LA MUSICA NEL CUORE
La musica era la sua
vita. Sin da quando era piccolo le sue mani ossute e le sue dita
affusolate si erano mosse con leggiadria sulla tastiera del
pianoforte di sua madre. Non ricordava con certezza quando il suo cuore
vibrò
estasiato nell’ascoltare il suono melodioso di quelle note, né tanto
meno
quando in lui scattò la voglia, o meglio ancora l’esigenza, di poter
toccare
quei tasti e di comporre musica. La sua musica, quella del
cuore.
Amava la musica classica, era innegabile, ma adorava anche ascoltare
nuovi
generi musicali. Non aveva preconcetti, si lasciava trasportare dai
suoni che
le sue orecchie cristalline riuscivano ad udire, e gioendo riusciva
sempre a
scorgere in quelle note una raffinata bellezza irradiarlo di calore,
sino a
fargli percepire quelle luci variegate dei sette colori che i suoi
occhi mai
avevano potuto vedere.
Era cieco sin dalla nascita.
Il suo mondo era da sempre formato da ombre riflesse che
leggermente intravvedeva
nel buio più totale. Un buio freddo, tetro e costante dal quale poteva
solo
percepire rumori ed odori.
A volte gli sembrava d’impazzire.
I sentimenti delle persone gli precipitavano addosso con una forza
tale da
distruggerlo ogni volta. E prima ancora di poter percepire l’affetto di
una
gentile carezza sul volto, il calore di un abbraccio intenso e la
dolcezza
dell’amore in un piccolo bacio sulla guancia o a fior di labbra, il suo
cuore
veniva travolto dalla freddezza dell’egoismo e da una sempre crescente
malinconia. – Sapeva di essere diverso e sapeva anche di generare una
sorta di
complesso in chi lo scrutava, sentendosi inadeguato.
Odiava sentir proferire “poverino” dagli sconosciuti,
odiava quel
loro atteggiamento di menzognera compassione. Come se davvero fossero
interessati alla sua vita.
La musica era come una valvola di sfogo, come la sostanza di quella sua
miserevole vita che era stato costretto a vivere. Il luogo in cui
rifugiarsi
quando si sentiva emarginato, mentre il desiderio di fuggire lo rendeva
fragile
e mentalmente instabile.
La sua era un’esistenza
solitaria.
Un’esistenza intrisa di amarezze e di sconfitte.
Era solo in un mondo sconfinato e agghiacciate. – A tratti opprimente.
Molte volte si era ritrovato ad imprecare contro un cielo notturno,
tetro,
domandandosi quale cattiveria avesse mai commesso per essere il
portatore di
una tale sciagura.
Aveva una famiglia cordiale in quale vivere e persino degli amici
fidati, forse
doveva ringraziare piuttosto che inveire, però…
Però anche quella genuinità a volte scadeva a noia.
Com’erano i colori?
Di quale
forme era composto il mondo?
Quali emozioni generavano i paesaggi che gli occhi incontravano, ad
ogni loro
battito di ciglia?
A volte avrebbe desiderato aver perso la vista dopo alcuni anni
trascorsi ad
assaporare quella vita, piuttosto che non averla mai osservata,
vivendola
passivamente.
I suoi sensi erano ben sviluppati, tutti eccetto la vista, ovviamente.
Poteva udire un rumore sin da molto distante e facendosi bastare
l’olfatto,
poteva tranquillamente riconoscere un particolare profumo rispetto ad
un altro
e sapere a cosa o a quale persona apparteneva. E con il suo senso
tattile
sopraffino, riusciva subito a capire quale oggetto le sue mani stessero
sfiorando e di quale forma fosse stato.
Poteva tranquillamente sopravvivere in quel modo, senza porsi
inutili
domande, ma in cuor suo sapeva che non era la stessa cosa. Vivere
e
sopravvivere potevano anche apparire simili, ma erano due
entità
completamente opposte.
Perdersi a scorgere l’avvenenza di un
volto che si amava, quali emozioni donava?
Poter cogliere la dolcezza del suo sorriso o la tristezza nei suoi
occhi.
Era così splendido come aveva sentito raccontare?
Malauguratamente
però, quelle non erano sensazioni che gli appartenevano.
E persino rispondere a quelle innocenti domande era quasi impossibile.
Si soffermò ad accarezzare Miluna, il suo inseparabile
amico a
quattro zampe, che richiedeva le sue attenzioni.
Lentamente, le sue mani si strofinavano sul pelo del cane, donando a
questo
un’intensa sensazione di piacere. Si soffermò, tastando con gentilezza
i
contorni di quell’animale, idealizzando i suoi occhi tondi, il muso
allungato,
le orecchie a punta e il corpo chino su se stesso che agilmente
camminava a
gattoni, come facevano i bambini piccoli.
Per un attimo si chiese se quel cane non fosse un alieno!
Era così astruso, ed immaginarselo era davvero complicato, soprattutto
per chi
non ne aveva mai visto uno in vita sua.
Le seducenti sinfonie
che lo stereo diffondeva nella stanza, invasero d’emozione le sue
orecchie
gongolanti. In quell’attimo fuggente, agguantò quel miraggio ad occhi
aperti
che si stagliava nella sua più fervida immaginazione e si sentì tremare
di
gioia.
L’armonia di quelle note, unite al suono nostalgico del
violino gli fecero battere il cuore a ritmi indiavolati, colmi
d’adrenalina. Si
sentì preda di quel prodigioso cacciatore di sogni che
ridisegnava paesaggi incantevoli e mutevoli negli angoli più remoti
della sua
coscienza, donandogli un calore del tutto particolare e indescrivibile.
Un sole brillante nel cielo, che riscaldava l’aria.
Il fragoroso suono delle onde lontane che s’infrangevano sulla
battigia.
L’odore del salso e della sabbia.
La sensazione d’affondare con i propri piedi in quella distesa ambrata.
La vetta di una montagna innevata e gli alberi spogli sotto di essa.
L’aria
pungente che invadeva le narici e il freddo che penetrava nelle ossa,
mentre la
vista si smarriva nel paesaggio sconfinato e ricco di antiche
tradizioni.
Una tiepida brezza, la Luna giocosa che rincorreva le stelle e si
eclissava dal
Sole, nella notte più profonda.
Una meraviglia dopo
l’altra.
Emozioni e paesaggi vanescenti che tentavano di conquistare la sua
anima e di
soffocarla, facendogli perdere il respiro.
Scorci d’infinito dai contorni imperfetti e dalle linee semplici si
stemperavano l’uno sull’altro, sovrapponendo colori idealizzati e odori
conosciuti.
L’incertezza di non saper riconoscere la realtà dalla pura e
affascinate
fantasia, mentre il Sole immaginato si colorava di un giallo che
somigliava
all’arancio, e il cielo si tinteggiava raffinatamente di un turchese
divenuto
viola.
La neve che scendeva candida a terra, in piccoli fiocchi sospinti dal
vento, e
una montagna arida e scoscesa, dalla forma conica, dominava uno skyline
cupo ed
irrequieto, contrastato dal bianco candore che incessante scendeva a
terra.
Una Luna tonda come un pallone rincorreva piccoli puntini di diamante
in una
notte di zaffiro che si tingeva anche di smeraldo.
L’inganno della propria
mente.
Vivaci affreschi che sembravano disegnati dalle birichine mani
dei
bambini, ridipingevano scene inusuali e irreali che si confondevano in
una realtà mai scovata.
Con la musica nelle
orecchie, così vicina da potergli toccare il cuore, gli sembrava quasi
di
volare in quel cielo violaceo e incredibilmente profumato, dal sapore
di
vaniglia e cioccolato.
Volteggiava e danzava sospinto dal vento, senza mai sentire il peso del
suo
corpo e la terra sotto i piedi.
Era libero.
Libero di camminare a testa
in giù, libero di correre ad una velocità folle, libero di sentirsi se
stesso,
di essere spensierato e di assaporare il mondo che mai avrebbe potuto
divorare,
sino a sentirsi sazio.
Voleva di più.
Ancora più in alto, su fino alle nuvole morbide come panna.
In alto fino a che le sue braccia glielo avrebbero permesso, nuotando
freneticamente.
I suoi sentimenti erano finalmente liberi dalle catene che lo
imprigionavano
nel buio accecante.
Sorrideva, gioiva, s’innamorava e cantava con la stessa energia che lo
trascinava prepotentemente verso le meraviglie dell’infinito – come
essere
catapultati nel Paese delle Meraviglie.
La sua voce arricchita e seducente infrangeva le barriere del tempo,
diffondendosi in ogni dove.
Ancora più in alto, ancora una volta.
Raggiungendo le ombre colorate dei bambini che giocavano allegri.
La realtà mai gli era sembrata così divertente e miracolosa.
Una risata spigliata e l’eco della sua voce diluita dalle
note di
quella melodia di miele e mirtilli.
Era questo ciò che si
provava a vivere realmente?
Oltre l’odio e la sofferenza c’erano anche l’amore e la dolcezza?
Voleva danzare ancora così. Voleva vivere ogni giorno immerso in quella
serenità sfrenata.
La vita era già troppo desolante e monotona per non lasciarsi
travolgere dalla
passione nascente.
Le dita sottili e sicure intonavano l’armonia dell’amore, diffondendola
con
forza nella sala, saturando l’aria.
Si sentiva dannatamente bene. Così bene da poter cantare e suonare per
ore
intere, senza mai sentirsi stanco.
L’energia s’espandeva nel suo corpo, rinvigorendo i muscoli, le ossa e
persino
il cuore. Scacciando la malinconia quotidiana che fendeva la sua pelle
lacerandola.
Si sentì ad un passo dal Paradiso. E d’improvviso quelle ferite si
rimarginarono
grazie ad una medicina sconosciuta e del tutto invisibile, che sgorgava
dal suo
cuore ancor prima che dalla sua mente.
La tristezza e la
felicità erano solo il lato opposto di una stessa medaglia, e non
poteva
rinunciare ad una delle due, altrimenti, quasi sicuramente,
le
avrebbe perse entrambe. Conosceva la dolcezza perché aveva combattuto
la
freddezza dei cuori delle persone. Sapeva cos’ era l’amore solo perché
aveva
sperimentato l’odio - soprattutto quello per se stessi.
Se poteva cullarsi e perdersi nei meandri della sua mente oscura, che
mostrava
solo paesaggi desolanti e ripetitivi, immaginandosi l’incanto e il
sapore
frizzante della vita, di quella vera, era solo grazie alla
sua musa
ispiratrice: la musica.
Solo lei riusciva a donargli la forza per andare avanti, giorno dopo
giorno,
sperimentando nuove sensazioni e nuove esigenze.
Gli mancava la vista e mai avrebbe potuto ammirare il mondo per quello
che era
in realtà, – ne era consapevole - ma avrebbe potuto costruirlo
nella sua
mente tutte le volte che lo desiderava, la sua chimera non
lo
avrebbe tradito. La musica non lo avrebbe mai
abbandonato, lei
sapeva come renderlo felice. Lei e solo lei poteva amarlo in quel modo,
donando
tutta se stessa per imprimere nella sua anima la vera bellezza. E
lui
avrebbe continuato a vivere solo per lei. Per l’emozione di
poter
abbracciare ancora una volta il calore della vita con quella naturale
semplicità.
ANGOLO AUTRICE:
La storia ha di recente partecipato ad un bando letterario, tuttavia
sembra non
sia arrivata al cuore di coloro che giudicavano.
Quindi, ho ben pensato di postarla qui su EFP, sperando di aver potuto
suscitare in voi, miei adorati lettori, un qualsivoglia tipo di
emozione.
Un bacione a tutti,
Azzurra.