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Autore: Ginny85    16/06/2007    7 recensioni
Inverno, 1995. Ninfadora Tonks, neo-Auror in fase d’addestramento, una mattina incappa quasi involontariamente nel suo superiore, Remus J. Lupin. Affascinata dal suo misterioso atteggiamento e dall’orribile segreto che il mago si porta dentro, Ninfadora decide di giocare il tutto per tutto per aiutarlo, finendo per mettersi in una delicata situazione. Specie se l’uomo di cui si è infatuata è un pericoloso Lupo Mannaro. Specie se il suo passato nasconde un altro segreto, ben peggiore, un nodo che Remus non è ancora riuscito a sciogliere. Riuscirà a lasciarselo alle spalle una volta per tutte e ad accettare i suoi veri sentimenti?
Genere: Romantico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di seguito rappresentati non appartengono a me ma alla geniale, mitica, insuperabile J. K. Rowling. Io li prendo solo in prestito per divertirmi un pò... anche se dubito che loro ne siano contenti^^.

Note dell'autrice: Non è un mistero: adoro la coppia Remus/Tonks, nonchè i due personaggi presi singolarmente. Ho sempre desiderato scrivere una storia a più capitoli che spiegasse come hanno fatto questi due ad innamorarsi, e dopo parecchi tentativi credo di aver trovato la formula giusta. Con questa fanfiction (la prima a più capitoli da taaaanto tempo) ambientata nell'inverno del 1995, ovvero durante gli avvenimenti dell'Ordine della Fenice, spero di aver raggiunto il mio scopo e di aver fatto un buon lavoro. Ma il giudizio finale spetta sempre a voi, ovviamente.

Quindi buona lettura!

Ginny85.


Gli ostacoli del cuore (My Moonlight)
Di Ginny85



Prologo



La Foresta Proibita, Dicembre 1995.

Notte. La luna piena getta un riverbero pallido sul sentiero di radura, illuminando con la sua luce diafana le due sagome immobili al centro di essa.
La ragazza alza gli occhi orlati di pianto, il viso asciutto, e sorride, consapevole di quello che sta per accadere ma incredibilmente serena nell’animo.
Tutti le hanno sempre detto che la morte è qualcosa di brutto, di terribile, da evitare a tutti i costi. Ma ora che la morte stessa è davanti a lei sotto la forma dell’unica persona che abbia mai amato, e che ama ancora nonostante tutto, sente una straordinaria pace farsi strada dentro di lei, una sensazione prodigiosa, che assomiglia… sì, sembra proprio sollievo. E non ha paura. Non più.
“Ti amo.” Un sussurro tra le labbra infreddolite, senza che quel calmo sorriso abbandoni i suoi lineamenti; pur sapendo che lui non può sentirla, e che in ogni caso non potrebbe capire. In realtà si sente solo un po’ triste, al pensiero che lui non saprà mai cos’è successo veramente quella notte.
Bagnata dal bagliore soffuso dell’astro lunare, la creatura viene avanti con lentezza, calpestando le tracce di neve rimaste lì dall’ultima abbondante nevicata. Occhi gialli e iniettati di sangue, scopre le zanne ringhiando minacciosamente, quindi si prepara ad attaccare la sua preda.
La strega soffoca un grido strozzato, il cuore martellante nel petto. Lancia uno sguardo disperato alla bacchetta magica abbandonata in mezzo alla neve, accorgendosi con orrore che è troppo lontana da lei. Non riuscirà a raggiungerla in tempo. Stringe forte gli occhi e una lacrima solitaria rotola giù lungo la guancia.
E’ finita…
Qualche istante dopo un grido alto e acuto lacera l’aria rarefatta, mentre la neve una volta immacolata s’imbratta rapidamente di qualcosa di denso, rosso e bollente...


***

C'è un principio di magia
Fra gli ostacoli del cuore
Che si attacca volentieri
Fra una sera che non muore
E' una notte da scartare
Come un pacco di natale
- Elisa


Parte prima: Novilunio



Due mesi prima – Periferia di Londra, Ottobre 1995.

Sulla campagna londinese era da poco sorto un sole pallido, scolorito, che irrigava la pianura di raggi rossastri privi di calore. Uno nebbiolina fitta avvolgeva la vegetazione circostante attraverso un umido abbraccio. Non si udiva alcun suono naturale: né il cinguettio vago e tiepido degli uccelli, né il verso di qualche bestia selvatica che abitava il sottobosco. Solo un limpido, grave, spettrale silenzio. Un silenzio di morte.
L’animale percorreva in fretta il sentiero con passo felpato, fendendo i fili d’erba zuppi di rugiada con le zampe, la lingua penzoloni, il respiro ansante. Arrivato ad un punto dove il sentiero si snodava attraverso un piccolo boschetto frenò di botto e levò il muso arrotondato, annusando con avidità l’aria che sapeva d’erba bagnata e di muschio. Una breve e calibrata pausa, quindi ripartì di gran carriera quasi avesse avuto il diavolo alle calcagna, inoltrandosi nella macchia e districandosi con destrezza attraverso il pesante groviglio di arbusti.
L’atmosfera era ferma, la radura buia e quieta, eccezion fatta per qualche timido sprazzo di sole che trovava la sua via attraverso le fronde dei maestosi cipressi.
Quando finalmente ebbe raggiunto il centro della radura, uno spiazzo naturale non molto esteso, il grosso cane nero si arrestò di nuovo in maniera del tutto imprevedibile, interrogando l’aria con il muso sollevato al cielo coperto. I grandi occhi color pece si posizionarono su qualcosa di voluminoso ed informe, simile ad un ammasso di vecchi stracci, che giaceva completamente immobile a pochi metri da lui, semi nascosto dai cespugli.
In quel preciso momento sotto gli occhi privi di coscienza della foresta e delle creature che l’abitavano, il corpo canino si trasformò mutandosi in essere umano. Il mago estrasse la bacchetta magica dalla tasca della casacca logora e si diresse verso il gruppetto di arbusti. Dopo essersi accertato che in giro non vi fosse anima viva, rimise l’arma al suo posto e si chinò sull’ammasso di stracci. Pronunciando un nome sottovoce, poggiò una mano sulla spalla di quello che risultò essere un uomo svenuto e malridotto e lo rivoltò, scrutando le sue condizioni.
“Stavolta ti ha proprio ridotto male, amico,” commentò l’Animagus, un sorriso tirato sulle labbra, osservando le ferite aperte e sanguinanti che straziavano il suo corpo.
La persona che giaceva a terra si mosse impercettibilmente emettendo un gemito prossimo al dolore, il volto una maschera sofferente. Ad occhi chiusi, le labbra bianche e screpolate si lasciarono sfuggire un verso simile ad una debole risata.
“Sono stato peggio di così, credimi,” mormorò, a prezzo di un enorme sforzo.
“Ti credo Lunastorta, altroché. Ma la prossima volta facciamo che mi darai ascolto, okay?” fece l’altro in tono più mordace, severo. “Coraggio... ce la fai ad alzarti?”
Si alzò e gli tese il braccio, che l’altro accettò per sollevarsi. Era ridotto in uno stato tale che portava a pensare fosse stato aggredito da qualche belva feroce. O da più bestie feroci. Il sangue scuro e lucido era sparso un po’ dappertutto: sul terreno arido, sulle cortecce grigie degli alberi, sui suoi abiti. Sembrava di trovarsi su un campo di battaglia.
“Dobbiamo curare quelle ferite, hanno l’aspetto di essere piuttosto dolorose,” disse l’Animagus senza fare una piega. “Riesci a smaterializzarti o preferisci che ci pensi io?”
“No... no, almeno questo posso farlo...”
Il mago frugò brevemente nella veste stracciata in cerca della sua bacchetta. La trovò presto, proprio mentre le forze tornavano a mancargli. Respirando a fatica l’agitò di fronte a sé, imitato dal compagno, che lo sorresse per tutto il tempo senza batter ciglio. Entrambi scomparvero con un crack dalla radura, che piombò nuovamente in un vellutato e mortale silenzio, come se nulla fosse accaduto.

***

Londra, St. James Park Avenue.

“TONKS!”
La voce burbera del suo capo echeggiò minacciosa per il corridoio, portando molte teste a spuntare incuriosite dai rispettivi uffici, per poi ritrarsi svelte nel respirare aria di tempesta imminente.
Qualche istante dopo una giovane donna sbuffante e con corti capelli dall’originale tonalità rosa, visibilmente scarmigliata, apparve sulla soglia della porta reggendo tra le braccia una pericolante pila di pergamene e documenti dall’indefinito contenuto.
“M... Mi ha chiamato, signore?” boccheggiò, ansante per la corsa fatta.
”Non ti ho chiamato, ti ho urlato! Perché non vedo la relazione di Jackson sulla mia scrivania?”
“Signore, Jackson è in ferie questo mese, e io...”
“...e TU avevi ricevuto il compito di sostituirlo nel suo lavoro, mi sembra. Allora, dov’è finita quella ricerca?”
“Ecco,” la segretaria si trasferì una ciocca di capelli simile ad aghi appuntiti dietro l’orecchio, riprendendo fiato prima di rispondere: “La stavo scrivendo… Il fatto è che anche Milly è in ferie questa settimana, e mi ha chiesto se potevo terminare la sua intanto che...”
“Non m’interessa quanti relazioni ti sia fatta commissionare, io esigo quella sulla fuga dei Dissennatori da Azkaban, e la voglio leggere entro l’una!”
La ragazza spalancò i grandi occhi azzurri e balbettò mortificata: “Ma signore, è impossibile, sono già le undici e io avrei preso quel permes...”
“Nessun permesso! Non accetto scuse per i ritardi, Tonks!”
“Eh no, sono io che non accetto scuse semmai!” sbottò a quel punto la segretaria mutando repentinamente tono, pestando un piede per terra e facendo scivolare alcuni fogli sul pavimento. Il capo, preso alla sprovvista, sgranò gli occhi scuri impallidendo preoccupato.
“Le avevo chiesto questo permesso ere fa, mi sembra, e non ho intenzione di rinunciare ai miei impegni per le sue stupide relazioni. Ci siamo spiegati?”
Ninfadora Tonks sbatté con un gran tonfo la catasta di pergamene proprio sotto il naso del suo direttore, mentre la scrivania vibrava pericolosamente.
Senza osar replicare a quella domanda che aveva dell’inflessibile, l’uomo si tolse dalla bocca il sigaro, deglutendo lentamente. Tonks si stava esibendo nel suo rinomato – almeno tra i colleghi – cipiglio sfacciato ed estremamente caparbio, di cui andava decisamente fiera: sopracciglia lievemente inarcate, mani sottili fermamente sui fianchi e labbra carnose piegate senz’allegria, incutenti un certo timore. La sua stravagante chioma dal color rosa shocking era passata ad un sanguigno rosso scuro, nient’affatto rassicurante.
“Allora, capo... ho o no il permesso?”
L’uomo scrollò la testa e corrucciato compì un gesto rapido con la mano, come a dire che poteva andare, se proprio doveva. Tonks sorrise soddisfatta, dopodiché lasciò l’ufficio a passo di marcia mentre l’altro si esibiva in un grosso sospiro di sollievo, rabbrividendo di fronte al pericolo scampato.
Quando si mette in testa una cosa, quella ragazzina sa essere terribilmente convincente...

***

Era una giornata tersa di fine autunno, scevra di nuvole in cielo; soffiava un vento tiepido e umido, che appiccicava i capelli contro la nuca. Ninfadora Tonks sospirò seccata e si passò una mano tra le ciocche bagnate, tornate nel frattempo di un rasserenante rosa, che le erano finite sbadatamente sulla fronte. Stava percorrendo in tutta fretta la strada affollata all’ora di punta, dopo una breve sosta in casa atta a cambiarsi d’abito. Era in cerca di un luogo indisturbato dove usare la materializzazione, maledicendo tutto e tutti perché era di nuovo in ritardo per la riunione indetta da Moody il giorno prima a Grimmauld Place, la nuova sede dell’Ordine della Fenice.
In effetti, rimuginò nervosamente strada facendo, la settimana non sarebbe potuta cominciare in maniera peggiore per lei.
A parte l’ultimo litigio con quell’ottuso stacanovista del suo capo, aveva trascorso cinque giorni d’inferno in ufficio, costretta a sostituire ben tre colleghi che se n’erano andati in vacanza fuori stagione. A differenza sua, che il mese prima aveva utilizzato le sue – poche – ferie rimaste dall’estate precedente per restaurare il vecchio appartamento situato nei pressi di Hyde Park: un’impresa immane e poco rimunerativa.
La settimana prima una lettera dal suo padrone di casa babbano aveva reso crudelmente inutile tutta quella fatica: il simpaticone voleva vendere, ragion per cui le intimava lo sfratto entro il fine settimana. Di comprare la casa, per una ragazza come lei che viveva sola e con un modesto stipendio part-time, ovviamente, non se ne parlava proprio... e così, puf, niente più appartamento.
Infine, come se tutto questo non bastasse, quella mattina c’era stata la settimanale telefonata semi-accorata di sua madre, che non mancava di tirare fuori ogni volta la storia del ‘quando hai intenzione di ritornare a casa dalla tua famiglia?’, telefonata che era sfociata come prevedibile in un furioso litigio. Non appena Andromeda Tonks aveva saputo della faccenda dello sfratto.
Decisamente, ribadì tra sé la giovane serrando le labbra, quella non la sua settimana. Almeno fin’ora.
Finalmente trovò un vicolo non molto largo, un po’ sudicio, che però poteva fare al caso suo. Tonks si guardò intorno un paio di volte, giusto per stare tranquilli, quindi si smaterializzò con discrezione riapparendo subito dopo di fronte al viale principale e congratulandosi con se stessa per essere riuscita ad azzeccare la via giusta. Era conscia di essere in inammissibile e disastroso ritardo.
Il vecchio Malocchio mi Schianterà, stavolta...
Le scale che conducevano al portone erano vecchie e pericolanti, al punto che nella foga Tonks rischiò almeno due volte di scivolare e rompersi l’osso del collo. Nell’accingersi a suonare il campanello si ravvide all’ultimo istante che non doveva assolutamente causare rumore molesti. Perciò bussò, piano, e rimase in attesa. Nessuno venne ad aprirle.
Aggrottando la fronte la strega si guardò perplessa intorno. Solo a quel punto notò il filo di luce gialla che passava attraverso lo stipite, rimasto socchiuso: era come se qualcuno, entrando, avesse poi dimenticato di chiudere la porta. Dall’interno non proveniva alcun suono, sospetto e non. Cosa strana, considerato che quello era il Quartier Generale di una squadra piuttosto fornita di esperti Auror.
Un brivido non meglio definito le corse su per la schiena.
Che strano... ma non doveva esserci una riunione alle undici e mezza?
La giovane strega decise di fare la prima cosa che le avevano insegnato al corso per Auror: estrasse la bacchetta dalla tasca della veste e la puntò di fronte a sé, sensi irti, mentre con l’altra mano spingeva lentamente la porta adducendola ad aprirsi con un cigolio funesto.
“Ehm,” si schiarì la voce, che echeggiò in un sussurro lugubre nell’oscurità. “C’è qualcuno? Sirius? Moody?”
Nessuna risposta. Tonks entrò e la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle. Si ritrovò immersa in un buio grave ed un silenzio pesante quasi come l’aria che si respirava in quell’antica e sinistra dimora. L’atmosfera di cui la casa era pregna non le era mai piaciuta, nemmeno da bambina. La faceva costantemente rabbrividire, come per un freddo impossibile da cacciar via.
Decisa a raggiungere il salone al primo piano, dove solitamente si tenevano le riunioni dell’Ordine, percorse qualche metro in perfetto silenzio e con solo la punta della bacchetta a fare un po’ di luce sul suo cammino. Quando imboccò le scale, i gradini scricchiolarono minacciosamente ad ogni suo passo. Funeree candele erano sospese sopra la sua testa, le fiamme aranciate e tremolanti al soffio di un vento invisibile disegnavano ombre inquietanti contro le pareti. Tonks fece una lieve smorfia.
L’ho sempre detto a Sir che questo posto sembra più un covo di Mangiamorte, che il Quartier Generale dell’Ordine...
Distratta da quei pensieri poco positivi, all’improvviso il suo piede urtò qualcosa di duro facendole perdere sbadatamente l’equilibrio. Tonks si ritrovò ad annaspare disperatamente con le braccia in cerca di un appiglio che purtroppo non c’era. Le sfuggì un urletto stridulo, e fu solo per miracolo che cadendo all’indietro non si ruppe la schiena. Nel tentativo di salvare il salvabile la sua mano finì per aggrapparsi alla cornice di uno dei quadri appesi, ma quest’ultima, staccandosi come prevedibile dalla parete, la seguì nella caduta caracollandole addosso e causando un chiasso apocalittico che echeggiò a lungo per tutta la casa.
“Ahio!” piagnucolò la strega.
In quello stesso istante un grido alto e acuto trafisse il silenzio mortale di Girimmauld Place numero dodici, seguito da altre grida, una più orribile e straziante dell’altra, che sembravano emergere direttamente dagli inferi.
“SOZZURA! FECCIA IMMONDA! FUORI DA QUESTA CASA, TRADITORI DEL VOSTRO SANGUE, VILI...”
Oh no, non di nuovo! pensò Tonks, strizzando gli occhi.
Dalla sua scomoda ed imbarazzante posizione – ovvero semi sepolta sotto un pesantissimo ritratto che sbraitava anche lui come uno scellerato, lamentando che gli era stata crudelmente ostruita la visuale – cercò freneticamente di liberarsi. Finalmente, diversi minuti dopo e tra imprecazioni soffocate, riuscì ad estrarre un braccio che agitò per qualche istante nel vuoto in cerca della bacchetta magica.
A quel punto le sembrò di percepire un debole suono di passi che si avvicendavano. I passi la sfiorarono, per poi allontanarsi e salire piano le scale. Si udirono una sequenza di fruscii sommessi, di mormorii e di colpi sordi. Le grida furibonde della signora Black cessarono così com’erano iniziate. Ancora suoni di passi lenti, quasi strascicati, e poi una voce maschile sopra di lei esordì in un pacato:
“Locomotor!”
Tonks si sentì come se qualcuno l’avesse liberata da un enorme peso sullo stomaco, e non era certo una metafora. Di nuovo in grado di respirare, si ritrovò a fissare il soffitto ammuffito e pieno di ragnatele dell’ingresso distesa di schiena sul pavimento, il petto che si sollevava e s’abbassava affannato.
Due occhi intensamente castani la osservavano dall’alto adesso, uniti ad un sorriso gentile.
“Niente di rotto?”
La vergogna la portò ad arrossire immediatamente in viso, oltre che nei capelli.
O Merlino santo!

Continua...



ndA: Prima parte andata! ^^ Ovviamente era solo un'introduzione, infatti la storia vera e propria prenderà il via solo dal prossimo capitolo. Ci tengo a fare delle precisazioni: la storia si svolge, come ho già detto prima, durante il quinto anno di Harry e Co. a Hogwarts, tuttavia non segue per filo e per segno le vicende originali raccontate nel romanzo, mentre alcune le accenna solamente. Per questo ho preferito inserire nelle note AU (Alternative Universe), in modo da fugare ogni dubbio e prevenire eventuali critiche circa la discontinuità della trama rispetto a quella originale. Ora, so di essere petulante e che le mie storie non sono granchè, ma per favore fatemi sapere se posso continuare a pubblicare, a sperarci insomma, o se devo semplicemente andare nel mio account e cliccare su Cancella Storia, e metterci una pietra sopra. Il vostro parere è importante!
La seconda parte, in caso di successo, sarà on-line venerdì prossimo.

COMMENTATE VI SCONGIURO!

Ginny85.

  
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