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Autore: Phoenix_619    21/11/2012    1 recensioni
Il suo dolore era impotente di fronte alla rabbia di quell'uomo. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi, e sapeva che le sue
labbra tremavano per lo sgomento. Si preparò a ricevere un altro pugno, che effettivamente arrivò. Un sinistro ben piantato, che lo inchiodò nuovamente al terreno. Hayate, ormai furioso, lo raccolse nuovamente da terra e lo lanciò contro una colonna. Lawliet si chiese se quel giorno sarebbe stato l'ultimo. Morire per mano di un uomo che poco tempo fa era come un padre per lui, morire in quel chiostro. Doveva solo accettarlo. Il Signore aveva deciso di chiamarlo a sè. Non era successo in cappella, sarebbe successo nel chiostro. Era questione di pochi metri, o lì o là...
No. Si disse fermamente di no. Non voleva morire. O almeno, non in quel modo; doveva sapere il perché.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Near, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: The Background

Capitolo 1


Lawliet aveva gli occhi chiusi e un sorriso pacato dipinto sul volto mentre pregava. Era uno dei pochi momenti in cui si sentiva davvero in pace. Era inginocchiato a terra, incurante del fango che gli inzaccherava il saio. Il volto era rivolto verso il basso, un volto così giovane, un volto così puro, un volto rivolto verso la fredda terra; nessuno riusciva a distogliere lo sguardo da quella faccia dai tratti così delicati, ancora da ragazzino nonostante i diciassette anni. Sorrideva pacato, Lawliet, con le ciglia scure a incorniciargli quegli occhi di ghiaccio. Ma Lawliet non era proprio in pace con se stesso, non durante quella preghiera particolare giornaliera. Nessuno a prima vista avrebbe capito che in realtà il ragazzo era tormentato. Egli infatti sorrideva tristemente sulla tomba di sua madre. Si era rifugiata in quel monastero quando Lawliet era nato da poche ore, e lì aveva vissuto fino alla sua inaspettata quanto traumatica morte. Da quanto si raccontava, era fuori dal monastero alla ricerca di un'erba speciale per la farmacia in compagnia di padre Hayate. Egli la sentì gridare, e la vide cadere a terra come morta. Quando la raggiunse, non respirava e il sangue sgorgava copioso dalla sua bocca. Perciò Hayate corse al monastero, per chiedere aiuto. Ma quando tornò con alcuni compagni nel luogo dell'incidente, lei era sparita. Per evitare di traumatizzare ancora di più suo figlio, allora un bimbo di cinque anni, i frati decisero di seppellire in quel luogo una tomba vuota, affinché il bambino avesse almeno qualcosa su cui piangere. Ma Lawliet già allora mostrava un'intelligenza vivace e precocissima, e ciò gli permise di capire che sua madre non riposava in quella bara di legno. Di nascosto mise nella tomba uno dei due bracciali di cuoio che intendeva regalarle per il compleanno, che sarebbe stato una settimana dopo. Almeno qualcosa della madre ci sarebbe stato. Quando raggiunse i dieci anni, e capì le regole del monastero,  fece il diavolo a quattro perché ella non era stata sepolta in terreno sacro. Gli era stato risposto che una pagana doveva essere sepolta fuori dal cimitero del monastero. Questione chiusa. Da allora Lawliet aveva abbandonato ogni altra idea di ribellione, limitandosi a pregare intensamente per lei ogni giorno, perché ogni notte sognava il cadavere della madre mangiato dagli animali, o decomposto in fondo al fiume che scorreva lì vicino. Ogni notte si svegliava sudato e tremante, e si ritrovava a errare confuso per il cortile del chiostro in ogni stagione, sia con la tempesta sia con l'afa più soffocante. Ogni notte guardava il cielo e chiedeva al Signore di preservare nella sua memoria solo i ricordi più belli della madre, come il suo sorriso, o il petto morbido nel quale spesso si rifugiava quando piangeva o si sentiva sconfortato, le braccia lisce che tante volte lo avevano cullato.
- Lawliet, è quasi ora di pranzo. Vieni, devi rientrare. Mi dispiace interrompere questo momento... - il ragazzo non aprì gli occhi fino a quando non si fece il segno della croce per terminare la preghiera. Solo allora, dopo essersi alzato e pulito le ginocchia dal fango, si girò a guardare colui che l'aveva disturbato. Si trattava di un uomo sulla trentina, con occhi chiari e capelli biondi. Era molto insolita una tonsura bionda, e Lawliet la trovava divertente.
- Arrivo. - infilò le braccia nelle maniche del saio come se si trattasse di un imperatore cinese, e con passo veloce s'incamminò verso il monastero. Non che morisse dalla voglia di mangiare quella zuppetta insipida e molle che fratello Harry chiamava "minestrone estivo con fregola", ma voleva evitare discussioni con i superiori, cosa che rischiava sempre per quelle uscite non autorizzate. Rientrò dalla porta della farmacia, che ne aveva una che dava sul bosco, e oltrepassò il chiostro. Andò sotto al fresco portico addobbato con magnifici affreschi e arrivò fino ad una porta dall'aspetto molto antico, tenuta aperta. Scese un paio di scalini e girò a destra sotto un'arco. Lì si trovava la mensa, una sala spoglia su tre lati e decorata sul lato opposto alla porta con un enorme dipinto che rappresentava l'Ultima Cena. Sui tre lati non affrescat erano disposti tre lunghissimi tavoli artigianali e sedie d'arte povera su entrambi i lati dei tavoli. Molti monaci erano già seduti alla tavola, in rispettoso silenzio, altri stavano aspettando i confratelli in piedi, e altri ancora stavano finendo di apparecchiare. Tutto nel silenzio più assoluto. Lawliet assunse la sua espressione più tranquilla e serena, per poi sedersi accanto a un novizio di nome Masami. Quello lo guardò spaventato, non riuscendo a staccargli gli occhi di dosso. Lawliet aveva gli occhi socchiusi, un sorriso appena abbozzato e le mani ancora infilate nelle maniche.
- Cosa c'è? Perché mi guardi in quella maniera? Ho forse qualcosa sulla faccia? - il giovane monaco non poteva certo rispondere "Qui l'unico problema sei tu", perciò si limitò a sgranare gli occhi tentando di guardare qualcos'altro. Tuttavia non poté fare a meno di continuare a osservare il monaco che da cinque anni attendeva la tonsura. Il monaco figlio del diavolo. Improvvisamente Lawliet alzò la testa e spalancò gli occhi, fissandoli in quelli di Masami, che trattenne a stento un urlo. Lawliet ridacchiò, nascondendo il viso con la mano.
- Fate tutti così. Eppure sono solo due occhi. - Guardò nuovamente Masami, sinceramente divertito. Dire che era sbiancato era un eufemismo. Il ragazzo doveva ancora capire perché quelli occhi facessero quell'effetto a tutti coloro che li guardavano. Come diceva sempre, quelli non erano che un paio di comunissimi bulbi oculari di cui una consistente parte della popolazione mondiale disponeva fin dalla nascita. Ben presto la mensa si riempì di monaci, e l'abate si sporse dal pulpito per annunciare la preghiera. Dopo un sonoro "Amen" padre Harry mise un pentolone sulla tavola, e con un mestolo cominciò a servire la zuppa. Lawliet si alzò e cominciò a distribuire il pane fra i confratelli, come richiestogli quella mattina da un monaco che non poteva svolgere quel compito. Il pasto si consumò in silenzio, e alla fine tutti aiutarono a rimettere a posto. Mentre stavano togliendo i piatti, si sentì un sonoro "crash". Lawliet era in piedi, una ciotola disintegrata a terra, mentre si teneva la testa fra le mani. Si lasciò cadere sulla sedia, con gli occhi serrati dal dolore e i polpastrelli piantati fra i capelli. Dopo un attimo di sbigottimento qualche frate corse a soccorrerlo, qualcun altro tolse i cocci.
- Fratello, stai bene? Cos'è successo??!
- Mmhh... no, niente... è stato solo un forte capogiro... non preoccupatevi, vado a sdraiarmi un po', forse passerà. - Rifiutò con gentilezza l'aiuto che gli veniva offerto, e si diresse lentamente al dormitorio. Si tolse la cappa e i sandali, rimanendo con solo il saio. Si stese sul povero materasso di paglia, guardando le travi del basso soffitto. Non riusciva a credere a quel che aveva visto. Rifiutava quella visione incredibile, non riusciva a convincersi di aver visto quella cosa sopra la testa degli altri monaci. Si stropicciò gli occhi. Si convinse che non era altro che un'allucinazione, niente di più. Prese un bel respiro, e si mise a sedere. Alzò lo sguardo, guardando sopra la sua testa, ma non vide altro che il soffitto. Osservò il piccolo specchio posato sul lavatoio, e dopo un attimo di esitazione si precipitò a guardare il suo riflesso. Guardava intensamente sopra la sua testa, sforzando talmente tanto gli occhi che quasi gli facevano male. Solo dopo dieci minuti buoni di scrutazione finalmente si rilassò. Allora quello che aveva visto era solo una visione. Prese la caraffa piena d'acqua fredda posata sul mobile e versò un po' del liquido nella bacinella. Si frizionò con forza la faccia, godendo del brivido che gli regalava l'acqua fredda. Aveva voglia di andare in giro bagnato come un cane, ma saggiamente decise di tamponarsi il viso con l'asciugamano per evitare di essere rinchiuso in infermeria per il resto della sua vita. Il saio non era particolarmente fresco, dal momento che era un abito che doveva indossare anche d'inverno. La tela grezza lo soffocava, oltre a irritargli la pelle chiara con la sua ruvidità ed elasticità inesistente. Tornò alla mensa, ormai completamente ripresosi da quella visione. E no, niente galleggiava sopra la testa degli altri monaci. Si avvicinava l'ora della preghiera pomeridiana; ragione per cui invece di andare alla mensa deviò verso la cappella. Appena in tempo. Si inginocchiò frettolosamente nell'ultimo banco ancora rimasto libero, e tirò fuori il rosario. Ma non appena chiuse gli occhi per pregare, la stessa visione di prima s'impresse nelle sue palpebre come marchiata a fuoco. E stavolta il dolore fu atroce. Sentì solamente qualcosa cadere a terra. Forse chiese aiuto.

"E caddi come corpo morto cade..."
   
 
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