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Autore: Artemis Black    26/11/2012    1 recensioni
"Io sono figlia del ghiaccio: pelle candida, capelli corvini e occhi di ghiaccio.
Il mio tocco può congelare la vita, preservarla o ucciderla.
Era un giorno qualsiasi della mia vita, quando tutto cambiò. Quando tutto si fece freddo e azzurro. [...]
Dicono che la vendetta non serve a niente. Si sbagliano, o almeno chi lo dice non ha mai passato un inferno come il mio. Non sanno che quando ti viene portato via tutto, la rabbia dentro di te cresce fino ad esplodere. Non sanno che quando si vede la paura, che si ha provato, riflettere negli occhi del vostro aguzzino, un brivido di euforia percorre il tuo corpo e ne nutre l’anima, lacerandola.
La vendetta serve a far capire chi ha vinto veramente."
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Proposte di lavoro.
 

I never meant to cause you any sorrow, 
I never meant to cause you any pain. 
I only wanted to see you laughing in the purple rain.


 

“Voglio parlare con il tenente! Non mi è piaciuto affatto come la cosa è stata gestita!” sentii la voce ovattata di Reed dietro la porta.
Ero rinchiusa in una stanza, seduta su una scomoda sedia di legno, con le mani incatenate al tavolo di fronte a me.
“Non è stato il tenente a coordinare l’operazione.” Gli rispose qualcuno.
“Allora voglio parlare con il diretto interessato!” gli rispose a tono Reed.
“Mi dica pure, dottor Reed Richard.” Un’altra voce si era unita, aveva un tono più grave e roco.
“Le volevo parlare di come è stata trattata Evelyn!” sbottò il dottore.
“Venga, le darò spiegazioni.” Le due voci si allontanarono velocemente
Non so per quanto tempo rimasi dentro quella stanza desolata. Mi portarono anche del cibo.
“Non riesco a mangiare.” Gli dissi indicando le manette.
“Non è un problema mio.” Mi rispose la guardia.
La cosa mi fece arrabbiare in una maniera sconvolgente.
Passarono minuti, ore prima che qualcuno si fece vivo. Entrò un uomo di colore, con una benda sull’occhio sinistro e un abbigliamento alla Matrix, con una giacca nera lucida che gli arrivava fino ai piedi.
Si sedette di fronte a me e aprì un fascicolo con il mio nome scritto sopra.
“Signorina Smith, io sono il colonnello Nick Fury.” Disse. Era la voce roca e grave che avevo sentito prima.
“Le risponderei lieta di conoscerla se mi trovassi in un’altra situazione.” Risposi.
“Io non sarei così sarcastico.” Mi rispose senza staccare gli occhi dalla cartella che aveva sotto mano.
Deglutii rumorosamente: cosa poteva mai sapere su di me?
“Ci sono cose in questo fascicolo che la dipingono come una ladra ed assassina.” Mi disse.
Alzò lo sguardo e puntò il suo unico occhio nei miei.
Rimasi paralizzata.
“No…” sussurrai.
“Ha ucciso lei quest’uomo?” mi chiese mostrandomi una foto che ritraeva quel verme di uno scienziato tedesco.
Non gli risposi, ma gli lanciai un’occhiataccia.
“Signorina… risponda alla mia domanda.” Ribadì.
Non avevo altra scelta che confessare.
“Si.” Dissi a denti stretti.
Lui sospirò e chiuse il fascicolo.
“Oltre ad essere processata per vari furti, potrebbe essere processata per omicidio e pagare a vita queste sue bravate.” Mi disse massaggiandosi la mascella.
Io ero fredda, impassibile ad ogni parola che proferiva. Non riuscivo a capire come aveva fatto a scoprire che ero stata io. Ero stata attenta, minuziosa nel programmare l’agguato ed avevo evitato ogni sorta di telecamera.
“Nel cavò dello scienziato furono successivamente trovati tre corpi, due uomini e una donna. Potrebbe questo essere collegato a lei?” mi chiese.
“Se mi sta chiedendo se li ho uccisi, la risposta è no. È stato quel viscido tedesco ad ucciderli.”
“Perché lo ha fatto?” mi chiese interessato.
“Perché ci eravamo introdotti nel suo cavò, nella speranza di rubare qualcosa. Ma quello che trovammo… insomma… quel vecchio ci aveva attaccato a sangue freddo! Non eravamo neanche armati, santo dio!” sputai fuori le parole.
“Poi cosa è successo?” continuò a farmi parlare.
“Mi diede una specie di ampolla con un liquido azzurro e mi disse di berlo, se no ci avrei rimesso la pelle.” Risposi.
“E così lei ha ricevuto-“
“Non ho ricevuto un bel niente! Mi ha maledetto a vita!” gli urlai contro e automaticamente gelai le manette spezzandole e mi alzai dalla sedia.
A poco distanza dalla mia fronte, Fury aveva estratto la sua pistola e me la puntava contro.
Avevo espulso così tanta rabbia, che notai che dalla bocca dell’uomo usciva una nuvoletta di vapore ogni volta che respirava: avevo congelato parte della stanza.
Mi accorsi di quello che avevo combinato e mi rimisi al mio posto, seduta sulla sedia. Il colonnello d’altro canto, non abbassò per un attimo la guardia.
“Le voglio offrire una seconda possibilità.” Disse lui, riponendo l’arma nella fodera.
“Tutti noi sbagliamo nella vita, ma c’è un tempo in cui possiamo redimere parte delle nostre colpe. Se accetterà di collaborare con noi, di lavorare per noi, tutte le cose che ha fatto in passato saranno soltanto una brutta nota nel suo fascicolo.” Disse.
“Collaborare con chi?” chiese stizzita.
“Con lo S.H.I.E.L.D., intelligence extra-governativa che si occupa della sicurezza del pianeta Terra.” Disse, quasi con enfasi.
“E cosa dovrei fare io?” chiesi senza capire.
“Lavorare per proteggere questo mondo da… forze speciali, come lei, ma che utilizzano i propri poteri in modo negativo.” Concluse.
“Non capisco… perché lo sta facendo?”
“Gliel’ho detto, le offro una seconda possibilità. Le do una settimana per pensarci, durante questo tempo sarà affidata sotto custodia a Reed Richard e ai Fantastici Quattro. Con questo può chiamarmi per eventuali emergenze o chiarimenti.” Disse porgendomi una cellulare. Poi si alzò e fece per andarsene.
“Lo fa solo per poter sfruttare i miei poteri?” domandai prima che varcasse la porta.
“Anche. Persone come lei possono proteggere questo mondo molto meglio e con molte meno perdite.”
“E chi baderà a mia nonna, se mai dovessi accettare la sua offerta?” gli chiesi all’ultimo.
“Invieremo una persona a prendersi cura di sua nonna.” Disse uscendo.
Quasi con riluttanza, mi alzai dalla sedia e mi avvicinai alla porta. Uscii dalla stanza con la paura di essere risbattuta dentro, invece un’agente mi scortò fino ad una sala, dove c’erano Johnny e Reed e tutti gli altri.
“Evelyn, tutto ok?” mi chiese preoccupata Sue.
“Si, sto bene.” Risposi.
“Ci hai fatti stare in pensiero, fiocco di neve.” Disse Ben.
Lo guardai con stupore: mi aveva appena chiamato piccolo fiocco di neve? Seriamente?
“Andiamocene da qui, una macchina ci accompagnerà tutti a casa.” Disse Reed prendendo sotto braccio sua moglie.
“Io…” dissi bloccando tutti.
“Devo andare prima da mia nonna, devo spiegargli un po’ di cose.” Dissi con un nodo alla gola.
“Ma certo.” Mi rispose Reed apprensivo.
Uscimmo dai sotterranei di un grattacielo e ci dirigemmo verso casa mia. Johnny era al volante dell’auto ed io ero affianco a lui, mentre Reed e Sue erano dietro con Ben.
Quando ci fermammo, il mio cuore accelerò e le mani cominciarono quasi a sudarmi.
Mi voltai verso Johnny, che con un cenno della testa mi fece capire che potevo farcela. Scesi dall’auto e con molto nervosismo in corpo, mi avvicinai alla porta. Bussai tre volte e poi aspettai che mia nonna mi aprisse.
Quando venne ad aprire, per poco non gli prese un infarto nel vedermi. Mi abbracciò con vigore e quasi mi trascinò dentro casa.
“Oh Evy! Mi hai fatto stare in pensiero! E’ anche venuto il tuo ragazzo a cercarti.” Mi disse, tenendomi le mani.
“Lo so nonna.” Le rivolsi un sorriso amaro. Avrei voluto dirle che Johnny non era il mio ragazzo, ma quello era il più infimo dei problemi.
“Che è successo, dolcezza?” mi accarezzò una guancia.
“Devo dirti alcune cose.” Le dissi, sedendomi sul divano.
Non le raccontai tutto quanto,  le dissi solo che dovevo andare via per qualche tempo e gli dissi che lavoravo per un’agenzia governativa come la C.I.A, ma non potevo dirgli per chi. Lei ci credette, in un primo momento sembrò essere felice del mio lavoro, poi si accorse che mi avrebbe portato per un po’ di tempo via da lei.
“Basta che stai bene, tesoro.” Furono le uniche parole che mi disse.
Non le raccontai dei miei poteri, non ce la feci.
Quando mi riaccompagnò fuori la porta, i suoi occhi erano umidi.
“Oh nonna, ti voglio così tanto bene.” Le dissi abbracciandola fortissimo.
“Anche io, tesoro. Mi raccomando, comportati bene.” Disse prima di lasciarmi andare.
La tristezza era tanta, troppa da assimilare tutta insieme.
L’unica volta che mi ero allontanata da lei, lo avevo rimpianto per non so quanto tempo ed adesso che mi stavo separando quasi definitivamente, era dura. Un po’ come quando un piccolo uccellino deve imparare a volare per andare via dal nido materno e crearne uno proprio.
Montai in macchina con irruenza e quasi supplicai Johnny di partire.
Quando arrivammo davanti al Baxter Building, Reed e Sue accompagnarono Ben a casa dalla sua fidanzata e poi ci dissero che sarebbero andati a cena fuori, così io e Johnny salimmo su nell’appartamento da soli.
“Dormirai nella mia stanza, scegli: o con me o con me.” Disse lui con quel sorriso da sfrontato.
“E se invece dormissi sul divano?” gli chiesi.
“Ma è scomodo!” se ne uscì.
“Almeno non dormirò con te.” Sospirai.
Anche se la cosa non è che mi dispiaceva tanto.
“Ci sono donne che farebbero la fila per dormire con me! Ricordalo!” disse puntandomi il dito.
“Senti io ho sonno! Voglio dormire e buttarmi alle spalle questi ultimi giorni!” gli dissi.
Mi chiusi in bagno ed indossai un paio di shorts di maglia e una canottiera rossa, poi mi legai i capelli in una coda e uscii dal bagno, buttandomi nel letto di peso.
Allungai le coperte fino a coprirmi la testa. Se Johnny avrebbe dormito o meno con me, poco importava. Alla fine crollai esanime.
 
Mi svegliai nel cuore della notte, anche se ero stanca fisicamente, con tutti i pensieri che giravano per la testa rimasi sbalordita di aver dormito per più di 5 ore.
Mi rigirai nel letto e vidi che Johnny non c’era. Alla fine aveva fatto il galantuomo.
Andai in cucina con la speranza di trovare delle bustine di camomilla, ma non sapendo neanche dove fossero i pulsanti per accendere le luci, camminai a tentoni fino a trovarmi di fronte il frigo. Lo aprii per farmi un po’ di luce. Accanto al frigo c’era una credenza, la aprii e trovai delle bustine di the, tisane verdi e… camomilla!
Ne presi una e poi aprii la lavastoviglie per prendere un pentolino. Lo riempii d’acqua e lo misi sul fornello che… non si accendeva.
“Ma che diamine?” sussurrai, cercando la manopola del gas.
Feci un passo indietro ed urtai contro qualcuno. Il primo istinto fu di urlare, invece mi girai di scatto verso l’intruso.
“Sta calma, sono io!” disse Johnny prendendomi per i polsi.
“Perché hai il vizio di apparire dal nulla?” gli chiesi.
“Dono di natura forse!” disse sarcastico.
“Accendi le luci.” Gli dissi.
“È saltata la corrente…” disse ridendo.
“Bene… e non la puoi rimettere?” gli chiesi.
“Ehi, mi hai scambiato per Reed?” contro ribatté.
“Non ci vuole una laurea per rimettere il pulsante del contatore su on!” sostenni.
“No, ma io posso fare questo.” E con uno schiocco delle dita, fece apparire una fiammella di fuoco che illuminò parte della cucina.
“Sta lontano da me con quel coso!” dissi, puntando con il dito lo spirito santo che aleggiava sulla sua mano.
“Non la vuoi più la tua camomilla?” disse scherzando.
“Non provocarmi.” Gli risposi.
“Uuuh che paura!” disse agitando le mani.
Non ci pensai due volte: con un gesto fulmineo della mano, spensi la fiamma con una leggera brezza ghiacciata.
“Ehi!” si lamentò Johnny.
“Sei peggio di un bambino.” Dissi girandomi di spalle per rimettere a posto le cose che avevo preso.
“Questo non lo accetto!” disse e mi prese in braccio, sollevandomi da terra.
Mi portò di peso in camera, mentre io mi dimenavo e gli inveivo contro. Mi buttò sul letto e si mise sopra di me. Poggiò le sue mani sui miei fianchi scoperti e mi avvicinò a lui con decisione. Il suo fiato caldo sul mio collo mi stava facendo perdere il controllo.
Spostò i miei capelli e cominciò a baciarlo lentamente, con dolcezza e passione allo stesso tempo. Ogni suo tocco incendiava la mia pelle e mandava in visibilio il mio cervello.
“Johnny…” sussurrai, cercando di fermarlo. Ma che diavolo stava facendo?
Mi prese i polsi e li portò sopra la mia testa, tenendoli stretti con una mano. Sussurrò un debole shh, tra una bacio ed un altro. Ormai era arrivato quasi all’incavo del mio seno, ma invece di procedere, risalì lungo il collo.
Chiusi gli occhi, abbandonami a quel piccolo momento di piacere carnale. Mi baciò il mento e poi si staccò, respirando vicino alla mia bocca. Passò un pollice sulle mie labbra, poi invece di baciarle, spostò le sue all’altezza del mio orecchio.
“Questo lo sa fare un bambino?” sussurrò.
In seguito si alzò dal letto e se ne andò, socchiudendo la porta. Lasciandomi lì, sul letto, sedotta ed abbandonata.
Mentalmente dovevo ancora realizzare bene cosa era successo, mentre il mio corpo aveva capito al volo e ne voleva ancora.
 
La mattina seguente mi svegliai tardissimo, il sole era già alto e filtrava attraverso le spesse tende rosse cremisi. Mi alzai come un orso quando si risveglia dal letargo e con molta pigrizia mi misi addosso una maglia e andai in cucina a fare colazione.
In casa c’era una calma apparente, nessuno in vista neanche Johnny. Tirai un sospiro di sollievo, almeno per la mattinata non sarei diventata rossa come un peperone ogni volta che l’avrei guardato.
L’intera casa era riscaldata attraverso un sistema automatico che regolava la temperatura interna come se stessimo ai tropici e io non riuscivo a sopportalo. Non bastavano le caldi e afose estati di New York a soffocarmi, ci mancava pure il riscaldamento della casa in cui avrei dovuto vivere per non so quanto. Spalancai le finestre della sala ed una piacevole brezza invernale inondò l’intera stanza. Quando mi avvicinai al tavolo della cucina, c’era un biglietto con su scritto che Reed e Sue erano partiti per una conferenza tra scienziati e che sarebbero stati via per tre giorni.
Tre giorni.
Tre giorni da sola, con quel maniaco di Johnny.
Oddio.
Mi passai una mano tra i miei ricci nero petrolio e mi avvicinai al frigorifero. Ci rimasi male quando vidi che non c’era nient’altro che un succo di frutta, latte scaduto e pollo avanzato.
Mi accontentai del succo e del pollo, che misi a riscaldare al microonde, poi accesi la tv.
“Non ci sono nuove notizie riguardanti quanto accaduto l’altro giorno, quando un elicottero e alcune volanti della polizia sono state coinvolte in un inseguimento.” Disse la donna del tg.
“Sembra che anche i Fantastici 4 siano intervenuti. Questo è quello che sappiamo, passo la linea a te Ashley con la tua rubrica.”
“Grazie Carl! Oggi nella rubrica di gossip abbiamo un succulento scoop! Il biondo Johnny, meglio conosciuto come la Torcia ha una spasimante, o almeno così ci dimostrano queste foto!” la bionda ossigenata mostrò alcune foto che ritraevano me e Johnny fuori dal pub in cui lavoravo.
“Non ci posso credere…” detestavo i giornalisti e i tg, oltre alle bionde ossigenate e ai loro stupidi programmi da oche. Odiavo anche essere apparsa in tv come nuova “fiamma” di quel biondino.
Finii di mangiare il pollo mentre guardavo un documentario sulle tigri del bengala.
“Ehi Tigre!” sentii dirmi alle spalle.
Johnny era appena rientrato ed aveva indosso una tuta da motociclista strappata in vari punti.
“Ma che diamine hai combinato?” gli chiesi stupita.
“Niente di che, qualche giro in pista.” Mi rispose buttandosi pesantemente sul divano.
“Oppure la pista si è fatta un giro su di te.” Dissi sarcastica.
“Oh… facciamo le spiritose?” disse e cominciò a farmi il solletico.
“No, fermo! Ahahahahahahah!” cominciai a ridere come una forsennata. Finii per dargli una gomitata su un braccio escoriato.
“Ahi!” gridò lui.
“Non è colpa mia!” dissi alzando le mani in aria.
“Fa vedere.” Gli dissi, esaminando la ferita.
“Non è niente…” mi rispose, alzandosi.
“Ma come niente? Ti si vede l’osso tra un po’!” gli urlai dietro.
Lo raggiunsi in camera e lo feci sedere controvoglia sulla panca davanti al letto.
“Aspetta qua.” Dissi mentre mi fiondavo in bagno a prendere il disinfettante con l’ovatta.
Quando tornai in camera, me lo ritrovi a petto nudo che si grattava la nuca mentre si guardava alcuni lividi neri. Mi sentii avvampare, ma riuscii a tenere a bada i miei ormoni.
Impregnai un batuffolo d’ovatta del liquido disinfettante e cominciai e mi sedei vicino a lui. Cominciai a passarglielo su un taglio che aveva sul braccio sinistro.
Le mie dita sfioravano lievemente sulla sua pelle, eppure riuscivo ad avvertire i suoi brividi ad ogni mio contatto e mi sentivo a disagio. La sua pelle era bollente e scottava come se avesse la febbre, mentre la mia era fredda.
Dopo avergli medicato il braccio sinistro, passai ad alcuni tagli che aveva sul petto.
Esitai prima di passargli il batuffolo sulle ferite, abbassai gli occhi imbarazzata e cercai di non far notare che le mie guance si stavano arrossendo. Eppure fu più forte di me: senza esitare, sorprendendomi, gli posai una mano sul petto. Era una sensazione stranissima, un po’ dolorosa ma piacevole sentire la sua pelle calda a contatto con la mia mano fredda. Come quando entri in una vasca piena d’acqua bollente: all’inizio ti scotti, poi il tuo corpo si abitua alla temperatura e ti lasci cullare da quel dolce tepore. Rimasi così per non molto, mentre Johnny mi guardava con aria assorta. Non si stava chiedendo perché diamine ero rimasta immobile da quella posizione, ma sembrava quasi che volesse conferma di quella sensazione che anche lui provava.
Ritrassi la mano di scatto e gli disinfettai le ferite velocemente.
“Grazie.” Disse lui.
“Non ce di che.” Sussurrai mentre usciva dalla stanza.
Oh ma che diavolo mi prendeva?
Non potevo pensare a quel tipo di cose, quelle che involvevano il cuore. Scrollai la testa e mi vestii velocemente prima di fiondarmi nell’ascensore.
Passeggiai per le strada di New York senza una meta, incrociando sguardi di gente sconosciuta che camminava frettolosamente verso chissà dove. Tutti avevano una meta precisa, un obiettivo da rincorrere mentre io no.
Dovevo trovare il mio obiettivo per ritornare a vivere e non ad esistere.
“E’ lei la nuova fiamma della torcia!” un paparazzo mi si parò davanti e cominciò a scattarmi foto. La gente cominciò a mormorare intorno a me e ad altre persone si misero a scattarmi foto. Mi feci largo tra la folla per cercare di scappare dal quel groviglio di flash.
“Aspetti! Non se ne vada!” mi gridavano.
Ad un certo punto mi misi a correre per cercare di seminarli. Mi addentrai in vicoli bui e sporchi, pur di togliermeli dalle scatole.
Mi nascosi dietro un cassonetto ed aspettai che quei paparazzi se ne andassero. Sentii qualcuno calciare una lattina e mi voltai di scatto per vedere chi c’era.
Vidi un uomo incappucciato in fondo alla via, prima che svoltasse l’angolo.
Uno strano presentimento mi fece alzare per seguirlo. Non sapevo esattamente perché lo stessi facendo, ma poco importava: il mio sesto senso mi diceva che c’era qualcosa che non andava. Appena svoltai l’angolo, vidi l’uomo scendere dentro un tombino e richiuderlo.
“Ma che diavolo?!” pensai.
Ero interdetta se continuare a seguirlo nelle fogne o lasciar stare.
Optai per una sana comminata nelle fogne.
Aprii il tombino e guardai dentro.
“Me ne pentirò, ne sono sicura.” Dissi tra me e me.
Scesi le scalette in silenzio ed atterrai sul corridoio melmoso, ringraziando il mio buon senso di essermi messa un paio di stivali quel giorno.
Vidi un’ombra sgusciare via in uno dei corridoi dell’acquedotto. Lo seguii a passi felpati fino a ritrovarmi in una specie d’incrocio di tunnel.
“Merda.” Sussurrai.
Dove cavolo era andata?
Guardai a terra e vidi un’ombra gigante sovrastare la mia. Mi girai velocemente e mi accorsi che l’uomo che stavo inseguendo non era… un uomo.
Sgusciai via prima che potesse prendermi e cominciai a correre a perdi fiato per i tunnel fognari. Mi guardai indietro e grazie a qualche piccola luce che c’era sulle pareti, riuscii a scorgere meglio la figura: era alta e piuttosto robusta, carnagione scura sulle mani ma chiara sul viso leggermente deformato, come se fosse stata una scultura d’argilla uscita male. Indossava una felpa grigia e dei pantaloni, mentre ai piedi portava un paio di stivali vecchi.
Continuai a correre senza sapere esattamente dove stessi andando.
Ad un certo punto qualcosa di scivoloso mi fece cadere. Non riuscii a rimettermi in piedi che il mostro dietro di me mi afferrò per la vita e cominciò a stritolarmi.
Urlai ma lì sotto nessuno poteva sentirmi.
Decisi allora di usare i miei poteri. Una stalattite di ghiaccio si formò tra le mie mani, per poi esser conficcata nel collo del tizio.
Quello urlò e mollò la presa per togliersi la lastra di ghiaccio dal collo, come fosse una piccola scheggia.
Lo guardai inorridita e mi rialzai velocemente in piedi per trovare un tombino per uscire fuori. Mentre correvo mi ricordai che avevo il cellulare che Fury mi aveva dato per le emergenze. Frugai nelle tasche e ne farlo rallentai e il mostro con una mossa mi fece volare addosso il muro dall’altra parte del corridoio.
Per un minuto mi sembrò che l’aria si fosse bloccata nei polmoni e che la schiena si fosse spezzata. Presi il telefono e premetti il tasto verde.
“Mi dica signorina.” Rispose subito Fury.
“Ehm, salve. Non vorrei disturbarla ma ho un problema serio, molto serio.” Dissi mentre mi rialzavo ed evitavo di farmi acciuffare dal gigante.
“Che tipo di problema?” mi chiese.
“Sono nei guai. Sono nelle fogne e sto combattendo contro un gigante di terracotta! Non mi prenda per pazza, ma è la verità! Mi servirebbe un aiutino-“  non finii di dire la frase che l’omone mi tirò un gancio destro in faccia e mi fece volare a terra.
Tossii e cercai di rimettermi in piedi. Il telefono era caduto poco lontano da me, cercai di afferrarlo ma fui io ad essere presa per le caviglie. Il gigante mi lanciò nuovamente lontana ed atterrai al centro del corridoio, dove un piccola rivolo d’acqua.
Alzai la testa e lo vidi venirmi incontro, ringhiando come un’animale.
Fu allora che mi venne la brillante idea: congelai l’acqua sotto di noi, così da impedirgli di muoversi, mi alzai in piedi velocemente e gli piantai alcune lame di ghiaccio nel petto.
Erano come spilli per lui!
La lastra di ghiacci sotto i suoi piedi si ruppe e si scagliò contro di me. Misi le braccia ad X davanti a me e mi protessi con uno scudo di ghiaccio. Ma ad ogni pugno sferrato, la lastra si incrinava fino a rompersi.
In quella frazione di secondo mi prese per la gola e mi alzò in aria, soffocandomi.
I miei polmoni cercavano disperatamente aria e la mia gola mi doleva tantissimo. Poi ci furono alcuni spari e il gigante prestò la sua attenzione altrove, facendomi cadere a terra. Altra botta atroce alla schiena.
Arrancai verso la parte opposta al gigante, con i capelli bagnati e i vestiti ormai umidi per colpa dell’acqua. Mi guardai indietro i vidi alcuni agenti dello S.H.I.E.L.D, capitanati da Fury, sparare contro il mostro, ma niente sembrava ferirlo veramente.
“Forse potrei…” pensai.
Mi alzai in piedi e corsi verso il gigante girato di schiena.
“Toglietevi!” urlai a Fury e ai suoi agenti.
“Deve funzionare.” Pensai.
Imposi le mani di fronte a me e cominciai a congelare il gigante che si dimenava nel tentativo di scappare. Girò il viso verso di me poco prima che finissi di congelarlo.
Crollai sulle ginocchia appena ebbi finito. Ora era soltanto una statua di ghiaccio spesso.
Mi era costata molta energia, ma alla fine l’avevo messo K.O.
“Tutto bene, signorina?” mi chiese Fury affiancandosi a me e tendendomi un braccio.
“Una meraviglia.” Dissi e mi aiutai ad alzarmi con la sua mano.
“Come ha trovato questo… ?” mi chiese.
“Attiro guai, non lo sa.” Risposi sarcastica.
Mi avvicinai alla statua di ghiaccio e ne studiai meglio i connotativi.
“Stavo scappando da dei paparazzi fastidiosi, quando mi sono nascosta in un vicolo ho visto questa specie di gigante di terracotta entrare in un tombino e l’ho seguito.” Dissi semplicemente a Fury.
“Trasportatelo via, voglio una squadra di pulizia. Fate sparire ogni singola nostra traccia in questo condotto e mantenete la temperatura vicino alla statua sotto lo zero.” Disse Fury ai suoi uomini.
“Meglio se la mettete in un frigorifero da laboratorio sotto i 30 gradi.” Aggiunsi io.
“Vuole un passaggio a casa, signorina?” mi chiese Fury.
“No, grazie vado da sola.” Risposi.
Mi incamminai con loro verso l’uscita, poi io mi fermai sopra il tombino da cui ero scesa.
“Ha pensato alla mia proposta?” disse Fury prima di lasciarmi andare.
“Lo sto facendo.” Dissi prima di uscire alla luce del sole.


_____________________________________________
Buonasera!
Grazie mille per le recensioni e per aver messo la mia storia nelle tre categorie, finalmente capisco se vi piace o no!
Qui viene spiegato in parte perchè la storia è un crossover tra i FF4 e gli avengers, in quanto appare Nick Fury con lo S.H.I.E.L.D. Voglio puntualizzare che questa storia si colloca dopo FF4 e Silver Surfer ma non dopo il film The Avengers e neanche dopo Thor! Bensì, mi sono presa la briga di far apparire due personaggi importanti: Iron Man e Capitan America, rispettivamente apparsi subito dopo i loro ultimi film. Mi baserò però sui fumetti, in quanto non esiste un seguito sul quartetto dopo il secondo film.
La storia è chiaramente inventata e il cattivo della situazione prende spunto da uno apparso sui fumetti, rivisitato in una chiave molto più personale.
Spero di non avervi annoiato, alla prossima! :D
Artemis Black

p.s: La citazione è Purple Rain di Prince. Fatemi sapere cosa ne pensate!

  
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