Trecentoottantasei
I never wanna die, I never wanna leave, I never say
goodbye
Non voglio morire, non voglio
lasciare, non voglio dire addio
Maybe you was right
Didn't
want a fight
I
should have known
Couldn't
see the signs
Couldn't run a lie
I
should have known
Forse avevi ragione tu
Io non volevo una battaglia
Avrei dovuto saperlo
È impossibile non vedere i segni
È impossibile vivere una bugia
Avrei dovuto saperlo
(I
should have known, Foo Fighters)
Krasnojarsk, 5 Maggio 1845
Trentaduesimo compleanno di Nikolaj
Vasil’evič Zirovskij
-Se tu l’avessi saputo, che lei stava con me, che
doveva sposarmi... Se lei te l’avesse detto...
Ti saresti fatto qualche scrupolo?-
Geórgos lo guardò con aria di sufficienza,
aspirando un’altra boccata di fumo dalla sigaretta appena accesa, giusto per
dimostrare quanto e come lo stava ascoltando.
-No-
Feri si sforzò d’ignorare il suo sguardo di
scherno, il suo ostentato atteggiamento di superiorità.
Avrebbe voluto tirargli un pugno in un occhio, ma
si trattenne.
Era fin troppo evidente che lo Spartano stava
cercando in tutti i modi di provocarlo e farlo spazientire, chissà per quale
perversa soddisfazione, e poi non era ancora il momento.
-Lo sapevo. Lo sapevo già. Per questo l’hai
sposata. Perché non hai mai pensato a me.
Perché non hai mai capito niente. Solo il tuo amore
per lei-
-Perché?-
-Что?-
Čto?
Cosa?
-Perché avrei dovuto pensare a te? Io ero innamorato di lei. Di te cos’avrebbe dovuto
importarmi?
Ch'eri il suo fidanzato? Sinceramente, avresti
fatto migliore figura a far finta di non esserlo, visto come si comportava con
me la tua presunta ragazza.
Non credere che si sia fatta chissà quanti e quali
scrupoli di coscienza, la tua Alja...
Non credo che fosse divorata dai tormenti interiori
tutte le volte che mi baciava.
A meno che non mi baciasse per placare i suoi
tormenti interiori! Sai che non ci ho mai pensato?-
-Sei un vero bastardo...-
-E tu sei sempre stato un illuso. Feri Desztor,
puoi farti osannare quanto vuoi da quei quattro cretini del tuo quartiere, puoi
anche farti chiamare Capitano, sebbene sia terribilmente ridicolo nonché del
tutto inopportuno, ma Lys non è più affar tuo. Te la puoi proprio scordare-
Feri rimase a dir poco scioccato dalla sua
arroganza.
Quello.
Era quello il momento perfetto per tirargli un
pugno in un occhio.
Krasnojarsk, 17 Marzo 1844
Venticinquesimo compleanno di Feri
Desztor
Проспект
Невский
Воскресенье
17 Март 1844
Статья
из Акакий
Дмитриевич
Ульянов
Prospekt
Nevskij
Voskresen’je
17 Mart 1844
Stat’ya iz Akakij
Dmitrievič Ul’janov
La Prospettiva Nevskij
Domenica 17 Marzo 1844
Articolo di Akakij
Dmitrievič Ul’janov
“Gli ussari stanno raccogliendo l’Esercito!”.
Con queste parole Csák Desztor, ventisette anni, ex
tenente di cavalleria degli ussari di Krasnojarsk e Rivoluzionario ungherese,
ha avvertito suo fratello, Feri Desztor, venticinque anni compiuti proprio
oggi, nonché Capitano dell’Esercito di Forradalom.
Come sapete, l’assedio di Krasnojarsk, cominciato
diciannove giorni fa, ha segnato l’inizio della Guerra Civile Siberiana.
Alle ora dieci e ventuno minuti del giorno di oggi,
Domenica 17 Marzo 1844, come ci ha appena riferito il nostro Csák Desztor, gli
ussari di Krasnojarsk stanno raccogliendo l’Esercito, ed entro questo
pomeriggio saranno pronti ad attaccare.
“Per Natal’ja”.
Questo è tutto quanto son riuscito a strappare di
bocca a Feri Desztor.
Questo è tutto quanto il nostro eroe ha voluto
rilasciare.
A. D. U.
San Pietroburgo, 26 Luglio 1843
-E così tu sei la sorellina di Nočen’ka, eh?-
Šamil' Hennadievič
Jakovlev accarezzò col dorso della mano la guancia candida di Lidija, che
sussultò.
Era quasi impercettibile,
la sua presenza accanto a lui.
Così silenziosa,
pensierosa, assorta.
Non si era disperata, non
aveva pianto.
Aveva un autocontrollo
straordinario, ammirevole perfino per un soldato dello zar.
Anche Elena aveva placato
presto le sue lacrime.
Aveva pianto in silenzio
per le prime verste, con la testa abbandonata sulla spalla di Savelij, ma poi
si era calmata, riacquistando uno sguardo fiero e una compostezza degna di sua
figlia e di suo marito.
Aveva capito che il male più grande che potevano
fare gli Zaristi era far bruciare in gola il sangue della sconfitta, e poi
prodigarsi per far infettare la ferita.
Così alla fine i deportati morivano stremati dai
loro stessi fantasmi.
Le botte e i fucili non uccidevano mai più del
rammarico di non aver resistito abbastanza, di non esserci riusciti.
Prima ancora della luce, del futuro e della vita, gli
Zaristi strappavano la dignità.
Né Savelij né Lidija
l’avrebbero rimproverata, se lei avesse ceduto ancora.
Ma era Elena la prima a
non volere.
Non aveva mai avuto il loro coraggio, ma era
l’occasione giusta per imparare.
Stoicismo,
ecco cosa ostentavano i Kovalev in quel momento, mentre la carrozza della
Polizia Zarista correva verso Omsk.
Alla carezza di Jakovlev,
però, Lidija aveva sussultato.
E quel minimo accenno di debolezza fece sorridere
Šamil’.
-Sorella-
precisò Lidija, scostandosi bruscamente -Ho un anno in più di lui.
E poi, scusate, tenete le mani a posto.
Sono sicura che a Nočen’ka
non avreste accarezzato la guancia dicendo: “E
così tu sei il fratellino di Lidočka, eh?”-
Šamil’ rise, scuotendo la
testa.
Quella sciocchina era divertente, in fondo.
Non aveva ancora capito
che il coraggio costava la vita, in
un Paese come il loro.
Non aveva ancora capito
che lo zar non aveva il suo stesso senso dell’umorismo, e che non era a
Forradalom.
Non aveva ancora capito che Feri Desztor e suo
fratello sarebbero stati distrutti.
Arrestati e impiccati come
tutte quelle teste calde dei loro predecessori.
-Toh. Innokentij Kovalev, l’erede di Feri Desztor, e Lidija Kovaleva, l’erede
di Natal’ja Zirovskaja.
Di questo passo, dove
andremo a finire? Ad Omsk, bellina
mia. Ecco dove andrete a finire-
-Sempre meglio che con voi
a celebrare quell’esaltato...-
-Chi?-
chiese Šamil’, sinceramente stupito.
-Il vostro maledetto zar!- sbottò la ragazzina, e il sorriso di scherno del
giovane Zarista svanì.
Quello non era il
capriccio infantile di un’illusa ribelle...
Quello era un vero e proprio affronto.
Lo schiaffo che le si
abbatté sul viso, Lidija non se l’aspettava.
Non in quel momento, non
così.
Non da uno come Šamil’ Hennadievič Jakovlev.
Da quando i soldati della
Terza Sezione l’avevano condotta fuori di casa e costretta a salire sulla
carrozza, Lidija non si era mai sentita una vittima.
Non era colpa di suo fratello o dei precedenti
rivoluzionari di suo padre, se si trovavano in quella situazione.
Anche lei, almeno nel cuore, era una sovversiva.
E non poteva tradire i
suoi ideali.
Non voleva tradirli.
Così, avrebbe sopportato.
Avrebbe pianto il meno possibile, perché quel
momento non l’aveva colta impreparata.
Puntò lo sguardo
cristallino dritto davanti a sé, dopo lo schiaffo, con un lampo furente nei
limpidi occhi grigi, e si coprì la guancia arrossata con i lunghi capelli
biondi.
Mordendosi le labbra,
sempre più nervosa e stizzita.
Pensando al suo
Innokentij, il suo fratellino partito per la Rivoluzione.
Chissà dov’era adesso.
Fortezza di Omsk, 1 Agosto 1843
-Scendi, Lidočka.
Scendi appena la carrozza si ferma. Non
lasciartelo ordinare da loro- raccomandò Savelij Kovalev alla figlia, accompagnando
le sue parole con una dolce carezza sui capelli dorati di Lidija.
Quest’ultima annuì, quasi
stordita dall’esagerata pacatezza che le pulsava nella mente e nel corpo.
Anche quella coraggiosa, speranzosa rassegnazione,
quell’audace e fiera arrendevolezza faceva male.
Ma doveva farcela, valeva di più.
La sua forza d’animo valeva di più dell’ombra di
quella Fortezza.
Certo, a guardarla da
lontano Lidočka poteva anche fare pena.
Con la camicia da notte
troppo corta stropicciata dal lungo viaggio e quei lunghi capelli biondi
arruffati, la cui luminosità contrastava con il luogo in cui stava per
entrare...
I begli occhi grigi colmi
di saggezza e consapevolezza, i nivei piedini nudi ancora privi di calli,
graffi e infezioni.
Eppure, eccola, appena
consegnata alla Mërtvogo Doma.
Era bella, tanto, bella quanto sfortunata.
Non sembrava quel genere
di ragazza pronta a scagliarsi contro i potenti per vendicare un torto o
pretendere un diritto.
Pareva, piuttosto, quel
genere di ragazza che sopportava a testa alta, ma dentro di sé covava qualcosa
di terribile, una rivolta ancora più sanguinosa di quella di Pugačëv e
Feri.
Ed era per questo ch’era lì.
Perché gli Zaristi avevano
diagnosticato a suo fratello la malattia e a lei il sintomo.
L’umile e al contempo spavalda tenacia dei figli di
proletari non più disposti a rinunciare alla giustizia.
Così si dirigeva al
patibolo che per lei consisteva in mesi e mesi di distruzione psicologica,
Lidija, pacata ed intrepida Rivoluzionaria silenziosa.
Suo padre le strinse una
mano, e Lidočka sorrise debolmente.
-Non ce la faranno, vero? Non ce la faranno, a ucciderci-
C’erano speranze che a un
deportato dovevano bastare.
C’erano speranze
fortissime che gli Zaristi infrangevano.
Quel giorno, per Lidija,
c’era la speranza di un fratello ancora libero, di un ricordo ancora vivido, di
un sogno ancora limpido.
C’era una Rivoluzione che non avrebbe combattuto in
prima persona, ma a cui comunque apparteneva.
Nočen’ka non l’avete preso.
Credete che si fermerà?
Nočen’ka è a Krasnojarsk con Feri.
E vincerà.
Note
I never wanna die, I never
wanna leave, I never say goodbye: Non voglio morire, non voglio lasciare, non
voglio dire addio. Walk, Foo Fighters.
Miracolosamente, sono
sopravvissuta!
Ieri sono stata la seconda
ad essere interrogata in storia, la seconda su ventiquattro, il primo giorno...
Una “fortuna” pazzesca, ma
ho preso nove, quindi non posso proprio lamentarmi ;)
Oggi avevo la versione di
greco, domani ho inglese...
Vabbé, lasciamo perdere ;)
Passando al capitolo, nella
prima parte Gee è stato terribile con Feri, lo so...
Ma non si può certo dire
che il Capitano non gliene abbia mai dato motivo, e poi...
Per me, lo sapete, è
praticamente impossibile decidere da chi parte stare, tra loro due ;)
Quanto all’articolo di
Akakij, ci mostra un breve squarcio della Tret’ya
Čast’ della Graždanskaja Vojna
Sibirjačka, che vedremo meglio in uno dei prossimi capitoli, ovvero
quando gli ussari di Krasnojarsk, di cui fino a poco tempo prima facevano parte
anche Pál e Csák, raccolgono l’Esercito per affrontare finalmente il Capitano.
L’ultima parte, dedicata
ai Kovalev, è la più importante, nonché quella su cui mi sono soffermata di
più.
Non so voi, ma a me Lidija
ricorda un po’ Hajnal...
Forse perché anche lei sa
bene com’è essere la sorella di un Rivoluzionario, difficile quanto bello.
Ma Hajnal ai lavori
forzati non c’è stata, Feri e i suoi fratelli sono sempre riusciti a
difenderla, fin troppo, mentre Nočen’ka con Lidija non ci è riuscito, non ha fatto in tempo.
È coraggiosa,
Lidočka, nel suo stoico silenzio, nelle sue tiepide speranze, e in
quest’occasione più che mai lo dimostrerà.
Quanto a Savelij... Si
avvicina il momento di scoprire anche la sua storia, la storia
dell’insurrezione alla Ferrovia e della morte del suo migliore amico, Pavel
Isaevič Malikov, ucciso dagli Zaristi.
Ai Kovalev adesso è
rimasto solo Innokentij, che ancora non sa cos’è successo alla sua famiglia...
Ma loro lo sanno, che lui si salverà.
Si fidano di lui, come
sempre.
Anche se lui è il figlio
più piccolo, e fino a poco tempo prima era solo uno studente d’ingegneria
militare al Genio Militare di Pietroburgo -come Fëdor, già ;) Ma Fëdor ha l’età
di Gee, e nel ’43, a ventidue anni, si è diplomato, e nel ’44 ha lasciato il
servizio militare per la scrittura e la Rivoluzione-.
Ma è timido quanto
coraggioso, Nočen’ka, e non li deluderà ;)
Spero di non avervi deluso
neanch’io, con questo capitolo! ;)
A presto,
Marty