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Autore: Sidney Rotten    23/11/2012    0 recensioni
Improvvisamente non mi importava più del resto del mondo.
C’eravamo io, lui e nient’altro.
Il cibo, l’acqua, le altre persone, problemi e soluzioni, sembravano essere usciti dai miei pensieri. Pian piano le mie priorità riguardavano sempre meno la sopravvivenza e sempre più la nostra relazione.
Ci fu un momento in cui credetti addirittura di aver smesso di respirare.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capisco al volo a cosa si riferisce. Non so cosa rispondere, ma lui continua a parlare.
“Quando avevo quattro anni, mi portarono via da lei. Si drogava, beveva, quindi mi misero in una specie di famiglia provvisoria. Stavo bene, con quelle persone, ma mi mancava la mia vera mamma. Dopo due anni, mi affidarono ad un’altra famiglia, di punto in bianco, senza nessuna spiegazione.
Credo fossi io il problema. E’ sempre stato così: chiunque mi si avvicini, scappa via terrorizzato. Lo farai anche tu, vedrai.” mi rivolge uno sguardo fugace, poi torna a fissarsi le mani. “Fatto sta che poco dopo anche questa nuova coppia, si è ritirata, lasciandomi al mio destino. Dai dieci ai sedici anni ho vissuto in una specie di collegio. Ero sempre solo, senza amici, senza famiglia” un sorriso malinconico gli attraversa il volto, poi torna serio “Lì cominciai a scrivere. Sono otto anni che lo faccio e ho ancora così tanto da scrivere, dei pensieri che mi frullano per la testa. Quando me ne andai, o meglio, quando sono potuto finalmente andare via, scoprii il punk e me ne innamorai perdutamente. Ora vivo in un appartamento poco fuori cittàe di tanto in tanto incrocio mia madre. Lei vorrebbe ricominciare ad avere un rapporto con me, ma finché non smette di farsi, io non le voglio nemmeno parlare. E non vedo l’ora che lo faccia sul serio.”
Cerco le parole giuste nella mia testa, ma l’unica cosa che riesco a pensare è che, in confronto, la mmia vita è stata così facile e non dovrei lamentarmi. Rimango zitta e l’istinto mi spinge ad abbracciarlo. Lo faccio e lui mi circonda a sua volta con le sue braccia. Stiamo così, io chiudo gli occhi e cerco di imprimere nella memoria ogni cosa: il suo profumo, la sensazione dei nostri corpi vicini, il calore che propaghiamo.
Si sposta, lasciandomi. Sorride, sincero e mi bacia la fronte, allora ricambio, sorridendo a mia volta. Mi prende la mano, ma poi mi prende per le spalle e mi tira a giù, quindi mi accoccolo affianco a lui, che copmincia a giocare con i miei capelli, come ieri sera. Sembra passato davvero tanto tempo, sebbene sia in realtà molto poco.
Ci addormentiamo abbracciati, sul mio letto.
Mi sveglio e quasi mi spavento, rendendomi conto che lui è davvero qui, che non è stato solo un sogno, un frutto molto dolce della mia immaginazione.
Non ho idea di che ora sia e neanche mi interessa; Sto lì fera a guardarlo dormire. Deve sentirsi osserveto, perché apre gli occhi. Neanche faccio finta di niente, neanche sposto lo sguardo. Si tira su, mi sorride e mi da il buongiorno. Si stiracchia, io continuo a stare ferma, a guardarlo. Come sempre, non riesco a staccargli gli occhi di dosso. 
Credevo se ne sarebbe andato, invece rimane qui, con me. Non parliamo, ci guardiamo negli occhi. Studiamo l’uno i movimenti dell’altro, cercando di indovinare quello seguente, seguiamo con le dita i nostri corpi; gli sfioro le labbra screpolate, le guance pallide, la clavicola sporgente a causa della sua magrezza, le braccia sottili, color della neve. Lui fa lo stesso con me, ma non segue nessuna traiettoria precisa, passando dalla mia bocca ai capelli, poi giù, lungo i fianchi, per poi tornare ai capelli, con i quali, a quanto pare gli piace giocare. E ad ogni tocco io fremo, ad ogni tocco un brivido nasce dal punto che le sue dita sfiorano, irradiandosi in tutto il corpo. Ma alla fine le nostre mani si di ritrovano, facendomi riprendere l’equilibrio che la distanza mi aveva fatto perdere.
Il tempo, lo spazio intorno a noi, si annullano, siamo in un limbo in cui niente ha senso, un limbo in cui l’unica cosa su cui riusciamo a concerntrarci è la presenza dell’altro al proprio fianco. La vicinanza mi scalda; quasi non lo conosco, ma è come se ci conoscessimo da sempre. Andiamo avanti così, a conoscerci senza parlare, sin quando il sole, ormai alto nel cielo, ci accarezza i volti, e ancora oltre, finché le nostre mani e i nostri occhi conosco a memoria ogni dettaglio del corpo che ci sta davanti. E’ tutto surreale, è tutto ovattato, più simile ad un sogno che alla realtà.
La prima parola che dico, la prima parola che riesco a pronunciare è un “grazie” leggermente soffocato a cui Jimmy risponde con un sorriso dei suoi. 
Il tempo si è dilatato a tal punto che non so nemmeno se è mattino, pomeriggio o sera, allora guardo l’ora sul cellulare e vedo che sono le nove e mezza e calcolo che ci siamo svegliati verso le sette, ma non ne sono così sicura. A dirla tutta, non sono sicura di niente, sono frastornata, faccio fatica a fare un ragionamento logico.
Decidiamo di rimanere ancora un poco a letto, ma ora siamo sotto le coperte. Siamo ancora vestiti, ovviamente, ma ho un po’ di freddo. Mi appoggio al suo petto e ben presto il nostro respiro è sincronizzato.
Alzo la testa per guardarlo.
Ora i nostri volti sono così vicini, che mi basta un minimo movimento, per assaggiare nuovamente le sue labbra.
Sono indecisa sul da farsi, ma lui mi precede, avvicinandosi per primo, sfruttando il mio momento d’indecisione. Non è un bacio lieve, appena accennato, questa volta. Questa volta è un bacio violento, affamato, incredibilmente dolce. E’ un bacio che mi fa venir voglia di averne un altro, immediatamente, quindi mi giro, per stare più comoda e lo bacio ancora. 
Le nostre lingue continuano a danzare, le sue mani mi prendono il viso, poi corrono alla schiena, mi stringono, mi procurano lividi il cui dolore fisico, cura il mio dolore mentale, il vuoto che mi sta inghiottendo. Non mi vuole lasciare, non vuole che io scappi via, non vuole che io faccia come hanno fatto gli altri. Non vuole più rimanere solo.
   
 
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