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Autore: LADY ROSIEL    28/11/2012    2 recensioni
「Serie di narrazioni autoconclusive con tematica la violenza sulle Donne」
...
In realtà, dato che come dice qualcuno ho sempre molte cose da raccontare, questa one-shot fa parte di un progetto più ampio a tema.
Spero di riuscire a dar voce a quelle persone che silenziose continuano a subire o che non vengono ascoltate a dovere.
"In questo stato, una persona riuscirebbe ad ucciderne un’altra?"
No, non era una persona cattiva. Non lo era mai stata.
Era stata LEI a sbagliare.
Perchè a conti fatti, i figli sbagliano sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Innocenti Rose Bianche ~ '
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Da poco si è conclusa la giornata internazionale della lotta contro la violenza sulle donne.
Un tema sempre troppo attuale, purtroppo.
Parlarne quindi è sempre un bene. E nella speranza che la violenza famigliare diminuisca e che le pene verso chi si macchia di simili atrocità, siano sempre maggiori, dedico questo mia breve narrazione a tutte le Donne.


Innocenti Rose Bianche

L'INGRANAGGIO IMPAZZITO


Il cielo plumbeo invadeva la città e il freddo vento attanagliava nella sua spietata morsa.
Era una giornata invernale come tante altre.
Il brusio del clacson in lontananza risuonava nell’aria.
Suo padre era a casa con lei.
Proprio come quella volta.
Non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Voleva solo riposarsi.
Era stressato.
Era un uomo segnato dalla vita.
Quella volta, forse, era stata in parte colpa sua.
Le aveva risposto in malo modo, suscitando quella sua reazione.
Non era un padre cattivo, non lo era mai stato.
Non quando era bambina.

Sulla sua pelle le cicatrici di quel giorno erano solo un ricordo lontano, seppur fossero ancora vivide nella sua mente. – Aveva sbagliato lei. 
I figli sbagliano sempre.
«Papà, avevo appena finito di riordinare! » lo riprese con fare annoiato e vagamente seccato. «Dovresti imparare a mettere i piatti sporchi nel lavabo. Sai che la mamma, poi si arrabbia.» aggiunse con pacatezza.
Era solo una discussione banale.
Senza rabbia e rancori.
Una normale disputa fra figli e genitori.
Nulla di più.

Eppure, senza un motivo, si ritrovò la figura di suo padre, visibilmente adirato, a soli pochi centimetri dal suo viso. E senza che questi fiatò, le prese i polsi fra le mani e li strinse con forza, facendole male. E dopo qualche istante, trascorso in un silenzio quasi surreale, percepì un dolore crescente invaderle il corpo.
Le sue mani stringevano e schiaffeggiavano la sua candida pelle, lasciandole intense macchie rossastre.
Faceva male.
Molto male.
Senza rendersene conto, tentando di divincolarsi dalla stretta delle sue vigorose mani, nettamente più grandi delle sue, si ritrovò a sbattere la testa sul divano del salotto sovrastata dalla figura di suo padre. 
Di un padre furibondo.

Era stata sciocca – lo sapeva – non avrebbe dovuto provocarlo in quei giorni di forte stress.
 
Il dolore aumentava di secondo in secondo. Si sentiva bruciare, la carne le doleva profondamente.
«Perdonami. Ho sbagliato.» ammise fra le lacrime, trattenendo l’ennesimo gemito di dolore.

Non era cattivo. Suo padre non era cattivo. Era solamente molto stanco.

A niente era valsa la sua preghiera, aveva svegliato la bestia dormientedoveva subire senza dir nulla. Le gambe le facevano un gran male. I colpi dei suoi pugni erano come lame acuminate che laceravano la sua debole carne.
Con le braccia cercava di farsi scudo, respingendo gli attacchi in direzione del suo volto.
Si sentiva come una preda nelle mani di un predatore.
E per quanto cercasse di proteggersi, rannicchiandosi su se stessa, quella figura che violentemente l’attaccava, era cento, mille volte più forte di lei.
D’improvviso si sentì indifesa come una bambina e tremò soggiogata dalla paura.
Non lo aveva mai visto così.

Colui che la picchiava con tanta ferocia, era davvero la stessa persona che chiamava “papà”?
La stessa che in tutti quegli anni aveva segretamente ammirato?
La stessa con la quale giocava quando aveva appena quattro anni?

E in quel momento, una fredda e triste consapevolezza varcò le porte della sua mente:

In questo stato, una persona riuscirebbe ad ucciderne un’altra?

«Papà, arriveresti sino ad uccidermi?»

Un pensiero folle.
Folle come lo era quella terribile punizione.
Possibile che un gentile padre di famiglia, potesse arrivare ad uccidere la propria amata figliola?
No, quello era del tutto improbabile. Impossibile.
Eppure, per uno scherzo del destino, sua figlia si mise a credere a quella verità che gli mostrarono gli occhi.
Lei era lì, totalmente inerme, schiacciata dalla violenza di suo padre.
E per un breve istante la paura raggiunse il suo picco massimo, e scongiurando con tutta se stessa per la sua salvezza, morse avidamente la carne dura del pollice di quella mano gigante. Chiuse gli occhi, soffocando le lacrime che avevano preso a sgorgare senza ritegno e quando lì riaprì trovò il modo e la forza necessaria per divincolarsi e alzarsi.  
Con velocità agguantò la propria borsa davanti all’uscio e se ne andò da quella casa,  correndo più forte che le sue gambe doloranti potessero.
Corse a per di fiato per le vie delle città consapevole che mai più avrebbe rimesso piede in quella casa. Non finché quella figura oscura si sarebbe impossessata di suo padre.
Perché quello non era suo padre. Ne era sicura. – E dopo minuti interminabili spesi a correre e soprattutto a scappare, con l’adrenalina in cuore, si rifugiò a casa della sua migliore amica. L’unica persona che avrebbe potuto sorreggerla in una sua probabile quanto normale crisi di pianto.

Pianse così tanto da sentirsi svuotata.
Le braccia dell’amica l’attorniarono dolcemente, cullandola contro il suo prosperoso seno.
Inondandola di calore.
Era scappata senza dar spiegazioni, aveva pregato il cielo per non morire in quel modo – picchiata dal padre – ma adesso, cosa avrebbe fatto?
Con un gesto spontaneo, estrasse dalla borsa il suo cellulare e chiamò il primo numero dell’agenda.
«Ciao tesoro, è successo qualcosa?» domandò la voce rassicurante dall’altra parte del telefono. E dopo qualche istante di smarrimento, intimorita da quello che sarebbe accaduto poi, prese a parlare.
«Mamma, devo parlarti
Glielo avrebbe confessato. Era stata quella la sua decisione.
Cosciente che le sue parole avrebbero spezzato l’armonia famigliare, ed intaccato in maniera pesante il rapporto fra i suoi genitori. 
Non poteva stare zitta.
Non stavolta.
Quel dolce rapporto con suo padre era già stato spezzato tempo addietro.
Niente sarebbe tornato come prima, lo aveva sempre saputo.
Il giorno che suo padre s’avventò su di lei picchiandola con la cinta dei pantaloni, era stato l’inizio di quell’incubo. La fine di quel dolce sogno durato diciassette anni.

Quell’uomo ormai non era più suo padre. 

   
 
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