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Autore: Ortensia_    25/11/2012    2 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XIV - Sentimenti




“Credo che non passerà la notte.”
Ecco ciò che aveva detto Giappone riguardo alla situazione di Lussemburgo, ecco ciò a cui pensava Germania, ancora immerso nel dormiveglia, ma abbastanza angosciato da essere fin troppo lucido, pensando che le possibilità di aprire gli occhi e trovarla morta accanto a lui erano troppe.
Allungare la mano prima di aprire gli occhi, sentendo il posto vuoto e freddo, lo fece sussultare: poi si rese conto che quello non era altro che un buonissimo segno.
Alzatosi di scatto si diresse subito fuori dalla tenda, in cerca della lussemburghese.
«Alice?!»
Si fermò sull’orlo delle rocce, osservando i flutti argentei del fiume, lasciando andare un sospiro di sollievo non appena la vide, mentre si voltava, alzando la mano in aria.
«Sposati.»
Il tedesco aggrottò la fronte confuso, ma decise di seguire l’ordine della lussemburghese, vedendo un pesce atterrare sulla roccia poco dopo.
«Alice? Ma cosa stai facendo? Tu-»
«Sto bene, ho soltanto procurato la colazione.» salita nuovamente sulle rocce si affiancò al tedesco, noncurante del fatto che gli stesse grondando acqua sui piedi, poi si chinò per afferrare il pesce appena tirato e altri, poco più in là.
«Sicura?» il tedesco diede un’occhiata al braccio, ma trovandolo coperto dalla stoffa della divisa non poté che lasciarsi sfuggire uno sbuffo: di certo Alice non gliel’avrebbe mostrato e non si sarebbe fatta aiutare ancora.
Il fatto che avesse perfino preferito tenere per sé il nome del suo aguzzino testimoniava tutto il suo orgoglio e la sua diffidenza negli aiuti altrui.
«Potrei sapere almeno una cosa?»
«Basta che sia l’ultima domanda.»
«Con chi eri in squadra?»
«Belgio e Sud Italia.» quando vide il suo sguardo, iniettato non sapeva capire di cosa, ma di un sentimento sicuramente negativo, dubitò fortemente di lei.
«Non gli hai uccisi, vero?»
«Non avevamo detto “ultima domanda”?
Andiamo a preparare da mangiare.»


«Ehi Abel?»
Quando l’olandese schiuse gli occhi vide il ceco intento ad uscire dall’albero cavo ed incontro il viso sorridente dello slovacco.
«Noi andiamo. Buona fortuna con Portogallo.»
«Buona fortuna a voi-» rispose, ancora confuso per il sonno, poi i ringraziamenti di Alexej, che non tardarono ad arrivare.
«Grazie per il riparo!»

«Ci siamo Oliver?»
«Sì, come sta il braccio?»
«Va meglio.»
Fu contento di sentirlo rispondere in positivo, e anche della pioggia fosse rimasta solo qualche goccia leggera, ma non appena si ritrovarono davanti il cancello chiuso, con ai piedi un’altra scatola di legno, il sorriso scomparve.
«Alexej-»
Il moro si limitò ad annuire, dirigendosi verso la scatola senza fiatare, e ancora in silenzio chinandosi di fronte a questa, scostandone il coperchio.
«Questa volta ti è andata bene, bratr-»
Quelle parole gli diedero sicurezza, così si avvicinò al ceco, ma non appena lo vide estrarre la pistola dalla scatola, lasciando scoperto l’interno in cui era pitturata una bandiera ceca, non poté che paralizzarsi, sgranando gli occhi «A-Alexej, cosa significa?»
Lo vice sollevarsi in piedi con tutta la tranquillità del mondo, e lentamente rivolgere la canna della pistola verso il braccio sinistro.
«N-non lo farai sul serio-?!»
«In qualche modo dobbiamo procedere.»
«Ma-»
«Fa una cosa: non piagnucolare e prepara un bel pezzo di stoffa.»
Annuì appena, lo slovacco, cercando di rimediare un pezzo di stoffa dai propri abiti, e poi chiudendo gli occhi in un mugolio, quando sentì lo sparo.
Pochi attimi dopo si ritrovò a fasciare stretto il braccio ferito del fratello, che con l’altro estrasse il dado «dovremmo tirare-»
«Alexej?» doveva fargli davvero molto male, a giudicare dalla voce rotta.
«Non preoccuparti-» e così tirò il dado, che si fermò subito ai suoi piedi, segnando uno zero.
«Ah- vedi di portare fortuna anche questa volta-»
Al commento del ceco, lo slovacco annuì, tirando con decisione il dado, e subito sgranò gli occhi, nel veder uscire un altro zero.
«E … e ora?»
Il ceco rimase ad osservare perplesso il dado, poi spinse il cancello con una mano, ma questo non si mosse.
Si scambiarono una rapida occhiata, poi lo slovacco si sollevò la manica e vide il numero sul braccio scomparire «A-Alexej-?»
Anche il ceco stava osservando il suo braccio, poi sollevò il viso, tornando ad incatenare i suoi occhi con quelli del fratello «siamo fuori dal gioco …»


Si arrestò di colpo, non appena vide il corpo del francese disteso a faccia in giù sulla sabbia.
Sentì le gambe tremargli violentemente, ma trovò il coraggio di avvicinarsi, fino a chinarsi sul francese.
«F-Francis-»
E così aveva scelto di lasciarlo solo, di seguire Arthur, senza pensare che lui lo avrebbe aiutato, che lo aveva difeso dal tentato omicidio di Vietnam.
Francis lo aveva ignorato un po’ come aveva fatto Alfred: entrambi devoti ad un colonizzatore, ad un freddo e viziato beffeggiatore. E come al solito lui rimaneva solo, veniva dimenticato.
Era geloso, gelosissimo, di una persona mortagli davanti.
Tirò su col naso, trattenendo le lacrime, portando la mano su quella del francese, e poi scostandola lentamente, per afferrare la pistola insanguinata, a qualche centimetro dalle dita violacee dell’europeo.
Non era mai stato il tipo da essere geloso, ma ora che una persona era riuscita a portare via sia suo fratello, sia colui che lo aveva cresciuto, quel nuovo sentimento lo stava divorando dentro, senza sosta, e faceva troppo male, stava già divenendo insopportabile.
Con le lacrime agli occhi, si portò la pistola alla testa, e con lo sguardo fisso sul corpo morto del francese, a pochi passi da lui, premette il grilletto.
Gli cadde proprio accanto, in un tonfo sordo. In una pozza di sangue.


«Vi ringrazio, di tutto.»
«Sei sicura che non vuoi venire con noi?»
La lussemburghese negò subito, alla proposta del giapponese, per poi rivolgere una rapida occhiata al tedesco, in completo silenzio.
«Magari ci rivedremo.»
«Lo spero.»
«Veh, sta attenta Alice!»
Annuì alla raccomandazione dell’italiano, per poi rivolgere un cenno ai tre, che subito si voltarono e ripresero il cammino.

Lentamente, sollevò appena la manica della divisa, guardando l’avambraccio: quell’uno sulla sua pelle non faceva altro che rinfacciarle i suoi peccati.
«Sì, li ho uccisi io …»


«Un’altra scatola!»
L’italiano corse subito a scostare il coperchio, ma sussultò non appena vide la pistola al suo interno.
«Cosa c’è?»
«G-Germania-!»
Ludwig si chinò ed afferrò la scatola, scostando la pistola dal suo interno, per poi soffermarsi sulla bandiera tedesca pitturata sul legno.
Le sue labbra si incrinarono in una smorfia, la fronte si aggrottò appena, e gli occhi andarono a cercare i visi degli altri due, trovandoli piuttosto spauriti.
L’asiatico annuì titubante, l’italiano rimase ad osservarlo con occhi terrorizzati, comprendendo in pieno che fortuna sfacciata avesse avuto nell’essere destinato ad un semplicissimo coltello.
Senza dire nulla, il tedesco si puntò la pistola al braccio, e premette con decisione il grilletto, ritrovandosi ad emette un gemito non appena il sangue iniziò a sgorgare.
Per fortuna Kiku fu abbastanza tempestivo e gli fasciò stretto il braccio, in modo che la perdita su fermasse quasi subito.
«Vediamo di tirare i dadi, ora-»
I tre dadi furono in poco tempo gettati a terra, ed il risultato furono due zeri ed un uno.
«Meglio di niente-
Andiamo.» il tedesco afferrò il proprio dado, dirigendosi al cancello socchiuso.


«Alzatevi!» la voce imperiosa della portoghese scosse entrambi dal sonno, ripreso nel caso di Olanda, che poco prima aveva appunto salutato il ceco e lo slovacco.
Non appena sentì l’asiatica muoversi, in un lieve mugolio, l’olandese scostò velocemente il braccio dalle sue spalle, forse rendendosi conto una buona volta che quella era molto diversa da Alice.
La portoghese era già avanti di qualche metro, quando Abel e MeiMei furono fuori dall’albero cavo.
Prima che l’olandese potesse muovere un passo, l’asiatica lo chiamò.
«Quando potremmo ucciderla?»
«Non so. È piuttosto complicato.
Comunque cerca di stare in guardia.»
Quando arrivarono vicino alla portoghese e la videro con la pistola stretta fra le dita della mano destra, entrambi i loro corpi si irrigidirono.
«Peccato. È la mia bandiera.»
Ed il sollievo che provarono alle sue parole fu indescrivibile.
Eppure, Abel, notò subito il sorriso agghiacciante che si disegnò sulle labbra dell’iberica, ma quando la vide puntare la pistola verso la taiwanese non fece in tempo a fermarla.
MeiMei cadde a terra in un singulto, le mani subito a premere sul petto insanguinato, dove una fuoriuscita di sangue sembrava indugiare, sospinta dalle palpitazione del corpo, il respiro mancava ogni attimo di più.
«Mei-!»
«Non serve a niente, Abel.
Ti ricorda tua sorella, vero?»
Il sorriso divertito della portoghese si ampliò, e l’olandese non poté che fulminarla con lo sguardo.
«Fa il bravo, se non vuoi che anche Lussemburgo finisca così.»
«Sei …»
E sempre con il sorriso stampato in voltò, la portoghese coprì l’insulto dell’olandese con un altro sparo, questa volta rivolto al suo braccio.
«Bene.
Taiwan si è tolta di mezzo; in quanto a me e te, direi che possiamo tirare, no?»
Con ancora il braccio insanguinato, la ferita sgorgante, lanciò il suo dado a terra, seguita dal gesto riluttante dell’olandese.
«Due caselle. Bene.»
La portoghese sistemò la pistola in tasca, aprendo il cancello senza commentare, e l’olandese rivolse un ultimo sguardo al corpo insanguinato della taiwanese.
«Ha perso velocemente colore … chissà se tua sorella farebbe lo stesso-»
E l’ultimo commento della portoghese fu sufficiente per farlo nuovamente voltare, a denti e pugni stretti, più incollerito che mai.
   
 
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