La mia personale interpretazione su come Raidou si è
procurato quelle ustioni. Enjoy. :D
Foolish Burned
Non che si aspettasse niente di meno, sia chiaro.
Insomma, lo sai dal primo istante in cui metti piede in accademia,
o dalla prima volta che stringi tra le mani un kunai, che finirà così un giorno
o l’altro: probabilmente non te ne rendi conto, non ci fai caso, ma la certezza
si insinua nella tua mente, lenta, intossicante, si assopisce nelle pieghe del
tuo subconscio, aspettando il momento opportuno per tornare alla ribalta, a
sussurrarti “Te l’avevo detto”.
La differenza è che, questa volta, per lui è come un
grido.
Vorrebbe tanto aprire la finestra, davvero. Ok, fuori ci
sono circa undici gradi, ma ha caldo. Caldo fastidioso, soffocante, a tratti
insopportabile… per corpo e memoria. Si sente addosso le fiamme della missione,
gli sembra di rivivere l’angoscia e il dolore,
è come se stesse ricominciando tutto da capo, più nitido che mai.
Però lui non può alzarsi. Riesce appena a muovere il viso
per vedere metà del proprio corpo interamente fasciata, figuriamoci
attraversare la camera. Sospira, e si porta la mano ferita davanti agli occhi.
O meglio, quello era l’intento. Appena tende i muscoli
dalla punta delle dita parte una scarica che gli strappa un gemito, come se la
fitta gli fosse partita direttamente dal cervello. Si accontenta quindi di
guardarsi la mano dall’alto, ancora non si è abituato al bianco delle bende.
«Raidou?»
L’abitudine lo spinge a voltarsi, l’istinto gli strilla di
restare immobile se vuole evitare -ritardare-
l’ennesima fitta lancinante. Ciò che ne risulta è un buffo movimento, che
provoca il risolino di uno dei suoi visitatori.
«Merda. Volevo dire, ciao ragazzi.»
Genma, Mizuki e Iruka entrano nel suo campo visivo, e può
vedere i sorrisi di circostanza sulle loro facce. Fosse più in sé, noterebbe
anche tutte le preoccupazioni che si agitano dietro quegli occhi, ma
sinceramente, oggi non è in vena.
Iruka gli ha portato un mazzo di fiori, gli altri due
sembrano a mani vuote ma Mizuki ghigna e fa notare il rigonfiamento nella tasca
della giacca. Sakè. Di contrabbando, oltretutto. Quei tipi sono pazzi…
Suo malgrado fa la smorfia più simile ad un sorriso che
gli riesca, e Genma ride di nuovo.
«Che ci fate qui, mh?»
«Dalle tue parti non usa visitare gli amici all’ospedale,
Namiashi? 'Ruka, dà qua i fiori…» Genma si sporge per prendere il mazzo e mette
in mostra le bende. Raidou gli fissa le mani interdetto, cercando di ricordare
come mai anche lui sia ferito. Gli occhi gli si illuminano di comprensione, al
ricordo di qualcuno che lo trascina di peso fuori dal
fuoco, imprecando.
Genma si irrigidisce sotto lo sguardo indagatore, ma fa
finta di non essersene accorto e sistema i fiori nel vaso vuoto sul comodino.
Raidou fa finta di non aver notato il disagio dell’amico, Iruka e Mizuki fanno
finta che nella stanza non ci sia alcuna pesante atmosfera tesa.
È tutta una finzione,
lì dentro.
Il solo rumore è il tintinnare del vaso poggiato contro il
tavolino, nessuno guarda nessuno ma tutti sono
perfettamente consapevoli degli sguardi nervosi degli altri. Genma apre la
bocca, esitante, per spezzare il silenzio, ma un’infermiera si affaccia alla
porta e intima loro di uscire. Qualche protesta, ma la donna irremovibile quasi
li spintona fuori.
«Ragazzi?» I tre si girano, in attesa. «Potreste aprirmi
la finestra?»
Mizuki corre a spalancargliela, e uscendo gli fa scivolare
casualmente il sakè sul cuscino, nascosto alla vista altrui. Genma gli strizza
l’occhio mentre Iruka saluta fin troppo allegramente l’implacabile infermiera,
per distrarla dalla ‘consegna’.
Quando dopo aver salutato Raidou si ritrova finalmente
solo, fissa inespressivo la bottiglia a dieci centimetri dal proprio gomito. Lo
sguardo gli scorre per tutta la lunghezza del braccio, infine torna al sakè.
«E come si aspettano che lo prenda?» chiede all’aria
gelida che entra dalla finestra aperta, perdendosi tra le tende.
*
Finalmente gli hanno tolto le bende, finalmente può
muoversi.
Francamente, si era rotto di vegetare tra le coperte,
sempre troppo calde o troppo lontane o troppo qualcosa, per il suo fisico
stravolto. Adesso è libero! Gli mancava poter reggere una posata, poter andare
in bagno come gli pare o fare una corsa. Beh, per ora una passeggiata veloce,
ma si sta rimettendo in fretta.
Torna a casa dopo tanto tempo, quasi soffoca per la
polvere accumulatasi e si siede sul rigido divano. Si guarda intorno come a
controllare che sia tutto come si ricorda, e sorride soddisfatto. Il sorriso si
affievolisce piano e si imbambola su un angolo del tappeto particolarmente
consunto. Dopo un paio di minuti si riscuote prepotentemente, e con lo stesso
sorriso di prima esce di casa, saltellando nei limiti del possibile.
Come d’abitudine, non fa caso allo specchio davanti alla
porta: non vi ha mai prestato attenzione prima, non c’è motivo per cui inizi
adesso.
Raidou ancora non si è mai visto allo specchio.
Ha smesso di saltellare dopo che la terza persona in
strada si è girata a guardarlo come se fosse un calamaro gigante a pois con un
coprifronte della Foglia. Dannazione, in un villaggio di ninja si impressionano
così per un paio di scottature?!
Aveva in programma di fare un giretto, ma senza rendersene
conto si è messo a correre sui tetti del villaggio, lontano da confusione e
persone, verso la torre di guardia. È uno di quei momenti in cui tutto quello
che vuoi è vedere i tuoi amici, dire le solite quattro cazzate e ridere
dimenticando i vari problemi. Dimenticando tutto.
Non dimentica niente invece.
Appena arriva incrocia due ANBU all’entrata, che lo
guardano strano. Sì, è già difficile capire quando uno di quei tipi ti sta
guardando, per non parlare di come, ma in certi casi lo capisci e basta.
Capisci che ti stanno guardando anche se non percepisci bene l’atteggiamento, e
tutto quello che puoi dire è strano.
Sale al piano di sopra, sicuro di trovarci Genma che
tormenta qualche povero addetto ai rapporti o si annoia in attesa di una
missione.
E come volevasi dimostrare, Genma è seduto scompostamente
su un divanetto della sala, la divisa da ANBU indosso e la maschera appoggiata
lì vicino, l’espressione scazzata come sempre. Gli si siede accanto, attento a
non schiacciare la maschera. Ignora stoicamente i tizi alle scrivanie che
sembrano trovare così interessante fissarlo.
«Tutto bene?» chiede Genma, facendo ondeggiare
soprappensiero il senbon.
Il “tutto bene?” di Genma è un po’ particolare. Quando lo
dice sa benissimo che non ti va tutto bene, e sa altrettanto perfettamente che
non ci può fare nulla perché sono le cosiddette “cose da ninja”, incluse nel
contratto come lo stipendio e la divisa. No, il suo “tutto bene?” è più un “c’è
qualche gentilezza che posso farti?”, e la maggior parte delle volte
sottintende un “c’è qualche coglione che ti infastidisce di cui posso
occuparmi?”.
Niente di strano, quindi, se l’attenzione della stanza si
focalizza d’un tratto sulle importanti scartoffie.
Raidou non può che sorridergli. «Sì.»
Osserva la figura rilassata del compagno, l’aria distratta
che gli avvolge il viso mentre aspetta un incarico.
Lui non è come gli altri. Lui ha capito. Lui non è
disgustato.
E non intende disgustato dal suo aspetto, che sciocchezza.
Non gli è mai importato di come apparisse. Tanti dicono lo stesso e poi fanno
tutto il contrario, ma a lui davvero non interessa. Le cicatrici sono un
piccolo inconveniente, tutti ne hanno, e lui non ha mai pensato di essere così
bello da notare la differenza di un paio di sfregi.
La questione è, le sue cicatrici stanno gridando incapace.
Incapace, che è caduto in una trappola simile.
Incapace, che si è dovuto far salvare dai suoi compagni.
Incapace, che è rimasto mesi infermo,
che non poteva muovere un dito senza mettersi a piangere.
Per questo gli sguardi della gente lo fanno sentire così: nei
loro occhi legge lo stesso aggettivo che le sue ustioni gli gridavano contro
tutta la notte, quando giaceva insonne a fissare il soffitto.
Si gira e per caso lo sguardo incontra il riflesso nella
finestra. Solleva una mano che trema impercettibilmente e se la avvicina al
viso, quasi con reverenza la appoggia sulla guancia. Sente sotto le dita i
segni che tante volte aveva immaginato ma che solo ora vede, e inizia a
tracciarne le direzioni con i polpastrelli.
Naso, zigomo, guancia, mento, collo. E ancora per tutto il
torace, ma la divisa non lo mostra.
Prende tra le mani la maschera ANBU di Genma e la rigira
delicatamente, scrutandone la forma.
Si sente incapace, vero, ma è fortunato. Deve solo rendere
grazie ogni secondo che respira perché è sopravvissuto per miracolo, ed è una
mancanza di rispetto per i tutti gli altri che invece non possono dire
altrettanto.
L’incapace non ha niente di cui vergognarsi, la gente ha
solo bisogno di capire una cosa.
L’incapace è ancora vivo.
E ha ancora una vita davanti per dimostrare che si stanno
sbagliando, tutti.
Con la mano, si appoggia la maschera sul viso.
«Sì, tutto bene.»
---
[Nata dalla visione di angst!porn. X//D]
RAIDOU ROCKS!! è_é
Non so un’emerita cippa su di lui, ma mi sto prendendo una
cotta. XD
Tutto ciò, ovviamente, è inventato di sana pianta; non ho
mai letto niente di canon sul suo passato, e mai credo che ne leggerò
purtroppo. Raidou needs more fandom, really… ._.
Ultima nota! L’autrice è una convinta sostenitrice del
Genma/Raidou. La fic non è stata scritta partendo da questo presupposto, ma se
volete vi do il permesso di vederci del GenRai. Avete la mia benedizione! :D
*nice-guy pose*
Will