Un boccale
di birra
In quel piccolo bar, tutti gli occhi
erano puntati su di
loro. Qualcuno ci aveva fatto l’abitudine dopo cinque minuti,
altri erano
ancora sbalorditi da un uomo di simile stazza che parlava a voce
così alta.
Waver aveva detto più volte a Rider di non assumere quella
forma in pubblico, ma lui non gli aveva dato retta: era un Re, non
aveva nulla
da temere e di cui vergognarsi. Doveva mostrarsi per la sua
magnificenza.
Gli uomini, poi, avrebbero dovuto amarlo per la sua
grandezza, ma nessuno lo aveva riconosciuto con
quell’aspetto: erano tutti
abituati alle celebri sculture di Lisippo.
Dunque, se la sua identità era sconosciuta agli uomini, il
ragazzo non aveva di che preoccuparsi: chiunque avrebbe pensato che si
trattasse di uno straniero, non di un Eroe. Riguardo gli altri Servant
invece…
beh, Rider non ne aveva di certo timore, anzi le battaglie lo
eccitavano
alquanto.
“Ragazzo, prendi qualcosa di leggero, sei ancora
giovane”,
disse a Waver, mentre avvicinava il boccale di birra alla bocca.
“Sai, ai miei
tempi ero solito passare molto tempo così ed è
rimasto lo stesso uno spasso!”
Waver lo fissava accigliato e sconcertato, guardandosi attorno
di tanto in tanto: Rider diceva cose troppo strane per un uomo comune!
Agitò il viso, muovendo i capelli corvini:
“A-Anche io posso
bere birra! Non sono un bambino!”
Con il tono usato sembrò quasi stesse rimproverando il
Servant.
Iskandar fece un sorriso e gli allungò il proprio boccale
già mezzo vuoto. La barba rossiccia era umida.
“Tieni, ne è rimasta poca, il giusto per te.
Ammiro il tuo coraggio, ragazzo!”
Parlava, come faceva spesso, con euforia.
Waver chiuse gli occhi e bevve tutto d’un fiato la birra
dorata e senza schiuma, non curandosi di posare le labbra in un punto
diverso
dal bordo umettato dalla bocca di Rider.
Batté la caraffa sul tavolo e prese fiato.
Provò un senso di nausea e un giramento di testa. Subito le
guance si tinsero
di un rosso intenso, dello stesso colore del mantello del Servant.
Iskandar osservò il cambiamento repentino nel giovane e
scoppiò a ridere rumorosamente, così che tutti si
voltarono verso di lui e
alcuni furono presi dallo spavento.
“Hai proprio del fegato!
Come ti senti?”, gli domandò.
Waver si accigliò e gli puntò il dito contro:
“Non ridere,
scemo! I-Io sto bene, solo, tu… Tu sei cattivo, non mi
obbedisci. E io ho
bevuto tutto, vedi?”
Era bastato un semplice boccale di birra pieno solo per metà
a provocargli quell’effetto: era chiaro non avesse mai
provato nulla di simile
prima. Eppure aveva un caratterino che non lo abbandonava neanche in
momenti
simili.
Rider si alzò dalla sedia e andò a pagare
– Waver gli aveva
spiegato il valore delle monete correnti.
Era sazio: aveva bevuto ben dodici drink diversi; le nuove
bevande alcoliche dell’epoca non erano niente male, aveva
provato quelle che lo
incuriosivano di più.
Quando tornò al tavolo, notò che Waver si era
addormentato:
le braccia ricadevano lungo i fianchi, una guancia era schiacciata
contro la
superficie di legno, gli occhi erano chiusi e dalla bocca aperta
scivolava la
saliva.
Rider sorrise e scosse il capo: “Ti insegnerò a
diventare un
vero guerriero”, disse rivolto al giovane che non poteva
sentirlo. “Ma ricorda:
mai mettersi sulla mia strada. Dobbiamo essere compagni, non
nemici”.
Lo prese tra le grandi braccia muscolose, lasciandolo
riposare.
Uscì dal locale con gli occhi di tutti ancora puntati
addosso.
Il ragazzo posava il capo contro il petto coperto dalla
‘splendida’ maglietta
bianca che aveva ricevuto per posta e che tanto gli piaceva.
“Sei leggero. Sei ancora gracile”, parlò
a voce bassa,
riferendosi a Waver.
Osservò poi il suo viso addormentato e la pelle chiara che i
lampioni illuminavano.
Nelle silenziose strade si udivano i passi dell’antico Re
Macedone, che stringeva a sé il ragazzino arrogante in modo
tanto prezioso
quanto a suo tempo aveva tenuto l’Iliade di Omero sotto il
cuscino.