REBORN
- giorni nostri -
La radio faceva girare il
disco, la musica rimbombava nella macchina, e Gabrielle muoveva la testa a
ritmo. La strada scorreva veloce sotto le ruote, il vento una leggera brezza,
era un bell’autunno, quello, né troppo freddo, né troppo caldo. Si passò una
mano tra i capelli, scuotendoli, una bionda chioma si ridestò. Li aveva
tagliati corti di recente, e ancora non si era abituata a non averli più
legati. Una galleria, e si levò gli occhiali da sole per vedere meglio.
Occhi verdi, di una
densità tale da paragonarsi alle verdi praterie dell’Irlanda.
Sua nonna era così felice
che fosse nata così, e che non avesse preso niente dalla madre, ma dal padre. Anche
lui era biondo, ma gli occhi verdi appartenevano solo alla nonna.
Inforcò gli occhiali
all’uscita della galleria e proseguì il viaggio. Aveva un colloquio di lavoro,
quel giorno. Era stata avvisata una settimana prima da una chiamata alquanto
strana di un uomo dalla voce profonda.
Non ricordava nemmeno di
aver inviato quel curriculum, e nemmeno sapeva in quale azienda stava andando.
Lo avrebbe scoperto poi, andando al centro congressi.
La struttura si presentò
elegante e raffinata, con onde di specchi e colonne alte e bianche, e l’azzurro
tenue dominava sulle pareti.
Raggiunta la sala,
abbastanza piccola, vide già un insieme di giovani, una più diversa dall’altra.
Una dai folti capelli
rossi, un’altra dalla pelle scura, un’altra ancora con gli occhi color
ghiaccio.
“Non ho mica inviato un
curriculum per una sfilata!” pensò la giovane, intuendo forse la natura di quel
colloquio. Nel mentre che varcava la soglia, le porte si chiusero dietro di sé,
e un uomo salì sul palchetto, chiedendo con voce calma e tranquilla di sedersi.
«È di tuo
gradimento tesoro?» un uomo, nascosto nell’ombra, una leggera barba al
mento, scura, parlava a una donna, seduta comoda su una poltrona rossa, in
alto, sul soppalco. Le gambe lunghe e affusolate erano incrociate, lisce e
morbide, che culminavano in un vestito attillato, il seno prorompente e gli
occhi languidi, cerulei, indugiavano sulla sala, soffermandosi su ogni figura.
Girò il volto, sorridendo soddisfatta.
«Bravo il mio cucciolo...» e le loro labbra si
sfiorarono.
Gabrielle accelerò il passo, sedendosi, e aspettò che
l’uomo sul palco parlasse.
«Vi ringraziamo per essere venute qui oggi, signorine.»
Gabrielle tirò fuori un quadernetto, accavallando le gambe per usarle come
appoggio. Studiando con lo sguardo le sue “avversarie”. Erano donne
straordinariamente belle. Ognuna di loro con una caratteristica a sé. Ed erano
tutte slanciate. Troppo.
Gabrielle, di statura minuta, spiccava in mezzo a quei
lampioni di donne, e si sentì piccola, inadeguata.
Si sentiva come ingiusta in quell’ambiente, ma l’uomo
continuò a parlare, e lei si preparò la penna per prendere appunti.
«Vi abbiamo chiamate per un lavoro, per la nostra società. Siete tutte laureate in
Storia, o avete avuto esperienze in questo campo. Ebbene, a noi serve una donna
che si interessi fortemente dell’antica Grecia, nello specifico.» Gabrielle
aguzzò le orecchie, un lieve mormorio si alzò nella stanza.
«Oh, dannazione, ho sempre odiato la Grecia...!».
«Io ho persino evitato di darlo, quell’esame...».
La bionda sorrise. Avrebbe stracciato quelle donne, belle
oppure no. Lei, nella Grecia, aveva le sue radici.
«Chi di voi, con sincerità, se la sentirebbe di spostarsi
in quel paese per la nostra società?».
«Sei crudele, amore mio...» sogghignò la donna, le labbra
colorate di un rosso intenso, gli occhi che schizzavano vivaci sullo sguardo
dell’uomo di fianco a lei.
«Non ti piacciono quelle intraprendenti, a te?» domandò
l’uomo con voce profonda, il volume basso. La mano che giocava con il bordo
molto alto della gonna. La donna sospirò.
«Sì, hai ragione...» ammise, continuando ad osservare la
sala, scesa nel vuoto. La mano dell’uomo non si spostò.
Brividi.
Gabrielle alzò la mano, come anche altre due donne.
Lontane alla sua vista.
«Bene, prego le altre se, gentilmente, possono lasciare
l’aula. Le altre che hanno alzato la mano di spostarsi nei posti più vicini.»
Si alzò, ergendosi nella sua altezza sorridendo alle donne che, in tacco e
tailleur con spacco vertiginoso, scivolavano via dalla sala con lamentele mormorate
e dispiacere disegnato sul volto.
In prima fila spiccava la rossa che aveva intravisto
prima, e una di colore, forse un incrocio, tra un indiano e un americano. Aveva
un bel profilo. Fu l’unica che le sorrise. Gabrielle ricambiò.
«Sono soddisfatta, amore mio...» aggiunse la donna, e si
alzò, facendo un gesto all’uomo, dall’alto del soppalco, parlando alzando la
voce. Le donne si voltarono, sorprese.
«Bene, signorine verrete richiamate per un ulteriore
colloquio, stavolta individuale. Vi ringrazio per la vostra disponibilità.» la
donna elegante mostrò interamente la sua figura, sporgendosi, e Gabrielle, dal
basso della sua posizione, rimase come sorpresa. Quella donna, dai lunghi
capelli scuri e l’eleganza di un felino, le ricordava qualcuno. Come una
reminescenza dal passato, qualcosa che le stava tra lo stomaco e il cuore,
qualcosa che premeva nel suo essere e pulsava. Cercò di inquadrare meglio il
volto della donna, ma quella sparì nel buio, e l’uomo sul palco le congedò.
Gabrielle uscì dal centro ancora più confusa di prima.
Chi era quella donna?
Da chi stava per essere assunta?
Che società
era?
- Al tempo
degli Dei dell'Olimpo -
Gabrielle fu soddisfatta
dal lavoro del fabbro migliore di tutta la Grecia. La polvere, dentro quelle
bolle di metallo e vetro, si intravedeva, compatta nelle sfere che decoravano
la collana.
La mise al collo, si
avvolse in uno scialle, e incominciò il suo cammino. Doveva andare in India.
Doveva avvisare Eve che sua madre, purtroppo, non era più al mondo.
Sentì una presenza dietro
di sé, e parlò.
«Qual buon
vento, Ares.» parlò la bionda, voltandosi. Gli occhi verdi, sotto il
cielo coperto da nuvole, li rendeva quasi opachi. Sorrise, ma non raggiunse gli
occhi. Da tempo ormai, il suo sorriso non raggiungeva la sua anima. Gli occhi
spenti, non erano più verdi come le distese di una lontana terra dell’ovest.
Erano morti, erano palude. E lì, in quel groviglio di piante e acqua malsana,
c’era la sua anima purulenta che invocava la morte.
«Dov’è?» la donna intuì di chi stava parlando. Si strinse
istintivamente la sciarpa al collo, la collana si mosse sulla sua pelle. Lo
guardò, con occhi spenti.
«Ad Anfipoli, di fianco a suo fratello e a sua madre,
come lei voleva.» l’uomo si girò, urlando dolore. Lanciò una palla di fuoco
contro una pietra. Apparve un’elegante donna al suo fianco, vestita in modo
provocante e spinto, i biondi capelli perfetti nella loro acconciatura.
«Fratello, calmati... è stata una sua scelta...» Venere
tentò di fermare il fratello, che dopo averla fulminata con lo sguardo sparì.
La donna sbuffò, scoraggiata, e passò il suo sguardo, gli occhi dispiaciuti,
verso la sua amica, aveva il sale del mare che pungeva al bordo degli occhi.
«Mi dispiace, Gabrielle... sono sincera.» Gabrielle
annuì, e con un mesto sorriso si asciugò le lacrime che erano pronte a
scendere. L’amica si avvicinò, impacciata per la prima volta, e l’abbracciò.
«Voi due eravate il mio capolavoro... farò fatica a
creare un amore come il vostro ancora una volta.» ammise la dea, carezzando i
corti capelli della piccola bionda. Il tepore della dea era confortante, a
differenza delle sue parole. Si staccò, e sorrise ancora. La gola secca, non
riusciva a mandare giù quel nodo che era cresciuto in quel momento.
«Ma posso fare una cosa, in memoria di voi.» aggiunse la
dea, e i loro occhi si incontrarono. Lo sguardo di Gabrielle si dipinsero per
una volta di speranza e non di cupo dolore. Venere scostò lo scialle, e con
tocco delicato sfiorò la collana, mormorando un incantesimo in rima che
Gabrielle non capì.
La collana si illuminò, come di vita propria.
«Il vostro ricordo durerà in eterno, fin quando
indosserai questa collana. Tutti i tuoi ricordi saranno custoditi qui. E varrà
per tutte le persone in cui scorrerà il tuo sangue. Non toglierlo mai,
Gabrielle, o la tua mente ti scivolerà tra le dita come sabbia. E tua figlia
vedrà la tua vita, e sua figlia vedrà la tua e la sua, aggiungendo ricordi a
questo contenitore.» la dea tolse la mano e la collana non brillò più.
Gabrielle vi pose una mano sopra, e con un sorriso, stranamente sincero, lasciò
sparire la sua amica dai poteri sovraumani con un “grazie” regalato al vento.