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Autore: xNewYorker__    28/11/2012    1 recensioni
What if?, ambientata otto anni dopo l'eventuale morte di Reese Carpenter (Thoughts go faster, If Only.
Julie è una bambina di dieci anni a cui da tanto tempo manca qualcosa. Ogni anno è riempita di regali che non soddisfarranno mai l'unico bisogno che ha davvero: quello di avere la madre accanto almeno per una volta.
Come ogni anno, passerà il Natale con la famiglia del padre, ma riceverà una sorpresa.
"Vivi il momento come se te la stesse dando lei.
Con affetto,
papà (e, d'ora in avanti, mamma)"
.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Julie scostò lentamente le coperte, stringendosi nella vecchia maglia di William che aveva indossato come parte superiore del pigiama, e si alzò in piedi.
Evitò di mettere le ciabatte per non fare rumore, mentre sgattaiolava fuori dalla cameretta stropicciandosi gli occhi ancora assonnati, mentre cercava di recuperare quell’allegria da bambina che le spettava nella mattinata natalizia.
Avrebbe dovuto essere per lei il giorno più felice dell’anno, magari il più felice dopo il suo compleanno, mentre si ritrovava addosso una strana tristezza che l’avvolgeva come una coltre, senza una spiegazione. Quello non sarebbe di certo stato il primo Natale in mancanza della madre, e non aveva avuto più possibilità di vedere suo nonno da Settembre, e credeva di essersi abituata all’idea di non avere nessuno dei due accanto durante il cenone, ma quel giorno qualsiasi assenza e qualsiasi pensiero le pesava addosso come lo zaino che portava a scuola nei giorni più pieni: le spezzava la schiena, insomma.
Cercò di restare in silenzio mentre attraversava il corridoio in punta di piedi, già adocchiando mentalmente il grande albero al centro del salone, probabilmente stracolmo di regali alla sua base: dalla morte di Reese, chiunque le stesse vicino aveva fatto in modo che alla piccola non mancasse mai nulla, tentando di rimpiazzare la sua figura con doni sempre più ricchi e più grandi, che le regalavano quel po’ di gioia in più solo per un attimo.
Quando rimaneva sola, però, ogni costoso regalo ed ogni assegno impiegato nel suo acquisto spariva in un angolo, lasciandola a rimuginare su quanto fosse molto più importante, per lei, ricevere l’unico regalo che era davvero impossibile da comprare, ovvero un abbraccio, un sorriso o una semplice parola da sua madre.
Ogni tanto le sarebbe piaciuto anche solo guardarla da lontano, anche da una finestra col vetro oscurato. Forse non avrebbe avuto alcun contatto con lei, d’accordo, ma avrebbe saputo che…c’era, era lì. Non per lei, ma era lì, e se avesse voluto l’avrebbe potuta raggiungere.
Assolutamente sicura di trovarsi ancora una volta da sola, spinse la porta che dal corridoio secondario della casa apriva la via per il salone, bloccandosi sul posto non appena sentito uno scricchiolio. Qualcuno doveva aver mosso un passo sul parquet: il rumore le era più che familiare.
Trattenne il respiro, costringendosi contro la parete come un gatto e talvolta allungando lo sguardo oltre la porta ormai socchiusa.
Una voce, dall’interno, mormorava, chiedendosi cosa fosse stato quel rumore, e lo scricchiolio proseguiva esattamente in direzione di Julie, mentre lei cercava di concentrarsi per scomparire, proprio come nei film. Ma, siccome non si trovava in un film, rimase proprio dove si trovava.
Distinse d’improvviso i lunghi capelli neri della sorella del padre, e rabbrividì, perché il suo piano di scartare i regali per conto suo era fallito ancora un altro anno. Quante volte ci aveva provato!
Pensava che, magari, aprire i regali le avrebbe portato quei tre minuti di gioia che ogni volta provava nel vederli. Non le piaceva, invece, aprire quei pacchi di fronte a tutta la famiglia riunita, si sentiva come se la giudicassero, e talvolta doveva anche fingere sorpresa, quando magari sapeva già cosa aspettarsi, o doveva far credere loro che qualcosa le piacesse, quando invece era tutto il contrario.
«Julie, mon Dieu, mi hai spaventata!», esclamò, per poi ridacchiare e allungare le braccia verso di lei.
La piccola, intanto, si allontanò dalla parete e si rassegnò all’idea che neanche questa volta sarebbe stata per conto suo.
«Tranquilla, anche tu mi hai spaventata un po’…», rispose lei, sorridendole e lasciandosi abbracciare.
Di quella donna non sopportava il fatto che si forzasse ad essere la madre che le mancava. Aveva già avuto una madre, per quanto la riguardava, non c’era più e andava bene così, avrebbe preferito che Hannah facesse solo la parte della zia, quella che vizia ma non rimprovera, che coccola ma non opprime.
«Sei felice di stare per aprire i regali? Non immagini neanche cosa ti ho comprato!», gli occhi le si illuminarono per un lungo istante, e si aspettava che davvero la bambina sarebbe stata sorpresa.
Purtroppo, però, lei sapeva già di aver ricevuto dalla zia il nuovo libro della sua scrittrice preferita – non perché avesse spiato (non ne aveva avuto il tempo materiale), ma perché era quel che riceveva tutti gli anni, da quando aveva detto che quella scrittrice, nonostante i temi più adatti agli adolescenti, le piaceva.
«Già, scommetto di sì…», rispose, ridacchiando e avvicinandosi all’albero. «Pensi che oggi papà mi farà uscire a vedere le stelle? Tutti i miei compagni ci vanno, vanno al parco, perché in genere a Natale nevica e le stelle sono più belle…».
Hannah osservò la nipote per qualche secondo. «Ti ci porto io, che gli piaccia o no, alla fine ci vanno tutti, giusto?». Sorrise, incrociando le braccia.
Nessuno sapeva quanto importante potesse essere per Julie guardare le stelle, specialmente quella sera. Aveva scoperto che sua madre non se n’era andata, quell’anno, e le stelle erano l’unica cosa che la teneva ancora legata a lei, anche se lei non aveva mai creduto al Cielo.
Annuì, inginocchiandosi ai piedi dell’albero, dai sintetici rami di aghi bianchi, ornati di decorazioni sgargianti, preparate con cura dai nonni la settimana prima.
«Questa volta i regali li apro solo con te, non mi va che ci siano tutti, va bene?».
La zia decise di non obbiettare. Dopotutto, la tristezza negli occhietti blu della bambina era fin troppo palpabile, e un momento di gioia collettiva in meno al resto della famiglia non sarebbe costato poi molto.
Julie si chinò sul primo pacco, largo quasi quanto il suo busto, dalla carta color oro a righe argento, e ne sciolse il fiocco che la teneva insieme, iniziando a scartare, per poi finire ad aprire la scatola con attenzione.
Una volta aperto, ciò che trovò all’interno la lasciò davvero sorpresa. Nessuno avrebbe mai regalato una pistola ad una bambina di dieci anni, ma forse la famiglia King aveva qualcosa che la rendeva speciale, e forse quel qualcosa era proprio la pazzia che spingeva qualcuno a regalare una pistola ad una bambina di dieci anni.
Naturalmente la sicura era inserita, ed era completamente scarica, onde evitare le reali situazioni di pericolo.
Hannah, dalla sua posizione alle spalle di Julie, cercò di non urlare contro il fratello proprio in quel momento, e decise mentalmente che lo avrebbe fatto dopo.
«Zia…è proprio una pistola?». Gli occhi della piccola erano sgranati, di sorpresa e di gioia allo stesso tempo. Conoscendola, nessuno le avrebbe mai regalato una bambola, ed era lieta che quella cosa non lo fosse.
«A quanto pare».                                                                      
La rigirò tra le mani, esaminandola attentamente, e sembrava proprio essere stata utilizzata a dovere, date le tracce di passati proiettili.
Nessuna delle due era ancora del tutto certa delle ragioni di quel regalo: l’unica cosa sicura era che a regalargliela potesse essere stato solamente Konnor, perché neanche William sarebbe stato tanto sciagurato da farle un regalo simile in così giovane età.
«C’è un biglietto!».
Certo, pensò Hannah, se le regali una pistola il biglietto è d’obbligo.
Julie sospirò, iniziando a leggere.
 
“Cara Julie,
penso di dovere darti un paio di spiegazioni riguardo al mio regalo, e spero che non ti sia spaventata troppo.
Tua zia mi darà sicuramente dello sciagurato, ma poco importa, non darle retta.
Questa pistola è quella che tua madre ha avuto dall’inizio della sua carriera in polizia: quando gliel’hanno consegnata ero lì.
Devi sapere che la pistola che probabilmente stai tenendo in mano mentre leggi è l’oggetto più importante che aveva.
Ti sembrerà strano, di sicuro, perché generalmente le madri ai figli lasciano un medaglione, ma ormai tutti hanno capito che lei era piuttosto particolare. Era molto legata a questa pistola, perché l’ha accompagnata da quando aveva venticinque anni a…ai trentadue. È sempre stata con lei. Devi considerare che sia servita a salvare delle vite, non a stroncarne altre, devi vederla come un’ancora, perché sarà sempre lì dove la lascerai, come lo è stata per tua madre, nel bene e nel male.
Qualche mese prima dell’incidente, mi aveva chiesto di regalartela al tuo decimo compleanno. Vivi il momento come se te la stesse dando lei.
Buon Natale, piccola.
Con affetto,
papà (e, d’ora in avanti, mamma)”
 
Fu colta da un po’ di sconforto nello scoprire che quell’insolita tristezza non aveva accennato ad andare via, ma il fatto che non fosse aumentata leggendo il biglietto la rincuorò.
Involontariamente, sorrise.
Le sarebbe piaciuto ricevere quel regalo dalle mani della madre, ma nell’impossibilità era comunque come avere una parte di lei, e andava bene così.
«Quindi lei è qui? Ha sempre usato questa?», chiese, rivolta alla zia.
«Io non lo so, ma se lo dice papà è di sicuro così. Lei è sempre con te, ricordatelo. Quell’oggettino lì, che mi fa anche piuttosto paura, rappresenta tutto ciò in cui la tua mamma ha creduto, per quello è importante che tu lo tenga, capito?».
La bambina annuì. «Capito. Quindi un giorno con questa ci ammazzo i cattivi?».
Hannah rabbrividì. «Per l’amor del Cielo, mi auguro di no! Tu non devi ammazzare nessuno!».
«Mi ricordo una cosa che la mamma mi diceva quando mi raccontava degli interrogatori, e cioè che chi uccide altre persone per scopi personali non è una persona, quindi non è reato se ammazzo i cattivi…ovviamente prima divento poliziotta, non così!».
Un’ombra di sorriso disegnò le labbra della donna, mentre guardava la nipote intenta a sognare già in grande. «Si vedrà, Julie, si vedrà. Se entrerai in polizia, sarai la migliore poliziotta del Canada, sicuramente».
 
«Tu credi nel Paradiso?».
Per un attimo, la mente di Hannah si sgombrò dal pensiero del freddo che faceva a stare seduti sulla neve.
«Oh, io non penso che possa esistere qualcosa di simile», rispose. «Tu ci credi?».
Julie ridacchiò. «No, però credo che le persone buone, in un modo o nell’altro, si ritrovano sempre da qualche parte, non muoiono mai per davvero secondo me…».
Finse che la bambina non stesse immaginando qualcosa che andasse a suo vantaggio, e sorrise, accarezzandole i capelli.
«Puoi darmi due minuti? Vado verso quell’albero lì, torno subito». Allungò una mano, indicando un pino e correndo verso di esso.
Una volta arrivata, si appoggiò al tronco e alzò gli occhi al cielo, osservando con attenzione ogni piccola luce proveniente dalle stelle lontane.
«Mamma, sei lì?», chiese, come se per la prima volta i suoi dubbi potessero trovare una risposta, riassumendosi improvvisamente.
«Per me sei lì, quindi parlo. So che tu non credi nel Paradiso, e non ci credo neanch’io, però ti devo assegnare un posto, così se voglio parlarti ti trovo sempre là. Quella stella lì, sotto la luna, ti piace? Ti darei anche la luna, ma a scuola hanno detto che non c’è ossigeno, e non ti faccio morire due volte». Strinse gli occhi, concentrandosi su ciò che voleva dire. «Ah, sì. Grazie per il regalo, intanto. Ora so che non te ne sei andata, che sei sempre là dove ti ho lasciata. So che continui a farmi regali anche da dove ti trovi ora – stavo spiegando alla zia che per me gli eroi cambiano solo il posto in cui vivono -, e quindi mi va bene così, grazie di nuovo. Oltretutto è un regalo forte, a nessuno regalano una pistola, ma a me sì, e mi sento fortunata», ridacchiò, «e comunque scusami se non ti volevo perdonare, ma le mamme non devono partire, eh, non è giusto! Scusa se ci ho creduto quando me lo hanno detto, mi dispiace!».
Si staccò dal tronco, iniziando a tornare indietro dalla zia, ma si trovò a voltarsi verso il cielo dopo qualche passo.
«Oh, ah, sì, quasi dimenticavo…ti voglio bene, okay? Lo dico io a papà che non deve essere triste? Secondo me è un po’ chiuso, non crede che tu abiti da un’altra parte perché gli eroi stanno tutti lì! Cercherò un momento buono per spiegarglielo meglio, peccato che tu non hai il telefono là…intanto so che pensi sia a me che a lui, e a volte anche allo zio Will, te lo saluto. Ora però vado, se no zia Hannah si arrabbia, ora dobbiamo tornare a casa per il cenone, ai nonni fa piacere se ci siamo tutti». Regalò un altro sorriso a quella piccola stella proprio sotto la luna, prima di allontanarsi tenendo per mano la zia, verso quella grande casa piena zeppa di tutto l’amore che credevano le mancasse.
Ma, in realtà, non le mancava proprio nulla.


Angolo autrice:

Salve! Questa one shot mi è venuta come un lampo di genio (?) dopo aver pensato un po' all'atmosfera natalizia, e ho pensato che un po' di tristezza mitigata poteva star bene nell'ambiente, secondo il mio stile naturalmente. 
L'universo in cui Reese muore è alternativo, naturalmente, e so di non avere ancora approfondito abbastanza (non ho pubblicato, per meglio dire) le situazioni che portano a capire quel personaggio. 
Ad ogni modo, avrete capito che la bambina protagonista è la figlia di Reese, mentre Konnor e William sono personaggi che al momento non andrò a delineare per non confondervi. Vorrei dire un grosso grazie a RemyFive, che mi ha aiutato con l'ambiente, la situazione e il personaggio della zia. 
Mi auguro che vi piaccia!
xNewYorker__/Chris
   
 
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