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Autore: Columbrina    25/11/2012    2 recensioni
“Finalmente un posto libero…” esordì una voce che aveva poco a che fare con quelle che aveva sentito nella sua vita, che somigliavano a quelle metafisiche dei sogni effimeri che non ricordi quando ti sei svegliato, ma che rivivi come costanti sensazioni di déjà-vu.
Cloud rimase a contemplare il paesaggio che scorreva dal finestrino, senza girare lo sguardo perché lo scalpiccio era inconfondibile: era già lì.
“Oh mi scusi… E’ occupato?”
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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“Oh accidenti!” imprecò silenziosamente tra mandibola e mascella, proprio in cadenza dello stridore di ferraglia che si librò, fendendo la città imbrattata di grigiore e graffiti recalcitranti.
Sbuffò sonoramente, non perché fosse stanco, ma perché Midgar si stagliava davanti a lui come una coltre di foschia che si adagiava sugli interrogativi dai quali traeva sollievo e nutrimento.
Come previsto non scese nessuno e salirono pochi passeggeri, che facevano a gara per accaparrarsi gli agognati posti rimasti, quelli marginali, che nessuno nota quando una stanza è vuota ma che diventano vitali quando stanno per essere sgraffignati: l’uomo perde il senno quando rimane senza niente. Eppure il niente non doveva essere così male…
Sperava che nessuno si venisse a sedere accanto a lui, ma se fosse successo l’avrebbe accettato passivamente, senza esporsi a troppe confidenze per non sembrare sfrontato.
“Finalmente un posto libero…” esordì una voce che aveva poco a che fare con quelle che aveva sentito nella sua vita, che somigliavano a quelle metafisiche dei sogni effimeri che non ricordi quando ti sei svegliato, ma che rivivi come costanti sensazioni di déjà-vu.
Cloud rimase a contemplare il paesaggio che scorreva dal finestrino, senza girare lo sguardo perché lo scalpiccio era inconfondibile: era già lì.
“Oh mi scusi… E’ occupato?”
Si voltò giusto per fare cenno di no con la testa, giusto per non sembrare scortese e riuscì a intravedere solo dei portentosi occhi che incorniciavano un viso diafano e si pentì amaramente del fatto che voleva solo voltarsi, scrutarla un altro po’ e trarre delle conclusioni che risultassero plausibili.
Respirava tranquilla ed elargiva un sorriso mesto, stringendo un cesto di vimini tra le pieghe del vestito rosa che aveva appena comprato, coprente quanto bastava per stuzzicare la curiosità di Cloud, che tornava ad angustiarsi su un peso che si sarebbe portato dietro chissà per quanto tempo.
Sul volto portavano entrambi i segni di chi era dovuto crescere troppo in fretta; la differenza stava negli occhi: quelli di Cloud assorbivano i pensieri più latenti, quelli che si nascondevano abilmente sotto le grinze pelandrone delle paure codarde; quelli verdi e portentosi della vicina sembravano ricordare qualcosa che non si può più avere, come attraversati da una patina che li rendeva mesti e gioiosi al tempo stesso.
La giovane, dai ciuffi esuberanti che le incorniciavano il volto, incrociò casualmente il suo sguardo e gli sorrise, mettendolo ancora più a disagio di quanto non fosse già.
“Manca molto a Gongaga?” esordì lei, non mostrandosi per nulla intimidita dal silenzio che si stagliava tra di loro, come un muro metafisico che si era costruito apposta, che si ergeva ogni qual volta che due estranei sedevano su un treno.
Lui alzò le spalle ed emise un sospiro asmatico, afferrando l’elsa dell’enorme ed onerosa spada come a caricarsela più in su in modo che la croce risultasse meno opprimente. La ragazza strinse, invece, il manico di vimini; come se si sbriciolasse sotto le sue dita in un modo del tutto casuale.
“Non parli, per caso?”
Un singulto gli si annodò in gola; testimone quel gemito sordo che emetteva ogni volta che veniva preso in contropiede e che si perse nella cacofonica euforia del treno.
“No…” fece, tirando a forza le parole fuori dal petto “Solo che non ho molto da dire”
“A me pare di sì, invece. Poi siamo estranei, possiamo parlare di tutto oppure non possiamo parlare affatto”
“Eppure stiamo parlando”
“Se tu vuoi rimanere in silenzio, fai pure”
Cloud alzò nuovamente le spalle, approfittando di quei pochi sprazzi di confidenza appena accennata per studiarla più attentamente, anche se si sarebbe dimenticato di quel volto molto presto. Lei sembrava che fosse capitata lì per puro caso, senza una ragione precisa, come se il suo unico intento fosse stringere quel manico di vimini fino a sentire le schegge di legno penetrare sotto la carne e farle assaporare un lieve pudore.
“A proposito… Sei un Soldier?”
“Come?”
Quegli occhi verdi iniziarono a studiarlo con crescente curiosità, come se vi cercassero una risposta deposta sotto il soffuso bagliore che destava tanto fascino; per lui era solo la prova tangibile di un’emblematica maledizione.
“I tuoi occhi parlano chiaro”
Per l’appunto.
“Tutti i Soldier hanno occhi così portentosi… Cos’è? Una prerogativa? Un canone di bellezza? Lentine colorate?”
“Mako”
La ragazza increspò le labbra in una smorfia ovale.
“Capisco” soffiò, con un rammarico lapidario che intralciò una confidenza spontanea e nata sul momento “Però non ho mai conosciuto Soldier silenziosi come te”
Per l’ennesima volta, alzò le spalle come se la situazione lo disarmasse più di quanto la sua laconica indole non facesse già. Eppure c’era un bel sorriso su quel volto che risentiva del grigiore di Midgar, ma che si confaceva a quegli occhi gentili.
“Sai che… Oh, aspetta… Non conosco il tuo nome?”
“Ha importanza?”
“Chi può dirlo, forse questa non sarà l’ultima volta che ci incontriamo”
“Già chi può dirlo”
Le immagini fuori dal finestrino scorrevano rapide e senza sosta, dipinte di bluastro e che non stimolavano Cloud come prima, quindi era inutile perdersi in un altrettanto inutile contemplazione ascetica. Per lui, redivivo da una convenzione che credeva giusta, l’unico stimolo di cui poteva bearsi era la voce di quella ragazza incontrata casualmente sul treno, che non avrebbe incontrato più e di cui si sarebbe dimenticato.
Sperava che continuasse a parlare; lei lo capì, nel silenzio dell’attesa.
“Anche se non ha importanza, mi piace lasciare un segno con i miei ricordi. Non sono rimpianti, non fraintendere… Ma è bello cogliere le diverse sfumature della vita della gente, così dice mia madre. Conosco un ragazzo, un Soldier come te e che ti somiglia molto ora che ci faccio caso, che prendeva la vita così come gliela offrivano. Tipo, gli hanno rubato il portafoglio e lui ha costruito un carretto, per farti capire. Mi stai seguendo?”
Cloud annuì, senza parlare. Non lo faceva per non perdere nemmeno un istante della filatura di chiacchiere e ricordi che intercorrevano nei suoi come predestinati, impregnandoli di cose nuove e che non andavano rinnegate.
Il viaggio in treno fu un’altalena di parole e improvvise riflessioni silenziose, con lei che si crogiolava in un’attesa cogitabonda e lui che appoggiava la testa al finestrino che aveva preso i colori tersi della sera; poi la ragazza sorrideva e riprendeva a parlare, lui si voltava e la ascoltava.
Non parlava solo di lei, ma in generale e in certi momenti tentava di sfaldare il suo silenzio, riuscendoci fino a quando Cloud non prendeva consapevolezza e chinava lo sguardo; allora lei riprendeva a parlare di tutto ciò che il viaggio le portava.
Ovviamente se ne sarebbe dimenticato alla prossima fermata…
“Io devo scendere. Ci vediamo”
“O forse non ci vedremo mai più. Chi lo sa…”
“Già… Chi lo sa” disse, trascinando il peso con la consapevolezza di chi sa che deve consumare la vendetta a razioni piccole, infime e insignificanti.
La lasciò sola e cogitabonda, anche lei pensante al momento in cui avrebbe raggiunto la fermata e se ne sarebbe dimenticata. A scaldare il posto di Cloud, si sedette un ragazzo di pochi anni più grande, che prese a guardarla senza ritegno.
Aerith rimase in silenzio per tutto il resto del viaggio.
 
   
 
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