cosa. Lei accondiscese con calma. Theodore, che pure senza guardarli aveva
preso un mezzo sorrisetto a sentire l’imbarazzo di Draco, fece assolutamente
finta di niente e andò al suo baule a prendere un libro.
“Nott!, hai… hai visto Crabbe e Goyle… ti erano venuti a cercare…” disse Draco,
vago. Theodore lo fissò con sguardo impassibile, e Draco si chiese se avesse
ancora gli occhi arrossati, e quanto tempo fosse passato.
“No, non li ho visti” disse il ragazzo bruno, e poi aggiunse “Si saranno persi”
Ed era già uscito.
Draco rimase a fissare la porta, incantato, fino a quando Pansy non lo prese per
un braccio per farlo girare verso di lei. Sembrava piuttosto contenta, ora,
proprio mentre lui si vergognava come non mai – aveva pianto e per di più
davanti ad una ragazza! L’ira di generazioni e generazioni di Malfoy si sarebbe
abbattuta su di lui.
“Ti senti meglio adesso?” chiese la ragazza dolcemente.
Draco sbattè un paio di volte le palpebre, poi guardò Pansy terrorizzato.
“No” rispose.
Pansy ridacchiò. Poi, a uno sguardo fulminante del ragazzo, tornò seria, e gli
lasciò il braccio.
“Vedrai, gliela farai vedere a Potter!” sibilò, “e anche a quella sporca
Mezzosangue!”
Draco sembrò rassicurato da queste parole. Nonostante tutto la ragazza aveva
capito il concetto, alla fine. Oh, se gliel’avrebbe fatta pagare a quello
Sfregiato… eccome! Prima ancora che il Signore Oscuro avesse potuto fare
qualsiasi cosa, lui, Draco Malfoy, avrebbe dato una bella lezione a Potter. Si
perse nuovamente in un’altra dimensione. Hogwarts cominciò a levitare, e a
innalzarsi in alto, sempre più alto, fino a che non diventò un altro dei suoi
castelli in aria. Il castello scoppiò, e lui si trovò a guardare Pansy, che allo
stesso modo lo guardava, in attesa di un segno di vita.
Si sedette di nuovo sul letto, e Pansy accanto a lui, in silenzio.
Poi la ragazza parlò.
“Ti dà… ti dà sempre fastidio se ti dico che ti voglio bene?” chiese.
“Le cose dovrebbero essere cambiate?!” le disse Draco di rimando, con
un’aggressività ormai sciupata. Quando si accorse del suono secco delle sue
parole chiuse la bocca.
Si prese la testa fra le mani. “Suvvia, va bene, fa’ quello che ti pare, alla
fin fine, io…” borbottò imbarazzatissimo.
“Sei sicuro di stare bene, vero Draco? Non è che ieri quella fattura della
Weasley…”
Draco la fissò. Gli occhi ormai non reggevano più aperti, la stanchezza di una
notte in bianco cominciava a farsi sentire. Pansy lo stava osservando
preoccupata.
In fondo era solo una ragazza, pensò. Non che non lo sapesse anche prima, non
era poi una grande rivelazione. Come la stesse guardando mente rifletteva su
questo non lo sapeva, ma vide Pansy arrossire.
“Forse…” aggiunse poi lei “è meglio che vada… Millicent mi starà cercando ormai”
Si alzò. Draco fece la stessa cosa. Magari, continuava a ripetere la sua voce
alta, può anche essere un vantaggio, averla dalla mia parte…
In quel momento ritornarono Crabbe e Goyle.
“Nott non l’abbiamo trovato, abbiamo cercato dappertutto…”
Pansy sorrise a Draco. Questo non fece altro che sorridere ai suoi amici, però
in modo che fosse evidente il messaggio “dopo-facciamo-i-conti”. Intanto la sua
voce media stava dicendo: adesso devi baciarla, no?
Se quella voce avesse preso possesso della sua volontà non lo sapeva bene, ma
così, davanti alla soglia della porta, si chinò appena sulla ragazza, tanto da
farla indietreggiare…
Sciaff.
… e da farla investire il ragazzo con uno schiaffo di una certa potenza.
Crabbe e Goyle osservavano i due con occhi tondi.
Pansy si guardò la mano con cui aveva colpito Draco e spalancò gli occhi,
terrorizzata. Voleva piangere – non poteva averlo fatto! Come si era permessa? E
in un momento simile – il momento che aveva sempre aspettato!
E Draco le era davanti, con una mano al viso, proprio lì dove lei l’aveva
colpito. Pansy non riusciva ad alzare gli occhi per guardarlo, così come lui non
riusciva a guardare lei, lei che, volendo, un solo cenno da lui, e avrebbe fatto
qualsiasi cosa, in nome di quell’affetto tanto esplicitato, quell’affetto che
poi era devozione, adorazione, idolatria!
Ah, e allora come, uno schiaffo? La sua voce media canticchiava appena: ritenta,
sarai più fortunato!, ma nella voce alta c’era indignazione, e in tutta la testa
risuonava il suo grido: adesso deve chiederti scusa davvero!
… eppure da una parte la sua voce bassa rideva. E di gusto. Come a dire: potrai
anche impazzire per questo, vero Draco?, e ancora: cosa farai adesso? Andrai a
chiamare papà? - Suo padre… non era lì, ora. Non c’era. E gli mancava il
pavimento sotto i piedi quando lo diceva. Colpa di Potter. Colpa sua! Ma neanche
lui c’era. E avrebbe dovuto aspettare, per pareggiare i conti, essere un po’
paziente. Attesa.
Alzò lo sguardo su Pansy, Pansy in attesa della rivincita di lui, colmi gli
occhi di timore e anche di paura, spaventati e penitenti, e incapace la voce di
emettere alcun suono. Lei c’era definitivamente, invece. Era lì, davanti a lui.
Se avesse allungato una mano avrebbe anche potuto toccarla, ma a questo pensiero
decise che era meglio di no, no, se voleva evitare di beccarsi un altro
schiaffo. Almeno per ora. Attesa, ancora.
E Pansy dal canto suo, osservandolo, così attenta, non sapeva bene cosa pensare,
ma stupita e forse anche incredula lei stessa poche ore dopo avrebbe potuto
giurare a Millicent che lui, in quel momento, le aveva sorriso.
*
Poi Blaise Zabini si affacciò alla porta, tenendo tra le mani una pila di
cartoni quadrati di colore grigiastro macchiati d’olio.
“Qualcuno vuole una pizza?” chiese serenamente, ignaro di qualsiasi accaduto.
Al suono di “pizza” i Serpeverde all’interno della stanza alzarono lo sguardo su
di lui, stravolti. Nessuno di loro parlò, e Crabbe e Goyle non sembrarono
neanche considerare la possibilità di uno spuntino.
Blaise Zabini rispose ai loro sguardi con un cipiglio sconcertato.
“Che ho detto?”
La voce alta di Zabini: ma che roba, questi inglesi non sanno apprezzare le cose
che davvero contano nella vita…
La sua voce media: va bene che sono le otto di mattina, ma ognuno fa quel che
può…
E la sua voce bassa: e adesso che ci fai con tutte queste pizze?
Fine
I commenti sono graditi! The Chamber of Great Expectations