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Autore: fiddle    28/11/2012    0 recensioni
Immaginate di aver sempre vissuto in un deserto roccioso: attorno a voi nient'altro che una distesa sconfinata di terra marrone e sassi, nessuna pianta, nessuna variazione, una sola linea di orizzonte.
Immaginate di essere sempre stati soli. In effetti, non sapete nemmeno cosa significa "solitudine", poiché non avete mai conosciuto la "compagnia".
Che effetto vi farebbe un cambiamento?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Solo sul suolo
 
Come sempre, si svegliò quando ci fu abbastanza luce. Si sedette dove si sedeva sempre e aspettò che il cielo diventasse azzurro. Allora si alzò in piedi e camminò in tondo per un po’, lasciando tracce nella polvere che, sua unica compagna, si sollevava ad ogni passo, senza alcun pensiero.
All’improvviso, ma senza nessuna sorpresa, perché anche questo era routine, fece qualche giravolta su se stesso. Si fermò di colpo e cadde a terra, senza meravigliarsi. Si rotolò nella polvere marrone due volte in un senso e tre nell’altro, a occhi chiusi, rimanendo supino.
Si passò la mano sporca sul viso e aprì gli occhi, che rimasero abbagliati, come sempre. Ma una volta abituati, non scorsero alcuna differenza tra il cielo di oggi e quello di ieri, proprio come il giorno prima, e quello prima, e quell’altro prima, e quello prima ancora…
Non sapeva di nutrire la speranza di scoprire qualcosa di diverso, non poteva sapere di conoscere anche lui quell’emozione, perché per lui ogni giorno era stato uguale all’altro. Non sapeva di essere solo, perché non sapeva di non avere compagnia. Non sapeva di pensare perché non pensava.
Così, quando una sottile linea nera verticale, talmente piccola da poter essere scambiata per un punto, apparve laggiù all’orizzonte, fra il marrone del suolo e il blu del cielo, impazzì.
Il suo cuore, che fino ad allora non aveva mai saputo di avere perché aveva sempre battuto lo stesso tempo, accelerò.
Gli sembrò di avere ingoiato una manciata di quella terra dura, ghiaiosa e polverosa e che questa avesse cominciato a bollire, solo che lui non sapeva cosa significasse bollire e non sapeva che gusto avesse la terra.
E non sapeva cosa fosse il rumore stridulo e acuto che giungeva alle sue orecchie, senza sapere di averle mai avute e senza sapere cosa fosse gridare.
E non capiva il nesso che c’era fra la terra nella gola e lo strillo nelle orecchie.
Gli mancò il fiato e si stupì, perché mai gli era capitata una novità. E non sapeva cosa fare, non ricordava quello che faceva sempre in quel momento, perché tutti i momenti si erano sempre assomigliati.
Implorando pietà, senza rendersi conto di farlo, a nessuno, cioè a chiunque, scivolò a terra, sbattendo la testa.
Il grido era cessato e lui era vuoto quanto vacuo era sempre stato il suo mondo.
Non si accorse che la linea si era avvicinata e che ad avvicinarsi era qualcosa di molto simile a lui. Ma, dopotutto, lui non sapeva come fosse fatto e, quando si risollevò, per cercare di ritrovare un po’ di sicurezza nella sua storia di sempre, pensò – finalmente, pensò – di avere di fronte ciò che di più bello esisteva e non voleva più distogliere lo sguardo.
La cosa era di colori mai visti, di forme mai viste e splendeva come il sole. Per lui era venuta dalle viscere della terra, partorita da un lembo di cielo, e lo fissava con intensità. Si chiese come avesse fatto a vivere fino ad allora. Ma aveva vissuto prima di allora? Dove prima era arrivato un dolore assieme ad uno stridio, ora giunse una dolcezza infinita, ricca di suoni che erano parole senza significato.
Egli non si sentì più vacuo, ma pieno.

 

Dedico questa piccola storia, se storia si può chiamare, ad una certa persona, che mi capisce anche quando non mi capisco io. Lo amo, lui che splende come il sole e viene da un lembo di cielo, ricco di colori sconosciuti.
  
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