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Autore: Ammimajus    23/11/2012    2 recensioni
Si maledì perché qualunque cosa avesse fatto, qualunque cosa l’avesse aggredita, lei era evidentemente stata troppo debole per affrontarla.
E la debolezza non era qualcosa di concepibile.
Non era un termine tollerato dal suo vocabolario.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO.

 
 

Il corpo della ragazza giaceva immobile sul pavimento di marmo della sua camera da letto. Solo gli impercettibili movimenti del petto rivelavano un timido segno di vita in quello che, all’apparenza, era soltanto un cadavere. 
Non un singolo punto del suo corpo era stato risparmiato dalla tragedia: sangue, sangue e ancora sangue lo ricopriva da parte a parte, come un lenzuolo bagnato, perfettamente coprente.
Non c’erano vestiti accanto a lei: era nuda, rannicchiata in posizione fetale, quasi a  volersi proteggere dal freddo che il marmo emanava.
Il letto era sfatto, con le lenzuola riverse per terra e le coperte raggrovigliate su loro stesse, reduci da una guerra.
Era Marzo, e avrebbe dovuto fare freddo nella cittadina di ***, nel ***; fuori, invece, non un filo d’erba si muoveva e l’aria era così ferma e silenziosa che chiunque avrebbe potuto udire il rumore di uno spillo caduto a terra.
La finestra della camera era aperta, e lasciava entrare la luce lunare, che stava lentamente sfumando, lasciandosi tinteggiare da quella calda e rassicurante del Sole. Stava albeggiando, e la Luna piena iniziava a perdere i suoi contorni netti, per confondersi con il cielo e lasciare al Sole la possibilità di splendere.
 
La giovane si destò piano piano, come se quella fosse una mattina qualunque. Prima mosse le dita, poi sgranchì le braccia e le gambe e, solo infine, aprì gli occhi, levando la tenda che le impediva di rabbrividire alla vista di quella situazione.
La prima cosa che vide fu il soffitto perfettamente imbiancato della stanza. Era convinta di trovarsi sul materasso morbido e confortevole del suo letto, ma quando spostò lo sguardo a sinistra e vide quest‘ultimo, abbandonato al suo disordine come una carcassa qualunque, iniziò finalmente a chiedersi che cosa ci faceva lei sul pavimento.
Fu proprio nel tentativo di alzarsi, per potersi rimettere sotto le coperte, che notò il liquido rosso, viscido, puzzolente e vomitevole, che la ricopriva completamente. Fu pervasa dal desiderio di urlare ma, immediatamente, si ricordò di sua madre, che stava dormendo al piano superiore, e soffocò il grido in gola.
Indietreggiò, scontrandosi quasi contro una parete e rischiando di intaccare il candore della pittura, e iniziò a spaventarsi davvero, guardando quanto fosse orribile il suo corpo in quelle condizioni.
Il respirò divenne sempre più corto e lei si portò le mani alla gola quando ebbe la sensazione che le mancasse del tutto. Sentì il cuore arrestarsi per qualche secondo e poi riprendere a battere, accecato dal sogno di poter cavalcare più rapidamente, pompando sangue a un ritmo sempre più crescente, bramoso di bucare le vene.
pompando sangue a un ritmo sempre più crescente.
-Aiuto…- arrancò la ragazza, più a se stessa che a qualcun altro.
Mise la testa tra le ginocchia, ma la sensazione nauseabonda causata dall’avere tutto quel sangue attorno non sparì. Si appoggiò per terra, ma vedere il liquido rappreso sulle cuticole le fece salire un conato di vomito.
Entrò nel bagno, quello adiacente alla sua camera, che solo lei utilizzava, e accese la luce. Mentre lo faceva, fece un appunto mentale, ricordandosi che avrebbe dovuto pulire le impronte lasciate sull’interruttore.
Poi si guardò allo specchio.
I capelli erano arruffati e appiccicosi, resi crespi e maleodoranti dal sangue. E lo stesso sangue le ricopriva anche il viso, interamente, arrivando a macchiare persino le palpebre e l’interno delle orecchie.
Si chiese cosa le fosse successo. L’unica spiegazione plausibile era che si fosse immersa in un’intera vasca di sangue. Non poteva essere altro, non si poteva trattare di vernice, lei percepiva l’odore rugginoso di ciò che la ricopriva da capo a piedi.
Osservò che, sotto tutto quel rosso, il suo incarnato appariva cereo e che le sue labbra avevano assunto tonalità pressappoco violacee, mentre gli zigomi sembravano voler uscire fuori dalle guance. Tratti cadaverici si potevano riscontrare anche su tutto il resto del corpo: la pelle appariva come un misero velo fragilissimo, che lasciava perfettamente distinguere la forma delle ossa, le unghie erano bianche, anziché rosate, le dita erano scheletriche, mentre si poteva intravedere la maggior parte delle vene, fiumi bluastri che scorrevano come tratti d‘inchiostro lungo tutto il corpo.
Alla povera giovane spaurita sembrava di essere dimagrita improvvisamente, le sembrava di essere diventata anoressica in una sola notte, come se una forza oscura le avesse divorato la carne, risucchiato la linfa vitale, prosciugato gli occhi del loro consueto splendore.
Terrorizzata, la ragazza rivolse le spalle allo specchio e si infilò sotto la doccia, facendo scorrere l’acqua calda.
Ringraziò il cielo del fatto che sua madre dormisse al piano superiore, almeno non avrebbe udito alcun rumore sospetto. Si lavò a fondo, con la spugna morbida che utilizzava di solito, fece lo shampoo una, due, tre volte, e magicamente, le sembrò che il suo corpo riacquistasse vita.
Mano a mano che il sangue colava via, cancellato dal sapone, le ossa tornavano al loro posto e la pelle diventava sana, elastica, robusta e soprattutto ben colorita.
Uscì dalla doccia e si coprì con un telo blu, appeso alle mattonelle di ceramica del muro con un chiodo. Poi prese un piccolo asciugamano e asciugò i piedi. Scalza, dopo aver bagnato lo straccio che usava di solito per pulire il bagno e dopo averlo cosparso di detersivo, rientrò nella sua camera e lo passò sul pavimento, con forza, riuscendo a rimuovere ogni sorta di macchia che lo aveva sporcato.
Poi tornò a riporre tutto in bagno e si mise addosso la biancheria intima e il pigiama, dato erano ancora le sei del mattino e le rimaneva un’ora buona per dormire, e si sistemò un asciugamano sui capelli, visto che non aveva potuto asciugarli per via del rumore che avrebbe emesso il fono. Così, ancora infreddolita, si rannicchiò sotto le coperte e chiuse gli occhi, fermamente decisa a scacciare ogni sorta di diabolico e tetro pensiero di cui la sua mente s’invaghiva.
Ma era tutto vano: non era possibile chiudere occhio, essendo a conoscenza della misteriosità e della gravità di ciò che le era appena successo.
Non ricordava nulla di quella notte, nemmeno un particolare sfuggente, un rumore remoto o una sensazione momentanea.
Vuoto totale.
Eppure, qualcosa doveva essere successo. Di certo, tutto l’evento non doveva essersi verificato in casa, poiché ogni cosa era rimasta così come sarebbe dovuta rimanere. Ad eccezione del suo corpo, ovviamente, abbandonato sul pavimento come uno scarto da laboratorio.
Una folata di vento frustò improvvisamente dalla finestra e la fece sobbalzare. Si alzò di scatto, tremando, e la richiuse immediatamente.
Quindi quella finestra era aperta.
Era rimasta aperta durante tutto il tempo in cui lei si era fatta la doccia.
Qualcuno sarebbe potuto entrare, avrebbe potuto rapirla, ucciderla, massacrarla! E lei era rimasta ignara di tutto, incurante del pericolo. Come aveva potuto abbandonarsi ad una simile leggerezza?
Si maledì per tutto quello che era successo quella notte, anche se non sapeva di preciso cosa fosse accaduto.
Si maledì perché qualunque cosa avesse fatto, qualunque cosa l’avesse aggredita, lei era evidentemente stata troppo debole per affrontarla.
E la debolezza non era qualcosa di concepibile.
Non era un termine tollerato dal suo vocabolario.
 

 
 
 

S P A Z I O   A U T R I C E.
Ciao, lettori.
Anzi, facciamo come Manzoni.
Salve, miei cari “venticinque lettori”.
Beh, sarebbe un sogno avere già così tanti lettori,
ma, come afferma un tale molto più saggio di me,
non va bene “rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere.”
Questa storia che ho iniziato ha un’impronta
un po’ diversa da quelle che ho scritto in precedenza.
Vorrei darle un carattere oscuro e introspettivo
(badate bene, per adesso le mie sono solo chiacchiere),
ma poiché sono un tipo dalle idee molto volubili
non garantisco nulla.
Mi piacerebbe davvero tanto sapere quali sono i vostri pareri
 a proposito di questo prologo,
se avete aspettative o supposizioni
su quelli che saranno i capitoli successivi,
se avete critiche da riservare all’impostazione
della mia storia o al mio modo di scrivere.
 
Per il resto, bando alle ciance,
vi faccio una presentazione veloce.
Potete chiamarmi Cassie:
è il nome del personaggio di una storia
che ho scritto e a cui sono legata.
Sono insicura per la maggior parte del tempo,
anche se spesso faccio la dura,
a volte sono capace di distruggere qualsiasi cosa
si trovi intorno a me,
compresa me stessa.
Insomma, sono una bomba ad orologeria.
Sono un autentico maschiaccio:
da piccola non ho mai giocato con le bambole
e preferivo di gran lunga fare il pirata
insieme ai maschi piuttosto che vestire dei neonati finti
e cambiare pannolini.
Adoro il football americano e la Formula 1 con tutta me stessa
e tra gli sportivi che adoro di più figurano
Gilles Villeneuve e Fernando Alonso.
Ho una spassionata cotta per i One Direction,
ma -state tranquilli- questa non sarà un’ennesima storia su di loro.
Sono cresciuta con i Finley, i Green Day e Adriano Celentano
 e adoro la musica di ogni tipo,
se si esclude l’house e il rap troppo incomprensibile o volgare.
JK Rowling mi ha insegnato tutto quello che so oggi
e Jane Austen mi ha fatto diventare
la più agguerrita paladina adolescente del femminismo.
Sì, sono una femminista convinta.
E spesso affermo che, per certi comportamenti,
i maschi sarebbero una razza da eliminare.
Detto questo, vi saluto.
 Bye babes, fatevi sentire.
 
 

   
 
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