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Autore: U N Owen    25/11/2012    1 recensioni
Dieci ragazzi si riuniscono a Dreadpeak Lodge, una lussuosa baita di montagna, ma non tutto andrà come previsto.
A cena, una voce rievocherà l'oscuro passato che li accomuna, per poi recitare un'inquietante filastrocca:
"Dieci piccoli indiani andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar
[...]
Solo, il povero indiano, in un bosco se ne andò,
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò"

Ispirata a "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, questa storia è scritta a quattro mani da U N Owen e Belfagor, il cui profilo è qui consultabile: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=51754
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6
 
Senza distogliere gli occhi dalla lama dell'accetta, James disse in tono canzonatorio: «Andiamo, Alexis, posa quell'accetta. Cos'hai intenzione di fare, ucciderci tutti?».
«Ho tutto il diritto di difendermi» replicò Alexis «Se Onym pensa di uccidermi, avrà una bella sorpresa».
«Mi sembra un'ottima scelta», commentò Desmond, chiaramente a disagio nel vedere la ragazza armata «Soprattutto quando la prossima vittima dovrebbe morire colpita da un'accetta».
Alexis comprese al volo. «Ma bene» disse in tono acido «Quindi c'è qualcuno che sospetta di me. Cos'è, credete che sia così stupida da spingere Kurt giù dalle scale per poi essere la prima a scoprire il cadavere? Non sapete che il primo testimone è sempre uno dei maggiori sospettati?».
«Io direi di scendere e mostrare agli altri che siamo ancora vivi» suggerì Robert «E di non scannarci a vicenda lungo le scale».
«Io scenderò per ultima» disse subito Alexis.
 
L'atmosfera in sala era, se possibile, ancor più tesa.
«Alexis» disse Desmond in tono esitante «Finché siamo tutti e sette insieme, non vedo il motivo per cui dovresti tenere con te quell'accetta».
«Mi fa sentire al sicuro, ecco il motivo» replicò lei freddamente.
«Lo capisco, ma il problema è che non fa sentire noi al sicuro».
«Non vi ho mai detto che non vi potete armare. Sbaglio?».
In tutta risposta, Eveline si alzò sbuffando e poggiò il coltello sul tavolo. «Contenta, adesso?» domandò «Robert, per favore».
Controvoglia, Robert lasciò il proprio coltello sul tavolo. Alexis aveva ragione, pensò: disarmata si sentiva decisamente più vulnerabile. Si affrettò a dire: «Sarebbe meglio che anche voi faceste lo stesso. Nessuno di voi ha delle armi nascoste?».
Nessuno si fece avanti finché Dover non disse: «James ha un fucile». Ignorando l'occhiata fulminante che gli lanciò l'altro ragazzo, aggiunse: «Lo ha preso oggi mentre perlustravamo la soffitta».
«È vero?» domandò Robert.
James sospirò, chiaramente irritato. «Sì, ho preso un fucile» disse, poggiando una scatola sul tavolo «Ma è in camera mia. Con me ho solo i proiettili».
Sebbene la tensione fosse ancora palpabile, deporre le armi era stato un gesto distensivo. Persino Alexis sembrava meno agitata. James si versò del whisky da una bottiglia chiusa e sigillata, memore di quello che era successo a Carl. Anche Eveline non disdegnò un bicchierino.
Dopo che ebbero bevuto, Dover si alzò e si schiarì la gola. Alto e pallido, sembrava uno spettro alla luce fredda della sala. «Io e Isabel siamo giunti ad una conclusione che vorremmo esporvi» disse.
Gli altri gli rivolsero sguardi carichi di interesse. Fino a quel momento, Dover era stato in disparte, preferendo limitarsi ad attuare le decisioni prese da altri. In quel momento, invece, sembrava che fosse riuscito a scoprire qualcosa che agli altri era sfuggito.
Il ragazzo proseguì: «Dunque, questo Onym ci sta punendo per il ruolo che abbiamo avuto nella morte di Wes, e questo è ovvio. Ma se Onym è uno di noi, significa che deve avere un motivo valido per arrogarsi il diritto di giudicare e condannare gli altri nove, no?».
«Ma la voce sul disco non ha escluso nessuno» obiettò Desmond.
«Questo è vero» riconobbe Dover «Quindi l'unica cosa che può rendere l'assassino, diciamo così, migliore rispetto alle vittime è una falsa accusa. In altre parole, una delle accuse è inesatta ed è quella rivolta al nostro Onym».
Calò nuovamente il silenzio. Era come se fossero tornati indietro nel tempo, alla notte in cui Wesley era morto. Poco prima che il sole sorgesse, tutti avevano giurato di mantenere il segreto. Nessuno all'infuori di loro avrebbe mai saputo com'erano andate veramente le cose. Se qualcuno avesse provato a tradire il giuramento, l'avrebbe pagata.
Il silenzio fu rotto dalle parole cariche di rabbia di James: «Qualcuno ha parlato. Quando vi ho chiesto se qualcuno di voi ne avesse fatto parola con qualcuno al di fuori del gruppo, avete risposto tutti di no. E adesso salta fuori che qualcuno di voi si è fatto degli scrupoli e per questo siamo tutti nella merda».
«James...» cercò di calmarlo Robert.
«Chiudi quella cazzo di bocca una buona volta!» lo zittì immediatamente James «Dovevate proprio farvi venire i sensi di colpa, eh? Nessuno si è mai opposto mentre organizzavamo lo scherzo. Oh no, non vedevamo l'ora di divertirci un po'. Però, chissà, forse qualcuno si è fatto venire dei cazzo di sensi di colpa prima ancora che mettessimo in atto il piano, e magari è andato a spifferare tutto a qualcuno! Non è così, Dover?».
Dover alzò lo sguardo. «Che cosa?».
«Ti piaceva l'idea dello scherzo, non negarlo. Per una volta, nella tua squallida vita, avevi la possibilità di far parte di un gruppo che non fosse composto dai soliti sfigati. È bello conoscere qualcuno di importante, no? Il college non è tanto facile se non hai le conoscenze giuste».
«Che cosa diavolo...»
«Però eri troppo codardo per tenere la bocca chiusa. A chi l'hai detto? A qualche amico di Wes?».
«Io non ho parlato con nessuno, quante volte te lo devo ripetere? Tu, piuttosto, avrai dovuto raccontare qualcosa a tuo padre affinché ci coprisse, no?».
«Mio padre mi ha aiutato senza fare una domanda» replicò James, che sembrava sul punto di scoppiare per la rabbia «E poi io sono il padrone di casa, non sarei così stupido da farvi venire qui se volessi uccidervi, no?»
«Questa non è una prova» fece presente Isabel «Finora gli unici tre al di sopra di ogni sospetto sono... beh, i morti».
«Sì, è così» confermò Dover «Per quanto, lo riconosco, sia macabro. Il problema è: esiste un modo per escludere qualcuno dei presenti dalla lista dei sospettati evitando che muoia? In parole povere, qualcuno di noi ha un alibi valido?».
«Visto che ormai non ha senso fare i finti modesti» disse Robert «Mi sembra impossibile che una persona con il mio livello intellettuale possa compiere atti di questo genere».
«Questo non prova assolutamente nulla» replicò immediatamente Dover «Tanto per cominciare, non sei l'unico con un livello intellettuale elevato qui dentro».
«Nonostante pensi il contrario» aggiunse caustica Eveline.
«E poi» continuò Dover «Il piano di Onym è piuttosto complesso e suggerisce che l'assassino sia piuttosto intelligente. Ci sono stati molti casi di medici che sono diventati serial killer e, se non ricordo male, Ted Bundy aveva studiato legge. Quindi la tua difesa non è valida».
Robert sbuffò, infastidito per essere stato preso in contropiede. «Allora come possiamo escludere qualcuno? Insomma, per qualcuno di noi sarà stato impossibile commettere quegli omicidi.»
«Non credo che Onym sia una ragazza» disse Alexis «Insomma, Erin è stata soffocata, ci vuole forza per farlo. E anche per far cadere Kurt.»
«Non necessariamente» la corresse Isabel «Erin è stata aggredita nel sonno, forse era stata drogata. E, visto che Kurt è caduto dalle scale, non deve essere stato difficile fargli perdere l'equilibrio con una spinta.»
Desmond rivolse alle due ragazze uno sguardo carico di sospetto. «Ma quanto siete brave a descrivere i movimenti di Onym. Sembra quasi che una di voi fosse presente al momento degli omicidi».
«Smettila» gli intimò Alexis.
Deciso ad evitare una nuova lite, Dover disse: «Sentite, è chiaro che per il momento siamo tutti sospettati. Consiglio a ciascuno di noi di armarsi e di chiudersi in camera. Al momento non siamo in condizioni di lasciare la baita. Domattina, tempo permettendo, cercheremo un modo per avvertire i soccorsi».
Silenziosamente, gli ospiti si alzarono e ripresero le armi che avevano lasciato sul tavolo. Salirono al primo piano tenendosi d'occhio a vicenda e, una volta che ciascuno ebbe raggiunto al propria camera, aprirono le porte all'unisono.
«Non c'è bisogno che vi ricordi di mettere una sedia sotto la porta» disse Desmond.
«E se Onym pensasse di farmi uno scherzo stanotte... beh, sappiate che ho il sonno leggero» li avvertì James «e il grilletto facile».
Ciascuno entrò nella propria stanza e chiuse la porta dietro di sé.
 
Eveline si svegliò di soprassalto. Aveva sentito un rumore. Qualcuno sta cercando di entrare nella sua stanza?
Afferrò il coltello che aveva tenuto nascosto sotto il materasso e, con passo furtivo, si avvicinò alla porta. Tese l'orecchio ma non sentì nulla. Fece un sospiro di sollievo.
Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare. «Chi è?» domandò.
«James».
«Sei da solo?»
«No, ci sono anch'io» disse Alexis.
Con molta cautela, e tenendo il coltello ben saldo nella mano destra, Eveline scostò la sedia che bloccava la maniglia, girò la chiave nella serratura e aprì la porta. Trovò James e Alexis, entrambi armati.
«Cos'è successo?» chiese.
«Desmond e Robert sono scomparsi» rispose Alexis.
«Com'è possibile?» chiese Eveline «Due vittime in una volta sola?»
«Io direi piuttosto vittima e assassino» la corresse James «Stiamo andando a cercarli».
Istintivamente Eveline stava per unirsi a loro, ma all'ultimo momento cambiò idea. «D'accordo» si limitò a dire «Andate pure, io me la caverò da sola».
 
«Strano, vero?» commentò Alexis mentre lei e James scendevano le scale.
«Non troppo» replicò James «Alcuni si sentono più al sicuro da soli. E poi, Eveline non mi preoccupa».
«Ad essere onesta, sei tu che mi preoccupi dopo ieri sera».
«Però il fatto che io abbia un fucile non ti dispiace».
«Dovrò pur pensare alla mia protezione».
«Io penserei piuttosto a cosa fare quando avremo capito chi è Onym».
«Che vuoi dire?» chiese Alexis scendendo gli ultimi gradini.
«Che non ho intenzione di aspettare l'arrivo della polizia. Un colpo alla testa e il problema sarà risolto».
Il tono con cui lo disse spaventò Alexis. Non c'era solo freddezza nella voce di James, ma anche... una sorta di entusiasmo. In quel momento si sentì più sicura con l'accetta stretta in mano.
 
Tenendo il coltello da caccia stretto in mano, Dover bussò alla porta della stanza di Isabel. Quando la porta si aprì, si trovò davanti la ragazza in vestaglia e armata con un grosso coltello da cucina. Vincendo il disagio, Dover chiese: «Dormito bene?».
«Secondo te?» replicò Isabel, stropicciandosi gli occhi con la mano libera «È successo qualcosa?».
«Credo di no» rispose Dover «Faremmo meglio a scendere».
Quando ebbero sceso le scale, sentirono cigolare la porta d'ingresso. Istintivamente, i due alzarono le armi.
La porta ruotò lentamente sui cardini e Robert entrò nell'ingresso. Era infreddolito e aveva gli scarponi pieni di neve. «Che fate lì?» domandò ai due, chiudendo la porta.
«Cosa ci fai tu, piuttosto?» replicò Dover, senza abbassare il coltello.
«Ero uscito per cercare un punto da cui lanciare un segnale di aiuto, ma sembra che la neve abbia bloccato tutte le attività. Anche se riuscissimo a contattare qualcuno, non riuscirebbe ad arrivare prima di domani».
«Hai visto qualcun altro fuori?» chiese Isabel.
«No, non ci sono orme sulla neve».
«E allora dov'è andato Desmond?» chiese Dover.
«Perché, non è in camera?» chiese di rimando Robert.
«No, lo stiamo cercando. E stavamo cercando anche te».
«Beh, non ne ho idea. Sentite, che ne dite di abbassare quelle armi? Siete ridicoli».
Nonostante la chiara diffidenza, Dover ed Isabel abbassarono i coltelli e si avvicinarono a Robert, che in cambio aprì la giacca e tolse il coltello nascosto in una delle tasche interne.
La porta della sala da pranzo si aprì e sulla soglia comparvero Alexis e James. «Abbiamo sentito delle voci» disse il ragazzo «È successo qualcosa?».
«A quanto pare, Desmond è sparito» spiegò Robert in modo sbrigativo «Dov'è Eveline?».
«L'abbiamo lasciata su in camera» rispose Alexis, chiaramente agitata.
«Da sola?».
«Era in compagnia di un coltello» spiegò James.
«Non possiamo permetterci di separarci un'altra volta» replicò Robert «Io e Isabel andiamo a chiamarla, voi restate qua.».
«C'è un problema» disse Alexis «È scomparsa un'altra statuetta. Ora ci sono solo sei indiani».
«Questo significa che Desmond ed Eveline sono l'assassino e la vittima» concluse James «L'unico problema è: chi è chi?»
Dal piano di sopra, sentirono Robert che bussava furiosamente alla porta di Eveline e le intimava di uscire. Quando Eveline uscì, mancò poco che la trascinassero al piano di sotto.
«Ma che modi sono questi, razza di idioti?» domandò la ragazza, infuriata.
«Penseremo all'etichetta più tardi» disse James in modo sbrigativo «Dobbiamo trovare Desmond».
 
Dover rimosse la neve, scoprendo uno scarpone. «È qui!» esclamò James.
La neve non aveva solo cancellato le impronte lasciate da Desmond, ma ne aveva occupato anche il corpo. Una volta scoperto, tutti videro immediatamente la profonda ferita al cranio. Terrorizzata, Eveline fece un passo indietro e sentì qualcosa rompersi sotto il proprio scarpone. Quando lo sollevò, vide dei frammenti di ceramica.
Il quarto piccolo indiano.


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Nota: Capitolo scritto da Belfagor.
  
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