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Autore: fiammah_grace    22/11/2012    1 recensioni
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"Se solo Jill avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato tutt’altro che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo, sarebbe caduta in un incubo ancora peggiore.
Il rumore della pioggia era incessante.
L’uomo dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che bagnasse il suo volto.
I capelli scomposti, ritornarono indietro appesantiti dall’acqua.
Il berretto della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo viso addormentato.
Wesker, a quel punto, avanzò nella foresta, riprendendo del tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la donna seguì il suo carnefice, trasportata nei meandri del suo peggior incubo. Frastornata e agonizzante, era ancora in balia del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert Wesker già progettava come attuare la sua vendetta."
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Albert Wesker, Jill Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 

 
CAPITOLO 11
 
 


Questa storia avversa e spietata si è ritorta contro di noi in maniera irreversibile, rendendoci qualcosa che non abbiamo potuto scegliere di essere.
Talvolta mi chiedo se questa stessa Jill Valentine non sia già morta.
Il mio cuore è serrato, il mio animo è oramai perduto. Non sento più nulla, un enorme vuoto mi pervade…
Osservo il mondo che mi circonda, e mi addolora costatare che io non sia l’unica a sentirmi così.
In tutto questo, ovunque mi volti, rivedo il tuo volto, causa del pandemonio di questa mia vita.  
Non potrò mai perdonarti…!
Se solo le cose fossero andate diversamente, avrei potuto amarti? Probabilmente no.
Perché io non sarei stata questa Jill, e tu non saresti stato questo Albert Wesker.
 

 
Jill e Wesker procedettero per delle rovine.
Avevano lasciato il laboratorio abbandonato da circa due ore, e da allora il silenzio era regnato fra loro. Nessuna parola, nessuno sguardo, nessun gesto. Cosa avrebbero dovuto dirsi, in fondo?
Wesker continuò con le sue ricerche, con l’intento di raccogliere dei campioni Uroboros dai corpi presenti su quell’isola.
All’insaputa della donna dai capelli biondi, erano stati condotti proprio lì alcuni esprimenti sul nuovo virus creato in collaborazione con la casa farmaceutica Tricell, di cui era amministratore Excella Gionne.
Tuttavia, a causa di un incidente, i soggetti infettati dal virus erano finiti fuori controllo, e così adesso quel laboratorio era stato abbandonato da un po’.
L’uomo vestito di nero voleva assicurasi quindi su ciò che era rimasto ancora incustodito, approfittando di quell’ispezione per sperare di trovare anche qualcosa su Spencer. Tuttavia tutto era andato realmente perduto a Raccoon City.
Per lui fu davvero frustrante accontentarsi solo di quei pochi frammenti a lui pervenuti sul reale operato di quell’uomo. Aveva sperato di scoprire qualcosa sul quel maledetto progetto di cui lui era l’unico esperimento sopravvissuto…
La sua ricerca avrebbe in ogni caso continuato.
Seppure la sua mente cominciasse a vacillare, egli rimaneva un uomo dal temperamento freddo e calcolatore. Era quindi in grado di mandare avanti il suo piano senza problemi, nonostante i suoi turbamenti.
Si voltò appena verso Jill, che lo seguiva scavalcando le macerie delle rovine sulle quali erano giunti.
Rimase a guardarla senza troppi convenevoli, nascosto dalle lenti degli occhiali.
Il suo viso era serio e spento per via del P30 che inibiva i suoi sensi. I capelli pallidi, così come la pelle, le conferivano un aspetto fragile e delicato, eppure ella era una donna forte, dalle strabilianti qualità combattive.
Quell’insieme di forza e femminilità erano rare da vedere, forse era proprio questo ciò che lo aveva colpito di lei.
Tuttavia non diede a vedere nulla di quei pensieri, ben più concentrato sul da farsi.
Avrebbe solo voluto poter parlarle un’ultima volta prima di tornare nel laboratorio della Tricell.
Jill intanto raggiunse Wesker, chiedendosi perché la stesse guardando così insistentemente.
Lo vide poi accennare un sorriso.
“Voglio mostrarti una cosa.” disse lui.
 
***
 
Un elicottero giunse a prelevarli.
Il volo durò poche ore, ma persino Wesker sembrava impaziente di giungere a destinazione, nonostante, a occhio esterno apparisse del tutto rilassato.
Che cosa volesse mostrare a Jill, non era ancora stato rivelato.
La donna quindi dovette pazientare tutto quel tempo, prima di accorgersi che stessero sorvolando un cimitero.
Con la coda dell’occhio sbirciò fuori, non aspettandosi per niente che lui la portasse in un luogo simile.
Il cuore cominciò a battere, spaventata da cosa volesse mostrarle portandola in un posto simile.
Scesero di quota e insieme, una volta scesi, s’inoltrarono in quel verde prato, appena offuscato dalla nebbia mattutina.
Le eliche dell’elicottero scomposero le loro figure, facendo ondeggiare i biondi capelli di Jill e il cappotto scuro di Wesker.
Si allontanarono, ma il vento soffiava comunque forte in quella fredda mattina nuvolosa, ove vigeva un’atmosfera spettrale nonostante fosse giorno.
I raggi del sole trafiggevano le nubi, illuminando così alcune tombe, il cui marmo bianco inscurito suscitava angoscia nei visitatori che le osservavano.
Era come se esse volessero rendere consapevole il momentaneo passante che la morte fosse un destino che tutti al mondo avrebbero condiviso. Per questo, scorrere gli occhi sugli epitaffi e su quei tanti nomi, non poteva non suscitare un senso di vicinanza e di oppressione.
La morte sgomenta chiunque, essendo un viaggio di non ritorno, ignoto a chi è in vita. Tuttavia Jill aveva conosciuto destini persino peggiori della morte stessa.
Ella camminò silenziosa, rispettosa dei corpi lì sepolti, seguendo Wesker che, marciando con passo sicuro, vestito di nero, con quell’aria glaciale e indifferente, sembrava un tenebroso tristo mietitore.
Lo vide girare la testa alla ricerca di qualcosa, così anche lei prese a scrutare attentamente i nomi incisi sulle lapidi, ma per fortuna nessuno le fu familiare.
A un certo punto, lui si fermò e attese che la sua ‘vittima’ lo raggiungesse.
Egli rimase immobile, alzando appena l’indice verso una pallida tomba dall’aria recente, ove erano poggiati dei fiori freschi.
Jill si avvicinò lentamente, come impaurita di scoprire cosa l’uomo vestito di nero le stesse per mostrare. Abbassò gli occhi e, mentre si affiancava a lui, scorse la scritta che era incisa su quella tomba bianchissima.
 

In Ever Loving Memory of Our Dear
BSAA
Jill Valentine
1974-2006
 
(…in Memoria della nostra cara Jill Valentine BSAA - 1974 – 2006)
 

La donna schiuse appena la bocca leggendo quelle parole.
Vedere il suo stesso nome su quel marmo bianco le fece gelare il sangue, e provare commozione allo stesso tempo.
“Chris…” pensò, potendo immaginare perfettamente il suo compagno aver eretto quella lapide.
I suoi occhi si inumidirono impercettibilmente, realizzando forse per la prima volta che egli, e tutta la BSAA, la credessero morta.
Lesse quella data…1974-2006.
Era già passato un anno dalla sua morte presunta, e quei fiori poggiati sulla sua tomba erano ancora freschi…e bellissimi.
Si sentì venir meno, il suo corpo stesso voleva cedere a quell’attimo di turbamento.
Wesker osservò con lei quella tomba, assorto nei suoi pensieri.
Estrasse poi dalla tasca il dispositivo che controllava il marchingegno impiantato sul petto di Jill, e inaspettatamente decise di far cessare gli impulsi del P-30.
La donna cadde quasi a terra, essendo completamente in balia dei suoi sentimenti e di quella sostanza.
Poggiò le mani sul prato umido, poi si voltò verso Wesker, quasi non potendo credere che lui l’avesse liberata da quel vincolo.
I suoi occhi azzurri, languidi, si specchiarono in quelle lenti scure, e per una volta fu Wesker a distogliere lo sguardo.
“Prenditi il tempo che ti serve. Non sprecarlo.” disse lui con tono basso, sedendosi sulla tomba alle sue spalle, adagiando i gomiti sulle ginocchia.
Jill tornò ad osservare la sua lapide, questa volta padrona dei suoi movimenti.
Toccò il freddo marmo con la punta delle dita, per poi poggiarvi tutta la mano.
Premette appena, potendo quasi sentire l’amore dei pochi amici rimasti al suo fianco il quel mondo devastato.
Socchiuse gli occhi, abbandonandosi a quel momento soave, silenziosa e assorta.
L’uomo rimase tutto il tempo a fissarla, non pensando a nulla, come se anche lui avesse desiderato quell’attimo di quiete assoluta.
Vide la bionda prendere in mano i fiori lasciatole da qualche amico che aveva voluto renderle omaggio, donandole un ricordo. Probabilmente erano di Chris Redfield.
Stette, dunque ben attento che Jill non vi nascondesse alcun indizio da far pervenire al suo odiato rivale.
Tuttavia lei si limitò unicamente a sfiorarli, annusandone il loro delicato profumo.
L’uomo vestito di nero sembrò turbato da quel delicato gesto.
Provò fastidio nel vederla così assorta e desiderosa di stabilire un contatto con l’uomo che invece la credeva morta.
Senza neanche accorgersene, strinse in un pugno un lembo di stoffa del pantalone, irritato.
La bionda d’improvviso si girò appena verso Wesker.
Lui la guardò vitreo, senza mostrarsi partecipe di quel momento che, in fondo, era soltanto suo.
Vide le sue carnose e pallide labbra schiudersi, facendo per sussurrargli qualcosa.
“Posso…prenderne uno?” disse con un filo di voce, quasi come se riuscisse a parlare a stento, mentre teneva tra le dita lo stelo di uno dei fiori.
Wesker, rapito da quell’immagine e dai suoi occhi puri e sinceri, s’intenerì stranamente.
Fece un ghigno e le rispose placido.
“Fa pure.” disse, e la ragazza sfilò quel fiore candido dal mazzo, portandolo a sé.
In seguito si alzò, poggiando il resto dei fiori di nuovo sulla tomba. Si voltò poi definitivamente verso Wesker.
Egli la guardò, seduto ancora sulla lapide, con il suo solito ghigno stampato in faccia, eppure più serio.
Jill stette in piedi di fronte a lui, accarezzando delicatamente il fiore bianco fra le sue dita.
“Siamo morti entrambi, Jill.” disse all’improvviso lui. La donna lo ascoltò attentamente. “Teoricamente, è nostra facoltà ricominciare da zero le nostre vite.”
La bionda lo guardò intensamente, come pochi osavano fare con lui, e stranamente gli sorrise.
Nonostante fosse più un sorriso malinconico.
“In teoria…” sussurrò, in risposta alla sua costatazione.
Wesker sfilò gli occhiali e decise di mostrarle i suoi occhi, macchiati irreversibilmente dalle sue colpe, ove era impresso il simbolo di ciò che aveva fatto e ciò che era diventato.
I due così si guardarono dritto nelle loro iridi per diversi secondi, mentre il vento mosse i capelli sottili di lei.
“…tuttavia dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché tornerei comunque a cercarti, per fartela pagare.”
Aggiunse infine, terminando la frase, mostrando la fierezza nei suoi occhi.
A quella risposta, Wesker sorrise, in qualche modo consapevole che avrebbe detto qualcosa di simile.
“Suppongo sarebbe lo stesso anche per me.”
Ammise, poi si alzò ed insieme abbandonarono il cimitero.
Mentre fecero per risalire sull’elicottero, Jill guardò dietro di sé.
Riosservò il fiore bianco fra le sue mani e decise di risparmiargli la vita in quell’inferno nel quale, presto, sarebbe tornata. Così si chinò e lo piantò nel terreno.
Magari non avrebbe messo radici, tuttavia, tornando alla sua amata terra, quel fiore avrebbe comunque ritrovato casa, assaporando la libertà.
In balia del vento, poi, risalì sull’elicottero ed aspettò che Wesker riattivasse il dispositivo sul suo petto.
Mentre ritornava sotto il controllo del P30, Jill chiuse gli occhi, accarezzata da quella fredda brezza mattutina.
Oramai lontano da loro, il fiore ondeggiò mosso dal vento, come traccia della donna a cui era stato donato, e che era in realtà viva.
 
Sull’elicottero, Wesker guardò al di là del vetro, soffermandosi sull’immagine del sole oramai alto.
Jill, di fronte a lui, stette immobile a osservarlo, mentre il suo sguardo diveniva sempre più vago ed indefinito.
Improvvisamente le labbra dell’uomo si mossero, e parve come recitare qualcosa, mentre era assorto solitario nei suoi pensieri cupi.
Domani, domani, domani,  si insinua a piccoli passi giorno per giorno,  fino all'ultima sillaba del tempo prescritto;  e tutti i nostri ieri hanno indicato ai folli la strada verso una morte polverosa. Consumati, consumati, corta candela! La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita, pavoneggia la sua ora sul palco,  e poi non se ne sa più niente. È un racconto, narrato da uno stupido chiassoso e furioso, che non significa niente.
Pronunciò lentamente, con tono grave, voltandosi soave verso la bionda. “Macbeth, atto quinto, scena quinta. ” aggiunse.
In mente sua, Jill si chiese se davvero quell’uomo ne sapesse di opera o poesia. Tuttavia non se ne curò molto e riprese a guardare al di fuori del finestrino, non sentendosi minimamente in vena di assecondare quel discorso. Inoltre, il P-30 nel suo corpo aveva bloccato ogni sua possibile reazione, dunque in ogni caso non avrebbe potuto far nulla.
Wesker sorrise.
Leggermente malinconico, tornò silenzioso, avendo sperimentato sulla sua pelle quanto il passato potesse maledire il presente ed il futuro di un essere umano. Quanto davvero la vita non fosse che un soffio, talvolta stupido e fugace, celato in un’ombra di cui, dopo la morte, non si sarebbe più saputo nulla.
La vita, infondo, altro non era che un cammino verso quella morte polverosa che inesorabilmente avrebbe intaccato anche lui.
Ogni giorno, passo dopo passo, essa si avvicinava.
Egli, come pochi uomini, aveva ricevuto il potere di scrivere la storia di questo pazzo mondo; poteva cambiare il suo destino e quello di chiunque, ma, tuttavia, non si sentì mai più vicino alla morte come allora.
‘Destino beffardo per colui che è un dio…’
Ripensò a quella frase, che adesso poteva comprendere nel suo significato più crudo e lacerante.
Già… perché era proprio quella la ‘beffa’ della vita...
Potenti, oppure fragili, tutti gli uomini condividevano lo stesso fato...anche lui. Anche Albert Wesker,
Guardò fugacemente verso Jill.
Mai più avrebbe rievocato quel destino infausto comune in qualche modo ai due.
Una volta rientrato nei laboratori della Tricell, avrebbe continuato a lavorare sui suoi piani senza indugio, esattamente come se nulla fosse accaduto.
Questo era il suo volere, e niente l’avrebbe intralciato.
Soltanto la morte stessa avrebbe potuto fermarlo, essendo probabilmente l’unico nemico che potesse guardarlo dritto negli occhi.
Eppure, anche in qual caso, il fatale mietitore avrebbe trovato pane per i suoi denti.
Chiuse dunque gli occhi, pronto a rivolgere la sua mente altrove, lontano da quei disturbi, lontano dalla follia che l’aveva irrimediabilmente maledetto.
 
***
 
Una volta arrivati all’eliporto, ad attendervi vi era Excella Gionne.
Ella stringeva una valigetta fra le mani e osservò Wesker arrivare impazientemente.
L’uomo, seguito dalla bionda Jill, si affiancò ad Excella, la quale esibì un sorriso molto spontaneo, felice di rivederlo.
“Bentornato, Albert. Hai fatto buon viaggio?” disse avvicinandosi a lui suadente.
“Come procedono le cose?” invece tagliò corto lui, rifiutando quei convenevoli e avviandosi dentro l’edificio.
Jill assistette a quella scena, notando come Wesker fosse gelido con quella donna che palesemente cercava di stabilire un contatto con lui. Lì per lì però ne fu fiera, dato che ella era fin troppo ammiccante con lui.
Non che gliene importasse…
Excella, dal canto suo, mise le mani sui fianchi, infastidita che lui non l’avesse neppure salutata. Dovette tuttavia reprimersi e tornare alla sua domanda.
“Sì, tutto bene. Ho convocato Irving, credo abbia concluso qualche buon affare. Lo vedo proprio adesso.”
Wesker si fermò.
“E’ qui?” chiese freddo.
Excella annuì. “Sì, l’ho fatto accomodare in ufficio. Vuoi vederlo?”
A quelle parole, l’uomo vestito di nero parve adirarsi, tant’è che guardò la donna molto severamente.
Ella sbandò di colpo, incrociando i suoi occhi impetuosi.
“Non devi far entrare nessuno qui dentro, meno che un rapace come lui. Ero stato molto chiaro.”
La donna dai capelli scuri si agitò, sentendosi in difficoltà.
“S-scusami. Pensavo che…”
“Pensare? Ti ho mai chiesto di pensare?” detto questo, proseguì dritto dinanzi a se, raggiungendo l’ascensore.
Jill, obbligata a seguire Wesker dagli impulsi del P-30, buttò velocemente un occhio verso Excella, che sembrava davvero ferita da quelle parole.
Provò pietà per lei, riflettendo sul fatto che probabilmente non aveva ancora capito che tipo di uomo fosse Albert Wesker.
Excella intanto strinse i pugni e corrucciò il viso, assumendo poi un’espressione arrogante.
“Lo vedrai, Albert. Non sono quella che credi. Non atteggiarti già da padrone del mondo.”
 
Raggiunsero gli uffici.
Jill trovò angosciante ritrovarsi di nuovo in quei laboratori.
Respirare aria fresca, essere stata in qualche modo lontana da quella realtà, le aveva giovato, nonostante le cose non fossero andate come sperava.
Dunque percorrere quei claustrofobici corridoi, fece palpitare il suo cuore, in preda all’ansia e al turbamento, sebbene ad occhio esterno ella appariva fredda e inespressiva.
Sempre per il volere del P-30, ovviamente.
Wesker aprì una porta e si ritrovò in un ufficio molto ampio, arredato con due divani di pelle posti l’uno di fronte all’altro.
Ad affacciarsi da dietro lo schienale di uno di questi, fu un uomo dall’aria rozza, con i capelli castani, e aveva addosso una vivace camicia colorata.
Appariva abbastanza eccentrico solo a guardarlo.
I suoi occhi tondi e provocatori squadrarono Wesker da testa a piedi, per nulla riguardoso.
Egli fece un sorriso a trentadue denti, alzando la mano in segno di saluto.
L’uomo dai capelli biondi non si scompose. Incrociò le braccia e, col volto serio e tenebroso, si postò di fronte a lui.
“Oh, Albert Wesker. Che impressione vedere il grande capo qui, ehehe..! La vedo in forma.” disse il moro con fare colloquiale, emettendo una risata cavallina.
Excella si avvicinò e si mise fra i due.
“Egli è Ricardo Irving. Sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju della divisione sviluppo e risorse.” spiegò, prendendo poi posto di fronte a Irving.
Ricardo guardò appena verso Excella, passando la lingua fra i denti, poi tornò a Wesker, decisamente incuriosito da quell’uomo.
Allungò una mano in sua direzione per salutarlo, non essendosi ancora mai visti di persona, sebbene avessero già lavorato assieme da quando Wesker era nella Tricell.
Tuttavia l’uomo vestito di nero non ricambiò, costringendo così Irving a indietreggiare.
Da quel modo di fare superbo ed autoritario, Irving comprese velocemente che tipo di persona fosse, per cui si riadagiò sul divano senza insistere ulteriormente.
“So bene quanto costi mandare avanti queste ricerche. Sono un afferrato uomo d’affari, io.” disse decidendo di andare al sodo, accese poi una sigaretta.
“Dunque? Di cosa si tratta? Ve lo chiedo, ma la fanciullina lì dietro non vorrei origliasse troppo.” Aggiunse poi, girando con fare invadente gli occhi verso Jill.
“Non lo reputerei un problema. Proseguiamo. Abbiamo già ricevuto qualche proposta?”
Intervenne prontamente Wesker, non gradendo per nulla l’atteggiamento sfacciato dell’uomo di fronte a sé. Lui che, invece, seppur privo di scrupoli, era l’emblema dell’eleganza e della perfezione.
Irving accavallò le gambe sgraziatamente e cacciò il fumo, spegnendo poi nevrotico la cicca nel posacenere.
“Altroché. Ho reinvestito il denaro tramite i miei contatti. In questo settore posso muovermi abilmente. Ora possiamo dedicarci alla creazione di nuove armi biologiche senza ostacoli finanziari.” proclamò ridente e pieno di se, come fosse in preda all’estasi.
Excella lo guardò severa.
“ ‘Possiamo’ hai detto?” puntualizzò severa. “Questa questione non ti riguarda, Irving. Stai al tuo posto.” lo rimproverò senza indugio, al che l’uomo si risentì.
Egli odiava quell’atteggiamento dispotico da parte di Excella.
Sebbene fosse un suo sottoposto, era grazie a lui che lei aveva potuto garantirsi i soldi per la ricerca. Questo perché Ricardo Irving ufficialmente era il sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju.
In realtà però egli era un terrorista pluri-ricercato che rivendeva al mercato nero le B.O.W., ricavandone un profitto enorme da reinvestire all’interno della Tricell Pharamceutical Company, in modo da finanziare le costose ricerche su Uroboros.
Dunque, se non fosse stato per lui, potevano considerarsi nella merda, quei due.
Per questo sbuffò e si sentì offeso da quel modo di fare sempre pronto a sottometterlo.
Odiava essere guardato dall’alto in basso. Potevano andare al diavolo!
Digrignò i denti e buttò la testa all’indietro, infierendosene del fatto che, al contrario di lui, Wesker ed Excella fossero molto seri e composti.
“Affido a te quest’aspetto del piano. La massima discrezione, Excella, mi raccomando.” disse all’improvviso Wesker.
“Conta pure su di me.” rispose lei, poggiando una mano sulla sua spalla, approfittando subito di quell’attimo per riavvicinarsi a lui.
Irving li guardò incuriosito, fantasticando nel vedere la donna così ammiccante. Tuttavia, prima che potesse azzardare qualche pettegolezzo, Wesker prese nuovamente parola.
“Ora va. Porta anche lei con te.” disse rivolgendosi alla bruna.
Excella si voltò di scatto, prima verso Jill, che era in fondo alla stanza, poi verso Wesker.
“Cos…?” obbiettò, ma Wesker la bloccò severo, osservandola dalle lenti nere.
“Ci sono problemi?”
La donna si ammutolì e dovette obbedirgli. Così si alzò e andò verso la bionda.
“Avanti, seguimi.” ordinò, visibilmente infastidita.
Jill dovette per forza abbandonare la stanza assieme a lei, mentre la sua testa era ancora rivolta a quella conversazione.
Ricardo Irving…lei sapeva perfettamente chi fosse. La BSAA lo ricercava da tempo!
Ed eccolo lì che, casualmente, patteggiava proprio con Wesker.
Quel quadretto fu disgustoso.
Dovette però seguire Excella, non potendo approfondire quella questione, temendo i progetti che menti come quelle avrebbero potuto elaborare.
Un uomo privo di scrupoli attaccato al denaro, ed un altro, folle e schiavo dell’Umbrella…
Qualunque cosa sarebbe potuta accadere.
Intanto Irving poggiò le braccia sulle ginocchia e guardò Wesker intrigante.
“Parliamo tra uomini, dunque.”
“Ebbene, voglio discutere sulle nostre vendite.” spiegò Wesker accendendo anch’egli una sigaretta, mentre la porta della stanza veniva chiusa, celando l’esistenza di quella discussione a chiunque, al di fuori di loro due.
 
***
 
La donna dai capelli neri mormorò qualcosa mentre si inoltrava fuori dalla stanza.
“Muoviti!” disse poi, volgendosi verso Jill.
Le due attraversarono tutto il corridoio, per poi dirigersi nei pressi dell’ascensore.
Una volta giunte al piano selezionato da Excella, ella la condusse in un laboratorio, ove le ordinò di prendere parte all’esperimento da loro condotto in quel momento.
Jill si guardò attorno, fungendole da assistente, e ben presto si rese conto di dove fosse per davvero.
Quell’ambiente buio, illuminato dalla luce artificiale fin dal primo mattino, pieno di macchinari dalla funzione sconosciuta, trasmetteva un senso di oppressione e la mise in allarme.
Approfittando del fatto che la maggior parte dei presenti in quella stanza fossero occupati nelle loro faccende, ella sbirciò verso dei documenti poggiati su una scrivania.
Fra tutti, un file con su scritto “Uroboros” attirò la sua attenzione, il progetto che aveva sentito nominare da Wesker.
Il documento sembrava raccogliere i risultai di qualche test, per cui, senza neanche accorgersene, prese a sfogliarlo.
Sbandò quando vide una sua stessa fotografia applicata sul fascicolo, che la rappresentava mentre era immersa in un liquido in una vasca di vetro.
Incapace di credere a quel che i suoi occhi stavano vedendo, le ci vollero una manciata di secondi per collegare il nome di quella cartella a se stessa.
Tuttavia dovette apparire più disinvolta possibile, perché Excella si stava avvicinando di nuovo. Così abbassò la mano, ma con la coda dell’occhio continuò a sbirciare il file lasciato aperto.
Piuttosto, un altro particolare attirò in seguito la sua attenzione.
Ella era riuscita a compiere quel movimento di sua volontà… aveva visto quel documento e le sue azioni avevano risposto ai suoi impulsi. Come era stato possibile?
Si fermò a riflettere, cercando di non dar a vedere il suo stato di inquietudine.
Il P-30…davvero non faceva effetto su di lei come aveva detto Excella a suo tempo? Questo… nonostante Wesker avesse aumentato ulteriormente la dose, dopo la sua ultima ribellione?
Ricapitolò dunque la situazione, cercando di far mente locale sulla sua soggezione a quella sostanza.
Non poteva trasgredire gli ordini di Wesker, ne scappare. Questo era ovvio.
Tuttavia comprese che, in fin dei conti, seppure fosse soggiogata completamente al P-30, manteneva ancora una minima autonomia di azione… seppur veramente esigua.
Bastava, dunque, che non si ribellasse a Wesker, e il P-30 non avrebbe fermato del tutto le sue azioni.
Dover stare molto attenta, però.
Doveva, infatti, capire come sfruttare questa carta.
Se nessuno si fosse accorto di nulla, avrebbe potuto essere molto fruttuoso per lei.
Si nascose così dietro uno sguardo vago, intanto che meditasse come comportarsi.
Nello stesso tempo, la donna dai capelli neri buttò un occhio sul dossier aperto di fronte a Jill.
Ridacchiò fastidiosamente, notando che la bionda l’avesse notato.
“Oh, che sbadata! Lasciare questi documenti alla tua portata.” disse canzonatoria.
A quel punto, Excella prese a scrutarla con fare intimidatorio, atteggiandosi da gran donna. Cominciò a muoversi attorno a lei, e il suo sguardo si fece diabolico.
Jill cominciò a credere che l’avesse scoperta. Per fortuna così non fu.
Vide la bruna parlarle in modo provocante, come vogliosa di metterla alla prova. Infatti, dopo averla scrutata in quel modo, la donna dai capelli neri si avvicinò ulteriormente mettendosi a faccia a faccia a lei. Si poggiò sulla scrivania premendo le mani su quei fogli.
“Suppongo che tu non sappia perché sei davvero qui, vero, Jill Valentine?”
Jill dovette sforzarsi di rimanere immobile. La sua recita doveva essere assolutamente credibile.
Non voleva essere tradita dalle sue emozioni.
D’altra parte quel discorso la incuriosì e si chiese se quella donna non potesse renderla partecipe di qualche particolare interessante. Tuttavia, ciò che avrebbero pronunciato quelle carnose e lucide labbra, avrebbe preferito non saperlo.
“Sei solo un soggetto particolarmente resistente. Tutto qui.” disse trafiggendola con i suoi occhi glaciali. “La Stairway to sun, una pianta mortale per l’uomo e necessaria per le nostre ricerche, stranamente non ha effetto su di te. Studiandosi, abbiamo scoperto che la causa sono i tuoi anticorpi, che si sono rinforzati grazie al Nemesis. Lo sapevi?” ridacchiò, inclinando la testa indietro.
Portò una mano sulla bocca, facendo finta di riuscire a trattenere a stento le risate. Quell’atteggiamento fu molto irritante.
Ella poi riprese a parlare.
“La tua importanza consiste in questo. Comprendi?” fece una pausa, necessaria per mandare nel subbuglio più completo la mente già devastata di Jill Valentine.
“Grazie ai tuoi anticorpi, abbiamo potuto testare il nostro prodotto ed adesso…oramai siamo vicini a far partire il nostro piano.”
Come se già non fosse stata chiara, Excella ribadì ancora il concetto, ben attenta a violentare ulteriormente la mente della bionda.
Grazie a te, questo è stato possibile, agente della Bioterrorism Security Assessment Alliance.” sogghignò crudelmente.
Jill si sentì quasi venir meno. Che cosa stava insinuando quella donna?
Il problema era che non stava affatto ‘insinuando’.
La stava rendendo partecipe di quella che era la realtà.
Jill Valentine aveva permesso il perfezionamento del virus che ben presto sarebbe stato lanciato sul mercato nero: Uroboros.
Lei che aveva dedicato tutta la sua vita a combattere il bioterrorismo… lei che aveva inseguito Wesker, uno dei maggiori artefici di tutto questo… adesso aveva fatto parte di quel crudele e folle progetto, destinato a condannare nuovi innocenti a quella tremenda sorte.
Gli occhi della bionda tremarono. Tremarono di paura.
Excella rise, compiaciuta di averla turbata, ma non era ancora soddisfatta. Infatti le sfiorò l’orecchio con le sue seducenti labbra e vi sussurrò lentamente.
“Esatto. Grazie a Jill Valentine abbiamo creato Uroboros. Ihihih..!” rise fastidiosamente sul suo collo.
A quel punto si allontanò da lei, continuando a sghignazzare per conto suo.
“Cosa credevi? Se Albert ti ha lasciato vivere, è solo per questo. Sei stata molto utile, mia cara.”
Jill strinse gli occhi, dovendo lottare contro se stessa per rimanere immobile.
Che in cuor suo sapesse che Wesker l’avesse salvata quella notte per un qualche interesse, questo era scontato. L’aveva sempre saputo.
Tuttavia i toni irritanti e provocatori di Excella l’avevano trafitta, rendendola arrabbiata e vulnerabile.
Ripensò a quanto era accaduto durante il viaggio che avevano affrontato nei precedenti due giorni, a se stessa, al capitano che un tempo ammirava, a quella prigionia in quel posto malato, ma anche a quando lui l’aveva protetta, a quando l’aveva baciata…
A quel ricordo, il suo cuore si straziò inevitabilmente.
Non aveva alcun senso ingannarsi ancora in quel modo.
Sapeva fin dall’inizio che non poteva sperare di credere a quegli occhi, a quelle labbra che inspiegabilmente avevano toccato le sue in un disperato desiderio di umanità…per questo aveva deciso di combattere contro i suoi sentimenti, per seguire la ragione, per seguire il suo istinto di sopravvivenza, cosciente del fatto che lui non fosse colui che lei credeva.
Ma ciò non era stato sufficiente per aiutarla a reggere quel colpo.
Era tutto insensato, tutto così privo di congruenza. Ogni cosa che accadesse fra lei e Wesker, li avvicinava e allo stesso tempo apriva una voragine sempre più profonda.
A quel punto, Jill si sentì soltanto una pedina…egli l’aveva usata, ed adesso si ritrovava a far parte di quel complotto senza neanche poter reagire.
Anzi…era stata proprio lei a permettere l’abominio che presto sarebbe stato scagliato contro l’umanità.
Wesker…possibile che un solo uomo, un solo nome, potesse essere l’emblema di un male incontrollabile, che aveva dannato e stregato non solo la sua mente, ma anche la sua interra esistenza?
Quell’incubo avrebbe mai avuto fine?
Si sentì distrutta dentro, lacerata da quegli ultimi minuti che, sommati ai mesi trascorsi lì dentro, oramai avevano straziato la sua mente.
Avrebbe voluto urlare, spaccare tutto, uccidere chiunque fosse lì presente e che collaborasse alla realizzazione di tale abominio.
Ma non poteva…non poteva far nulla.
Doveva quindi sforzarsi di rimanere calma e cosciente quanto più possibile, se voleva ancora combattere.
Non avrebbero fatto di lei un giocattolo, non doveva permetterlo.
In quell’istante comprese che tutto dipendeva da lei.
Aveva scoperto di avere relativamente ancora controllo di se, essendo riuscita a respingere in parte gli impulsi del P-30.  
Doveva dunque essere forte e giocarsi il tutto per tutto, anche a costo di assecondare quelle persone prive di scrupoli pur di venire a capo di quel piano.
Il suo obiettivo era uno: distruggere il progetto Uroboros; e aveva una sola possibilità per farcela:
La sua unica speranza…era riuscire a contattare Chris Redfield, in qualche modo, e smontare così quell’orrendo e diabolico piano, ove un nuovo virus era pronto per essere diffuso nel mondo.
Solo non sapeva che era oramai troppo tardi.
Intanto, Excella Gionne riprese ad osservarla. Appoggiò la penna che aveva in mano sulle labbra, riflettendo su qualcosa.
Poi, d’improvviso parlò.
“Vuoi vederlo? Il virus…Uroboros.” sorrise.
Jill, seguendo lo sguardo di Excella, si accorse del vetro posto infondo alla stanza.
Si voltò appena e, quel che vide, non erano che i suoi orrori tornati a perseguitarla ancora una volta.
 
***
 






 
Salve a tutti!^^
Lascio giusto qualche pensiero post capitolo!
Come avrete notato, il capitolo è diviso in due fasi: l’abbandono dell’isola e la visita al cimitero; poi il rientro nella Tricell, nella sede di mia invenzione.
Riguardo la prima parte, era importante per me chiudere la parentesi lasciata aperta nello scorso capitolo. Ovvero concetti concernenti la morte, la fragilità della vita, ma anche l’ambiguo e contrastante rapporto che vige fra i due “antagonisti”.
Le parole di Jill spero vi colpiscano, perché racchiudono quel che io penso su di loro:
“In teoria…tuttavia dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché tornerei comunque a cercarti, per fartela pagare.”
Entrambi sono intrappolati in un dramma senza via d’uscita. Da una parte il desiderio di buttarsi tutto alle spalle, ma anche l’impossibilità di farlo, intrappolati in un rapporto che esiste proprio per quel che è successo fra loro.
In un’altra vita si sarebbero amati? Probabilmente no…perché sarebbero state altre persone.
Se si lasciassero tutto alle spalle, potrebbero ricominciare le loro vite? No…perché entrambi tornerebbero sui propri passi, ormai impegnati anima e corpo nella loro lotta personale.
Un rapporto che, dunque, quando trova i suoi punti di unione?
Quando abbandonano per un istante loro stessi…prima di ricordare cosa sono davvero.
E’ questa la drammaticità del loro rapporto intrigante e crudele.
Desideravo inoltre riuscire ad inserire nella mia fanfiction la famosa tomba di Jill, che per mesi ha allarmato quasi tutti i fan di resident evil.
Gli spunti dello scorso capitolo mi hanno aperto le porte a questa scena, permettendomi di collegarmi ai pensieri di Wesker sulla morte stessa, anticipati nello scorso capitolo.
Voglio riportarvi una mia convinzione:
Io sono del parere che Wesker abbia pianificato la sua morte stessa in re5.
Quindi nella mia fanfiction egli spesso pensa a questo tema, rendendosi conto quanto questo destino sia vicino persino a uno come lui…
A tal proposito la citazione di Macbeth, opera teatrale di Shakespeare, è voluta proprio per sottolineare alcuni temi.
Un po’ come apprendiamo dallo studio del pessimismo cosmico di Leopardi, la vita non è altro che un cammino verso una tomba…verso quella morte polverosa recitata anche nei versi di Shakespeare.
Questa realtà comincia a colpire persino Wesker, colui che si è eretto a dio di questo mondo.
Egli sa, da scienziato, che non potrà sottrarsi a questo destino, dunque comincia ad elaborare la sua morte più di quanto un occhio esterno potrebbe comprendere…e questo sarà un tema che sarà ripreso nei capitoli a venire. Perciò non mi dilungo, preferisco farlo tramite la mia fanfiction.
Una piccola curiosità, ero davvero indecisa sulla scelta del brano da far recitare a Wesker. E’ stato molto faticoso scegliere!
Alla fine, l’indecisione era caduta su due brani: Macbeth (scenaV, attoV) di Shakespeare, e un pezzo tratto dall’Elegia di Thomas Gray. Questo:
“ ‘ Chi mai, in preda al silenzioso Oblio, ha rinunziato al proprio caro trepido essere, e ha lasciato i caldi confini ridenti della vita, senza  un lungo sguardo di brama e di rimpianto?
L’anima che se ne va, si affida a qualche petto affettuoso e gli occhi che si spengono chiedono qualche pia lacrima. Anche dalla tomba grida la voce della Natura. Anche dalle nostre ceneri vivono le consuete fiamme.’ ” (Thomas Gray- Elegia)
Erano entrambi brani che si adattavano al contesto e a ciò che volevo trasmettere, ma la musicalità dell’opera di Shakespeare, nonché la sua drammaticità, l’ho vista più adatta per essere recitata da Wesker, che tra l’altro vedo bene ad interessarsi di letteratura/poesia/opera.
Stranamente ho scelto questo pezzo di Macbeth (non ridete) per via di un episodio dei The Simpson. xD
Io conosco praticamente gli episodi a memoria, li adoro! xD Ne “La paura fa novanta”, c’è una scena in cui Homer recita esattamente questo pezzo, e  mi è rimasto dentro.
Me ne sono ricordata subito, quando ho deciso che volevo che Wesker recitasse qualcosa.
Torniamo alla fanfic, ora!^^
Nella seconda parte della fanfiction, Wesker e Jill tornano dopo due giorni nella Tricell, ma attenzione!
Vi è una differenza sostanziale nella storia:
Dapprima, Jill vi era come cavia, come semplice prigioniera ignara di ogni cosa, arrabbiata e frustrata.
Adesso lei, seppur sotto il controllo del P-30, ha un più ampio quadro della situazione. Seppur ancora prigioniera, è pronta a combattere e decisa a usare le sue carte in modo più ragionato. Nonché il suo coinvolgimento, che è ancora maggiore essendo venuta a conoscenza di cose su Wesker che mai avrebbe pensato di conoscere.
Adesso è più partecipe ai complotti di Wesker ed Excella, che la tengono soggiogata a loro.
Ci tengo a precisare che il marchingegno sul petto di Jill non è ancora quello che avrà in re5. Non è così potente come quello. E’ un particolare che ci tengo a precisare.
Eh…..*sospiro*
…Sembra strano a dirsi, eppure lentamente già da questo capitolo sto avviando la mia fanfiction al finale…ovvero l’inizio di resident evil 5…
Il punto di arrivo della mia fanfiction sarà infatti resident evil 5, quindi mi muoverò in quella direzione, mostrandovi come secondo me sono andate le cose. Ovviamente nella mia interpretazione personale WeskerxJill.
Ci sono ancora diversi capitoli che mi separano dall’ending, eppure già con questo capitolo mi sono voluta aprire alcuni spiragli che più avanti mi serviranno.
Questa fanfiction l’ho studiata molto, capitolo per capitolo, in quanto volevo realizzare al meglio il tema della prigionia di Jill che in re5 non è mostrata, in una chiave WeskerxJill ripeto.
Anticipo che il prossimo capitolo sarà un po’…ehm…diverso dagli altri xD
Vedrete!
Spero che le scene introspettive di questo capitolo vi piacciano e vi comunichino quel che io sento.
Grazie a chi mi segue e mi recensisce…un grazie infinito!! <3
 
 
  
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