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Autore: Eriok    28/11/2012    1 recensioni
Una storia, divisa tra i giorni nostri e il tempo degli Dei dell'Olimpo, tra le originali Xena e Gabrielle, e la loro futura generazione, e cosa ancora possono fare gli dei, in un mondo che non crede più in loro.
Tra magia, tecnologia, sparatorie e mafia le due donne scoprono un mondo corrotto e sporco, e hanno il dovere di difendere i più deboli a colpi di spada, sais e - qualche volta - pistole.
La cavalleria non è morta, solo, aveva bisogno della giusta reincarnazione per agire.
Non manca l'amore, quello mai attuato, tra Xena e Gabrielle, e come il tempo - e la morte - non ucciderà mai i loro sentimenti.
Un medaglione. Un anello.
*Prima volta che scrivo in questa categoria, quindi siate CRUDELI e SINCERE! E non preoccupatevi, non mordo, quindi recensite con tranquillità.*
Genere: Azione, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Un po' tutti, Xena
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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REBORN

- giorni nostri -

 

La radio faceva girare il disco, la musica rimbombava nella macchina, e Gabrielle muoveva la testa a ritmo. La strada scorreva veloce sotto le ruote, il vento una leggera brezza, era un bell’autunno, quello, né troppo freddo, né troppo caldo. Si passò una mano tra i capelli, scuotendoli, una bionda chioma si ridestò. Li aveva tagliati corti di recente, e ancora non si era abituata a non averli più legati. Una galleria, e si levò gli occhiali da sole per vedere meglio.

Occhi verdi, di una densità tale da paragonarsi alle verdi praterie dell’Irlanda.

Sua nonna era così felice che fosse nata così, e che non avesse preso niente dalla madre, ma dal padre. Anche lui era biondo, ma gli occhi verdi appartenevano solo alla nonna.

Inforcò gli occhiali all’uscita della galleria e proseguì il viaggio. Aveva un colloquio di lavoro, quel giorno. Era stata avvisata una settimana prima da una chiamata alquanto strana di un uomo dalla voce profonda.

Non ricordava nemmeno di aver inviato quel curriculum, e nemmeno sapeva in quale azienda stava andando. Lo avrebbe scoperto poi, andando al centro congressi.

La struttura si presentò elegante e raffinata, con onde di specchi e colonne alte e bianche, e l’azzurro tenue dominava sulle pareti.

Raggiunta la sala, abbastanza piccola, vide già un insieme di giovani, una più diversa dall’altra.

Una dai folti capelli rossi, un’altra dalla pelle scura, un’altra ancora con gli occhi color ghiaccio.

“Non ho mica inviato un curriculum per una sfilata!” pensò la giovane, intuendo forse la natura di quel colloquio. Nel mentre che varcava la soglia, le porte si chiusero dietro di sé, e un uomo salì sul palchetto, chiedendo con voce calma e tranquilla di sedersi.

 

«È di tuo gradimento tesoro?» un uomo, nascosto nell’ombra, una leggera barba al mento, scura, parlava a una donna, seduta comoda su una poltrona rossa, in alto, sul soppalco. Le gambe lunghe e affusolate erano incrociate, lisce e morbide, che culminavano in un vestito attillato, il seno prorompente e gli occhi languidi, cerulei, indugiavano sulla sala, soffermandosi su ogni figura. Girò il volto, sorridendo soddisfatta.

«Bravo il mio cucciolo...» e le loro labbra si sfiorarono.

 

Gabrielle accelerò il passo, sedendosi, e aspettò che l’uomo sul palco parlasse.

«Vi ringraziamo per essere venute qui oggi, signorine.» Gabrielle tirò fuori un quadernetto, accavallando le gambe per usarle come appoggio. Studiando con lo sguardo le sue “avversarie”. Erano donne straordinariamente belle. Ognuna di loro con una caratteristica a sé. Ed erano tutte slanciate. Troppo.

Gabrielle, di statura minuta, spiccava in mezzo a quei lampioni di donne, e si sentì piccola, inadeguata.

Si sentiva come ingiusta in quell’ambiente, ma l’uomo continuò a parlare, e lei si preparò la penna per prendere appunti.

«Vi abbiamo chiamate per un lavoro, per la nostra società. Siete tutte laureate in Storia, o avete avuto esperienze in questo campo. Ebbene, a noi serve una donna che si interessi fortemente dell’antica Grecia, nello specifico.» Gabrielle aguzzò le orecchie, un lieve mormorio si alzò nella stanza.

«Oh, dannazione, ho sempre odiato la Grecia...!».

«Io ho persino evitato di darlo, quell’esame...».

La bionda sorrise. Avrebbe stracciato quelle donne, belle oppure no. Lei, nella Grecia, aveva le sue radici.

«Chi di voi, con sincerità, se la sentirebbe di spostarsi in quel paese per la nostra società?».

 

«Sei crudele, amore mio...» sogghignò la donna, le labbra colorate di un rosso intenso, gli occhi che schizzavano vivaci sullo sguardo dell’uomo di fianco a lei.

«Non ti piacciono quelle intraprendenti, a te?» domandò l’uomo con voce profonda, il volume basso. La mano che giocava con il bordo molto alto della gonna. La donna sospirò.

«Sì, hai ragione...» ammise, continuando ad osservare la sala, scesa nel vuoto. La mano dell’uomo non si spostò.

Brividi.

 

Gabrielle alzò la mano, come anche altre due donne. Lontane alla sua vista.

«Bene, prego le altre se, gentilmente, possono lasciare l’aula. Le altre che hanno alzato la mano di spostarsi nei posti più vicini.» Si alzò, ergendosi nella sua altezza sorridendo alle donne che, in tacco e tailleur con spacco vertiginoso, scivolavano via dalla sala con lamentele mormorate e dispiacere disegnato sul volto.

In prima fila spiccava la rossa che aveva intravisto prima, e una di colore, forse un incrocio, tra un indiano e un americano. Aveva un bel profilo. Fu l’unica che le sorrise. Gabrielle ricambiò.

 

«Sono soddisfatta, amore mio...» aggiunse la donna, e si alzò, facendo un gesto all’uomo, dall’alto del soppalco, parlando alzando la voce. Le donne si voltarono, sorprese.

«Bene, signorine verrete richiamate per un ulteriore colloquio, stavolta individuale. Vi ringrazio per la vostra disponibilità.» la donna elegante mostrò interamente la sua figura, sporgendosi, e Gabrielle, dal basso della sua posizione, rimase come sorpresa. Quella donna, dai lunghi capelli scuri e l’eleganza di un felino, le ricordava qualcuno. Come una reminescenza dal passato, qualcosa che le stava tra lo stomaco e il cuore, qualcosa che premeva nel suo essere e pulsava. Cercò di inquadrare meglio il volto della donna, ma quella sparì nel buio, e l’uomo sul palco le congedò. Gabrielle uscì dal centro ancora più confusa di prima.

Chi era quella donna?

Da chi stava per essere assunta?

Che società era?

 

 

- Al tempo degli Dei dell'Olimpo -

 

Gabrielle fu soddisfatta dal lavoro del fabbro migliore di tutta la Grecia. La polvere, dentro quelle bolle di metallo e vetro, si intravedeva, compatta nelle sfere che decoravano la collana.

La mise al collo, si avvolse in uno scialle, e incominciò il suo cammino. Doveva andare in India. Doveva avvisare Eve che sua madre, purtroppo, non era più al mondo.

Sentì una presenza dietro di sé, e parlò.

«Qual buon vento, Ares.» parlò la bionda, voltandosi. Gli occhi verdi, sotto il cielo coperto da nuvole, li rendeva quasi opachi. Sorrise, ma non raggiunse gli occhi. Da tempo ormai, il suo sorriso non raggiungeva la sua anima. Gli occhi spenti, non erano più verdi come le distese di una lontana terra dell’ovest. Erano morti, erano palude. E lì, in quel groviglio di piante e acqua malsana, c’era la sua anima purulenta che invocava la morte.

«Dov’è?» la donna intuì di chi stava parlando. Si strinse istintivamente la sciarpa al collo, la collana si mosse sulla sua pelle. Lo guardò, con occhi spenti.

«Ad Anfipoli, di fianco a suo fratello e a sua madre, come lei voleva.» l’uomo si girò, urlando dolore. Lanciò una palla di fuoco contro una pietra. Apparve un’elegante donna al suo fianco, vestita in modo provocante e spinto, i biondi capelli perfetti nella loro acconciatura.

«Fratello, calmati... è stata una sua scelta...» Venere tentò di fermare il fratello, che dopo averla fulminata con lo sguardo sparì. La donna sbuffò, scoraggiata, e passò il suo sguardo, gli occhi dispiaciuti, verso la sua amica, aveva il sale del mare che pungeva al bordo degli occhi.

«Mi dispiace, Gabrielle... sono sincera.» Gabrielle annuì, e con un mesto sorriso si asciugò le lacrime che erano pronte a scendere. L’amica si avvicinò, impacciata per la prima volta, e l’abbracciò.

«Voi due eravate il mio capolavoro... farò fatica a creare un amore come il vostro ancora una volta.» ammise la dea, carezzando i corti capelli della piccola bionda. Il tepore della dea era confortante, a differenza delle sue parole. Si staccò, e sorrise ancora. La gola secca, non riusciva a mandare giù quel nodo che era cresciuto in quel momento.

«Ma posso fare una cosa, in memoria di voi.» aggiunse la dea, e i loro occhi si incontrarono. Lo sguardo di Gabrielle si dipinsero per una volta di speranza e non di cupo dolore. Venere scostò lo scialle, e con tocco delicato sfiorò la collana, mormorando un incantesimo in rima che Gabrielle non capì.

La collana si illuminò, come di vita propria.

«Il vostro ricordo durerà in eterno, fin quando indosserai questa collana. Tutti i tuoi ricordi saranno custoditi qui. E varrà per tutte le persone in cui scorrerà il tuo sangue. Non toglierlo mai, Gabrielle, o la tua mente ti scivolerà tra le dita come sabbia. E tua figlia vedrà la tua vita, e sua figlia vedrà la tua e la sua, aggiungendo ricordi a questo contenitore.» la dea tolse la mano e la collana non brillò più. Gabrielle vi pose una mano sopra, e con un sorriso, stranamente sincero, lasciò sparire la sua amica dai poteri sovraumani con un “grazie” regalato al vento.

 

 

   
 
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