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Autore: HippyQueen    22/11/2012    2 recensioni
"Le lezioni passano come il fuoco passa sulla pelle dei dannati: i professori mi squadrano, decidono che sono una buona a nulla che verrà bocciata e non considerata dal resto del mondo per tutta la vita e mi lasciano in disparte libera di maledirli per i loro pregiudizi."
"Forse è per questo che io e Alicia stiamo assieme e siamo innamorate; nessuna delle due ha mai avuto il coraggio di amare una persona che non potesse capire cosa significa non avere nessuno a disposizione."
"Voglio piangere e buttarmi giù da sola, senza che nessuno mi aiuti. Non ho bisogno di nessuno. Sono una vincitrice."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Bene, miei cari lettori: questo è l’ultimo capitolo della storia. Ho cercato di rispondere a tutti gli interrogativi sparsi nei capitoli precedenti, ma ci sono dei passaggi che, in futuro, mi piacerebbe approfondire. Allo stesso tempo, ho storie molto diverse che mi frullano in testa, e credo di metterle in atto presto. Vi ringrazio per avermi seguito fino a qua, sperando di non “deludere” le vostre aspettative per questo finale.
-          Hippy Queen
 
Quindici anni dopo

-          ¿Mamà? ¿Dònde estàs?
-          Oh, niña, ¡estoy aquì! – grido. Scendo dalla scala a pioli, rinunciando definitivamente a trovare quell’album da disegno che ero solita a rimpire quando avevo vent’anni. – Sono qui, bambina mia.
Mia figlia mi guarda con un broncio adorabile, i suoi occhi sono grandi e chiari; non riesco a trattenermi dal baciarle la punta del naso.
-          Sei così.. linda. – lei ride e mette le mani sui fianchi, determinata a farmela pagare.
-          Avevo paura, mamà. Non ti vedevo.
-          Non ti devi preoccupare: io non me ne andrò mai. Ci sarò sempre. Non sarai mai sola, se non lo vorrai. – le sussurro, chinandomi per guardarla negli occhi. Sfioro la mia punta del naso con la sua – Mai. – le ribadisco.
A pronunciare queste parole sento una fitta allo stomaco che provo da anni. Da quindici anni, ormai, mi rendo conto. Quindici anni, quindici anni di notti insonni, incubi ricorrenti, sempre gli stessi. Ponti, viali, New York, la Statue Of Liberty. Sempre le stesse immagini che mi svegliano di notte per farmi correre al bagno, scossa, le mani a stringere lo stomaco. Incubi che mi svegliano di notte per farmi urlare, come un’ossessa, come se fossi malata, in preda al terrore.
Ma da quando c’è la bambina, non posso più urlare. Non posso sbagliare di nuovo. Così mi nascondo, entro nella doccia, piango ogni notte. Non so cosa sia successo. Non so nulla.
Ma posso immaginarlo. Posso immaginarlo benissimo.
-          ¡Jodèr! – impreco, quando la bambina è andata nella sua stanza. Mi getto sul divano, prendo la borsa e la apro, notando il lavoro da fare.
-          Ehi. – un volto d’uomo fa capolino dallo stipite della porta. Il suo volto è abbronzato, i capelli rasati da poco, un sorriso dalla storia recente. – Ti ho portato del tè.
Mi allunga una tazza fumante ed io sorrido sotto i baffi. Annuso, è floreale. Posso scommettere che è un infuso di erbe che coltiva personalmente.
-          Allora: ora posso portare la bambina al falò sulla costa, se ti va. Così hai un po’ di tempo per te stessa, si? – mi chiede. Annuisco senza guardarlo negli occhi. Sa benissimo che crollerò non appena varcheranno la soglia.
Sono quindici cazzo di anni.
Se ne vanno lasciandomi sola ed io mi sento scivolare verso il pavimento. Appoggio la schiena al muro e mi prendo la testa fra le mani. Alzo il volume dello stereo, non voglio che nessuno sospetti. So benissimo che nessuno mi sentirà mai: vivo in una villetta solitaria, ho dei campi, sembro rimasta negli anni ’70.
Urto senza desiderarlo un cassetto, facendolo aprire. All’interno, con meraviglia, vi trovo il mio album da disegno. Lo apro, ma non posso fermare l’inevitabile.
Sono quindici cazzo di anni.
Le lacrime scendono senza che io le debba invocare. Mi bruciano le gote, le sento calorose e fiammanti; le urla mi riempiono la gola, bloccandola e togliendomi il respiro. Sento il sangue darmi alla testa.
Sono quindici cazzo di anni.
Sfoglio le prime pagine, disegni astratti di mani che stringono braccia, gambe, chiaroscuri con un retrogusto amaro e di violenza. Finché gli scenari cambiano: due labbra, due mani, due corpi adiacenti. Le forme e lo stile diventa più dolce e sofisticato, tutto prende una piega più morbida. Posso anche ricordare il cambio di mina.
Sono quindici cazzo di anni.
Riconosco il volto della persona ritratta mille volte. Foglio dopo foglio, solo lei. Espressioni diverse, diversi abiti, e non posso non piangere più forte. Liberare le urla che mi soffocano ogni giorno.
Sono quindici cazzo di anni. 
Non vedo l’unica persona che io abbia mai amato da tutto questo tempo. Non so cosa le sia successo, ma tramite delle conoscenze posso averne accesso ad una parte.
Quando sono stata coinvolta nelle lotte, sono dovuta scappare con Jason. Abbiamo sceso gli Stati Uniti, abbiamo raggiunto l’Arizona e, transitando tra il Texas ed il Messico, abbiamo assunto una nuova identità e costruito una nuova vita assieme. Io e mio fratello ora viviamo assieme. Ho una figlia adolescente e una bambina piccola, avuta tre anni fa da un ragazzo più giovane che frequentavo. Credevo che con qualcuno di più giovane fosse più facile ed io potessi, in qualche modo, rivivere ciò che avevo trascurato. Credevo di potermi innamorare di nuovo.
Ma l’amore vero è un treno che passa una volta sola nella vita, ed il mio treno si chiamava Scarlett.
Poco dopo aver raggiunto El Paso, mi sono concessa una telefonata a New York. Ho chiamato un vecchio amico, che mi ha detto di averla vista circa due giorni dopo la lotta che mi ha costretta a scappare. Gli ho chiesto di più, gli ho dato informazioni sulla scuola, volevo sapere tutto. Lui mi doveva dei favori, ed ha accettato.
Ho scoperto quindi che la sua amica, di cui mi aveva parlato alcune volte, era malata di leucemia ed è morta in ospedale, anche lei in prossimità della mia partenza. La tutrice di Scarlett, Pamela, non la vedeva da quando, una sera, l’aveva trovata stesa a terra, probabilmente in overdose. Credeva fosse scappata con me.
Non ho idea di dove sia Scarlett, ora, ma ho le mie teorie. Ogni volta che ci penso, però, è sempre la stessa storia. Le mie lacrime mi piegano e non mi lasciano via d’uscita. È tutta colpa mia. Ho causato un dolore insopportabile alla persona che amavo, che mi amava. Non amerò mai nessuno come ho amato lei, e non farò mai a meno delle mie promesse. Ogni risata per me è una fitta allo stomaco. Cerco di godermi la vita e la gioia perché è ciò che lei avrebbe voluto io facessi, ne sono sicura. Avrebbe voluto che io crescessi le mie figlie con sani principi, che educassi le ragazze insegnando loro l’inglese e la retta via. Sono una professoressa rispettabile, ma l’ombra di ciò che io e Scarlett eravamo, nelle ragazzine ribelli mi ricorda del nostro amore.
L’unica cosa che posso sperare è che Scarlett, ovunque lei sia ora, sia finalmente in pace con sé stessa.
 
  
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