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Autore: Allison Argent    23/11/2012    1 recensioni
Cosa succederebbe se i personaggi di Glee fossero dei maghi e frequentassero Hogwarts? E cosa succederebbe se fosse indetta una nuova versione del Torneo Tremaghi?
«Le cose a Hogwarts erano diverse da anni fa, durante l’epoca oscura di Voldemort, i rapporti tra le Case erano molto più tranquilli di quanto i nostri genitori o amici più grandi ci avevano sempre raccontato. Certo, tra noi e i Grifondoro c’era sempre quella scintilla accesa e pronta a prendere fuoco, ma non era mai niente di troppo serio.
Il mio flusso di pensieri si fermò insieme al treno, mi girai di nuovo verso il finestrino e sorrisi: eravamo arrivati.»
{Quick, Quinn POV, altre coppie ancora da decidersi!}
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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1o# chiacchierate e selezioni
(in cui i posti in squadra non sono poi assicurati anche se il tuo migliore amico è il capitano)






 

Evidentemente il fatto che non solo uno, ma due studenti di Serpeverde erano diventati campioni di Hogwarts riusciva a rallegrare anche gli animi dei miei compagni più ambiziosi: la festa che ci aspettava in Sala Comune era colma di grida e cori rivolti a noi.
C’erano così tanti ragazzi e ragazze che cercavano di scambiare qualche parola con me o che venivano soltanto a stringermi la mano o esprimere la loro ammirazione che per tutta la serata non riuscii a scambiare neanche una parola con nessuno dei due miei migliori amici.
Che cosa significava essere una campionessa per la mia scuola? Che cosa sarebbe cambiato? Le persone mi avrebbero guardata in un modo diverso, ammirandomi, o mi avrebbero giudicata ancora più facilmente di quanto non avessero già fatto negli ultimi cinque anni? E se avessi fallito le prove? E se avessi vinto?
Non mi concedevo neanche quel pensiero. Fin dal momento in cui avevo sentito il mio nome annunciato dalla voce di Figgins che rimbombava per la Sala Grande, non ero riuscita a prendere in considerazione quell’opzione. Bastava soltanto guardare Puck per avere la prova lampante che non avevo molte possibilità di diventare la vincitrice del Torneo Tremaghi. Avrebbe vinto qualcuno come Puck, o al massimo quel St. James, che all’incontro di qualche ora precedente mi era sembrato avesse lo sguardo di qualcuno che la sapeva lunga sui fatti suoi.
Dopo ore di festa, la folla nella Sala Comune sembrò dissolversi, lasciando spazio ai pochi rimasti alzati per il poco sonno o a quelli che avevano troppi pensieri in mente per poter riposare.
A quanto pareva, io e Santana (Puck si era diretto verso il proprio dormitorio senza dire una parola) facevamo parte della seconda categoria, quella riguardante alle ansie.
Mi sentivo in colpa per averla trascurata nell’ultimo periodo, avevo sempre cercato di ritagliarmi momenti solitari oppure era successo che Puck fosse al primo posto nei miei pensieri – e non in una via positiva, per la maggior parte delle volte.
«Santana, mi dispiace così tanto.», le dissi quando anche l’ultimo dei ragazzi si ritirò nei dormitori. La guardai con uno sguardo afflitto e lei cercò di confortarmi accennando un sorriso poco convinto.
«Q., non fa niente.», mi rispose quando mi passai una mano tra i capelli, sfinita.
«Hai anche fatto amicizia con Brittany e ora anche lei è dentro.», appuntai distogliendo lo sguardo, lei sbuffò e fece una risatina.
«Vorrà dire che la mia missione è diversa dal vincere una stupida coppa. E poi diciamocelo, non potevano avere più di un campione apertamente gay nel torneo.», fece lei sbrigativa e io la guardai.
Aveva ragione, a scuola era difficile che gli studenti accettassero il fatto che a Santana piacessero le ragazze. Essendo un istituto così antico, accettare cambiamenti era difficile: i professori esigevano da sempre un atteggiamento rispettoso da parte dei ragazzi e noi dovevamo rispettare le regole della scuola. Più di una volta Santana aveva ricevuto punizioni per aver cercato di sostenere le sue idee e difendersi dai bulli (tante volte della nostra stessa Casa) che non approvavano le sue scelte e il suo modo di essere “diversa”.
Eventualmente però era riuscita a battere i pregiudizi della gente e si era fatta valere, tornando i vetta alla piramide sociale della nostra scuola ed essendo temuta soprattutto dai giocatori di Quidditch delle altre squadre.
«E vorrà dire che la mia missione sarà riuscire a fare ammettere al Ballo del Ceppo coppie omosessuali.», le sorrisi incoraggiante e mi spostai più a destra sul divano su cui eravamo sedute per poterla abbracciare meglio. Sapevo benissimo che la sua missione era tutt’altro che possibile, ma credevo nella mia migliore amica.
«E io ti sosterrò, come sempre.», le risposi sorridendole e prendendole la mano. Lei ricambiò il mio sorriso e strinse la stretta della mano.
«Era da tanto che non passavamo un po’ di tempo da sole, io e te, senza nessun ragazzo intorno.», notai io, lasciandomi andare all’indietro appoggiandomi allo schienale della mia poltrona preferita, quella a sinistra un po’ più lontana dal camino rispetto alle altre.
Santana scoppiò in una risata genuina.
«Vuoi anche pettinarmi i capelli e parlare di ragazzi? Non dimenticarti il fatto che a me piacciono le farfalle e non gli uccelli.», rispose lei sarcasticamente.
Mi erano mancate quelle serate solo io e lei, a scambiarci i segreti come se fossimo due bambine, a parlare di come ci immaginavamo le nostre vite a distanza di qualche anno, a sognare una famiglia e un lavoro di cui eravamo fiere.
E invece, in quel momento, basandosi sulla storia di vecchie edizioni del Torneo Tremaghi, io sarei potuta benissimo essere sottoterra dopo solo una prova.
«Hai parlato con Brittany dopo cena?», le chiesi curiosa, cercando di allontanare quei pensieri di me e del mio incombente spaventoso futuro.
Santana annuì.
«Appena prima che vi rinchiudessero in quella stanza a dirvi tutti i segreti.», mi spiegò roteando gli occhi. Io mi morsi un labbro ripensando a quei minuti passati nell’aula prima che ci accoppiassero ognuno con un professore diverso.
«Beh, non mi racconti tutti i segreti che vi hanno svelato?», continuò curiosa picchiettando le dita sul mio ginocchio, io le sorrisi e le spiegai quel poco che ci avevano detto qualche ora prima.
Le raccontai degli accoppiamenti – si lasciò scappare un “hijo de puta” quando arrivai al punto in cui la Beiste diventava mentore di Puck – e di come ci saremmo dovuti trovare con il nostro mentore in qualche giorno per parlare di tattiche.
Nel tutto, evitai di accennare al fatto di quello che sarebbe successo tra me e il nostro migliore amico se il preside Figgins non ci avesse chiamati. Fui sul punto di raccontarle tutto – dall’estate precedente a quel giorno – ma non lo feci per paura che Puck si arrabbiasse. D’altronde non c’entravo solo io in tutta la storia.
«San.», feci io dopo qualche momento di silenzio. Lei alzò la testa e mi guardò interrogativa.
«Ti voglio bene.», conclusi sorridendole. Lei si spostò più verso di me e mi cinse in un abbraccio stretto.
Il giorno seguente, come se quello precedente non fosse stato già abbastanza pieno, era il giorno delle selezioni per le nuove squadre di Quidditch.
Finalmente dopo mesi che non salivo su una scopa, avrei potuto volare di nuovo.
Quando io e Santana ci presentammo nel campo di Quidditch, trovammo Puck già intento a parlare con una trentina di altri ragazzi e ragazze della nostra Casata. Mi girai verso la mia amica con un’espressione interrogativa che lei ricambiò con un’alzata di spalle e insieme ci facemmo spazio tra la gente fino ad arrivare al nostro migliore amico.
«Che cosa sta succedendo qua?», chiese Santana a Puck senza tanti preamboli, lui inarcò le sopracciglia e fece una smorfia.
«Che cosa pensi stia succedendo?», le rispose aprendo le braccia e guardando i ragazzi giocare con manici di scopa e pluffe varie.
Santana alzò gli occhi al cielo e gli diede una piccola botta sul braccio.
«Hai fatto almeno una divisione per le varie posizioni? Dove sono i cacciatori?», Puck fermò Santana prima che lei potesse iniziare a chiamare le varie persone nel campo.
«I cacciatori sono radunati là in fondo – cominciò Puck – e tu adesso vai a raggiungerli perché non sei esonerata dalle selezioni.», spiegò lui tranquillo e deciso. Santana spalancò gli occhi e per un momento pensai che stesse per perdere le staffe, ma invece si incamminò verso gli altri cacciatori sussurrando uno dei suoi “hijo de puta” soliti.
Mi avvicinai a Puck appena Santana si distrasse a parlare con gli altri ragazzi.
«Devo dedurne quindi che non sono più la Cercatrice di Serpeverde?», gli chiesi sottovoce guardandolo dritto negli occhi. In un secondo, immagini dal giorno precedente invasero la mia mente e mi presero alla sprovvista, facendomi domandare perché mi sentissi così strana in presenza di Puck; scacciai quei pensieri velocemente, cercando di concentrarmi sulla questione più importante che era il mio ruolo nella squadra.
«Lo sei, devo solo far vedere alla Beiste che non faccio preferenze.», mi spiegò lui dopo aver deglutito.
«Quinn. . .», iniziò a dirmi, ma io lo fermai ancora prima che potesse finire la frase, sapendo già dove volesse arrivare.
«Non ci pensare.», lo rassicurai io, era esattamente quello che stavo cercando di fare: non pensare a cosa sarebbe potuto succedere.
Lui mi guardò con un’espressione triste ma annuì.
«I cercatori sono là.», disse con un sospiro e indicò un gruppetto formato da due ragazzi e una ragazza che doveva avere tredici anni o giù di lì.
Le selezioni andarono bene, Puck non fece molti cambiamenti rispetto all’anno passato: io, lui, Santana e David Karofsky (altro cacciatore molto amico di Santana, grazie al cielo andavano d’accordo e insieme lavoravano sodo), che era al suo ultimo anno come Puck, eravamo in squadra anche l’anno scorso, mentre i nuovi arrivi furono la terza cacciatrice, tale Missy Gunderson del quarto anno, un’altra battitrice, Kate Long del quinto anno, e il nuovo portiere, Tanner Cooper che frequentava il sesto anno. Più tre riserve tutte tredicenni, onestamente dubitavo avrebbero mai giocato.
Eravamo tutti soddisfatti della nostra squadra, Tanner era stato il nostro portiere due anni prima fino a che non aveva dovuto smettere di giocare per dei problemi ai muscoli, ma a quanto pareva era tornato come nuovo ed era pronto per giocare e dare il meglio di sé quell’anno; Kate non aveva mai giocato a scuola, ma la conoscevo fin da quando ero piccola e tante volte ci eravamo trovate durante le vacanze estive a volare per puro divertimento. Non sapevamo molto sul conto di Missy, ma sembrava abbastanza brava dalle selezioni.
Ci allontanammo dal campo sudati e stanchi, ma almeno felici per il fatto che qualcosa stava andando per il verso giusto, a differenza della maggior parte delle altre situazioni in quei giorni. 

   
 
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