Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: _maya96_    22/11/2012    1 recensioni
Era accaduto tutto così velocemente, neanche mi ero resa conto di cosa fosse realmente successo. Una serie di immagini sfocate, a cui cercai di dare un senso, mi trapassò la mente, mentre chiudevo gli occhi, forse per l’ultima volta.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Goodnight Sweetheart-

 

-Buonanotte Tesoro-

 
 

“La maggior parte della nostra vita, è una serie di immagini. La vita ci passa davanti come le città in un'autostrada. Ma a volte, un momento si ferma, e succede qualcosa. E noi sappiamo che questo istante è più di un’immagine. Sappiamo che questo momento e tutte le sue parti vivranno per sempre.”
 
-One Tree Hill-

 

Era strano come tutto attorno a me procedesse tranquillo, seguendo un proprio equilibrio naturale delle cose.
Fin ora non ci avevo mai fatto caso a tutto questo. Di come dopo la pioggia sorgesse il sole, di come le nuvole scorressero fugaci nel cielo, spazzate via dal vento. Di come i giorni si susseguissero veloci, senza neanche dare il tempo di riflettere.
Tutto, anche la più piccola cosa cambia, si evolve in qualcosa di diverso e sparisce delle volte. Niente rimane eterno, niente dura per sempre, anche le cose belle prima o poi devono finire e non sempre quel posto viene colmato da qualcosa di buono.
Mi sedetti sulla mensola vicino alla finestra della mia camera e guardai quel sole splendere in quel limpido cielo. Quel cielo che notti prima era squarciato da lampi argentei e solcato da una pioggia incessante, che ricadeva copiosa sulla Terra, abbattendosi sui nostri due corpi. Sulle nostre figure che vagavano nell’ombra.
Non l’avevo più visto da quella notte. Non gli avevo potuto dire grazie per avermi salvato la vita. Non sarei qui in questo momento se non fosse stato per lui, ma non riuscivo a comprendere se fosse stato un bene oppure no.
Eppure in fondo era ciò che desideravo, nonostante per un attimo fossi stata attraversata da un barlume di follia.
Cosa credevo di fare? Cosa volevo ottenere? Perché non mi ero spostata da quella maledetta strada?
Sussultai appena mi tornò in mente il ricordo di quegli attimi.
Tutta quella pioggia che saltava appena toccava il suolo, formando una leggera nebbia che copriva le tenebre. I fari accecanti di quell’auto che tagliavano il buio e mi trafiggevano gli occhi. Il rumore di quel clacson, quelle ruote che scivolavano sulla strada, e poi lui, Klaus.
Il suo corpo che si scagliava troppo velocemente sul mio. Le sue braccia che mi stringevano mentre cadevamo entrambi a terra su quel terreno troppo umido. Le sue gelide dita che piano mi accarezzavano la pelle, asciugandomi quelle lacrime e quel fango che me l’aveva macchiata.
Tutto, ogni singola cosa che era successa mi era impressa nella mente, scolpita nel cuore, come un eterno ricordo che non si dissolverà mai, ma nonostante tutto ero infuriata con lui.
Non aveva il diritto di salvarmi, di prendere decisioni sulla mia vita, di scegliere al mio posto. No, lui non poteva farlo.
Non avevo bisogno di un salvatore, non volevo un angelo custode che mi proteggesse, volevo farcela da sola, riuscire con le mie forze, ma forse fin ora mi ero solo illusa di farlo.
Mi presi tra le mani il ciondolo che portavo appeso al collo e me lo rigirai nervosamente tra le dita.
Quella pietra blu risplendeva al sole e creava sul muro un gioco di luci che si rincorrevano tra loro, ogni volta che muovevo la collana.
Le seguii con gli occhi. Avevano la forma di diamanti splendenti e il riflesso di quel colore intenso si spostava rapidamente sulla parete.
Sembravano piccoli pezzi di cielo che si erano staccati dagli altri solo per giungere qui, in questa Terra, in questa stanza, su questo muro, solo per farsi apprezzare.
Mi persi con lo sguardo in quelle gocce cristalline che ballavano, danzavano e si rincorrevano giocose. Di come si univano per poi dividersi e ricomporsi ad altre, in un movimento che riusciva a stregare.
Era davvero strano come anche le cose più semplici riuscissero ad ammaliarti, ma forse questa era la cosa più bella.
Sorrisi tra me e mee scesi al piano di sotto dove i miei zii stava già facendo colazione.
“Buongiorno” dissi, entrando in cucina, mentre aleggiava un forte profumo di caffè e biscotti al cioccolato.
“Buongiorno” mi risposero i miei zii per poi tornare con gli occhi sul telegiornale.
Presi la prima tazza che trovai, per poi versarmi un po’ di latte e caffè. Distratta mi sedetti sulla sedia e ascoltai anche io il notiziario.
Da quello che capii quei quattro ragazzi scomparsi poche settimane fa non erano ancora stati ritrovati, ma in un piccolo sentiero sperduto vicino al bosco erano stati rinvenuti alcuni loro oggetti personali e delle macchie di sangue sul terreno, un attacco di animale probabilmente.
“Se lo meritavano, erano dei poco di buono”.
La voce di mia zia sfiorava la rabbia, ma non dissi nulla per controbattere, non avevo alcuna voglia di parlare. Anche se non sopportavo quel suo modo di parlare, nessuno, neanche il più cattivo del mondo merita di morire ed ero assolutamente ferma e decisa sulle mie parole.
 

* * * *

 
Presi la cartella intenta di andare a scuola. I miei zii erano già usciti e io ero sola in casa.
Mi avvicinai alla porta d’entrata e strinsi con forza la maniglia tirandola a me, ma quello che vi trovai davanti non fu il nulla come mi aspettavo.
Presa alla sprovvista, sussultai velocemente e presi dei lunghi e fermi respiri.
Scott stava in piedi sulla soglia con la mano appoggiata agli stipiti della porta e con il suo solito sorriso stampato sulle labbra.
Non ci eravamo più parlati da quello strano giorno, non l’avevo neanche visto a scuola e non avevo potuto scusarmi per come l’avevo trattato.
“Scusa, non volevo spaventarti…stavo per suonare” cercò di scusarsi, vedendo ancora il mio volto leggermente scosso.
Dopo alcuni interminabili secondi tirai un sorriso forzato e cercai di rispondergli con un tono normale di voce.
“Non fa niente”.
Lo vidi sorridere e fare un passo verso di me fino a sfiorare con la punta delle scarpe la soglia d’entrata.
“Come fai a sapere dove abito?” Gli chiesi, curiosa di sapere come aveva fatto a trovarmi, era una città piccola, ma mi sembrava comunque strano.
I suoi occhi si allargarono leggermente e piegò la testa da un lato, come per vedermi meglio.
Gli angoli della sua bocca sottile si tirarono verso l’alto, formando delle piccole fossette che adornavano quelle sue guance piene.
“Conosco i tuoi zii” mi disse, chiudendo per un attimo gli occhi per poi riaprirli. “Sono amici di mio padre”.
Annuii velocemente, tenendo ancora la mano sulla fredda maniglia della porta. Voltai la testa indietro, cercando qualsiasi cosa da dire, ma lui mi precedette.
“Stavi andando a scuola?” Mi chiese, vedendo il mio zaino sulle spalle. “Posso darti un passaggio”.
Spostai lo sguardo alle sue spalle e notai che una chevrolet grigia era parcheggiata in un piccolo spiazzato di fronte al nostro giardino, ma non seppi cosa rispondergli. Ero già in ritardo ed ero costretta ad andare a piedi visto che non avevo mai preso la patente.
Dovevo dare l’esame qualche mese fa, ma dopo la morte dei miei avevo rinunciato e poi avevo una specie di paura ad entrare in macchina dopo la notte dell’incidente, non riuscivo a restare tranquilla, continuavo a rivivere le immagini di quella notte, che però volevo dimenticare.
“Non mordo mica” mi disse sorridente, vedendomi tentennante.
Feci un respiro e annuii lentamente. Dovevo andare avanti, non potevo continuare ad avere paura di auto per il resto della mia vita.
“D’accordo” risposi con voce tremante, come se non ci credessi nemmeno io, ma lui non parve accorgersene.
Lo vidi spostarsi da un lato per lasciarmi passare, così uscii decisa di casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Il sole illuminava il paesaggio, velato dall’aria mattutina e un leggero vento accarezzava l’erba e mi scompigliava i capelli.
Alzai gli occhi verso il cielo, neanche una nube ricopriva il suo limpido manto azzurro, come una fresca e cristallina sorgente, un giorno come pochi lì a Port Angeles.
“È una giornata stupenda” mi disse Scott, guardando anche lui il cielo che si stagliava immenso sopra di noi.
Mi voltai verso di lui ed incontrai i suoi occhi. I caldi raggi del sole vi si riflettevano, rendendoli a tratti dorati, mentre quello smeraldo divenne più vivido, come se avesse ripreso vita.
Non mi resi nemmeno conto di essermi soffermata un po’ troppo tempo a guardarlo. Sentii un calore salirmi alle gote e prima che lo vedesse anche lui mi voltai velocemente dall’altra parte.
“Si, è davvero stupenda” riuscii a dirgli, mentre sorridente mi apriva la portiera della macchina.
Eppure c’era qualcosa di strano che aleggiava in quell’aria fresca, una strana sensazione si fece largo tra i miei pensieri e un groppo mi si fermi alla bocca dello stomaco, come se avessi un brutto presentimento, ma ci diedi poca importanza. Probabilmente erano le mie infondate paranoie o forse la paura di salire su un auto. Nulla di terribile poteva accadere a Port Angeles, soprattutto in una giornata come quella.
Sospirai  e decisa entrai in macchina.
 
 

* * * *

 
Tenevo la testa appoggiata al freddo finestrino, mentre il paesaggio davanti a me scorreva veloce.
Mi rigirai nervosamente il ciondolo tra le dita. Quel silenzio che ci avvolgeva era imbarazzante, non feci nulla per interromperlo, ma dovevo farlo. Dovevo dirglielo. Gli serviva  una risposta. Forse non diceva nulla solo per educazione.
Mi passai nervosamente una mano tra i capelli e dopo aver fatto un silenzioso sospiro mi voltai verso di lui.
I pochi raggi del sole entravano dal vetro e gli illuminavano la pelle diafana, accentuando lo scuro colore della folta chioma di capelli corvini, che portava disordinati fino a poco più in basso dei lobi delle orecchie e lo smeraldo che si celava in quegli occhi limpidi, circondati da lunghe e spesse ciglia scure. Gli conferivano al volto magro un’aria un po’ infantile, ma anche più complicata di come appariva.
“Mi dispiace per l’altro giorno” incominciai a parlare, cercando le parole giuste da dire e provando a non incrociare il suo sguardo, ma ciò mi parve impossibile. “So che sono sembrata strana, ma…”
“Non preoccuparti, ho capito” m’interruppe, non facendomi finire la frase, anche se non avevo la benché minima idea di come portarla a termine.
Allontanò lo sguardo dal mio e lo posò di nuovo attento sulla strada.
Come faceva ad aver capito qualcosa che non avevo compreso nemmeno io? Avevo rivissuto un giorno, con le stesse frasi, gli stessi momenti, persino gli stessi pensieri, ma con un finale diverso, grazie a lui , ed ero più che sicura che non si trattasse solo di un sogno. Sentivo che era reale, ma forse ero fin troppo confusa per capirlo veramente.
“Nuova casa, nuova scuola, nuovi amici” incominciò a dirmi, notando la mia perplessità. “E’ tutto così…nuovo” .
“Qualcosa del genere” gli risposi sorridendo alle sue parole.
Non era esattamente cosa intendevo, ma aveva centrato un altro dei miei problemi.
Come potevo negare tutto questo? Il fatto che mi sentissi persa, sola, anche se sapevo di essere circondata da tante persone, ma era come se non mi appartenessero o almeno io non appartenevo a loro.
Come se la loro funzione fosse solo quella di circondarmi, ma nonostante tutto nessuno era riuscito a fare più di questo. Forse il mio era solo un pensiero egoistico, dopo tutto quello che i miei zii facevano per me, ero io quella che non gli aiutava abbastanza.
Mi sentii terribilmente in colpa. Come potevo sbagliare così tante volte?
Gli errori non esistono. Perché in quel momento ti sembrava la cosa più giusta da fare.
Ecco cosa diceva sempre mio padre. Non ho mai capito cosa volesse realmente significare, anche perché gli errori ero certa che esistessero, ma ero più che convinta che dopo la notte dell’incidente anche lui si sarebbe ricreduto. Io ne ero la prova. Ero un errore vivente, del quale gli è costata la vita.
Una lacrima riuscì ad uscire dai miei occhi e mi rigò solitaria la gote, lasciando una scia che brillava sotto i caldi raggi del sole.
Voltai velocemente la testa da un lato, aspettando che quella scomparisse.
Non volevo farmi vedere così da lui, non volevo farmi vedere così da nessuno. Avevo deciso di andare avanti, di voltare pagina, ma per quanto cercassi di farlo non ci riuscivo mai del tutto.
Asciugai quella lacrima opprimente e mi voltai di nuovo verso Scott. Il mio sguardo però fu attirato dalle sue mani, che teneva strette al volante.
Uno strano anello, che non avevo mai notato prima, circondava il suo dito. Era del colore dell’argento, forse troppo opaco per via del tempo, sembrava davvero antico. Era di forma circolare e uno strano disegno riempiva la superficie scura.
“Che anello…particolare”  gli dissi incuriosita, guardandolo meglio.
Era davvero strano, era la prima volta che ne vedevo uno simile.
“Si…è di famiglia” mi rispose impacciato, guardandolo per un attimo. “Era di mio fratello”.
Il suo sguardo mi parve diverso, mentre tornava con gli occhi sulla strada. Come se gli fossero tornati alla mente ricordi che voleva dimenticare. Ma tutti quanti nascondiamo ferite che nessuno mai dovrebbe riaprire.
Ormai ci conoscevamo, ma non mi aveva mai detto di avere un fratello, ma dal suo tono afflitto capii che era qualcosa di cui preferiva non parlare, quindi evitai di fargli altre domande.
“E’ andato via molto tempo fa, da allora non siamo più in contatto” mi disse con una punta di amarezza che dipinse quella voce e velò quegli occhi sempre sorridenti, che quasi faticai a riconoscere.
Ma a volte la felicità è soltanto una barriera che funge da corazza e che nasconde un dolore tanto grande da divorarti all’interno, ma lo si riesce a nascondere talmente bene, da non far accorgere nessuno della tua tristezza .
Io lo sapevo bene ed ora lo vedevo in quegli occhi, come se mi stessi riflettendo in uno specchio. Con quello sguardo vuoto e spento che ormai avevo imparato a riconoscere. Potevo distinguerlo sul volto di chiunque, sia che la persona in questione fosse morta oppure lontana, il vuoto che ti lascia è sempre lo stesso.
Annuii velocemente, cercando d’interrompere quella conversazione e spezzare quell’aria carica di tensione e intrisa di tristi ricordi.
Mi rigirai di nuovo verso il finestrino non sapendo cosa dire ed ero certa che azzardare ad un semplice “mi dispiace” fosse troppo banale. Rimasi quindi in silenzio, contando i veloci secondi che passavano, che il suo orologio al polso continuava a segnare.
Feci un sospiro silenzioso e guardai assorta il paesaggio che correva veloce al di fuori. Quel cielo terso, come non lo era mai stato da quando abitavo qui, in questa città che mi aveva adottata, restava sospeso, limpido e cristallino su di noi e i leggeri raggi di sole risplendevano caldi sul terreno, asciugando la rugiada, rimasta dalla fredda notte precedente.
Abbassai lo sguardo e guardai le poche persone in strada. Volti che avevo già visto almeno una volta, ma non così tanto risaltanti da ricordarmi i nomi.
Poi incrociai il suo sguardo. Quegli occhi azzurri capaci di congelarti e rapirti totalmente, che permisero ad un lungo e fastidioso brivido di corrermi lungo schiena e al cuore di arrestarsi per qualche misero secondo. Gli occhi di Klaus.
Quell’attimo durò in eterno, come se il tempo si fosse fermato. Una serie infinita di secondi si erano uniti a formare quell’interminabile istante, così eterno, così infinito, così inevitabile, non riuscii a ritrarmi o anche solo a porvi una fine.
Sembrava mi avesse visto. I nostri sguardi si legarono dolorosamente tra loro, come l’inspezzabile filo rosso del destino.
Mi aggrappai a quello sguardo, come se fosse l’unico appiglio rimasto per non cadere nel baratro, anche se più lo guardavo più mi sembrava di affondare con lui.
Le sue labbra scarlatte si allargarono in un terribile sorriso, che presagiva nulla di buono e che mi fece tremare.
Poi accadde tutto troppo velocemente, in un’unica, minima frazione di secondo . L’auto di Scott frenò di colpo, per poi spostarsi velocemente a destra cercando di sviare qualcosa.
Uno stridulo rumore di gomme, che graffiavano il terreno, mi rimbombò assordante nelle orecchie, mentre il respiro mi rimase sospeso in gola, mentre cercavo di realizzare cosa stava accadendo.
Tutto divenne fin troppo confuso. Il forte rumore di un clacson, la lontana voce di Scott, il mio corpo che si spingeva in avanti per quella frenata, ma venne graffiato dalla cintura fin troppo stretta e poi il forte dolore alla testa, mentre sbattevo contro il finestrino.
Il buio più totale mi avvolse per brevi attimi, mentre sentivo il cuore battermi così veloce all’interno.
Premetti con forza le palpebre, mentre un dolore lancinante mi attanagliava la testa, ma non sembrava un dolore recente, era più una vecchia cicatrice che aveva ripreso a sanguinare, di quel terribile giorno in cui il tempo si era fermato.
La macchina aveva sbandato, non avevo mai compreso il motivo per cui fosse successo, avevo mille pensieri che mi circondavano la mente, pensieri che ritenevo importanti, ma solo dopo quel giorno compresi quanto fossero banali ed inutili.
L’auto si era lanciata nel vuoto ed era rotolata giù da un dirupo. Non riuscivo a fermarmi, venivo sbandata da una parte all’altra della vettura, mentre si ribaltava su se stessa, rompendo i finestrini e comprimendosi al suolo.
Avevo paura di respirare, provavo a tenermi ai sedili mentre precipitavamo, ma era troppo veloce, troppo rapida, continuavo a scivolare. Le mani non riuscivano a reggersi per quelle maledette gocce di sudore che me le bagnavano, non riuscivo a trovare un punto d’appoggio.
Era successo in un istante. Le urla mi si confondevano in testa in un unico assordante grido che sapeva di morte.
Mi sentivo impotente, volevo fermarla, ma non potevo far nulla, qualsiasi cosa provai a fare in quel momento per salvarli fu del tutto inutile.
Poi l’auto si fermò, andando a sbattere contro un albero che aveva fermato quella sua folle corsa e io mi trovai distesa a terra, tra i vetri rotti del finestrino e con le gambe bloccate da quel che restava di quella macchina.
“Alba! Alba, riesci a sentirmi?”
La voce preoccupata di Scott continuava a chiamarmi. Era così lontana, così distante. Cercai di aggrapparmi a quella voce per non sprofondare ancor di più in quel ricordo, ma ormai la mia caduta sembrava inevitabile.
Alba svegliati!
Quelle parole mi giunsero sfuggenti alle orecchie. Cercai di concentrarmi meglio. Erano velate di paura ed ansia, ma non mi parve appartenessero a Scott.
Provai ad aprire gli occhi, ma il dolore che mi portava quel ricordo era troppo forte, come se la ferita stesse ancora sanguinando.
“Alba”.
La voce di Scott si univa incessantemente ad un’altra voce che io conoscevo e avevo paura di dimenticare. Una voce distante, che veniva dal passato sotto forma di un fragile ricordo.
Riuscii finalmente ad aprire gli occhi, che mi pesavano come dei macigni per provare a svegliarmi o forse per continuare a ricordare, finché riuscii a vedere la persona a cui apparteneva quella voce.
Papà.
Delle lacrime mi pungevano gli occhi cercando di venir fuori, mentre quel dolore diventava più forte. Dei singhiozzi mi si spezzavano in gola, da non riuscire a farmi parlare.
La vista era appannata forse per tutte quelle lacrime, forse per il dolore o forse per quell’accecante oscurità che mi circondava e che io inconsapevolmente stavo raggiungendo.
Ma mio padre non me lo permise. Continuò a chiamarmi per non farmi sprofondare in un sonno che molto probabilmente sarebbe durato in eterno, nonostante gli costasse un’immensa fatica anche solo provare a parlare. Ma lui lo fece. Lo fece solo per me.
Cercò di avvicinarsi per aiutarmi, ma non ci riuscì, fu bloccato da una fitta di dolore che non glielo permise, mentre la fronte si corrugava e la bocca gli si storceva in una smorfia, facendo trasparire tutto il suo dolore. Ma nel suo sguardo non ci lessi questo. Era afflitto, ma non per il male, ma per il fatto che non potesse far nulla per aiutarmi, non ci riusciva e sembrava non perdonarselo.
Andrà tutto bene, te lo prometto.
Le sue parole furono pronunciate a denti stretti e sospirando fortemente in cerca d’aria, ma cercò comunque di mostrarsi forte davanti a me.
Le sue parole mi rassicurarono, mi fecero sentire meglio. Era davvero strano come in un momento così terribile bastasse solo qualche parola di conforto, non per forza veritiera, a rendere meno amara una fine.
Mi guardò, con quegli occhi di chi ha già capito tutto, ma nonostante stracolmi di speranza.
Ti voglio bene.
Gli dissi in un sussurro, ma speravo con tutto il cuore che lui lo avesse compreso, mentre piano chiudevo gli occhi esausta e senza più forza di combattere.
“Alba”.
La voce di Scott mi riportò alla realtà, strappandomi da quel doloroso ricordo in cui stavo annegando.
Aprii gli occhi e improvvisamente tutto tornò normale. Non c’erano più quelle tenebre che mi circondavano, non c’erano più tutti quei frammenti di vetro sparsi sul mio corpo, non c’era più mio padre.
Cercai di radunare velocemente tutti i ricordi di quegli istanti per capire cos’era successo, finché mi ricordai quel volto.
Klaus.
L’ultima cosa che avevo visto prima di sprofondare in quel ricordo erano i suoi occhi freddi e calcolatori e quel ghigno diabolico che lo caratterizzava. Come se avesse dato lui inizio a tutto questo, ma ciò era impossibile.
Posai gli occhi fuori dal finestrino dove ero certa di averlo visto poco prima, ma non lo trovai, era sparito nel nulla, tanto velocemente che non fui più certa di averlo visto veramente o di averlo solo immaginato.
“Alba stai bene?”
La voce allarmata di Scott mi giunse alle orecchie. Mi ero dimenticata di essere nella sua macchina dopo quello che era successo.
Un suo braccio mi fece lentamente voltare verso di lui fino a farmi incontrare i suoi grandi occhi verdi. Poi mi prese il viso tra le mani, cercando di vedere se stessi davvero bene.
 “Un camion mi ha tagliato la strada, mi dispiace” continuò a dirmi, scuotendo velocemente la testa, sentendosi in colpa.
“È tutto okkey, sto bene” gli risposi cercando di calmarlo. ora stavo meglio. Il dolore era sparito insieme a quel ricordo.
“Sei sicura? Stai sanguinando”
Le sue parole mi sorpresero. Non mi ero accorta del taglio sulla fronte, un po’ più in alto del sottile sopracciglio scuro, finché mi portai le dita alla testa e le passai su quel denso liquido scarlatto, ma Scott fece un altro gesto che mi sorprese.
Si prese la manica della maglia tra le dita e mi portò quel morbido tessuto alla fronte, sporcandolo del mio sangue. Quel chiaro colore si dipinse di scarlatto, macchiandosi del colore della morte, fino a pulirmi quella ferita, con i suoi lenti movimenti circolari.
I nostri volti erano così vicini e il suo sguardo era concentrato sulla mia fronte, mentre il mio rimaneva immobile sul suo volto e uno strano calore mi salì alle gote.
Scrutai ogni centimetro del suo volto. I suoi occhi, che prima erano illuminati dalla paura e senso di colpa, ora sembravano più tranquilli e i suoi zigomi erano rilassati.
“Ti senti meglio?”  Mi chiese, facendomi ritornare alla realtà.
Spostai velocemente gli occhi ed incontrai i suoi. Mi guardava apprensivo. Il suo sguardo era diverso, non più infantile, ma adulto, rispetto ai lineamenti dolci del viso e uno sfuggente sorriso gli si stampò sulle labbra rosee, scoprendo i suoi denti bianchissimi, quando gli risposi.
“Sì, grazie”.
Le sue lunghe ciglia scure si chiusero per un attimo, in modo da rendere i suoi occhi una fessura, illuminati dalla luce del sole, che entrava dal finestrino.
Le sue dita erano ancora immobili sulla mia fronte, così leggere che quasi mi parve di non sentirle sul viso.
Piegò la testa su di me e si fece più vicino. Riuscii a vedere ogni suo tratto delicato del volto e la sua immagine mi s’impresse nella mente, sotto forma di un prepotente pensiero che si fece largo tra gli altri.
Il respiro mi si spezzò in gola e un bruciante calore mi pervase le guance, mentre le sue dita mi sfiorarono il sopracciglio dove giaceva la ferita, che poco prima lui aveva curato.
Ancora più vicino. Ora riuscivo a sentire il suo respiro scontrarsi con il mio, come due onde che s’infrangevano nel mare impetuoso.
I nostri volti parvero sfiorarsi, mentre il tempo si fermò per qualche secondo. Riuscivo a sentire solo più il mio cuore battermi forte nel petto ed ero certa che si sarebbe potuto fermare insieme al tempo da un momento all’altro.
Solo un misero centimetro ci separava. Una distanza dolorosamente troppo breve per riuscire a combatterla .
Il suo orologio contava ancora i secondi che si facevano sempre più lenti, fino a che scomparve anche quel rumore e rimanemmo solo noi due.
Ma quel momento non ebbe mai una fine, non terminò mai. Rimase confusamente sospeso nel tempo, quando la suoneria del mio cellulare ruppe quelle barriere invisibili che ci eravamo creati, che si sgretolarono ai nostri piedi, facendoci ritornare alla realtà, prima che i nostri respiri si unissero in un uno solo.
Imbarazzati ci allontanammo l’uno dall’altra, fino a ritornare con la schiena appoggiata ai sedili e con lo sguardo fisso in avanti.
“Scusa”  dissi prendendo il cellulare tra le mani.
Sentii Scott accendere la macchina e fare manovra per poi ripartire. Un silenzio imbarazzante seguì quegli istanti e nessuno di noi osò proferire parola per tutta la durata del viaggio.
Feci un lungo e silenzioso respiro e abbassai lo sguardo per leggere quell’anonimo messaggio che mi era arrivato.
Mi si fermò il cuore per qualche istante, mentre lo lessi allarmata per la seconda volta. Feci scorrere gli occhi su ciascuna di quelle parole, su ogni lettera come per dare un senso a ciò che invece m’impauriva, accrescendo un doloroso senso d’inquietudine che m’invase tutto il corpo.
Non puoi scappare dal destino per sempre. Non mi sfuggirai di nuovo.
Un tremore mi salì per tutta la spina dorsale, facendomi sussultare. Voltai velocemente la testa verso il finestrino e guardai fuori, cercando qualcosa che non seppi neanche definire con esattezza.
“Va tutto bene?” Mi chiese Scott, vedendomi spaventata.
Feci il sorriso più sincero che mi potesse venire ed annuii semplicemente. Non doveva preoccuparsi di niente. Io non dovevo preoccuparmi di niente. Doveva per forza essere un stupido scherzo, niente d’importante. Qualcuno doveva aver sbagliato numero, non ci potevano essere altre spiegazioni.
Ma c’era qualcosa in quella frase, in ciascuna di quelle parole senza senso, un qualcosa di terribile, di nascosto, che non riuscii a capire subito, ma quello che non compresi realmente era che quello era soltanto l’inizio.
 

* * * *

“Alba stai bene?”
La voce squillante di Allyson mi fece ritornare alla realtà.
Avevo passato gran parte della mattina nell’infermeria della scuola per l’insistenza di Scott di farmi controllare la ferita e dopo innumerevoli tentativi, cercando di dissuaderlo dal suo intento avevo accondisceso alla sua richiesta.
Tirai un sorriso forzato e mi voltai velocemente verso Allyson che mi guardava preoccupata, molto probabilmente Scott le aveva detto tutto.
“Sto bene grazie” le dissi, cercando di apparire credibile.
Non avevo voglia di parlare, era la decima volta che mi sentivo fare quella domanda e la maggior parte delle volte me l’aveva fatta Scott. On che mi desse fastidio che le persone si preoccupassero per me, ma essere al centro dell’attenzione di tutti non mi era mai piaciuto.
Quando ero a Seattle era diverso, ero più solare, più felice e circondata da tanti amici.
L’unica cosa di cui mi preoccupavo era passare l’anno per poi andare nella stessa università di Ryan.
Non sopportavo l’idea di non vederlo tutti i giorni e ancora meno saperlo lontano, ma poi tutto è cambiato: lui era partito, promettendomi di aspettarmi, ma le sue lettere con il  tempo si erano fatte sempre più rare fino a scomparire e non rispondeva neanche più al telefono, non avevo più notizie di lui e mi ero imposta di dimenticarlo come lui doveva aver fatto con me.
Un anno dopo sono morti i miei genitori e quella città piena di tristi ricordi oramai mi stava stretta e sono arrivata qui nella piovosa e sperduta Port Angeles.
“Sei sicura? Fa vedere”
La voce preoccupata di Allyson mi distrasse di nuovo dai miei pensieri. Mi voltò velocemente la testa ed esaminò il taglio che mi era rimasto sulla fronte.
“Ally sto bene, dico sul serio” dissi allontanandomi e chiudendo velocemente l’armadietto dopo aver preso alcuni libri per la lezione successiva.
“Eppure Scott è sempre stato un bravo guidatore, anche quando stavamo insieme, non riesco a capire come sia successo.”
Rimasi di sasso appena sentii quelle parole. Mi ci volle qualche secondo per immagazzinare la cosa, ma nonostante tutto continuai a pensare di aver capito male .
“Un momento…tu e Scott siete stati insieme?” Ally interruppe il suo discorso, che con i miei mille pensieri non ero riuscita a seguire e mi guardò per un attimo.
I suoi occhi divennero improvvisamente tristi e afflitti, molto probabilmente si erano lasciati e lei non era ancora riuscita a superarlo.
“Era il mio migliore amico” incominciò a parlare dopo aver fatto un lungo sospiro i cerca delle parole da dire. “Hai presente quell’amico con cui ti metti insieme per vedere se ci può essere dell’altro rispetto ad una semplice amicizia?”
Annuii silenziosamente, capendo perfettamente a cosa alludesse. Era successo lo stesso a me e a Ryan e anche io non riuscii a superarlo così facilmente. Ma il modo migliore per cancellare un problema era quando ti si presentava davanti uno peggiore. La morte dei miei genitori me l’aveva cancellato dalla mente e per il momento non avevo voglia di riprovare questo genere di sentimenti per nessuno.
“Ma ci siamo sbagliati. Ora non ci parliamo neanche più” mi disse con una punta di amarezza che velò la sua voce.
I suoi occhi chiari persero una tonalità, diventando leggermente lucidi. Non ci voleva un genio per capire che lei lo amasse ancora, glielo leggevo negli occhi, quegli occhi così simili ai miei qualche tempo fa, ma io ero riuscita ad andare avanti. Non dovevo intromettermi, non dovevo fare questo sbaglio.
“C’è qualcosa tra te e Scott?” Mi chiese Ally, prendendomi alla sprovvista. No, non c’era assolutamente niente tra me e lui, eravamo solo amici niente di più, come aveva potuto pensarlo?
“Ti ha accompagnato lui a scuola oggi, quindi…”
“Siamo solo amici” la interruppi, cercando di rassicurarla. “Conosce i miei zii e oggi mi ha solo dato un passaggio, niente di più”.
Allyson parve convinta dalle mie parole e non aggiunse nient’altro. In fondo erano vere, non c’era assolutamente niente tra di noi eppure mi sentivo come se in qualche modo le avessi mentito, ma non dovevo sentirmi così, non ce n’era motivo. Non solo per Ally, ma io stessa non volevo soffrire di nuovo in quel modo, ero dell’idea che ogni cosa era destinata a finire e non volevo più ripetere lo stesso errore nel fidarmi di qualcuno.
Non era successo nulla oggi, nulla d’irrimediabile e molto probabilmente non sarebbe mai più riaccaduto.
 

* * * *

 
Proseguii la strada che portava a casa.
Avevo deciso di non prendere quel sentiero che costeggiava il bosco, anche se era di certo la via più corta per arrivarci.
Avevo preso la strada che passava per la città. Dopo quelle strane sparizioni preferivo non isolarmi e camminare dive c’era più gente.
I piedi calpestavano velocemente quei sassi incastonati tra loro che formavano la strada spoglia, deserta e fredda, nonostante avesse fatto caldo tutto il giorno, il tempo era cambiato repentinamente un’altra volta.
Sospirai ed alzai la cerniera del giubbotto fino alla gola e sentii rabbrividire la pelle gelida sotto quella calda stoffa.
C’era poca gente in città, ma avevo imparato che in un luogo come Port Angeles se vedevi una decina di persone era già tanto.
Nonostante avessi passato quasi un mese qui, questa cittadina mi metteva ancora i brividi. Non c’era mai nessuno per le strade e quei quattro ragazzi scomparsi erano solo gli ultimi di quella catena infinita di sparizioni improvvise.
Avevo fatto delle ricerche su internet e avevo scoperto che i corpi delle persone scomparse venivano ritrovati qualche giorno dopo mutilati e con il collo lacerato. Davano la colpa ad un leone di montagna, che si aggirava nei boschi, ma il motivo per cui non fossero ancora riusciti a catturarlo ancora mi sfuggiva.
Una folata di vento gelido mi riportò alla realtà. Alcune ciocche dei miei capelli, che tenevo sciolti mi finirono davanti agli occhi, coprendomi la visuale.
Presi quei ciuffi ribelli tra le mani e me li scostai dagli occhi, potendo così riaprire gli occhi.
Fu allora che lo vidi.
I suoi capelli biondi mossi leggermente dal vento, le sue spalle larghe e il suo alto corpo, ogni singolo suo aspetto era come ricordavo, nonostante quella notte la pioggia mi avesse appannato la vista.
Era voltato di spalle che camminava a passo svelto dall’altra parte della strada, ma sapevo che era Klaus, ne ero certa, lo avrei riconosciuto tra milioni.
Lo avevo cercato, avevo chiesto di lui, ma nessuno aveva saputo dirmi dov’era con esattezza, persino i miei zii, che dicevano di conoscerlo, non ne sapevano nulla.
Ancora non riuscivo a capire come conoscesse i miei genitori. Loro non me ne avevano mai parlato, avevo anche cercato in alcune vecchie foto. Avevo passato tutto il giorno in quello scatolone, tra tutte quelle immagini che mi ritraevano da piccola, sorridente durante i miei compleanni. Con i miei genitori o con Ryan, prima che mi lasciasse e partisse. Quando tutto era felice, quando tutto era facile
Ma lui non c’era, non faceva parte di quella mia vita prima dell’incidente, non aveva visto quel mio periodo, ma nonostante tutto era riuscito ad evitare la mia fine, ad impedire che quella macchina m’investisse.
Perché?
La sua risposta non mi era parsa molto chiara quando gli avevo posto quella domanda. Non la ricordavo neanche con esattezza.
Tutto quel buio, tutta quella pioggia e quell’opprimente sonno mi annebbiavano la mente e quegli affollati ricordi mi rendevano solo più confusa.
Mossi i piedi più velocemente sul terreno per cercare di avvicinarmi, ma non ci riuscii subito. Il suo passo era troppo svelto, la sua immagine troppo distante, non riuscivo a stargli dietro, nonostante ci stessi provando.
Non sapevo cosa mi spingesse a seguirlo, a cercarlo. Volevo solo vederlo in volto, volevo quelle risposte e se c’era qualcosa peggio del mio orgoglio era la mia testardaggine e per colpa della mia testardaggine avevo distrutto quella mia parte di vita che desiderava ricominciare da capo, che m’implorava di ritornare su quel sentiero che avevo imprudentemente lasciato solo per seguirlo.
Ma non mi resi conto che così facendo stavo solo dando il via a quel timer, che prima o poi si sarebbe azzerato. Proprio in quest’istante, in questo preciso attimo, stavo segnando la mia fine.
Se solo fossi tornata indietro, se solo avessi ascoltato ciò che la mente mi ordinava di fare, ma mi ero lasciata comandare dall’impulsività e molte volte ho lasciato che avesse la meglio su di me.
Avevo sotterrato la ragione, il buon senso e tutto per cosa?
Per quella maledetta curiosità che avevo di conoscerlo, di sapere qualcosa su di lui, come se quel magnetismo dei suoi occhi mi stregasse.
Tutto mi stava dicendo che stavo per prendere una decisione sbagliata, ma anche gli errori sono un modo di agire.
Incominciai a correre quando si fece più lontano. I piedi mi si muovevano veloci, assaporando quella stanchezza che invase il mio corpo, in quegli istanti che sembravano avessero fermato il tempo.
Il vento soffiò più forte e mi fece tremare lievemente i denti, mentre le braccia si muovevano opposte, sperando di andare più veloce.
Klaus sembrava non provasse la minima fatica nel mantenere questo passo. Era lontano, così distante, stava quasi scomparendo tra la gente.
Non volevo svanisse. In quei giorni non avevo fatto altro che cercarlo, ora l’avevo trovato, non potevo lasciarlo andare via, volevo quelle risposte.
Il cuore aumentava velocemente il suo ritmo, mentre il mio respiro divenne irregolare, spezzato da quell’aria che respirava più potente e m’induceva a rallentare.
Continuavo a seguirlo, non pensando a cosa avrei potuto dire quando me lo sarei ritrovato davanti.
Svoltai l’angolo e poi un altro ancora, mentre una nube in cielo riuscì a coprire quel sole che caratterizzava quella giornata.
La gente incominciava a scomparire man mano che lo seguivo per quel sentiero che portava fuori dalla città. Volevo fermarmi, ma ormai era troppo tardi per farlo, non avrebbe avuto senso.
I piedi colpirono con ferocia quel terreno.
Mi passai una mano sul petto e presi tra le dita il ciondolo della mia collana, che continuava incessantemente a battermi sulla pelle, mentre correvo.
Svoltai di nuovo l’angolo quando vidi la sua immagine non proseguire più per quel dritto sentiero, ma mi fermai di colpo, puntando i piedi per terra, arrestando quella mia folle corsa.
Ero in un vicolo cieco. Un muro s’innalzava imponente da terra, troppo alto per riuscire a scavalcarlo.
Alzai la testa cercando di vedere quel sole che stava tramontando e i suoi raggi illuminavano la terra a sprazzi.
Sospirai affannosamente, cercando di riprendere fiato e provando a riordinare i pensieri che mi affollavano la mente.
Ero sicura di averlo visto entrare qui, ne ero certa, pochi istanti prima che ci entrassi io, ma lui non c’era o almeno non più.
Perlustrai ogni singolo centimetro di quel luogo non c’erano vie d’uscita, non poteva essere scomparso così all’improvviso. Era impossibile che lui…
“Stai cercando qualcuno?”
Sobbalzai quando sentii quella frase. Quelle parole sottolineate da quell’accento marcato furono un gelido sussurro, che mi soffiò glaciale dietro l’orecchio.
La mia pelle venne sorpassata da dei brividi provocati da quel freddo respiro, troppo vicino e un lieve tremore mi percorse rapido tutto il corpo.
Allarmata mi voltai di scatto, ma feci un grosso errore .
Mi ritrovai con il volto a pochi centimetri dal suo che era piegato su di me. Il ghiaccio nei suoi occhi era più vicino e freddo che mai, lo sentivo congelarmi, immobilizzarmi, mi faceva tremare.
Gli angoli della sua bocca rossa erano leggermente tirati verso l’alto, formando un ghigno, mentre la sua possente figura non si ritraeva, ma restava immobile.
Per un attimo il suo respiro soffiò sulle mie labbra serrate e quando quel soffio più freddo del vento mi colpì feci un passo indietro, inciampando però nei miei piedi e rischiando di cadere a terra. Ma lui troppo velocemente mi afferrò per un braccio, impedendo la mia caduta e mi tirò a sé.
Ci ritrovammo più vicini di prima. La sua mano stringeva ancora il mio polso vicino al suo petto, mentre il suo viso si piegò ancor di più sul mio.
Non riuscivo a muovermi, a ritrarmi o anche solo a respirare. Il magnetismo dei suoi occhi m’impediva di compiere qualsiasi gesto.
Il cuore combatteva dentro il petto, così veloce, così forte da collassare. Mi mancava l’aria, non riuscivo a respirare, come se mi fossi dimenticata di farlo, anche se mi sentivo i polmoni gridare.
Non esercitava forza nella sua stretta o almeno credevo. Avevo troppa paura per riuscire a muovermi e verificarlo.
Un altro soffio gelido uscì dalle sue labbra e finì nelle mie, come per darmi quel respiro di cui avevo bisogno, che il mio corpo bramava.
In un gesto veloce mi liberò il polso e fece un passo indietro, riuscii quindi a respirare di nuovo.
“Ti ho fatto una domanda” mi parlò ancora con un tono di voce rude e spazientito.
Fece poi un passo verso di me e io inconsciamente ne feci uno indietro e poi un altro ancora.
“Come hai fatto?” Gli chiesi un attimo dopo quando la voce mi ritornò.
Volevo sapere come aveva fatto a salvarmi quella notte. Era sbucato dal nulla, così improvvisamente, così velocemente. In un attimo mi ero ritrovata dall’altra parte della strada, era impossibile che fosse realmente riuscito a farlo.
Non mi rispose, ma non perché non avesse una risposta, quei suoi occhi chiari erano fissi nei miei, legati da un filo invisibile, che non riuscivo a spezzare.
“I miei genitori non mi hanno mai parlato di te…chi sei realmente?” Le mie parole furono pronunciate con un velo di tristezza e malinconia, mentre la loro immagine mi si dipinse nella mente al pensiero di quel ricordo.
Era strano come anche solo pronunciare quella parola mi facesse sentire vuota, come se mi mancasse qualcosa, che mi aveva sempre completata. Come se per giorni potessi vivere anche senza pensarli, ma bastasse anche solo una parola, il più piccolo ricordo a farmeli ritornare in mente.
Solo un ricordo. Ma la vita in fondo è formata da essi. Da un nulla, perché non li puoi né vedere, né toccare, eppure sono così grandi che non si riesce nemmeno a distruggerli .
“Solo un amico” mi rispose con un tono di voce più calmo, come se avesse percepito la mia malinconia.
Fece un altro passo verso me e io l’ennesimo indietro, sembrava stessimo danzando sulle note di una musica invisibile, ma che solo noi potevamo sentire.
“Noi non siamo amici” riuscii a rispondergli in un sussurro, che non riuscii nemmeno io a sentire chiaramente, ma speravo che lui lo avesse fatto.
“Ho l’impressione che lo diventeremo molto presto” .
Parlava con un tono di voce calmo e scandiva bene ciascuna parola, che veniva marcata da quello strano accento, che non avevo mai sentito prima, sembrava di altri tempi.
“Come sei riuscito a farlo?” Gli chiesi di nuovo, mentre continuavo ad indietreggiare. Una parte di lui mi metteva paura, mi terrorizzava, anche se volevo a tutti i costi mostrarmi forte.
“Fare cosa?” Mi domandò innocente sbattendo un paio di volte le palpebre ed allargando le braccia, come se non sapesse di cosa stessi parlando.
“A raggiungermi così in fretta” la mia voce sembrava tremasse, ma nonostante tutto ero decisa a scoprire come aveva fatto.
Fece un altro passo verso di me, sogghignando paurosamente e io indietreggiai ancora. Quanto prima era il desiderio di vederlo in volto, tanto ora era maggiore la voglia di scappare lontano.
“Sono molto veloce”.
“Fin troppo”.
Non riuscivo a comprendere cosa mi spingesse a continuare quella discussione tanto assurda. Volevo quelle risposte, ma lui riusciva abilmente a sviarle.
“Alcune cose è meglio lasciarle nel mistero” mi rispose con tono di voce seducente e fissando ancora una volta gli occhi nei miei. “Quello che non si conosce attrae maggiormente, non credi?” Finì la frase strizzandomi velocemente l’occhio divertito.
Tremai, mentre continui brividi mi attraversavano pungenti la schiena. Il cuore mi pulsava con violenza nel petto e quei respiri mi si spezzavano crudeli in gola.
Un altro suo passo avanti, un altro mio indietro. Lo temevo, avevo paura, ma una parte di me desiderava fidarsi, la stessa che mi aveva fatto addormentare giorni prima tra le sue braccia e la stessa che mi aveva indotto a cercarlo. Ora c’è l’avevo davanti, ma forse non volevo fuggire via.
Scossi velocemente la testa. Il mistero porta solo segreti, diversi dalla realtà, che può essere facilmente manipolata. Non riuscii però ad essere decisa o anche solo sembrare di esserlo, ma forse il desiderio di sapere la verità era ben maggiore della paura che provavo nei suoi confronti, nonostante mi avesse salvato la vita.
Klaus digrignò i denti e serrò i pugni, trattenendo a stento quel sospiro, che faceva trasparire la sua collera.
Quel suo repentino cambio di umore mi fece tremare, ma non trovai lo stesso il coraggio di andarmene, quel suo gelido sguardo m’immobilizzava.
“Non desisti mai, non è vero?”  I suoi occhi si abbassarono, fissando un punto impreciso sotto il mio viso, per poi tornare a trafiggermi gli occhi. “La tua testardaggine ti farà fare una brutta fine” mi disse infine in un sibilo, avvicinandosi paurosamente a me.
Indietreggiai ancora, ma mi scontrai con quel muro, che crudele aveva bloccato i miei passi, ma non i suoi. Klaus continuò a camminare verso me, con la sua elegante andatura e con il suo solito sorriso stampato sulle labbra, fino a ritrovarsi ad un palmo da me.
Potevo sentire il suo fresco respiro e il suo inebriante profumo, ma potevo anche vedere la freddezza che si celava nei suoi occhi di ghiaccio, così indifferenti, così distaccati, non riuscivo neanche a scorgere la più minima emozione in quelle iridi chiare, come se non provasse nulla.
Si piegò ancora su di me e posò le mani su quel muro un po’ più in alto delle mie spalle, bloccandomi ogni via di fuga.
Mi feci piccola, mentre tenevo la schiena premuta alla parete dietro me, non volevo scontrarmi con il suo respiro. Avevo paura, volevo andare via, fuggire lontano, ma qualcosa me lo impediva, mi diceva di restare.
Mi sentivo il cuore battere così forte nel petto e più aumentava, più lui sembrava soddisfatto, come se potesse realmente sentirlo e quel suo scaltro sorriso lo confermava.
Picchiettò le dita sulla superficie alle mie spalle, come se stesse contando i secondi che mi rimanevano e che lui sembrava potesse togliermi da un momento all’altro.
Mi sentivo così piccola, quasi invisibile davanti a lui, come se fossi un moscerino, solo una piccola preda che stava per essere divorata.
Non riuscivo a muovermi o a distogliere lo sguardo da lui. Era così dolorosamente vicino, solo un minimo soffio separava i nostri visi, ma lui si avvicino ancora di più. I nostri volti parvero sfiorarsi, illuminati da quei deboli raggi di sole, che facevano risplendere la sua pallida pelle. Tenevo con forza la testa premuta al muro, cercando invano la mia libertà, ma sembrava che lui non volesse concedermela.
“Vuoi sapere chi sono?”  Mi sussurrò fugace all’orecchio parole glaciali.
Mi bloccai per un attimo, mentre quell’angoscia e quella paura si fusero insieme, tanto che non riuscii a distinguere dove finisse una e dove ne iniziasse un’altra.
I suoi occhi azzurri non ardevano più minacciosi e pieni di rabbia come fino a pochi istanti prima, ma erano diversi, distinti, come se quella follia che prima gli aveva accecati ora fosse svanita.
Chiusi gli occhi quando sentii il suo viso spostarsi velocemente vicino al mio orecchio. Le palpebre mi si inumidirono di quelle lacrime che cercavano di venir fuori, ma io le ricacciavo dentro.
D’un tratto la sua mano si spostò dal muro liberandomi il passaggio, ma non riuscii comunque a muovermi, quella paura mi pietrificava.
Le sue dita affusolate sfiorarono leggere la mia collana. Trattenni il respiro per tutto quell’istante in cui le sue dita restavano su quel ciondolo, sfiorandomi distrattamente anche la pelle, che tremò sotto il suo gelido tocco e lui parve capirlo.
Si avvicino ancora di più al mio orecchio, come se stesse giocando e la punta del suo naso mi sfiorò sfuggente il lobo, facendomi rabbrividire, mentre tenevo ancora gli occhi chiusi.
“Sono solo un’altra persona da cui dover scappare”.
Quelle parole mi fecero sussultare e il mio cuore perse un battito. Il silenzio più assoluto seguì quei brevi, folli istanti.
Aprii di scatto gli occhi, facendo fuggire qualche lacrima che avevo tenuta nascosta per troppo tempo. Vidi il suo volto abbassarsi e prendere posto davanti al mio.
Abbassai velocemente lo sguardo. Non volevo vedesse le mie lacrime, la mia paura e la mia debolezza. Odiavo comportarmi in questo modo, ma non riuscivo a farne a meno.
Il mio corpo tremava, sorpassato da dei brividi invisibili, mentre il suo restava immobile, impassibile come una statua eterna, esternando la sua bellezza, talmente perfetta da far paura.
Il sole tramontò dietro le nostre teste e il buio incominciò a prendere il sopravvento, oscurando parte del suo viso, rendendolo ancor più terrificante.
Le sue dita mi sfiorarono il mento e indussero il mio viso ad alzarsi fino ad incontrare il suo.
Il suo sguardo venne attirato dalle mie lacrime che mi macchiavano il volto, ma non riuscii a comprendere se fosse felice o no, i suoi occhi non esternavano alcuna emozione.
“Perché dovrei fuggire da te?” Gli chiesi con voce tremante, trovando finalmente il coraggio di riuscire a parlargli.
Volevo sapere perché mi stava dicendo tutto questo. Forse il significato era ovvio, ma non riuscivo comunque a comprenderlo. Mi aveva salvato la vita, per quale assurdo motivo mi stava mettendo paura?
Forse l’aveva solo fatto per un suo secondo fine, del quale ne ignoravo l’esistenza. Ma per quale scopo?
Lui spostò per un attimo il viso da un lato, sorridendo paurosamente e poi tornò a fissarmi con espressione divertita, come se stesse giocando.
“Te lo lascerò scoprire da sola” mi disse trafiggendomi con lo sguardo.
Cercai di capire cosa volesse dire guardandolo negli occhi, ma quelle iridi chiare sembravano fossero lo specchio di un lago. Riflettevano solo le immagini che lo circondavano, ma non quello che sentiva e provava realmente.
Ero così concentrata sul suo viso che non mi ero accorta di come le sue fredde dita si erano avvicinate velocemente al mio volto, per posarsi leggere su quell’ultima lacrima che ancora scivolava solitaria lungo la mia pelle.
I suoi polpastrelli me l’asciugarono, accarezzandomi lievemente gli zigomi, come aveva fatto qualche giorno prima per pulir via il fango che mi aveva macchiato il viso, quando mi aveva salvata.
Chiusi gli occhi e trattenni il respiro, mentre il cuore riprese a battere più veloce di prima.
Il cielo perse una tonalità, diventando ancora più scuro e un’altra fredda folata di vento c’investì, scompigliandomi i capelli che mi ricoprirono il volto, coprendomi la visuale.
“Buonanotte sweetheart” mi disse in un sussurro che mi face tremare.
Dovette fare un passo indietro, non riuscivo più a sentire il suo freddo respiro o anche solo quella strana sensazione che mi assaliva quando si trovava accanto.
Aprii gli occhi, scostandomi i capelli dal viso, ma forse lo feci troppo lentamente. Il cuore riprese a battere normalmente e il respiro divenne regolare, come se fosse tutto tornato alla normalità.
Sbattei un paio di volte le palpebre, ancora umide per le lacrime di prima e mi rigirai tra le dita la mia collana. Forse era solo una sensazione, ma sembrava che quel ciondolo si fosse congelato.
Spostai la testa verso un lato e poi verso l’alto, ma non vidi nessuno. Tutto questo non era possibile, era tutto così assurdo.
Il buio stava ormai divorando la Terra, aspettando solo il momento in cui le tenebre avrebbero sopraffatto il cielo e gli incubi riempito quella gelida notte, ma lui era scomparso, era di nuovo svanito nel nulla, dietro quei fitti alberi che segnavano l’inizio del bosco, ma che sembrava non avessero una fine. 


Buon pomeriggio  :)
Eccomi qua con un altro capitolo. Spero di non essere risultata noiosa e ripetitiva nel descrivere le varie scene e che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Se avete qualcosa da chiedere non esitate a scrivermi, sarò più che felice di rispondervi.

Grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono e seguono la storia.
Alla prossima, ciao a tutti :)
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: _maya96_