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Autore: Patta97    23/11/2012    4 recensioni
"L'amore è perduto se solo da una parte è trattenuto" è una frase di una poesia. L'enueg e il plazèr sono due forme letterarie. Questi tre miseri indizi sono gli unici che Sherlock Holmes ha per risolvere il caso di un ventiseienne trovato morto nel suo appartamento. Il consulente investigativo dovrà ricorrere all'aiuto di un inaspettato, indesiderato e improvvisato psicologo per risolvere il caso, che lo porterà a scoprire cose... inaspettate.
Una storia nata da una pagina di letteratura sulla lirica provenzale nel Medioevo...
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!!!
Okay, è l'ultimo capitolo. Ce l'ho fatta, alla fine! *si fa gli applausi da sola*
Premettendo che non avevo mai scritto di una scena slash (seppur appena accennata come alla fine di questo coso che mi ostino a chiamare capitolo), vi prego di essere parecchio clementi. 
Questo capitolo è dedicato innanzitutto a Lauur, la mia dolce e paziente beta, ma poi anche a tutte le mie care e adorabili recensitrici, a chi ha seguito la storia eccetera, e soprattutto alla mia fedele balla di fieno *alza un ramo secco in segno di saluto* e a mini-John, perché vorrei avere uno psicologo così.
Dopo questo delirio causa sonno, vi lascio leggere.
Un bacio enooooooooooooooooooooorme,
Chiara
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John si immobilizzò, il braccio ancora levato sullo scaffale del tè.
 
- Hai risolto il caso – disse.
 
Sherlock grugnì un assenso in risposta.
 
- E quando? – chiese John, lasciando stare la spesa e piazzandosi davanti alla poltrona di Sherlock, dove questi stava seduto, insofferente.
 
- Stamattina – affermò il consulente investigativo.
 
- Stamattina – ripeté John.
 
- Esatto – ribadì Sherlock.
 
- Stamattina… dopo che sono uscito? – domandò ancora il medico, incredulo.
 
- Sei incredibilmente sveglio, oggi, John – lo rimbeccò Sherlock. – Sì, stamattina, quando sei uscito, in parte, e il resto poco fa. Ma diciamo che la parte più importante l’ho sviluppata poco fa. Quindi no, John, non polemizzare, perché non ne hai né diritto né ragione – lo zittì poi, vedendo come il coinquilino aveva aperto la bocca per replicare.
 
John si ridiresse in cucina, scuotendo la testa.
 
- Mi riesci sempre a zittire – Sherlock lo sentì mormorare, tra lo stupito e l’esasperato.
 
Il consulente investigativo sorrise.
 
- Almeno posso, con te… - sussurrò, divertito.
 
- Come? – chiese John, arrivando con due tazze di tè fumanti.
 
- Vuoi sapere la soluzione del caso o no? – chiese Sherlock, brusco, per camuffare il tono sorridente di prima.
 
John annuì, leggermente sorpreso dall’improvviso cambiamento di umore dell’altro.
 
Sherlock si alzò in piedi e fece una faccia strana, guardandosi attorno. Il coinquilino sorrise di nascosto, capendo quanto l’amico fosse frustrato della scarsa presenza di pubblico al momento cruciale della rivelazione.
 
- Allora – iniziò Sherlock, felice che ci fosse almeno John ad ascoltarlo. – Era l’ipotesi che avevamo escluso fin dall’inizio. Sembrava improbabile, impensabile… sciocca. Ma gli stupidi giudicano sagge le scelte sciocche, e allora tutto è diventato lampante. È sempre più vero: eliminato l’impossibile quello che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità -
 
- Potresti essere più conciso, Sherlock? Sai, come… arrivare dritto al punto, senza pavoneggiarti – ironizzò John, sempre più curioso.
 
Sherlock fu fulmineo. - Suicidio -
 
John lo guardò, stranito. – Ma avevi detto che… -
 
- Tutto lo diceva. La sua casa, i mobili, gli oggetti, le foto… tutto urlava che era stato un omicidio. Ma Armand Saignement era coinvolto dai sentimenti. Così coinvolto da tradire regolarmente la sua ricca fidanzata che gli assicurava un lavoro prestigioso, così coinvolto che quando lei gli ha detto di essere incinta lui non ha avuto nulla da fare, se non decidere di sposarla. Si è improvvisamente trovato con le spalle al muro e quella era sembrata la via più facile da prendere. Ma la sua amante ha avuto un crollo emotivo e si è reso conto che stava rendendo infelici entrambe le ragazze. E allora eccola, la salvezza: il suicidio. Il suicidio per una cosa sciocca, un coinvolgimento sentimentale, l’amore. Per salvare chi gli stava a cuore da… se stesso. Il colpevole è già stato assicurato alla giustizia, John, ed è morto assieme alla vittima – Sherlock terminò di parlare e si sedette nuovamente sulla propria poltrona, soddisfatto.
 
- Un suicidio… - mormorò John.
 
- Non ricominciare a ripetere quello che dico, è irritante – Sherlock lo provò a zittire, ma con scarso successo.
 
- Tu avevi sbagliato – rise il medico.
 
- Ero solo sulla pista sbagliata – cercò di spiegare l’altro, diffidente.
 
- Che vuol dire: avevi sbagliato. Fammi assaporare questo momento – disse John, sarcastico. Ispirò a pieni polmoni l’aria calda dell’appartamento. – Già, è proprio l’odore della vittoria – constatò, buttandosi sulla poltrona di fronte all’indisposto e improvvisamente taciturno amico.
 
Sherlock prese la propria tazza di tè dal tavolo e iniziò a bere, infastidito.
 
John sorseggiò pure la sua bevanda, alternando ogni sorso a una soffiata di aria fredda dentro la tazza.
 
Passò una mezz’ora, al termine della quale Sherlock si rivolse a John.
 
- Si deve avvertire Elisabeth Fox – lasciò cadere nel silenzio, noncurante.
 
- Ho detto che non sarei più uscito, oggi, Sherlock – sospirò John.
 
- Oh, grazie per esserti offerto volontario, John! – ringraziò Sherlock, festante.
 
Si alzò nuovamente dalla poltrona ed estrasse un libro da uno degli scaffali. Dietro ne scoprì un pacchetto di sigarette che lanciò a John. Quello lo prese al volo, sorpreso.
 
- Porta una scorta di nicotina alla nostra giovane disperata, la farai felice – spiegò Sherlock. – E torna in fretta, devo parlarti di altre faccende -
 
*
 
- Mi dispiace – disse John, a disagio sul divano troppo morbido e troppo asettico.
 
Elisabeth Fox consumò l’ennesimo fazzoletto mentre il residuo dell’ultima sigaretta si consumava nel posacenere si cristallo. Parve darsi un contegno.
 
- Non si preoccupi. Me la caverò – provò a sorridere, spenta. Poi prese la busta poggiata sul tavolo basso tra di loro e gliela porse. – Questi sono vostri, suoi e del signor Holmes. Lo ringrazi per il disturbo -
 
John guardò con desiderio la pesante busta fra le mani laccate della ventiquattrenne: l’affitto incombeva…
 
- Tenga per lei i suoi soldi – disse alla fine, guardandola sincero e alzandosi da quell’immenso divano. – È stato un piacere per noi, per Sherlock e per me, aiutarla, dico sul serio -
 
Lei ricambiò con un tremulo sorriso.
 
John distolse lo sguardo da quei magnetici occhi neri. – Adesso devo andare, signorina Fox –
 
- Ma certo! – assentì lei. – Martha l’accompagnerà alla porta. Arrivederci, dottor Watson -
 
- Arrivederci – salutò John, allontanandosi il più velocemente possibile dall’enorme casa Fox.
 
*
 
- Sono tornato – annunciò John, chiudendosi la porta dell’appartamento alle spalle.
 
- Avevo sentito. Hai il passo più pesante di mio fratello. Come facevi ad essere nell’esercito? – si chiese un irritato Sherlock dalla sua poltrona, nella stessa posizione in cui John lo aveva lasciato.
 
- Ti trovo di buon umore – disse John, prendendo il proprio computer e accomodandosi davanti al coinquilino.
 
Il medico entrò nei panni del blogger, collegandosi al proprio sito. Sorrise nel vedere che il contatore era aumentato e iniziò una stesura del caso appena risolto dall’amico.
 
- Ho avvisato Lestrade – lo informò Sherlock dopo un po’.
 
John assentì con un lieve “uh-uh”. Poi parve pensare a qualcosa e guardò l’altro.
 
- E ti ha dato un nuovo caso? – chiese, dubbioso.
 
- No. Perché? – disse Sherlock, stupito.
 
- Sei così… pensoso – osservò.
 
- Le tue doti deduttive sono aumentate nell’ultima ora? – disse il consulente investigativo, acido.
 
John si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a continuare a scrivere.
 
- Mi dovevi dire qualcosa? – John dette improvvisamente voce a un pensiero che gli aleggiava nella testa.
 
- Finalmente te ne sei ricordato! Ti ho sempre detto che ti farebbe comodo uno spazio mentale – disse Sherlock.
 
- Okay… metterò presto le fondamenta del mio palazzo – acconsentì il medico, mite.
 
Sherlock sbuffò. – Palazzo… tu avresti una casetta di legno, al massimo – concesse.
 
- Quindi? Ti decidi a dirmi cosa c’è? – disse John, iniziando a perdere la pazienza. – Fai solo aumentare la mia curiosità, così -
 
- È proprio quello che voglio ottenere – sorrise Sherlock, strano. – Che nome hai dato al caso? Sul blog -
 
- Il caso del trovatore francese – rispose il coinquilino. – Perché? -
 
- Questo caso sarà importante nella tua mente, in futuro. Suppongo – disse solamente l’altro, sibillino. – Comunque non mi hai chiesto a cosa sono serviti gli indizi che ha lasciato Saignement -
 
John chiuse il laptop, rassegnato. – Rimedio subito: a cosa sono serviti gli indizi che ha lasciato quel povero ragazzo? –
 
Sherlock balzò in piedi, felice che la domanda fosse giunta, più o meno spontanea, alla fine. Era arrivato il momento.
 
- La poesia. Adesso è chiara. “L’amore è perduto se solo da una parte è trattenuto”, una frase romantica che, in effetti, doveva costituire il primo indizio. Lui non voleva che Elisabeth o Helena venissero incolpate per la sua morte e sapeva che nessuno avrebbe pensato che si fosse suicidato. Persino io sono rimasto ingannato all’inizio – prese un bel respiro, qui, come se quel pensiero lo facesse irritare profondamente. – Comunque, quel messaggio era per Elisabeth: significa che lei ha perso il suo amore perché solo lei lo amava, era un fatto unilaterale -
 
John annuì, capendo, e dispiacendosi ancora una volta per quella ragazza.
 
- L’enueg e il plazer, poi. Scribacchiati a matita e sottolineati più volte accanto alla poesia. Quel messaggio era invece per Helena. Posso facilmente immaginare che fosse un gioco che facevano quando lui era ancora in vita e il fatto che tu mi abbia detto come lei sia una giovane irritante e suscettibile. Saignement aveva un modo tutto suo per confessarle continuamente il suo amore, perché lei era gelosa di Elisabeth, in fondo. Come se tradire la sua fidanzata con lei da anni non fosse una dichiarazione sufficiente… - Sherlock quasi rabbrividì a quel pensiero stucchevole. – Dunque, facevano un gioco, dicevo. Facevano liste delle cose noiose, e lì rientrava sempre Elisabeth, e poi una lista delle cose piacevoli dove regnava il nome di Helena. Ho visto alcuni di quei fogli nei cassetti della scrivania nell’appartamento -
 
Sherlock parve finire e John assentì nuovamente.
 
- Erano queste le cose importanti e urgenti? – chiese poi, alzando un sopracciglio.
 
 
Sherlock si grattò i riccioli con entrambe le mani, nervoso.
 
- No – mugugnò.
 
- Sto aspettando, allora – disse John, all’apice della curiosità.
 
- Sai come ho fatto a capire la cosa della noia e delle cose piacevoli? – disse Sherlock in quella che voleva essere una domanda retorica.
 
Ma John non volle capire. – Bé, mi hai detto che hai trovato nei fogli nei cassetti della… -
 
- Non quello! – lo interruppe Sherlock, frustrato e imbarazzato. – Io… mi sono calato nei suoi panni -
 
Il medico lo guardò, perplesso. – Nei suoi panni. Nel senso che tu hai…? –
 
- …Fatto una lista anche io, sì! La vuoi sentire? – chiese, impaziente.
 
John allargò le braccia, sempre più stupito. – Okay… va bene, sì –
 
E allora Sherlock tirò fuori un post-it giallo e stropicciato dalla tasca del suo Io mentale e si schiarì la voce. La gola gli si era stranamente inaridita e deglutire non gli era mai apparso così difficile.
 
- Allora… nella lista delle cose noiose, nell’enueg, ho messo cose tipo: dormire, mangiare, respirare, guardare la televisione, vivere in generale… - si interruppe e prese un respiro profondo.
 
John iniziò a preoccuparsi: solo a Baskerville aveva visto sul volto dell’amico un simile colorito e occhi tanto lucidi e sconvolti.
 
- Mentre… nella lista del plazer, io ho messo: dormire con John, mangiare con John, respirare per John, guardare i programmi stupidi di John con John, vivere con John… - la voce gli si spense sul nome dell’amico, del coinquilino, del compagno.
 
Il cuore di John sembrava galoppare. Il battito gli toglieva quasi il respiro. Deglutì a vuoto.
 
- Bastava un “ti voglio bene”, Sherlock – riuscì a dire alla fine, dopo parecchi secondi di silenzio, carichi di tensione. – Mi fa piacere che tu apprezzi così tanto la nostra amicizia… -
 
Ma Sherlock non si arrese, quella volta. Qualcosa, dentro di lui, forse quella pulce irritante di mini-John o semplicemente il suo cuore traboccante di qualcosa di doloroso quanto una lama… qualcosa lo spinse ad andare fino in fondo.
 
- Ma non è un “ti voglio bene”! È un “ti amo”. Perché io ti amo e tu ami me. Perché io sono tuo e tu, John, sei mio -
 
John balzò in piedi, strabuzzando gli occhi. – Non ti sembra un po’ troppo diretto?! – chiese, la voce di due ottave più alta del normale.
 
Sherlock parve confuso e frustrato da una mancata risposta. – Lo hai detto tu, no? “…Arrivare dritto al punto, senza pavoneggiarti”. Me lo hai detto solo un paio d’ore fa! –
 
- Ma questa… cosa era una cosa da dire con più calma, pensandoci bene, magari – aggiunse poi John, calando gli occhi sul pavimento, esasperato e imbarazzato.
 
Sherlock fece un mezzo passo verso di lui, indeciso sul da farsi. Avrebbe tanto voluto fermare il tempo per un po’, giusto il tempo di chiedere consiglio a mini-John. Perché davvero non sapeva come fare a spiegare che lui ci aveva pensato, che si sarebbe buttato da un tetto se solo avesse avuto anche la minima speranza di metterlo in salvo; non sapeva come dire che l’amore è una cosa stupida, ma che con lui sarebbe stato la cosa più emozionante che si possa provare.
 
Ma non ci fu bisogno di fermare il tempo.
 
Mentre Sherlock teneva gli occhi serrati e le mani pigiate sulla fronte, provando a pensare, John gli si era avvicinato, le guance in fiamme e gli occhi commossi, il cuore che batteva a mille e le gambe scoordinate.
 
Non ci fu bisogno di spiegare.
 
Mentre Sherlock pensava di rimangiarsi tutto e di suggerire un “ci sei cascato! Faccio il tè?”, John aveva preso lentamente le mani dell’altro fra le sue e le aveva strette dolcemente.
 
Non ci fu più bisogno di nulla.
 
Mentre Sherlock e John si abbracciavano come se ognuno fosse l’àncora di salvezza dell’altro e si baciavano senza saper dire chi avesse iniziato, il tempo parve svanire lentamente e scivolare via sospinto dalla tenerezza e dalla dolcezza.
 
In un angolo buio della stanza, mini-John smise di osservare la scena e, rassettandosi il maglione con su scritto “Johnlock is the Way”, svanì nell’aria con un sorriso soddisfatto.
  
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