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Autore: LyraB    23/11/2012    3 recensioni
È una calda sera d'estate, a Sacramento, e tutto scorre come al solito: Teresa Lisbon lavora, Patrick Jane sonnecchia sul divano. Una chiamata improvvisa li obbliga a visitare un condominio fatiscente in periferia, dove una giovane coppia viene ritrovata senza vita. Il caso è più complicato del previsto e, mentre una bambina di cinque anni manda in fumo la quieta vita del CBI, Patrick e Teresa sono costretti ad affrontare il passato quando si rendono conto che tutta l'indagine ruota attorno a cosa sia davvero una famiglia.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del rosso dell'arcobaleno'
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Era pomeriggio inoltrato quando Grace bussò alla sua porta.
- Abbiamo novità, capo. -
- Dimmi. -
- Rigsby ha ricevuto i dati di chi è stato arrestato con i Fairbanks: Mills e Vivian Loop. Ho fatto un giro di telefonate per sapere che fine hanno fatto. - Disse la ragazza, avvicinandosi alla scrivania e passando a Teresa un fascicolo. - Sono stati coinvolti in una operazione contro lo spaccio, lui è morto e lei è stata arrestata. Pensavo che avresti voluto andare a sentire cos'ha da dire, così ho avvertito il carcere che saremmo andati per un colloquio. -
- Ottimo lavoro. Va' tu con Rigsby, io ho da fare qui. -
Grace la guardò stranita, incuriosita da quella riposta, poi sorrise allegramente.
- Volentieri, capo, grazie. - Disse, riprendendosi il fascicolo e uscendo dalla porta.
Mentre Grace usciva, Patrick entrò nel suo ufficio seguito da Dorothy, che stringeva tra le braccia una grossa scatola.
- Bentornati. Temevo aveste deciso di finire la scorta di muffin della California! - Disse Teresa, con un tono a metà tra l'ironico e il divertito.
- Non siamo andati a mangiare i muffin: siamo andati a fare una passeggiata. Guarda cosa mi ha comprato Patrick! - Esclamò Dorothy, stendendo le braccia verso l'agente e mostrandole una enorme scatola di matite colorate.
- Ma che meraviglia. - Disse Teresa, lanciando a Patrick un'occhiata espressiva: sapevano entrambi la provenienza dei soldi con cui quelle matite erano state comprate.
- Tu hai tanti fogli, me ne puoi dare qualcuno per disegnare? - Domandò Dorothy con innocenza, guardando con gli occhi luccicanti i mucchi di fogli sulla scrivania di Teresa.
"Mi manca solo di dover spiegare al capo perchè i rapporti degli ultimi due giorni hanno degli scarabocchi di bambina sopra." Pensò Teresa mentre si affaccendava per recuperare un po' di fogli bianchi da dare a Dorothy.
- Pazienza, Lisbon. Ce ne vuole tanta coi bambini. - Sentenziò Patrick, accomodandosi sul divano.
- Tu non aiuti di certo. - Sbottò Teresa, mettendo dei vecchi fogli tra le mani di Dorothy e accertandosi che si mettesse tranquilla a disegnare sul pavimento senza minacciare i fascicoli dei casi ancora aperti.
Patrick le rispose con un sorriso sardonico, stiracchiandosi e chiudendo gli occhi per godersi uno dei suoi pisolini pomeridiani.
Un'ora più tardi Kimball bussò alla porta. Con la sua consueta freddezza sembrò non notare il disordine dell'ufficio di Teresa e la confusione di matite, fogli e trucioli di legno e colore che regnava sul pavimento, limitandosi ad annunciare l'arrivo dell'assistente sociale.
- Oh, bene. Falla entrare. - Disse Teresa.
Una giovane donna con i riccioli color miele e gli occhi verdi entrò nell'ufficio di Teresa con un bel sorriso. Indossava un vestito bianco e un golfino blu e pareva appena uscita da un educandato.
- Teresa Lisbon. -
- Claire Andrews. - Si presentò la ragazza, stringendo la mano che Teresa le stava porgendo. - Mi hanno detto che c'era bisogno di me. -
- Le hanno spiegato le circostanze? -
- Sono stata aggiornata. -
- Lei è Dorothy. - Disse Teresa, indicando la bambina intenta a disegnare.
Dorothy le stava fissando dal pavimento, con gli occhioni neri spalancati. Aveva soppesato la nuova arrivata con lo sguardo e stringeva le labbra in un'espressione imbarazzata e incerta.
Claire si chinò verso la bambina e le sorrise, del tutto incurante che il suo vestito bianco fosse finito tra trucioli di matita e fogli scarabocchiati.
- Ciao Dorothy. Io sono Claire. Come stai? -
- Bene. - Rispose Dorothy, atona.
- Vi lasciamo sole. Jane, andiamo. - Disse Teresa, facendo cenno a Patrick di alzarsi e dirigendosi verso l'ufficio comune sforzandosi di non ricambiare lo sguardo che Dorothy le stava rivolgendo dall'attimo in cui aveva deciso di lasciarla da sola con l'assistente sociale.

Le ore erano trascorse e la sera era scesa su Sacramento. Teresa sfogliava il fascicolo dei Fairbanks seduta alla scrivania di Grace: la ragazza e Wayne non erano ancora tornati e l'assistente sociale parlava ancora con Dorothy là dove si erano incontrate.
Sempre più spesso gli occhi di Teresa sfuggivano verso il suo ufficio, dove le persiane aperte lasciavano vedere Claire e Dorothy sedute sul divano e intente a parlare.
- Credi che ci vorrà ancora molto? - Disse alla fine.
- Non essere preoccupata. Quella ragazza ha l'aria di saperci fare, coi bambini. - Replicò Patrick senza alzare lo sguardo dal suo libro.
- Non sono preoccupata per Dorothy. Mi sto solo chiedendo quando potrò ritornare a lavorare. - Rispose Teresa, punta sul vivo.
- Ehi, capo. - Grace comparve alle sue spalle in quel momento - Che ci fai alla mia scrivania? -
- L'assistente sociale è di là con Dorothy. - Rispose Teresa, alzandosi. - Allora, che abbiamo scoperto? -
- Vivian Loop ci ha confermato che i Fairbanks non avevano figli. - Intervenne Wayne.
- Fin qui niente di nuovo. -
- Però ci ha detto che Shayla ne parlava continuamente. Diceva quanto avrebbe voluto averne, ma che per qualche motivo non riusciva. Abbiamo chiesto a Vivian se i Fairbanks avrebbero mai rapito una bambina e lei è scoppiata a ridere. Ci ha detto che era poco ma sicuro: pur di avere un figlio avrebbero fatto qualunque cosa. -
- Purtroppo non ci sono segnalazioni di bambini scomparsi in California che siano compatibili con Dorothy e con la data in cui è stata vista coi Fairbanks per la prima volta. - Continuò Grace.
- Un altro buco nell'acqua, praticamente. - Sospirò Teresa. - Cho, cosa mi dici delle telecamere di sorveglianza del silos di Sicomor Grove? -
- Sto aspettando che ci mandino l'hard disk con le registrazioni. Dovrebbe arrivare a momenti. - Rispose Kimball.
- D'accordo. Appena l'avete dategli un'occhiata e controllate tutte le automobili che entrano nella via a partire da ieri sera. -
- Scusate. - La voce di Claire li interruppe. - Io avrei finito. -
L'assistente sociale posò il suo sguardo sui diversi membri della squadra, fermandosi alla fine su quello del capo.
- C'è qualcosa che non va? - Domandò Teresa.
- La questione è molto delicata e la bambina è molto scossa: credo sia meglio non portarla via stasera. Ho bisogno di tempo per fare qualche telefonata e per il suo bene sarebbe meglio non trascinarla in una casa famiglia. Qui si sente al sicuro ed è la cosa più importante per lei, al momento. - Rispose Claire con serietà.
Teresa aprì la bocca per rispondere, ma Patrick la precedette, alzandosi dal divano e prendendo la mano di Claire tra le sue.
- Saremo lieti di poterla aiutare. - Disse con sentimento, guardando Claire negli occhi.
- Grazie infinite. Dorothy ne sarà felice. - Rispose la ragazza, sollevata. - Mi farò sentire domattina presto per farvi sapere gli sviluppi. -
Strinse la mano di Patrick e poi quella di una Teresa così sbigottita da non essere nemmeno in grado di parlare, rivolse un dolce sorriso agli altri e poi si allontanò.
- Mi piace, quella ragazza. Emana calma. - Disse Patrick.
- A me non piace che ci abbia lasciato qui quella bambina disperata. - Sentenziò Grace. - Stamattina non ha voluto sentire ragioni, non faceva nulla di quello che le chiedevo. -
Teresa si voltò e guardò Patrick con gli occhi colmi di rabbia.
- Come diavolo ti è venuto in mente di risponderle al posto mio? - Sbottò.
- Non avresti mai detto di sì. -
- Certo! Perchè non possiamo badare a una bambina di cinque anni! Stiamo lavorando, anche se pare che tu te ne ricordi raramente! -
- Hai sentito Claire: era la cosa migliore per Dorothy. -
- Questo non ti autorizza a prendere decisioni che spettano a me! -
Teresa rivolse un'ultima occhiata di fuoco al suo consulente e poi si rivolse al resto della squadra.
- Bene. Chi si occupa di Dorothy, allora? - Domandò Teresa. - Cho? -
Kimball si alzò, infilò la giacca e prese la borsa.
- Non posso. Ci vediamo domani. - Disse solamente, prima di prendere la borsa e avviarsi all'uscita.
- Rigsby? - Domandò Teresa.
- Mi piacerebbe, davvero, ma stasera ho un appuntamento che proprio non posso rimandare. Mi spiace, capo. - Disse Wayne. - Magari VanPelt... -
- Oh, no! Ho dovuto gestire quella piccola peste per una mattina intera, non potete rifilarmela anche per la serata! Ho di meglio da fare! - Esclamò Grace
I passi di un paio di piccoli piedi sul linoleum interruppero la discussione e Dorothy comparve in mezzo al gruppo di adulti.
- Che succede? - Domandò la bambina.
- Ti va di andare a casa con Grace? - Domandò Teresa.
- No. -
- Solo per stasera, tesoro. -
- No. -
- Non puoi rimanere a dormire al CBI. -
Dorothy fece un passo avanti e prese la mano di Teresa, stringendola forte e guardando la donna con tutta l'intensità dei suoi grandi occhi di bambina.
- Beh, credo che Dorothy abbia deciso chi vuole che si prenda cura di lei. - Disse Patrick sollevato, avviandosi verso il divano.
Teresa tentò di balbettare una risposta, qualcosa che costringesse Wayne, Grace o Patrick a prendersi l'impegno di gestire Dorothy, ma la stretta della bambina attorno alla sua mano le impediva di pensare lucidamente.

Teresa non si rese conto di quello che stava facendo finchè non si ritrovò seduta alla penisola della sua cucina a mangiare un hamburger di fronte a una bambina di cinque anni.
- Ti piace? -
Dorothy annuì vigorosamente, rispondendo senza curarsi di avere la bocca piena:
- È buono. Anche la mia mamma lo fa buono. A lei piace tanto cucinare. - Si fermò un istante. - Piaceva. - Si corresse.
Si fermò con il panino tra le mani, guardandolo come se addentare qualcosa di non preparato dalla sua mamma fosse stato uno sbaglio.
Teresa allungò la sua mano per posarla su quella di Dorothy. La bambina alzò gli occhi verso di lei, poi addentò di nuovo l'hamburger e rimase in silenzio a masticare per un momento.
- A te piace cucinare? - Domandò alla fine.
- Oh, beh. No. Cucino ma... no, non mi piace. - Rispose Teresa, presa in contropiede.
- Cosa ti piace fare? -
Teresa aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non avere una risposta a quella domanda; rimase per un attimo in silenzio e poi fu costretta a dire la verità.
- Lavorare. Prendere i cattivi e metterli in prigione. -
- Anche chi ha fatto male alla mia mamma e al mio papà? -
- Soprattutto loro. - Replicò Teresa con un sorriso. - Ora mangia. -
Dopocena Dorothy prese la sua scatola di matite e un bloc notes e si raggomitolò sul divano a disegnare, mentre Teresa andava a caccia di un cuscino e una coperta in più per la bambina.
Stava rovistando in fondo a un armadio quando il suono del campanello la fece sobbalzare tanto da farle dare una testata allo scaffale sopra di lei.

- Hanno suonato! - Trillò Dorothy comparendole alle spalle scalza e spettinata.
- Ho sentito, vado ad aprire. - Rispose Teresa con un sospiro.
Quando spalancò la porta ci mise un istante a realizzare chi aveva davanti.
- Jane? Che ci fai tu qui? -
- Ho pensato che potevi aver bisogno di una mano. -
- Sono cresciuta con tre fratelli, so come badare a una bambina. -
- Patrick! - Dorothy si precipitò all'ingresso con un sorriso tanto luminoso da costringere Teresa a far entrare il suo consulente, pensando per l'ennesima volta che non stava prendendo nemmeno una delle decisioni che le spettavano.
Patrick entrò facendole un sorrisetto e stringendosi nelle spalle, come per dire che quella situazione non era colpa sua.
- Tienila d'occhio. - Gli intimò Teresa, allontanandosi.
- Agli ordini, capo. - Rispose Patrick con un sorriso.
Mentre riordinava la cucina, sentiva Patrick e Dorothy parlare nell'altra stanza e le risate della bambina ovattate dalle pareti, coperte dal suono delle stoviglie messe nello scolapiatti e dal traffico che scorreva fuori dalla finestra aperta.
Stava riponendo gli ultimi piatti, quando la risata di un uomo la fece fermare col braccio a mezz'aria.
Conosceva Patrick da anni, ormai, ma non l'aveva mai sentito ridere. Aveva spesso il suo sorriso sornione stampato in faccia, ridacchiava sotto i baffi quando giocava un tiro mancino a qualcuno per metterlo nel sacco... ma non aveva mai riso in quel modo sincero.
Il cuore di Teresa mancò un battito.
Il suono delle stoviglie, la risata di Dorothy e quella di Patrick, l'aria calda e profumata che entrava dalla finestra aperta... quella era la vita che avrebbe dovuto avere da piccola. Quella era la vita che avrebbe voluto avere da grande.
Appoggiò di nuovo il piatto nel lavabo, poggiandosi in fretta una mano sulle labbra per impedire loro di tremare, mentre perdeva la battaglia con le lacrime che le riempivano gli occhi.
- Ehi, Lisbon, ci chiedevamo se potevi farci un tè. - Domandò Patrick, apparendo sulla porta.
- E un bicchiere di latte! - Continuò Dorothy.
- Sì, certo. - Rispose Teresa, voltandosi in fretta per dare loro le spalle e cercando di dominare il tremito nella voce. - Andate di là, ve li porto tra un minuto. -
Sentì Dorothy allontanarsi, ma gli occhi di Patrick erano ancora posati su di lei, poteva sentire l'intensità delle sue iridi azzurre sulla propria nuca. Fece finta di non essersene accorta e continuò ad asciugarsi le mani nello strofinaccio che si era ritrovata in mano finchè non lo sentì allontanarsi.
Solo in quel momento si concesse di tornare a respirare e di asciugarsi in fretta le ciglia.
Quando arrivò in salotto con una tazza di tè e un bicchiere di latte, sul pavimento c'erano matite colorate, fogli scarabocchiati e due bambini con gli occhi brillanti, una piccola e bruna e l'altro grande e biondo.
- Che diavolo sta succedendo qui? - Esclamò quando si ritrovò a dover fare lo slalom tra i disegni per raggiungere il tavolino.
- Ci stavamo solo divertendo. - Rispose Patrick con innocenza.
- Ti ho lasciato con Dorothy perchè tu te ne prendessi cura, non per farti incantare e fare tutto quello che vuole lei! -
- È strano. - Disse Patrick sovrappensiero, sedendosi sul divano con la sua tazza di tè e guardando Dorothy prendere il grosso bicchiere di latte con entrambe le mani. - Non riesci a non assecondarla, anche se non sai cosa le sta passando per la testa. Ti ritrovi ad accontentarla prima ancora di capire i suoi piani. -
- Benvenuto nel mio mondo. - Sentenziò Teresa.
Patrick nascose il suo mezzo sorriso dietro la tazza di tè, ricambiando la frecciatina di Teresa con uno dei suoi sguardi intensi.
Mezz'ora più tardi Teresa stava cercando di convincere Dorothy ad addormentarsi. Già era difficile concentrarsi su quello che stava facendo con la consapevolezza che Patrick girava per la stanza psicanalizzandola attraverso il magro arredamento di cui si era circondata, se ci si metteva anche una bambina ostinata che diceva di non avere sonno la situazione diventava veramente ingestibile.
- Adesso basta, Dorothy, è tardi e sei stanca. Dormi. -
- Non ho ancora sonno... - Disse la bambina, concludendo la frase con uno sbadiglio che la contraddisse clamorosamente.
- Invece sì. - Rispose Teresa con un sorriso chinandosi per accendere la luce sul tavolino prima di andare a spegnere quella della stanza.
Non aveva fatto in tempo a fare un passo lontano dal divano, quando Dorothy le afferrò i jeans.
- Non andare via, ti prego. Rimani finchè non mi addormento. Ho paura da sola. - Disse in un sussurro, con gli occhi neri pieni della stessa muta disperazione che le si era dipinta sul viso nel momento in cui aveva capito che i suoi genitori non sarebbero tornati.
Lo stomaco di Teresa si contrasse con violenza, come se avesse ricevuto un pugno, e tutto quello che riuscì a fare fu stringere le labbra e sedersi sul divano. Dorothy si aggrovigliò nelle coperte precipitandosi contro di lei e rannicchiandosi contro il suo fianco.
- La mia mamma mi leggeva sempre una favola, prima di dormire. - Disse in un sussurro.
- Non ho libri di favole. - Replicò Teresa imbarazzata, cercando di concentrare la sua attenzione sul groviglio delle coperte attorno alle gambe della bambina per non dare voce ai mille pensieri confusi che le si affollavano nella mente.
- Potresti inventarne una. - Propose Dorothy.
Teresa alzò gli occhi sgomenta, terrorizzata da quella situazione che metteva in crisi il coraggio e la freddezza che non le mancavano mai quando si trattava di affrontare il pericolo.
Il suo sguardò incrociò quello di Patrick, fermo vicino alla finestra con gli occhi rivolti verso di lei. Come se le avesse letto nel pensiero - cosa che probabilmente aveva fatto davvero - si avvicinò con un sorriso.
- Ho io un bel libro. - Disse, raggiungendo la sua giacca gettata su una sedia e tirando fuori dalla tasca interna il libro che aveva sfogliato tutto il giorno al CBI.
Quando Dorothy vide il leone, lo spaventapasseri e l'omino di latta sulla copertina gli occhi le scintillarono, riconoscendo il Mago di Oz.
- Mi piace questa storia. - Disse sfregandosi gli occhi con una manina.
Con un sorriso, Patrick si sedette sulla poltrona e iniziò a leggere. La luce dorata della lampada sul tavolino creava un cono di luce calda, un piccolo mondo luminoso e sicuro nel buio della stanza; la voce del consulente, calma e morbida, riempiva la sala silenziosa intrecciando descrizioni di strade di mattoni gialli, città di smeraldo e scimmie volanti. Accarezzando distrattamente i capelli di Dorothy con le dita, Teresa si era persa nei suoi pensieri, cullata dalle parole del libro e toccata profondamente da quella situazione così normale e così assurda. A riscuoterla fu l'improvviso silenzio che le fece alzare gli occhi.
Patrick era in silenzio, col viso serio, e fissava Dorothy addormentata sulle ginocchia di Teresa con una espressione terribilmente triste negli occhi. Non bisognava essere un sensitivo per capire cosa gli stava passando per la testa: se lei soffriva al pensiero di quella normalità che non aveva mai vissuto, lui doveva essere distrutto da quel ritorno a una vita che aveva provato e che gli era stata strappata all'improvviso.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, trovare le parole giuste, ma non sapeva nemmeno che cosa voleva dirgli.
Patrick si accorse di essere osservato e alzò gli occhi veso di lei.

In un muto scambio di sguardi, Teresa sperò che lui fosse in grado di leggere nel suo cuore quello che la sua testa non riusciva a dire.



















Lo so, lo so. Sono due settimane che non aggiorno.
La verità è che questo capitolo è stato il più difficile da scrivere
e ho continuato a rileggerlo cercando di decidere se postarlo o lasciar perdere,
perchè non lo trovavo molto "in stile" The Mentalist: troppo sdolcinato e melense.
Ma io sono sdolcinata e melense, quindi mi sono detta: è la tua fanfiction, che diamine,
fagli fare cose che vorresti vedere ma che non vedrai mai!
Quindi ecco qui: dopo i due episodi di ieri sera in cui speravo in un po' più di sentimento,
ho deciso di postare anche questa scena, sperando che non sia troppo OOC:
nel qual caso, chiedo venia e spero di convincervi a leggere comunque il prossimo capitolo.
Se invece siete anche voi animi romantici, spero che vi sia piaciuta la situazione:
trovo perfetti Jane e Lisbon insieme... e questa situazione li unisce più di tante altre, secondo me.

Grazie per avere letto, al prossimo capitolo
(che arriverà in un lasso di tempo dignitoso, promesso)
Flora
   
 
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