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Autore: Melie Devour    23/11/2012    9 recensioni
«Do fastidio?» lui alza le sopracciglia.
«No, ma mi fai paura.» Lei sente le labbra impastate, e i polmoni non si dilatano abbastanza da permetterle di respirare con serenità.
«Lascia parlare me.» Fa lui «Non sono un chiacchierone. Il disegno nel tuo sketchbook l'ho fatto io.» Si ferma, guardandola. «Ti piace?»
Lei annuisce.
«Unice, io sono morto. Tu lo sai, no?»
«Sì.»
«Ma tu senti la mia voce nel cortile della scuola.»
«Cosa? Eri tu?»
«Già.»
Parole totali: 20k ca; Lunghezza capitoli: 2/3k ca;
[COMPLETATA]
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nessuno dei datori di lavoro a cui aveva lasciato il curriculum l’avevano ancora richiamata. Quando aveva provato a rispondere a degli annunci su un giornale trovato sul tavolino di un bar, le avevano risposto che il posto era già stato assegnato, salvo poi scoprire che il giornale era della settimana prima. Tutto ciò che potesse fare ancora era prendere un giornalino all’agenzia di collocamento, ed è quello che fece. Ne sfogliava le pagine mentre addentava senza entusiasmo l’ennesimo pezzo di pizza surgelata.

“Ancora niente?”

«Nah. Cercano tutti persone con esperienza, oppure con disponibilità a tempo pieno.» rispose lei «Domani passo in centro e lascio un recapito a tutti i bar e ristoranti, qualcuno prima o poi chiamerà.»

“Ce la farai, vedrai.”

«Tu non è che puoi prestarmi qualche soldo?» chiese lei con umorismo amaro.

“È un po’ complicato.”

Qualche secondo dopo il piccolo giornalino si chiuse di scatto sotto ai suoi occhi, e lei alzò istantaneamente lo sguardo.

«Ehi!»

“Basta con questa roba, puoi cercare domani.” propose lui “Piuttosto andiamo a farci una passeggiata, forza.”

«Sono le undici e mezza, e fuori fa meno cinque.»

“Ah,” sussurrò lui “Già. TV, allora.”

Lei sbuffò, infondo infondo divertita «D’accordo.»

Passarono qualche ora a guardare tutti i documentari che Discovery Channel offriva, finché Unice non si accorse che le palpebre le si facevano pensanti.

«Mi sto addormentando.» informò.

“No, dai, stai sveglia con me.” pregò lui, e il televisore cominciò a cambiare canale “È questa roba che è soporifera. Cerchiamo un bel film horror.”

«Perché invece non spegni ed andiamo a letto?» butto lì lei, con un tono più sibillino del dovuto.

“Ma—” cominciò lui, interrompendosi.

Lei si era già alzata dal divano, buttando la coperta di lato, e si avviava verso la camera, chiudendo dietro di sé la porta.

Sbucciò il letto e vi s’infilò dentro.

«Kurt.» chiamò, la voce ridotta ad un filo, gli occhi chiusi.

Un corpo d’aria si parò con leggiadria sopra il suo corpo steso, delle dita s’intrecciarono ai suoi capelli e delle labbra umide e fresche si posarono sulla sua tempia per un bacio fuggiasco, sulla fronte per un altro, in mezzo al naso, sulla punta. Unice impaziente cercò le labbra con le sue, unendole in un bacio passionale, così passionale e così reale che il cuore le martellò in petto.

«Voglio sognarti.» mormorò in uno dei momenti in cui le loro labbra non erano sigillate l’una all’altra.

Lo sentì ridacchiare “Ancora un attimo.”

Lei allora si tirò su a sedere, riprendendo fiato per un attimo «Così non mi addormenterò mai.»

Le labbra di Kurt non smisero di cercare quelle della ragazza, racchiudendole in un altra serie di baci, finché lei non si lamentò debolmente «Kurt, voglio addormentarmi. Sul serio.»

Qualche secondo durante il quale l’immobilità del ragazzo lo rendeva impercettibile, poi un morso leggero sulla pelle del collo. “Prova a fermarmi.”

Lei rise «Sei un bastardo.»

“Sta zitta.” ribatté lui attraverso un sorriso soffocato dalla vicinanza della pelle pallida di lei.

Si sdraiò indietro sul materasso, la testa immersa nel cuscino morbido, gli occhi tenuti sistematicamente chiusi. Kurt continuava a ricoprirle la pelle di baci languidi, con sporadiche pause per posare un caldo bacio sulle sue labbra.

Sentiva una sua mano scorrere dalla spalla al fianco, un filo di unghie, fino a raggiungerle il ventre. Il suo sussulto venne soffocato dalle labbra di lui, che lo catturarono e lo insonorizzarono.

Il respiro della ragazza si fece più pesante, mentre muoveva il bacino per assecondare il tocco del ragazzo.

«Ti prego, fammi dormire.» supplicò lei, i denti stretti «Ho bisogno di poterti toccare.»

Dire una cosa del genere le sarebbe sembrato assurdo in ogni altra occasione, ma non in questa. Perché il senso era letterale.

Lui non rispose alla sua supplica, se non continuando il loro bacio senza fine, finché degli spasmi di piacere s’impossessarono del corpo della ragazza, che contrasse la schiena e la testa all’indietro, prima di rilassare l’intero corpo.

«Sei un bastardo.» sussurrò riacquistando fiato, il cuore che lentamente riprendeva fase.

“Ti amo.” furono le parole che dalla gola del ragazzo arrivarono alle orecchie di Unice, che rimase interdetta per un attimo, prima di sorridere e rispondere «Ti amo.»

Prese un bel respiro, e si voltò di fianco. Adesso era stanca sul serio.

 

Chiude gli occhi sul panorama della sua camera buia e li riapre su quello di un deserto arancio e azzurro. Si volta, e in piedi accanto a lei c’è Kurt.

«Ehi, ciao.» dice lei, gli occhi sorridenti.

«Bentornata.» la saluta lui, non ha lo sguardo così felice «Guardati nelle tasche.» aggiunge.

«Questo è un sogno.» scandisce lei in risposta, e come trasportata da quella frase in mondi lontani, sorride rapita, e gli prende la mano «Questo è un sogno!»

Non le piacciono i deserti. Troppo… deserti. E caldi. A lei piace il fresco, e dove si trovavano adesso era il suo habitat ideale. I loro piedi posano sul morbido muschio, e ogni qua e là delle pietre rotonde spuntano dal verde scuro. Sopra le loro teste si estendono le chiome intrecciate in fantastici disegni geometrici. I tronchi intorno a loro sono dritti, irrealmente levigati ed unicolori, e le radici si fondono al terreno zigzagando in tutte le direzioni.

«Dove siamo?» chiede il ragazzo, guardandosi intorno.

«Vediamo se indovini.» propone lei, e comincia a correre all’impazzata, come quasi mai riesce a fare nei sogni. All’improvviso prende lo slancio e salta. Salta più in alto di quanto sperasse di saltare, e senza fatica si aggrappa ad uno dei rami più bassi di un albero. Vi si issa su, e voltandosi verso il basso incita «Forza, vieni qui!» prima di voltarsi e arrampicarsi in alto per il poco di lunghezza che le serve per spuntare al di sopra della chioma. Il bosco crea un livello agibile al di sopra del terreno, ed è lì che trova Kurt, già lassù, che scruta il panorama.

Attorno a loro catene montuose in lontananza, e sporadiche città dai tetti colorati e tutti uguale, che si estendono per chilometri e chilometri quadrati, creando dipinti puntinisti di surreale bellezza.

«Mi hai portato in Giappone?» sorride lui, con una mano tra i capelli «Non me lo ricordavo così.»

«Tu ci sei stato?» lo raggiunge lei, sguardo strabiliato. Poi fa due più due ed autoconclude «Ci sei già stato.»

«Tu no.» autoconclude lui a sua volta, sorridendole.

«Forse dovrei lasciare a te le redini del sogno.» propone lei con una punta di sarcasmo «Così mi porti in un Giappone più verosimile.»

«Questo mi piace di più.» ammette lui, e con un braccio le cinge la vita e la tira a fianco a sé.

«È così che immagino il monte Fuji. Non razionalmente, intendo. Come mi piacerebbe, insomma… hai capito.»

«Ho capito.»

Si voltano entrambi verso destra, in risposta a un ridondante suono di tempesta.

Una nuvola grande quanto il cielo e nera come la pece si fa strada lenta, inghiottendo nell’oscurità qualunque cosa sotto di sé.

La ragazza non ci bada più di tanto, e propone «Andiamo a farci un giro in città.»

«D’accordo.»

Mentre intorno a loro scorrevano dapprima tronchi, poi cespugli, prati e case, Kurt si fece coraggio e le chiese «Come ti senti?»

«Bene.» rispose lei istintivamente, poi rettificò con un sorriso «Sono felice!»

«Davvero?»

«Perché no?»

«Niente.» tagliò corto lui, passandole il braccio sulle spalle, e dandole una leggera scossa affettuosa.

La città è un insieme simmetrico di case a due piani, tetti di tegole marroni coperte a tratti di muschio, dalle finestre di legno a quadratini e le pareti colorate dei più bei colori, con decori ghirigorati pitturati sopra.

«È bellissimo, qui.» Si fa sfuggire lei, mentre col naso all’insù adocchia i fili del tram. Ma sì, a lei piacevano i tram. Non c’erano, dove viveva lei.

«Le vedi tutte queste decorazioni, questi dipinti? Anche i colori. Li hai creati tu.»

Un sorriso soddisfatto si disegna sul volto di Unice.

Davanti a loro la strada si allarga in una piazza assolata, circondata da ciliegi in fiore e una grande spirale che dagli estremi si unisce in un vortice al centro.

Unice corre, come avrebbe fatto nella realtà, perché visitare posti nuovi è quello che le piace fare di più. Raggiunge il centro esatto e gira su sé stessa.

Kurt la raggiunge, ma guarda oltre le sue spalle, verso il cielo, che dal lato opposto della piazza sta diventando nero.

«Continuiamo!» lei lo tira per una manica della camicia che indossa, gentile concessione del sogno della ragazza.

Si incamminano proseguendo nella stessa direzione, verso un grande arco giapponese rosso.

«Forse dovremmo andare da qualche altra parte, Unice.» fa lui, non il più casual dei toni.

«Quella è una Torii!» fa lei, indicando la grande struttura di legno scarlatto.

«Perché lo dici al femminile?» Lei si ferma e si volta, l’aria pensosa. Poi si stringe nelle spalle con una risata «Suona meglio!» prima di riprendere a camminare.

«Non dovremmo passare sotto ad una Torii.»

«Perché no?» si volta di nuovo indietro verso di lui, lo sguardo torvo. «Andiamo!»

Comincia a correre e raggiunge i piedi dell’arco. Kurt le corre incontro, e lei lo aspetta un attimo prima di oltrepassare la sua volta.

Oltre la Torii le case sono fatte di legno scuro, e più si addentrano in quella strada buia e più le pareti vengono mangiate dall’umido e dalle piante rampicanti.

L’aria è fredda e pungente, tanto che Unice di porta le mani alle braccia.

«Torniamo indietro.» propone lui, ma senza successo, e lei continua a camminare. Sul suo volto però il sorriso sta scemando lentamente.

«Quella è la mia casa.» fa, senza distogliere lo sguardo dalla villa che si staglia contro il cielo pesto proprio di fronte a loro.

«La casa di mio nonno, ci andavo quando ero piccola.»

«Non dovremmo andare.»

Lei sentì le lacrime risalirle gli occhi «Lo so.»

Cammina verso l’entrata, un grande portone di legno e ferro battuto ed una porta vetrata subito dopo, e dentro è quasi buio.

Fa qualche passo all’interno e l’oscurità la inghiotte. Si spaventa, e chiama.

«Kurt! Dove sei?» la voce spaventata.

«Sono qui, torna indietro.»

«Credevo che nei sogni non potesse esserci buio.»

«Infatti.» ringhia lui allarmato, e la tira a sé per un braccio, fino ad estrarla dalla casa e chiudere la porta dietro di lei.

Lei ha la faccia sgomenta e atterrita «Che è successo?»

«Non lo so, ma è meglio tornarcene indietro.» fa lui, ma quando si voltano, la Torii non c’è più. Kurt rimane a cercarla con lo sguardo, e un filo di voce dipinge uno “shit” nel silenzio.

«Unice!» una voce chiama la ragazza alle sue spalle. Una voce familiare. Una voce astiosa «Unice, guarda chi si vede.»

Lei si volta, speranzosa «Sam! Sei qui!» grida di gioia, ma prima di scattare verso di lei s’interrompe sospettosa «Che ci fai, qui?»

«Sono venuta a fare visita al drogato.» risponde la ragazza con un cenno verso Kurt.

«Smettila.» impone Unice.

«Ehi, stronzo, perché non te ne sei rimasto nel tuo buco?» Sam sbotta, acida, cattiva.

Kurt non reagisce, e Unice gli afferra il braccio protettiva «Sam, per l’ultima volta, smettila.»

«È tutta colpa sua.» sibila la giovane, la piccola croce argentata che luccica sul suo petto.

«Vaffanculo, Sam.» si fa sfuggire Kurt, e lei sparisce. Sparisce sotto ai loro occhi.

«Dobbiamo andarcene.»

«Dove?» chiede lei, il respiro più affannoso.

Camminano veloci tornando da dove erano venuti, ma l’oscurità sembra inseguirli. Allungano il passo, cominciano a correre. Kurt è più svelto, e la tira per la mano.

Unice invece perde tempo a guardarsi intorno, tenendo d’occhio il panorama che cambia, che s’ingrigisce.

«Forza, Unice!» la incita, ma si rende conto che non serve a niente correre. Decide di tentare. Indica davanti a sé un punto qualsiasi, mentre lei è ancora voltata, e le urla «Guarda, un lago!»

Lei si volta, ed il lago c’è davvero. Ha l’aria spaventata, lui la tiene stretta in un braccio, le bacia i capelli.

Camminano vicini verso la sponda del lago che sembra incontaminato dalla tristezza della città, ma qualcosa attira l’attenzione di Unice. Qualcuno, seduto su una panchina a qualche decina di metri da loro.

Sua madre.

«Mamma!» urla, e fa per correrle incontro, ma lui la trattiene.

«Lasciami, Kurt! MAMMA!» urla più forte e la donna si gira. È sua madre, ma non è lei. La fissa con aria iraconda, piena d’odio.

«Non è tua madre.» gli sussurra lui, senza staccare gli occhi dalla donna.

La ragazza rimane atterrita, guarda quella donna sulla panchina quasi ringhiarle contro.

Quando quest’ultima si alza, lei si spaventa. Si nasconde dietro le spalle di Kurt.

«Ho paura.»

Lui si volta verso di lei, le aggrappa le spalle con una presa salda, la scuote appena «Questo è il tuo sogno, piccola, non può farti del male.»

La donna intanto si avvicina, lo sguardo che non promette niente di buono. Lui la tiene d’occhio e poi si volta di nuovo verso gli occhi terrorizzati della ragazza.

«Perché sta succedendo questo?» piange lei.

«Ascoltami bene. Ti ricordi quando ti ho detto che se non ti fossi sfogata saresti crollata, prima o poi?»

Lei annuisce, buttando uno sguardo oltre le spalle di Kurt.

«Sta succedendo adesso, Unice.»

Lei punta i suoi occhi colmi di lacrime di paura in quelli azzurri e profondi di lui.

«Cerca di calmarti.»

Una lacrima scende sulla guancia, lei piange un «Non ce la faccio.»

Lui si volta, la donna li ha quasi raggiunti, senza troppa fretta, perfetto remake di un film di zombies «Dobbiamo allontanarci.»

Lei tira su col naso, e indica l’acqua. «Mamma non sa nuotare.»

Lui annuisce, ed insieme corrono verso la riva, scavalcando con un salto la recinzione di legno. Si tuffano dalla sponda come da un trampolino olimpionico, entrando in acqua senza suoni né schizzi. Ritornano a galla, senza bisogno di muovere mani o piedi per tenersi su, e sulla riva non c’è più nessuno. A dire il vero non c’è neanche la riva. Attorno a loro c’è solo acqua, e un cielo che diventa sempre più scuro, da tutti i lati.

«Unice, sei tu che crei tutto questo.» Kurt la scuote, cercando di farla rinsavire. Ma quando lei lo guarda non c’è paura nei suoi occhi, solo tristezza e lacrime che si confondono con l’acqua del lago.

«Unice.» la chiama, il tono basso «Smettila.»

Lei tira su col naso e scuote la testa.

Un lampo di terrore s’impossessa del ragazzo, e cerca di afferrare la mano di lei, che però all’improvviso è troppo lontana. La faccia gli si incrina in una supplica «Ti prego.»

È troppo tardi, lei ha fatto la sua scelta. Un ultimo sguardo triste, e poi giù, finché anche i suoi capelli scompaiono per ultimi nell’acqua.

«NO!» urla Kurt, nuota verso il punto dove lei è sparita, e poi s’immerge anche lui. Lei è lì, poco più sotto del pelo dell’acqua, la stessa espressione in viso se stesse aspettando il bus alla fermata. L’avvicina, le prende il viso tra le mani, le parla, poco importa se sono sott’acqua.

«Piccola, respira.» Lei non reagisce. Lo guarda, accenna un sorriso.

«Siamo in un sogno! Puoi farlo! RESPIRA!» urla, scuotendola premendo coi pollici sui suoi zigomi, senza ricevere risposta.

In preda al panico, si lascia sfuggire una lacrima. «Unice…» sussurra con voce rotta, prima di appoggiare le labbra sulle sue, fresche. Non si schiusero. Ma lei gli portò le mani attorno al collo, e lo strinse a sé, senza interrompere il bacio.

Kurt tenne gli occhi aperti, mentre attorno a loro, come inchiostro di seppia il buio li circondava. Pianse un’altra lacrima nell’oceano, prima di chiudere gli occhi e stringere le sue braccia attorno a lei. Un tentativo di protezione senza troppe pretese. 

Il buio arrivò ad inghiottirli.

 

L’alba arrivò entrando dalla finestra, scorrendo dal muro giù fino al cuscino dove il viso di Unice era posato. La coperta ormai finita per terra, il suo corpo in posizione scomposta, la bocca appena dischiusa. Nessun respiro.

L’espressione serena dipinta sul viso come un’opera d’arte.

 

Lei alza lo sguardo dalla pagina del suo sketchbook. Inclina la testa, poi sorride soddisfatta. Un piccolo uccellino, un usignolo o un pettirosso svolazza in mezzo alla pagina, ogni piuma disegnata a parte, e nel becco un dente di leone che perde petali lungo il tragitto.

Chiude lo sketchbook con la matita in mezzo, e lo posa sull’erba accanto a sé.

«Di solito quando disegno nel prato quando finisco mi ritrovo ricoperta di formiche.» sussurra all’uomo sdraiato a fianco a lei. I suoi capelli biondi e sbarazzini si perdono in tutte le direzioni fino a confondersi con gli steli dei fiori.

Poco distante da loro, il maestoso tronco di un platano si alza da terra, ospitando tra le sue immense fronde la loro casa sull’albero.

Lei si sdraia, posa la nuca sulla spalla dell’altro.

In silenzio guardano il cielo limpido e le nuvole d’avorio sopra di loro.

«Ti amo.»

 

*** Fine ***

  
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