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Autore: Windter    09/06/2007    2 recensioni
[Maria-Sama Ga Miteru - Youko x Sei]
Attenzione: spoiler su "La Foresta di Spine", Shoujo-Ai.
C'è una ragazza che si aggira, annoiata da tutto e tutti, nei giardini dell'Istituto Lillian.
Il suo nome è Satou Sei. Ed anche se nessuno se lo potrebbe attendere, è il demone biondo destinato a sconvolgere l'esistenza dell'integerrima Mizuno Youko.
Rosa Chinensis en Bouton, per la prima volta nella vita, si ritrova a dover far fronte ad un sentimento che sembra capace di schiacciare la sua razionalità ed il suo senso del dovere. Costretta fra nuove ossessioni e desideri repressi, fra i doveri e i "no" del suo cuore, dovrà imparare a convivere con gli strani ritmi della vita di Sei. Oppure arrendersi e lasciarla volare via, lontano da sè.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Riflessi - V - Solitudini
[ Riflessi - Youko x Sei ]


V

Solitudini



Le vacanze di natale trascorsero rapide, e per due intere settimane non ebbi più tue notizie. Eri come morta, ma la tua ennesima sparizione colpì una parte di me ormai già abituata più alla tua assenza che alla tua presenza. Che ti stessi iniziando a idealizzare, Sei? O che ormai una parte di me avesse compreso, in profondità, quanto fosse libero ed inafferrabile il tuo spirito ribelle?

Per O-Shogatsu, la tradizionale festa di capodanno, il primo di gennaio feci visita a Villa Ogasawara per portare i miei saluti alla famiglia di Sachiko, così com'è di convenienza fare. Per me si spalancarono gli enormi cancelli della villa di famiglia, e venni accolta nel nucleo del Clan degli Ogasawara, con tutto il fascino del rigore del loro rango. Casta raffinata, di nobili e signori, quella cui appartiene la mia petite-soeur.

Ogni cosa era splendente e ordinata, precisamente come l'avevo lasciata l'ultima volta. Sachiko dava l'impressione di essere il centro di ogni cosa, come una bambola meravigliosamente vestita in una casa meravigliosamente arredata. Le guance bianche e i capelli neri; tutto in lei era così perfetto da sembrare finto.
E intorno a lei, e in funzione di lei, si muovevano tutti gli altri. L'intera famiglia fuorché la madre, serena e severa a vegliare su tutto. Come pianeti orbitanti intorno all'unico sole, come falene abbagliate da una luce nella notte. Sachiko si muoveva con gesti lenti e precisi, senza mai alzare troppo le mani o la voce. Dimessa eppure regale, nelle sue linee e nel suo atteggiamento emergeva con prepotenza la superba padrona di casa che sarebbe divenuta. Ma il mio sguardo sfilò oltre. Oltre quella maschera, oltre quei paramenti, dritto negli occhi e nel cuore della mia petite-soeur.

Per quanto a prima vista apparisse distesa come sempre, avvertivo il tumulto che interiormente la doveva star scuotendo. L'agitazione, il fastidio, l'autocontrollo. Per questo mi bastò poco per notare sul suo viso - o fu solo una proiezione dei miei pensieri? - i lineamenti tesi, le labbra atteggiate appena in una piega amara, pressoché impercettibile. I movimenti di tutti intorno a noi erano lenti, quasi sfocati; i toni tranquilli e bassi. Una musica dolce e soffusa accompagnava i nostri sussurri. Ma l'intero ambiente rifletteva una fredda e diffusa sensazione di disagio, forse addirittura di tensione.

La madre fu eccezionalmente cortese, come sempre. La gentilezza nei riguardi dell'ospite, dopotutto, è pur sempre una cosa dovuta; motivo d'orgoglio per un casato, nonché indice di sublime raffinatezza. Ma quel che quella donna poi fece superò ogni precedente, strabiliando tutti i convenuti per il suo profondo significato. Perché nessuno, mai, si sarebbe atteso qualcosa di simile.
Senza la benché minima ombra d'indecisione, al centro dell'attenzione di tutti, intraprese il lungo e cerimonioso discorso che, tipicamente, sarebbe toccato a suo marito. Ma dell'uomo non c'era traccia, e fu quindi la sua voce armonica a riempire la stanza, ringraziando con gesti antichi e solenni formule codificate i Kami, gli Dèi, ed esortandoli a proteggere la famiglia anche per l'anno appena iniziato. Ascoltai con interesse la lunga sequela di preghiere, accentuando la mia attenzione quando, una volta finiti gli Dèi, passò agli uomini.
Con una grazia sovrannaturale si avvicinò ad ogni singolo convenuto, rivolgendogli i propri personali ringraziamenti e citando con assoluta precisione per quale motivo fosse stato ammesso quel mattino fra gli Ogasawara. Guardandomi intorno mi domandai quando sarebbe toccato a me, ma con pazienza attesi sino a quando anche gli invitati non furono, uno ad uno, passati. E solo allora si avvicinò a me.
Indossava un kimono viola scuro, lo ricordo ancora, con ricami finissimi in oro. Il risorgere di Amaterasu dalle tenebre, pensai. E quella donna piccola e solenne in quel momento mi sembrò davvero lei: la Dèa del sole, scesa su di me per affidare coi suoi raggi caldi e materni il suo unico bene alle mie mani mortali. La sua unica figlia. Mi si mozzò il respiro in gola.

Con l'investitura ufficiale ed il riconoscimento da parte del clan, mi sentii avvampare d'orgoglio. E forse per la prima volta mi resi conto che il legame che stava nascendo fra me e Sachiko sarebbe stato destinato a durare, andando ben oltre le mura di pietra del Lillian.

Trascorso quel momento, così intenso, l'assenza del padre fece sì che le formalità si sciogliessero entro breve, e la mia petite-soeur mi venne affidata sino all'ora di pranzo.
Dopo quella profonda immersione fra i suoi parenti sentivo di volermi allontanare da quella gente. Non che mi spiacessero, dopotutto ero avvezza agli ambienti di alta levatura. Ma quell'ostentata tranquillità celava malamente un disagio che mi pesava, e dal quale desideravo sottrarmi per un po'. Volevo restare con lei, sola. Le domandai di vedere per l'ennesima volta il giardino, che sapeva bene quanto amassi, ed insieme ci inoltrammo nei vasti possedimenti degli Ogasawara.


Passeggiammo a lungo affiancate, senza dir niente, come se fosse abbastanza la sola presenza dell'altra per capire ogni cosa non detta, per sentirci reciprocamente sollevate. Il silenzio rotto dai nostri passi, leggeri sul terreno, cullava i miei pensieri; in sottofondo avvertivo la tua ombra tentare di momento in momento di calare sulla mia mente, una minaccia costante. Ma ti evitavo ogni volta all'ultimo istante, forzandomi di pensare esclusivamente a Sachiko ed al giardino e chiudendoti forzatamente al di fuori di me. Senza bisogno di accordarci, ci fermammo automaticamente in prossimità di un ponticello di legno cui ero molto affezionata, che si slanciava al di sopra di un'estremità del laghetto. Era come se quello fosse il punto predestinato dove, senza nemmeno dircelo, avevamo entrambe deciso di dirigerci. Il suono delle onde, che si rincorrevano lungo una cascatella non distante, copriva i nostri respiri. Alcuni petali sfioravano le increspature dell'acqua, dondolandosi morbidamente. Appoggiandomi ad uno dei lati del ponticello, un basso parapetto di legno mirabilmente intagliato, presi un profondo respiro guardando il mio riflesso sull'acqua liscia. Come iniziare il discorso?

Nella mia mente i pensieri rotolavano lenti l'uno sull'altro, confondendomi. In quei pochi momenti mi accorsi che più mi concentravo per trovare un elemento cui agganciarmi per iniziare a raccontare, più mi distraevo ritrovandomi a pensare a tutt'altro. Il fulcro del discorso eri tu, e non avrei mai potuto evitare di parlarne. Eppure fu come se in quell'esatto momento, quando avevo finalmente deciso di pensare a te, avessi iniziato ad evitarmi. Assurdo, persino all'interno della mia testa riuscivi a farla da padrona, a prendermi in giro.

Stavo ancora confrontandomi con la mia difficoltà nell'approcciare la storia di me e di te, nel trovare le giuste parole, quando Sachiko iniziò a parlare. Si era fermata di fianco a me, e con le mani in cima al parapetto guardava la riva del lago. E lì, a metà fra il silenzio ed il rumore, fra la solitudine e la compagnia, per la prima volta mi raccontò della sua famiglia. Con quella sua voce bassa e fredda, quella tonalità altera e sprezzante che assume quando si trova di fronte alle sfide o è assolutamente convinta di voler mantenere la propria posizione in una discussione, mi raccontò di suo padre e di suo zio che in quel momento, che proprio in quel momento erano altrove, lontani dal clan cui avevano dato il nome, la ricchezza ed il rango.
Mi raccontò di suo cugino, il suo cugino tanto bello e tanto odiato, che a sua volta era altrove, ma probabilmente in compagnia ben diversa rispetto ai suoi parenti più grandi; una tragicamente ben nota compagnia.
Mi raccontò di sua madre e delle donne della famiglia, e della pena, delle preoccupazioni, del buon nome degli Ogasawara che...

Mi sentii onorata e commossa nel venir finalmente messa a parte di tutta la sua storia, che nel tempo avevo lentamente ricostruito parte per parte basandomi su quel che accenno dopo accenno mi aveva detto, e su quel che come sempre mi era stato detto. Mi sentii orgogliosa nel vedere come i miei sforzi per liberarla dalle sue prigioni mentali iniziassero a dare i loro primi frutti, nel cuore di un inverno rigidissimo. Non era un racconto, quello, che si potesse fare a chiunque, e nei gesti e negli sguardi di Sachiko fu evidente la silente preghiera di non parlarne con nessuno, mai.

Non ebbi il bisogno di promettere; fra di noi, bastò un solo sguardo.

Dopo aver ascoltato la sua storia, dopo aver raccolto fra le mani il fardello pesantissimo che lei portava sul cuore, mi dissi che non le avrei più parlato di Satou Sei e di quanto fosse successo solo pochi giorni prima. Dopo la sua oltremodo vergognosa dimostrazione di fragilità, non mi sarei potuta permettere di pesarle addosso con i miei futili problemi. Erano già abbastanza gravi i suoi, presi singolarmente.
Ma fu lei che, dopo essersi sfogata, forse per cambiare argomento mi chiese direttamente di te con il suo consueto, elegante pragmatismo. Come se d'un tratto avesse vestito nuovamente i panni della mia pétite-soeur.


Questa mattina ho visto Rei-san, in compagnia di sua cugina Shimazu Yoshino-chan. Ci è sembrata una buona idea quella di ritrovarci qui, domani, per fare il giro dei santuari. Abbiamo anche pensato che sarebbe bello se volesse partecipare tutto lo Yamayurikai, ma non abbiamo avuto modo di contattare Rosa Gigantea En Bouton. Forse tu potresti in qualche modo raggiungerla, onee-sama?

Dietro la sua domanda, apparentemente innocua, riconobbi l'inconfondibile stile di Sachiko. Il momento di debolezza era passato e aveva deciso di spostare l'attenzione su di me.
Non appena l'avevo conosciuta avevo imparato immediatamente a confrontarmi con quel suo modo di chiedere e non chiedere, sfumando le sue curiosità all'interno di questioni più grandi o più importanti, in maniera da celarle o da poterle sempre negare. Troppo simile al mio modo di fare, perché mi sfuggisse. E se mi colpì la sfrontatezza della sua domanda, che la Sachiko che avevo incontrato solo pochi mesi prima non si sarebbe mai permessa di porre così direttamente, non furono da meno gli interrogativi che quelle sue poche parole scatenarono.
Avevo il tuo numero di telefono per via della catena di classe, ma perché mai avrei dovuto utilizzarlo? Perché darmi da fare per contattarti, quando tu negli ultimi giorni - negli ultimi mesi? - mi avevi completamente ignorata? Davvero sarebbe stato il caso di inginocchiarmi ancora una volta davanti alla statua di Satou Sei e pregarla di rivolgere anche solo uno sguardo in mia direzione?

E soprattutto, perché tutto ciò mi seccava così tanto?


Le risposi che purtroppo non avevo i tuoi contatti e di domandare invece a Rosa Gigantea, che sicuramente avrebbe potuto rintracciarti in qualche modo. Con mio sommo fastidio, mentre la formulavo mi resi conto che quella mia versione inventata su due piedi non era perfetta, non era del tutto credibile. Sarebbe bastato poco a scoprire la verità delle cose. Ma non c'era alcuna soluzione migliore per evitare di dare una risposta che mi sarebbe costata molto di più di una bugia imperfetta. Sachiko non potè replicare con domande più specifiche, in nome di rispetto e cortesia: il rischio era stato calcolato bene, la scommessa, dopotutto, vinta.

Il discorso proseguì sull'argomento, brevemente, articolandosi sul tuo tentativo di fuga con Shiori-san.
Ne avevamo parlato più volte, ma mai da sole, e dovetti dominarmi per evitare di dare segni di agitazione. Discutere con Sachiko, soprattutto nel caso in cui non le si volesse dire la verità, era come una sfida. Una gara fra intelletti ed intuizioni, fra l'acutezza del suo sguardo e la capacità di fingere e sviare. Una danza pericolosamente a cavallo delle regole, perché sia io che lei sapevamo che oltre un certo tot nessuna delle due avrebbe mai potuto spingersi. E per non perdere era fondamentale concentrarsi, evitando di pensare alla paura. Concentrarsi ed analizzare freneticamente, attimo dopo attimo, ogni elemento. Orchestrare ogni cosa perché combaciasse. Con la precisione fredda e tagliente di Mizuno Youko.
Guardarla negli occhi, capire che sapeva eppure vederla costretta all'interno della gabbia del rispetto, impossibilitata a scavare per trovare la Verità, era un brivido che dopo tutti quei mesi ancora non aveva smesso di scuotermi.
Le accennai di quel che era accaduto in maniera piuttosto impersonale, evitando - nemmeno io so perché - di dirle che dopo la notte insieme ti avevo riaccompagnata a casa io, senza la tua Onee-sama. Infine uscii elegantemente dalla sfida spostando l'argomento sulle feste di capodanno, ed accolsi con un sorriso lo sgomento che la mia petite-soeur mise in mostra nel confessare come non fosse sicura di aver sentito con sicurezza tutti i 108 rintocchi del capodanno, ma come pensasse di essersene persa almeno uno. Concluso lo scontro mentale, avevamo già dimenticato il momento di tensione. E nel tornare verso Villa Ogasawara pianificammo placidamente l'incontro del giorno seguente. Lasciandoci infine senza più tornare a discutere di te, con la promessa di ritrovarci insieme alle altre ragazze dello Yamayurikai.



***


Sapevo che sarebbe accaduto. Era inevitabile. Ma quando Eriko disse: "Andiamo?", mi sentii un po' morire dentro.

Si era fatta la mattina seguente, e come promesso ci eravamo incontrate in kimono davanti alla magione di Sachiko. Il cancello della villa, smisurato nelle dimensioni, era affiancato da due magnifici kadomatsu. Grandi rami di pino erano sistemati armonicamente fra il bambù, nelle due composizioni tradizionali per la celebrazione di O-Shogatsu. Il lavoro era mirabile; nella snervante attesa mi soffermai a domandarmi se la mia petite-soeur praticasse l'Ikebana, e se avesse collaborato nel costruirli.

Mentre attendevamo ed attendevamo, Rei-san colse l'occasione per presentarci sua cugina, specificando che l'anno seguente avrebbe frequentato il nostro stesso Istituto. Fu allora che incontrai per la prima volta Yoshino-chan, una ragazzina dalle lunghe trecce scure e dallo sguardo innocente, dietro il quale si celava un lampo di malizia. Colsi al volo certi sguardi, certi atteggiamenti, una naturale vicinanza fra le due cugine. Mi appuntai mentalmente il suo nome, sicura che in futuro mi sarebbe stato utile.
Impiegammo il tempo parlando un po' del più e del meno, soprattutto di come avevamo vissuto le festività del 31 dicembre.
Poi il tempo trascorso a distrarci iniziò ad essere troppo, e fra lo sdegno e la preghiera sperai che apparissi dal nulla, o non ti facessi mai più vedere. Tutto o niente, Sei.

Poi Eriko disse: "Andiamo?".

Ed andammo.





N.d.A: O-Shogatsu è la tradizionale festività che si svolge a cavallo del capodanno. Un tempo molto sentita a livello religioso, oggi è soprattutto un pretesto per festeggiare, un po' come accade da noi. Varie tradizioni si accavallano nel panorama giapponese, ma sicuramente una delle più vive è quella di far visita ai Templi nei primi sette giorni dell'anno nuovo, generalmente direttamente il primo gennaio. Capita molto spesso che si portino in dono al Tempio varie cose, che molto spesso sono generi alimentari, ma nella storia non credo ne farò accenno.

I Kadomatsu invece sono decorazioni rigorosamente di capodanno, che vengono esposte dall'1 al 7 gennaio e che derivano parzialmente dall'Ikebana, l'arte della disposizione dei fiori. Si tratta di piante che vengono posizionate ai lati della porta d'ingresso delle case e dei negozi, e sono quasi sempre in coppia. Come idea si può dire assomiglino ai nostri abeti di natale, solo che non presentano addobbi di sorta; sono semplicemente una mistura di canne di bambù e rami di pino intrecciati in diverse maniere, che variano nella forma con il variare della disposizione.

Infine i 108 rintocchi di capodanno, detti Joya no Kane, hanno una valenza profondamente simbolica e tradizionale, ma vengono ancora fatti risuonare in molti Templi. Sono esorcizzanti, perché ad ogni rintocco viene scacciato un peccato dell'uomo, che sono precisamente 108; ne deriva che, ascoltando tutti i rintocchi, se ne esca purificati e pronti per affrontare l'anno nuovo sgravati da tutte le pene. Per questo motivo Sachiko è preoccupata dall'idea di non averli sentiti tutti.
  
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