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Autore: crushdizzies    26/11/2012    3 recensioni
“Il tuo segreto è al sicuro con me”, assicurò riportando la mia mano lungo il fianco.
Mi sorrise e si incamminò verso la mensa, i capelli biondi che le ondeggiavano attorno al viso come la criniera degli unicorni che aveva sulla copertina del quaderno di spagnolo.
Forse Brittany non era un granché in matematica, ma era davvero un genio a capire le persone.
Fan fiction incentrata sul personaggio di Santana. E' facilmente comprensibile anche da chi non segue Glee.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTRO
Le vacanze di Natale erano ormai alle porte e io avevo già i miei cinquecento dollari.
Mi mancava solo un’ultima giornata di lavoro e poi avrei potuto pagare la prima rata del viaggio in Spagna. Ancora non riuscivo a crederci. Ce l’avevo fatta.
“Ciao mamma!”, salutai entrando in casa, diretta in camera mia.
“Santana!”, mi chiamò mia mamma. Rientrai in cucina dove lei stava sistemando i piatti.
“Siediti, tesoro”, disse mia madre con un sorriso nervoso. Mi sedetti preoccupata. Non mi chiamava mai “tesoro”, a meno che non fosse successo qualcosa.
“Non sai quanto io e tuo padre siamo fieri di te in questo momento… Stai cominciando a diventare grande e responsabile”, iniziò sedendosi a sua volta.
“Sei davvero cresciuta e…”, disse, senza concludere la frase. Non aveva smesso un attimo di tormentarsi le mani. C’era qualcosa che non andava.
“Mamma, non capisco dove vuoi andare a parare…”, dissi confusa. Lei abbassò gli occhi e sospirò.
“Tuo padre ha fatto un incidente”, mormorò mia madre, diretta e concisa, come sempre. Rimasi pietrificata.
“Cosa?! Papà…”, mi mancavano le parole.
“No!”, esclamò mia madre “Papà sta bene. La macchina un po’ meno”.
Sospirai di sollievo. Mi era venuto un colpo.
“Senza macchina papà non può andare a lavoro e senza lavoro non possiamo mangiare, né pagare l’affitto”, mi ricordò mia mamma.
“Dobbiamo riparare la macchina”, disse dopo una pausa.
“E ti servono i miei soldi”, conclusi. Mi morsi il labbro per trattenere le lacrime e strinsi la mano in un pugno.
Perché proprio ora? Proprio ora che ero così vicina a riuscirci…
Mia madre annuì.
“Non… non potete prendere i miei soldi… mi servono per andare in Spagna”, ribattei. Lei si scaldò immediatamente.
“Non posso credere che tu sia davvero così egoista, Santana. Non si tratta solo di me e papà. Siamo una famiglia. Si tratta anche di te”.
Aveva ragione. Tremendamente ragione.
Mi alzai di scatto sbattendo il pugno sul tavolo. Mi sentivo un totale fallimento. Ero punto e daccapo.
Corsi in camera, ignorando mia mamma che mi chiamava dal piano di sotto.
Sapevo che non era colpa sua, né di papà, ma ero incazzata nera lo stesso.
Sembrava che il mondo girasse al contrario di come avrei voluto io.


Il giorno dopo a scuola l’argomento principale delle conversazioni era la gita in Spagna e io, naturalmente ero super depressa.
“Ragazze, avete pagato per il viaggio?”, chiese Quinn a pranzo. Rachel, Brittany e Finn annuirono.
“Tu Santana?”, mi domandò la bionda. Sollevai gli occhi dal mio pasto.
“Stamattina mia mamma va a fare il bonifico in banca”, mentii sfoggiando il più falso dei miei sorrisi.
Notai che Brittany mi stava fissando con la fronte corrugata, espressione che faceva quando cercava di capire qualcosa.
Non le avevo detto niente di mio padre, dei soldi che ormai non avevo più e del fatto che, molto probabilmente, non sarei andata con loro in Spagna.
“Sarà bellissimo!”, trillò Rachel battendo le mani e saltellando sulla sedia. Quinn rise e per i successivi due minuti le due parlarono della valigia che si sarebbero portate.
Io rimasi in silenzio, la fronte appoggiata sulla mano sinistra a fissare il piatto.
Ero talmente persa nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno che Rachel e Quinn si dileguarono con i rispettivi fidanzati, lasciandomi sola al tavolo con Brittany.
“E’ tutto ok?”, mi chiese risvegliandomi dal mio momentaneo stato di trance.
“Si certo… Perché?”, assicurai.
“Hai lasciato parlare Rachel e non hai fatto commenti sul suo maglione con le renne…”, mi fece notare. Mi scappò un piccolo sorriso.
“Non era male…”.
“Andiamo San… Puoi prendere per il culo chiunque… ma non me”, disse guardandomi dritta negli occhi.
Non potevo mentire a quegli occhi così azzurri. Sospirai.
“Non ho più un centesimo”, mormorai.
“Cosa?”, esclamò confusa.
Le raccontai tutta la storia dell’incidente e di mia madre.
Le spiegai quanto lo stipendio di mio padre fosse essenziale, dato che mia madre faceva solo qualche lavoretto occasionale, in nero e sottopagata per di più.
Le dissi che avevo intenzione di lavorare finché il ristorante non avrebbe chiuso per le ferie di Natale. Ma non sarebbe servito comunque a nulla.
Avrei avuto voglia di mettermi a piangere e mandare tutto a fanculo. Non ce la facevo davvero più.
Mi sentivo così… piccola. Non potevo vincere questa volta.
Parlai tutto il tempo con gli occhi bassi, torturandomi le mani. Mi vergognavo da morire.
Brittany mi prese la mano e sollevai di scatto lo sguardo sorpresa.
“Mi dispiace tanto San”, mormorò e sembrava volesse piangere anche lei. Rimasi quasi a bocca aperta. Mi capiva. Mi capiva davvero.
“Vorrei fare qualcosa di più”, confessò.
“Hai fatto già tanto Britt”, la tranquillizzai. Sorrise e gli occhi le si illuminarono.
Mi persi per un momento in quegli occhi blu color del mare, in quella stretta così calda nel gelo dell’inverno.
Sarei potuta rimanere così per sempre. Quando stavo con Brittany il mondo faceva molto meno schifo del solito.
Era come se ci fosse sempre speranza, come se ci fosse sempre una luce accesa. La mia luce.
Ci alzammo per posare i vassoi e andammo in classe.
Brittany non lasciò la mia mano nemmeno per un secondo e io non avevo intenzione di farlo.
Avevo così bisogno di lei in quel momento.


Era il giorno di Natale e io ero a Breadstix (il ristorante dove lavoravo) da quella mattina alle otto.
Cercavo di lavorare il più possibile, ma ormai il mio turno era quasi finito e non avrei mai guadagnato cinquecento dollari in due giorni.
Il ristorante era pieno e ogni volta che si apriva la porta temevo che qualcuno che conoscevo entrasse, ma, per fortuna, nessuno aveva idea dell’esistenza di quel posto.
Mi ero ormai rassegnata e avevo detto addio alla Spagna. Però, in un certo senso, speravo ancora in una sorta di miracolo di Natale.
Una cosa tipo: mio padre che compra un gratta e vinci fortunato, una vecchina che regala mille dollari a mia mamma perché le ha fatto il bucato, trovare mille dollari per terra…
Sorrisi di queste fantasie mentre sistemavo confezioni di caffè su uno scaffale.
“Santana”, mi chiamò Nick, il ragazzo che lavorava alla cassa, entrando nella dispensa.
“C’è una ragazza che ti vuole, al bancone”, disse il ragazzo indicando con il pollice la porta alle sue spalle.
“Una ragazza?”, chiesi a metà tra il preoccupato e il curioso.
“Sì. Bionda, alta più o meno così, occhi blu, espressione da cucciolo smarrito, figa da paura…”, descrisse Nick con un’espressione beata sul volto.
“Ritira dentro il coso, arrapato”, gli ordinai. Avevo capito, dalla sua descrizione, che doveva trattarsi di Brittany.
Mi lanciai letteralmente fuori dalla dispensa mollando il pacco di caffè che avevo in mano a Nick.
Cosa ci faceva Brittany qua?
“Brittany!”, esclamai vedendola appoggiata al bancone.
“Hey San!”, mi salutò a sua volta.
“Chi ci fai qui?”, le chiesi quando arrivai davanti a lei.
Lei fece spallucce.
“E’ Natale, sono passata a salutarti”, mi sorrise.
“Oh, beh… grazie”, dissi sorpresa. Notai che teneva una busta in mano.
“E quella?”, chiesi curiosa. Lei arrossì.
“E’ per te…”, mormorò porgendomela. Corrugai la fronte.
“Per me?”, domandai prendendo la busta. Lei annuì fissandomi, studiando attenta ogni mia espressione.
“E’ il mio regalo di Natale”, annunciò.
“Brittany, io non ti ho regalato niente”, confessai sentendomi una cretina. Mi era totalmente passato di mente, con tutto quello che era successo in quell’ultima settimana.
“Non importa. Aprilo!”, mi invitò con una risatina.
Aprii la busta lentamente e sbirciai il contenuto, curiosissima. Dentro c’era un assegno.
Richusi la busta e la poggiai sul bancone, spingendola verso di lei.
“Non posso accettarlo”, dissi semplicemente. Lei non sembrava sorpresa. Probabilmente si aspettava una reazione del genere.
“Sì che puoi”.
“Brittany, sono un sacco di soldi”, ribattei.
“Non per me, Santana. Sai che posso permettermelo”.
Non dissi niente. Non sapevo se essere felice o meno. La possibilità di andare in Spagna stava tutta in quella busta, nel regalo di Brittany.
Ancora una volta, mi aveva salvata.
“Devi accettarlo, San. E’ il mio regalo di Natale e senza di te io in Spagna non ci vado”, disse risoluta “Non avrebbe senso”, aggiunse poi.
Spostai il mio sguardo da Brittany alla busta, poi di nuovo su Brittany che era lì in piedi davanti a me che aspettava agitata una mia decisione.
Era davvero bellissima. Mi venne da sorridere.
“Ma io non ti ho regalato niente”, insistetti.
“Non importa”, disse Brittany sorridendo “Mi hai regalato la tua amicizia. Quella non puoi mica impacchettarla!”.
Risi, facendo ridere anche lei.
“La mia amicizia mica vale cinquecento dollari…”, ribattei con un sorriso enorme.
“Hai ragione. Vali molto di più”. Rimasi immobile davanti a lei, senza parole.
Mi si era letteralmente sciolto il cuore a quelle parole e avevo sicuramente un’espressione ebete sul volto.
Passò ancora qualche secondo di silenzio, in cui non sapevo bene cosa fare, come ringraziarla. Sarei andata in Spagna, tutto per merito suo.
Poi, le saltai al collo e l’abbracciai.
Fu tutto di nuovo come quella volta nel bagno: ogni cosa tornò al proprio posto, ogni cosa tornò ad avere senso.
Perché era così che mi sentivo quando ero con Brittany. Completa.
Lei rimase un momento immobile, perché non era da Santana abbracciare le persone.
Infine mi strinse a sé con una risata. Quell’abbraccio sarebbe potuto durare all’infinito.
Immaginai come sarebbe stata l’eternità immersa nel profumo di Brittany, come sarebbe stato tuffarsi nelle sue braccia per un milione di volte.
Non sentirmi mai sola.
Forse era quello il paradiso.
“Ti voglio bene Santana”, disse Brittany sciogliendo l’abbraccio.
“Anche io te ne voglio Britt”. Non credevo che avrei mai potuto dire qualcosa del genere a qualcuno.
Ma quel qualcuno non era un qualcuno qualunque. Era Brittany.
Brittany che era capitata così all’improvviso nella mia vita. Brittany che era l’unica in grado di capirmi. L’unica con cui riuscivo veramente ad essere me stessa.
La guardai uscire dal ristorante.
Non riuscivo a capire se ero felice per il fatto che ora potevo andare in Spagna o che ci sarei andata con lei.
“Chi era?”, chiese Nick con aria maliziosa da dietro il bancone.
“Un amica”, risposi schietta io, con un tono da “fatti i fatti tuoi”.
“Ah, sicura?”, continuò il ragazzo. Lo guardai senza capire, sentendomi stranamente minacciata.
“No, perché mi hai attaccato quando ho dato della figa da paura alla biondina e sei schizzata fuori…”, spiegò Nick con un’alzata di spalle.
“Non è come pensi” ribattei cercando di difendermi.
Ma perché cazzo mi stavo difendendo e non lasciavo semplicemente perdere quello sfigato?
Forse perché non aveva tutti i torti.
“Sarà…”, borbottò Nick dirigendosi verso un paio di clienti che desideravano pagare.
Corsi nella dispensa dove mi attendevano altri scatoloni da disimballare.
Mentre riordinavo le confezioni di caffè mi ritrovai a pensare a Brittany.
Ultimamente mi capitava spesso, specialmente dopo quella volta in bagno, in cui avevo temuto di perderla.
Non facevo altro che paragonare la mia vita prima e dopo averla conosciuta.
Provavo a immaginare la mia vita senza di lei, senza il suo sorriso, senza i suoi occhi blu come l’oceano, senza il suo abbraccio, senza la sua presenza vicino a me, senza poter essere me stessa, senza poter sentirmi libera come i gabbiani che volano sul mare… sarebbe stato impossibile.
Non credevo che al mondo potesse esistere qualcuno come lei.
Qualcuno così puro e che mi facesse sentire così bene come faceva Brittany.
Era semplicemente fantastica e sarebbe impossibile descrivere come mi faceva sentire, sarebbe impossibile descrivere in modo dettagliato i tuffi al cuore che sentivo ogni volta che sorrideva.
Brittany aveva uno dei sorrisi più belli del mondo, di quelli contagiosi che ti riempivano di felicità.
Lei era semplicemente… perfetta.
Non riuscivo a trovare parole più adatte.
Sospirai.
Cosa potevo saperne io dell’amore? Nessuno mi aveva mai spiegato cosa si prova quando ci si innamora. Nessuno mi aveva mai spiegato come si capisce di essere innamorati.
L’unica cosa che conoscevo erano milioni di film, libri e frasi strappalacrime.
Scossi la testa per cercare di dissipare la confusione che si era creata nella mia mente.
Ero terrorizzata da quegli strani sentimenti.
Non potevo essere innamorata di Brittany.
Non potevo permettermi di perderla per cose stupide come l’amore. Perché sapevo che non mi voleva come la volevo io.
Sapevo che l’unico modo per averla accanto a me era essere sua amica.
Non avrei mai rovinato una cosa del genere.






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Rieccomi bellissime persone che recensite/preferite/seguite e, soprattutto leggete.
Mi fa tanto piacere sapere che c'è qualcuno a cui piace quello che scrivo! ;)
Questo è un capitoletto un po' buttato lì che mi serve da ponte per collegarmi con la storia vera e propria!
Spero che vi piaccia! :)
  
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