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Autore: Dante_Chan    25/11/2012    1 recensioni
I personaggi sono della storia di una mia amica e a questa sua storia c'è un qualche rimando, ma nonostante questo dovrebbe capirsi. Questa idea continuava a vorticarmi in testa e delle frasi mi nascevano in continuazione nella mente, per cui ho dovuto darle forma. Questo scritto è raccontato in prima persona da un anziano, che descrive la sua giornata, in un vortice di pensieri, idee e ricordi della propria vita passata assieme alla persona amata.
"La vita è crudele, invero. Ti fa svegliare una bella mattina di maggio per farti morire poche ore dopo, lasciando progetti di insalate miste e serate con gli amici a metà."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Apro appena gli occhi e vedo la luce del giorno che entra dalle fessure della persiana. Filtrano i raggi del sole, dev’essere una bella giornata.

Deve avermi svegliato il brusio della radio accesa in cucina; quindi Virgilio è già in piedi, come al solito. D’altra parte sono io quello fuori della norma che si sveglia sempre tardi: sono le otto e mezzo. Per un vecchio è un record, tenendo conto che la maggior parte degli anziani si sveglia all’alba…ma cosa posso farci? Ho sempre amato dormire. A Virgilio invece, al contrario, è sempre piaciuto svegliarsi presto.
Arranco fino al bagno più velocemente possibile, ho la vescica che sta per esplodere; stranamente stanotte non mi sono svegliato nemmeno una volta per fare pipì, sarà per questo che ora sto per scoppiare.
Ah, beh! Sono dell’idea che svuotarsi la vescica sia una delle sensazioni più soddisfacenti della vita! Lo dice uno che in bagno deve andarci in continuazione. Maledetta senilità.
Dopo essermi svuotato mi lavo le mani e la faccia. Guardo verso lo specchio; tanto non riesco a vedermi bene, perché ormai la mia vista non è più quella di un tempo e il mondo mi appare costantemente offuscato quando sono senza occhiali (che comunque uso solo per leggere, perché sembro un gufo quando ce li ho addosso). Ultimamente poi mi pare stia peggiorando, ho paura sia cataratta. Che seccatura.
Mi passo una mano sulla testa sospirando: ogni mattina guardandola m’intristisco un po’. Da giovane avevo tanti capelli morbidi e di un bel colore caldo, non riesco proprio a capacitarmi di come siano riusciti a diventare bianchi come la neve e così radi; mi sa che chi mi diceva che indossare sempre il cappello fa cadere i capelli aveva ragione. Lo stesso dicasi per la pelle, cosa l’ha fatta diventare tanto flaccida? E quella pancia rilassata da dove viene? Davvero, i cambiamenti del corpo a volte fanno impressione da quanto ti…cambiano.
Torno in camera per mettermi dei pantaloni, non mi sembra educato presentarsi in cucina in canottiera e mutande. Quando arrivo trovo Virgilio seduto al tavolo, occhiali sulla punta del naso, che sta togliendo dei fagioli dal baccello, ascoltando il radiogiornale.
«Ah, finalmente sei sveglio, pigrone.» mi saluta, senza togliere lo sguardo dal suo lavoro.
«Mmmh, ‘giorno. E quelli?» chiedo, indicando i legumi con un cenno del capo.
«Sono andato a prenderli dal fruttivendolo, sai, quello vicino al tabaccaio. Pensavo di usarli in una qualche insalata mista, per stasera. Comincia a essere caldo, per cui credo che un piatto freddo vada bene. No?».
Stasera? Ah, sì sì, certo! Stasera vengono a trovarci Lang ed Elìo, me n’ero dimenticato. «Sì, immagino che vada bene. Tu vuoi caffè?».
«No, grazie, l’ho già preso prima. La moka l’ho già lavata, è al suo posto.».
Stiamo in silenzio ascoltando le notizie, mentre lui continua il suo lavoro ed io mi preparo la colazione. Il giornalista snocciola senza pietà brutte storie una dietro l’altra, da politici corrotti a una madre che uccide il figlio di appena venti giorni. Questo mondo fa schifo, ma i programmi d’informazione fanno di tutto per rendere più appariscente possibile il suo lato peggiore. Raccontassero una buona notizia ogni tanto, saremmo un po’ più incoraggiati a vivere. Tante volte abbiamo discusso assieme le varie nuove, Virgilio ed io, lamentandoci della merda che c’è in giro, ma poi abbiamo capito che brontolare non migliora la situazione; per cui adesso le ascoltiamo sempre in silenzio, chiuso ognuno nei propri pensieri, che sappiamo essere uguali senza il bisogno di esternarli. Oggi però non riesco proprio a sentirle tutte, vengo preso dalla tristezza; mi avvicino alla radio e la spengo, e quando guardo il mio compagno questi mi fa un cenno, che ha capito, che va bene così.
Mentre bevo il caffè e butto giù due fette di pane lui finisce di sbaccellare e si prepara a uscire di nuovo: deve andare a spedire una raccomandata.
«Come ci vai fino in posta?».
«Prenderò l’autobus, dovrebbe passare tra una decina di minuti. Ricordati le medicine quando hai finito di mangiare, tu!».
«Sìì, sìì…tranquillo…». Si china e mi bacia prima di salutarmi e uscire.
Ormai io e lui non abbiamo quasi più un rapporto d’amore fisico; quando i nostri corpi hanno deciso di fermarsi ci siamo fermati anche noi, non abbiamo mai forzato o fatto uso di Viagra o altro. Ci siamo concentrati sulla componente sentimentale che, credendoci, può essere appagante quanto quella fisica, certe volte pure migliore. Qualche volta abbiamo ancora i nostri momenti d’intimità, non dico di no, ma non formano l’aspetto principale del rapporto. È difficile definire ciò che si prova per una persona con cui hai condiviso la vita, credo; proprio perché si è rimasti tanto assieme, ci si rende conto dell’affetto che si ha nei confronti di questa solo in parte, perché si è abituati ad essa. Eppure in certi momenti, in certi rari momenti che durano sempre troppo poco, durante un preciso istante di un abbraccio, di un bacio, o anche solo di uno scambio di sguardi, si prova questo affetto tutto insieme e allora il cuore torna a palpitare come tempo addietro palpitava spesso; sono questi i momenti in cui ti viene da chiedere “cosa farei senza di te?” o, se proprio l’emozione è forte, addirittura “cosa sarei senza di te?”. Io amo Virgilio, lo amo con tutto me stesso. In passato ci siamo allontanati e ci siamo traditi più volte, ma è proprio il fatto che siamo ancora insieme dopo tutto che nobilita la nostra relazione. Io non ho avuto solo lui e lui non ha avuto solo me; ma è proprio tornando dal proprio compagno di vita con ancora la sensazione di un altro uomo dentro o sotto di sé che si capisce cos’è l’amore; il vero amore, intendo. Perché nonostante la compagnia appena avuta, nonostante il latente senso di colpa e, contrapposto ad esso, l’appagamento che scaturisce dal fare un’azione considerata tabù –il tradire il proprio partner, appunto­– ti rendi conto di essere felice, quando lo vedi. E si tratta di una felicità vera, che resta, non di un orgasmo e via. Lo stesso vale quando è invece l’altro a tornare a casa con addosso gli indelebili segni di un tradimento –perché i tradimenti lasciano molti segnali, che si colgono subito se si ha intesa col partner. Quante volte Virgilio è tornato da una delle sue feste in discoteca con un certo odore addosso, una certa angolatura della bocca, una certa espressione negli occhi, un certo modo di camminare e di parlare; con i segnali caratteristici di un tradimento, appunto. Impossibile non accorgersene; se uno non se ne accorge semplicemente non vuole accorgersene. Ecco, te ne accorgi e nonostante tutto anche in questo caso sei felice di vederlo. Perché, lo sai, il tuo corpo può andare ad altri, ma tu, io so che tu sei mio. Chi se ne frega dell’involucro. È proprio questa la forza della componente sentimentale dell’amore contrapposta a quella fisica: la prima senza la seconda può resistere una vita, la seconda senza la prima è roba di un attimo. L’aborrire il tradimento è una cavolata, uno non può essere costretto a frenare ogni suo impulso solo per un fatto culturale, altrimenti gli cresce dentro un malessere che alla lunga manda a puttane tutto; bisogna avere una valvola di sfogo ogni tanto, non si può pretendere che non si abbia mai voglia di cambiare, l’essere umano non è statico, ricerca nuovi stimoli alle volte. Eppure questa cosa è difficilissima da comprendere; quante volte Virgilio ed io abbiamo litigato, ci siamo lasciati, ci siamo picchiati prima di capirlo! Ci vuole una vita, per capirlo, e bisogna provarlo sulla propria pelle, bisogna arrivarci per esperienza diretta. Poi ci sarà anche chi resta fedele al partner per sempre perché non sente il bisogno di altri, sicuramente. Non lo escludo. Ma, per quanto riguarda noi due, l’avere altre persone nella nostra vita non ha distrutto il nostro rapporto, proprio perché l’affetto e la stima che avevamo l’uno per l’altro non è mai sparito e mai si è affievolito.
Una volta finito di mangiare prendo la pastiglia che mi tocca prendere ogni volta a fine pasto: sono diabetico. La malattia mi fu diagnosticata quando avevo cinquantatré anni; contando che ora ne ho settantasei –quasi settantasette, in verità– significa che sono più di due decadi che vivo praticamente senza zucchero. Se l’avessi saputo prima di ammalarmi avrei creduto che avrei preferito suicidarmi piuttosto che vivere così tanto in queste condizioni: avevo una smaniosa passione per i dolci. Poi uno si adegua per forza di cose, ma sia maledetto quel giorno che è iniziato questo supplizio! La cosa che più di tutte mi dà fastidio adesso, però, è che nonostante i tanti anni in terapia io continui sistematicamente a dimenticarmi di prendere le medicine. Per porre rimedio a queste mie dimenticanze Virgilio punta tre volte al giorno la sveglia sul suo orologio da polso e in caso sia io che lui ci dimentichiamo il marchingegno lo fa per noi. Quando succede che siamo separati, addirittura mi telefona per ricordarmelo. Una volta andò pure a finire che litigammo, perché mi sentivo come se mi stesse trattando come un vecchio rincoglionito. In verità è solo tanto premuroso, ma così tanto che a volte risulta soffocante. Però in fondo so che lo fa per il mio bene e che potrebbe benissimo non farlo, per cui gli sono grato.
Purtroppo lui fisicamente non è messo meglio di me. Almeno gran parte dei suoi capelli ce li ha ancora (grigi-argento, sono proprio belli alla luce del sole), ma ha il cuore malato: tre anni fa ebbe un infarto e ora è tenuto in vita da un pacemaker. Gli ho detto che non deve azzardarsi a morire di attacco cardiaco prima di me poiché il diabetico sono io, ma non si sa mai questi cuori cosa decidono di fare.
Guardo fuori dalla finestra: è proprio una bella giornata, calda. E’ il 17 maggio e qualche giorno fa si è presentato il caldo afoso tipico di primavera inoltrata, che puntualmente sparirà con l’inizio di giugno lasciando spazio all’ultimo freddo, come succede ogni anno. Mi metto una camicia e una giacchetta ed esco per fare la mia passeggiata mattutina: il medico dice che devo muovermi, perciò ogni giorno vado a fare un giro fino al parco e passo a prendere il giornale all’edicola del quartiere. Così, giusto per rileggere le brutte notizie nazionali e dolermi anche per quelle locali.
Arrivato al parco mi siedo sulla mia solita panchina per leggere e godermi il tepore mattutino; respiro l’aria, mi guardo un po’ intorno, osservo la gente passeggiare, per lo più persone anziane o mamme con passeggini. Mi passano davanti due ragazzini che dovrebbero avere a occhio e croce una quindicina d’anni, li ho già visti qualche volta: evidentemente sono piuttosto soliti bigiare. Non sono quel tipo di persona che li condanna, dopotutto come si può pretendere che dei ragazzetti tanto giovani stiano rinchiusi in un’aula con una giornata così bella? La vita va vissuta, finché si hanno le forze per farlo. Fanno bene.
Sfogliando il giornale, l’articolo che più mi fa andare in bestia tratta di un gay pride che si terrà a metà giugno proprio in città: in primo piano c’è una foto che ritrae un uomo truccato e vestito da donna con colori sgargiantissimi, ridicolo. Come se questi fossero gli omosessuali! Esseri più femmine che maschi capaci solo di mettere in mostra la loro diversità! Nessuno ha mai pensato che io fossi omosessuale se mi trovava per strada e non era a conoscenza della mia vita privata. Lo stesso dicasi per tutti i miei amici dell’altra sponda. Siamo persone normalissime, è questo che la società dovrebbe capire. Poi è ovvio che la gente vada a pensare che i gay sono deviati e che fanno le manifestazioni solo per mettersi in mostra, se il ritratto che fanno di noi è come quello in questa foto! Certo, le cose sono sicuramente migliorate rispetto al passato, non lo nego. Virgilio ed io siamo riusciti a sposarci in questo Paese, a quarantatré anni; non che ne sentissimo il bisogno impellente, ma già che c’eravamo, una volta che ci fummo resi conto che il nostro rapporto era davvero saldo, semplicemente ufficializzammo. Oh, sì, anche Elìo e Lang alla fine si sono sposati, Elìo alla fine ce l’ha fatta. Lang si lasciò con la Star tanti anni fa, perché lei aveva trovato una felicità tutta nuova con una ragazza, di cui sinceramente non ricordo il nome. Lui ne uscì distrutto, ma devo dire che riuscì a consolarsi piuttosto in fretta, con Elìo, appunto. Ora hanno anche un figlio, che biologicamente è di Elìo; ma la cosa più strana di tutte è che l’utero in prestito fu proprio di, non ci credo ancora se ci penso, fu proprio della Star! Io le donne non le capirò mai: molli il marito per andartene con un’altra, mantieni però i rapporti con lui e, nonostante tu l’abbia mollato, ti offri per partorire il figlio del tuo ex-marito che però in realtà biologicamente è il figlio di un altro uomo! No, è tutto troppo complicato per me. Io so solo che dal mio punto di vista si sono fregati, perché il pargolo –che ha i capelli verdi, come il padre– è come i genitori e perciò cresce molto, troppo lentamente; di fatto, nonostante siano passati qualcosa come trentacinque anni è ancora un piccolo rompipalle. Ah, ovviamente anche loro due sono cambiati di poco. Mentre sia io che Virgilio invecchiavamo, loro sono rimasti giovani. Elìo è ancora il Guardiano dei Brumi e più di una volta in passato se c’era un qualche cosa da sistemare ci coinvolgeva in qualche avventura; ogni tanto si faceva vedere, sempre uguale anno dopo anno, finché a un certo punto io e Virgilio siamo diventati troppo vecchi per continuare a dargli retta; un po’ come Wendy nel film “Captain Hook”. E così ogni tanto vengono a trovarci lui e Lang (a volte eravamo noi ad andare a casa loro, prima che togliessero la patente a entrambi. Maledetta senilità, l’ho già detto per caso?) e ci raccontano un po’ quello che accade loro, le ultime novità, oppure ci si immerge in vecchi ricordi. Sono momenti molto dolci e felici, mi fa davvero piacere quando vengono a trovarci. L’unica cosa che mi scoccia è il bimbetto che tocca dappertutto e fa casino, ma per gli amici si sopporta questo e altro.
Dopo essermi goduto un po’ il clima torno verso casa, facendo il giro più lungo. Ho voglia di scrivere, ogni tanto lo faccio ancora. Mi metterò in terrazzo, fuori si sta così bene…
Tornato, sono ancora fuori dalla porta che sento squillare il telefono. Giusto, ora che ci penso Elìo doveva chiamarci per sapere l’ora precisa in cui arrivare, vuoi vedere che è lui? Sono arrivato a casa giusto in tempo!
Entro velocemente e rispondo un attimo prima che parta la segreteria. No, non è Elìo, e nemmeno Lang. È una voce maschile, sta cercando Dante.
«Sì, sono io.» rispondo, curioso.
«Chiamo dall’ospedale. Purtroppo, devo informarla che suo marito è stato colto da arresto cardiaco mentre si trovava per strada. Ora è in rianimazione in prognosi riservata, i medici stanno facendo tutto il possibile per salvarlo.»

Sono rimasto un’ora e mezza in sala d’attesa, piangendo come una fontana. Qualcuno passando mi guardava con commiserazione, un paio di persone addirittura si sono fermate e hanno cercato di consolarmi. Poi è arrivato il medico, che mi ha dato il colpo di grazia.
Virgilio è stato seccato da un secondo arresto cardiaco, cui i dottori non sono riusciti a porre rimedio. È morto in pochi minuti, e nelle due ore in cui ha lottato per la vita non ha ripreso conoscenza nemmeno una volta. Come può la morte portarti via così la persona con cui hai condiviso la vita?! Se ero destinato a perdere Virgilio così, sarebbe stato meglio perderlo quand’era ancora giovane, avrebbe fatto meno male! Nessun pensiero è riuscito a consolarmi, men che meno il pensare che è naturale morire a una certa età. Non c’è pensiero razionale che tenga. Avevo già perduto persone care, in passato. Nonni, genitori, amici. Per ogni persona il dolore è diverso, ed è sempre uno strazio. Ma questa volta, questa è stata come una condanna a morte. Non sono riuscito facilmente ad andarmene. Sono rimasto tutto il giorno di fianco al suo corpo, senza il coraggio di lasciarlo; non credo mi abbia fatto bene sentirlo raffreddarsi e irrigidirsi. Verso sera sono dovuto andar via per forza, praticamente mi hanno buttato fuori. Hanno fatto bene, da solo non ci sarei riuscito. Che senso ha vivere ora, se la maggior parte della mia vita è morta? Come riuscirò ad affrontare il tempo che mi resta se ogni giorno dovrò fare i conti con i miei ricordi, che traboccano di lui? Gran parte delle esperienze le ho fatte con Virgilio, tantissime cose le abbiamo fatte insieme: come potrò ora fare qualcosa, se questo qualcosa mi farà morire dentro ogni volta? Non è forse meglio spararsi un colpo una volta per tutte?
La vita è crudele, invero. Ti fa svegliare una bella mattina di maggio per farti morire poche ore dopo, lasciando progetti di insalate miste e serate con gli amici a metà. Butto via i fagioli, tanto non riuscirei mai a mangiarli. Riesco non so con quale forza a chiamare amici e vicini, dando loro la notizia; poi mi siedo sulla poltrona in sala, mentre la luce del giorno diminuisce a vista d’occhio. Ho in mano i suoi occhiali, li tengo da quando me li hanno dati, in ospedale. Li stringo, li stringo forte fino a romperli.
   
 
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