Note dell'autrice: Non è un mistero: adoro la coppia Remus/Tonks, nonchè i due personaggi presi singolarmente. Ho sempre desiderato scrivere una storia a più capitoli che spiegasse come hanno fatto questi due ad innamorarsi, e dopo parecchi tentativi credo di aver trovato la formula giusta. Con questa fanfiction (la prima a più capitoli da taaaanto tempo) ambientata nell'inverno del 1995, ovvero durante gli avvenimenti dell'Ordine della Fenice, spero di aver raggiunto il mio scopo e di aver fatto un buon lavoro. Ma il giudizio finale spetta sempre a voi, ovviamente.
Quindi buona lettura!
Ginny85.
Gli ostacoli del cuore (My
Moonlight)
Prologo ***
C'è un principio di magia
Parte prima: Novilunio
Di Ginny85
La Foresta Proibita, Dicembre 1995.
Notte. La luna piena getta un riverbero pallido sul sentiero di radura,
illuminando con la sua luce diafana le due sagome immobili al centro di
essa.
La ragazza alza gli occhi orlati di pianto, il viso asciutto, e sorride,
consapevole di quello che sta per accadere ma incredibilmente serena
nell’animo.
Tutti le hanno sempre detto che la morte è qualcosa di brutto, di terribile, da
evitare a tutti i costi. Ma ora che la morte stessa è davanti a lei sotto la
forma dell’unica persona che abbia mai amato, e che ama ancora nonostante tutto,
sente una straordinaria pace farsi strada dentro di lei, una sensazione
prodigiosa, che assomiglia… sì, sembra proprio sollievo. E non ha paura. Non
più.
“Ti amo.” Un sussurro tra le labbra infreddolite, senza che quel calmo sorriso
abbandoni i suoi lineamenti; pur sapendo che lui non può sentirla, e che in ogni
caso non potrebbe capire. In realtà si sente solo un po’ triste, al pensiero che
lui non saprà mai cos’è successo veramente quella notte.
Bagnata dal bagliore soffuso dell’astro lunare, la creatura viene avanti con
lentezza, calpestando le tracce di neve rimaste lì dall’ultima abbondante
nevicata. Occhi gialli e iniettati di sangue, scopre le zanne ringhiando
minacciosamente, quindi si prepara ad attaccare la sua preda.
La strega soffoca un grido strozzato, il cuore martellante nel petto. Lancia uno
sguardo disperato alla bacchetta magica abbandonata in mezzo alla neve,
accorgendosi con orrore che è troppo lontana da lei. Non riuscirà a raggiungerla
in tempo. Stringe forte gli occhi e una lacrima solitaria rotola giù lungo la
guancia.
E’ finita…
Qualche istante dopo un grido alto e acuto lacera l’aria rarefatta, mentre la
neve una volta immacolata s’imbratta rapidamente di qualcosa di denso, rosso e
bollente...
Fra gli ostacoli del cuore
Che si attacca volentieri
Fra una sera che non muore
E' una notte da scartare
Come un pacco di natale
- Elisa
Due mesi prima – Periferia di Londra, Ottobre 1995.
Sulla campagna londinese era da poco sorto un sole pallido, scolorito, che
irrigava la pianura di raggi rossastri privi di calore. Uno nebbiolina fitta
avvolgeva la vegetazione circostante attraverso un umido abbraccio. Non si udiva
alcun suono naturale: né il cinguettio vago e tiepido degli uccelli, né il verso
di qualche bestia selvatica che abitava il sottobosco. Solo un limpido, grave,
spettrale silenzio. Un silenzio di morte.
L’animale percorreva in fretta il sentiero con passo felpato, fendendo i fili
d’erba zuppi di rugiada con le zampe, la lingua penzoloni, il respiro ansante.
Arrivato ad un punto dove il sentiero si snodava attraverso un piccolo boschetto
frenò di botto e levò il muso arrotondato, annusando con avidità l’aria che
sapeva d’erba bagnata e di muschio. Una breve e calibrata pausa, quindi ripartì
di gran carriera quasi avesse avuto il diavolo alle calcagna, inoltrandosi nella
macchia e districandosi con destrezza attraverso il pesante groviglio di
arbusti.
L’atmosfera era ferma, la radura buia e quieta, eccezion fatta per qualche
timido sprazzo di sole che trovava la sua via attraverso le fronde dei maestosi
cipressi.
Quando finalmente ebbe raggiunto il centro della radura, uno spiazzo naturale
non molto esteso, il grosso cane nero si arrestò di nuovo in maniera del tutto
imprevedibile, interrogando l’aria con il muso sollevato al cielo coperto. I
grandi occhi color pece si posizionarono su qualcosa di voluminoso ed informe,
simile ad un ammasso di vecchi stracci, che giaceva completamente immobile a
pochi metri da lui, semi nascosto dai cespugli.
In quel preciso momento sotto gli occhi privi di coscienza della foresta e delle
creature che l’abitavano, il corpo canino si trasformò mutandosi in essere
umano. Il mago estrasse la bacchetta magica dalla tasca della casacca logora e
si diresse verso il gruppetto di arbusti. Dopo essersi accertato che in giro non
vi fosse anima viva, rimise l’arma al suo posto e si chinò sull’ammasso di
stracci. Pronunciando un nome sottovoce, poggiò una mano sulla spalla di quello
che risultò essere un uomo svenuto e malridotto e lo rivoltò, scrutando le sue
condizioni.
“Stavolta ti ha proprio ridotto male, amico,” commentò l’Animagus, un sorriso
tirato sulle labbra, osservando le ferite aperte e sanguinanti che straziavano
il suo corpo.
La persona che giaceva a terra si mosse impercettibilmente emettendo un gemito
prossimo al dolore, il volto una maschera sofferente. Ad occhi chiusi, le labbra
bianche e screpolate si lasciarono sfuggire un verso simile ad una debole
risata.
“Sono stato peggio di così, credimi,” mormorò, a prezzo di un enorme sforzo.
“Ti credo Lunastorta, altroché. Ma la prossima volta facciamo che mi darai
ascolto, okay?” fece l’altro in tono più mordace, severo. “Coraggio... ce la fai
ad alzarti?”
Si alzò e gli tese il braccio, che l’altro accettò per sollevarsi. Era ridotto
in uno stato tale che portava a pensare fosse stato aggredito da qualche belva
feroce. O da più bestie feroci. Il sangue scuro e lucido era sparso un po’
dappertutto: sul terreno arido, sulle cortecce grigie degli alberi, sui suoi
abiti. Sembrava di trovarsi su un campo di battaglia.
“Dobbiamo curare quelle ferite, hanno l’aspetto di essere piuttosto dolorose,”
disse l’Animagus senza fare una piega. “Riesci a smaterializzarti o preferisci
che ci pensi io?”
“No... no, almeno questo posso farlo...”
Il mago frugò brevemente nella veste stracciata in cerca della sua bacchetta. La
trovò presto, proprio mentre le forze tornavano a mancargli. Respirando a fatica
l’agitò di fronte a sé, imitato dal compagno, che lo sorresse per tutto il tempo
senza batter ciglio. Entrambi scomparvero con un crack dalla radura, che
piombò nuovamente in un vellutato e mortale silenzio, come se nulla fosse
accaduto.
***
Londra, St. James Park Avenue.
“TONKS!”
La voce burbera del suo capo echeggiò minacciosa per il corridoio, portando
molte teste a spuntare incuriosite dai rispettivi uffici, per poi ritrarsi
svelte nel respirare aria di tempesta imminente.
Qualche istante dopo una giovane donna sbuffante e con corti capelli
dall’originale tonalità rosa, visibilmente scarmigliata, apparve sulla soglia
della porta reggendo tra le braccia una pericolante pila di pergamene e
documenti dall’indefinito contenuto.
“M... Mi ha chiamato, signore?” boccheggiò, ansante per la corsa fatta.
”Non ti ho chiamato, ti ho urlato! Perché non vedo la relazione di Jackson sulla
mia scrivania?”
“Signore, Jackson è in ferie questo mese, e io...”
“...e TU avevi ricevuto il compito di sostituirlo nel suo lavoro, mi sembra.
Allora, dov’è finita quella ricerca?”
“Ecco,” la segretaria si trasferì una ciocca di capelli simile ad aghi appuntiti
dietro l’orecchio, riprendendo fiato prima di rispondere: “La stavo scrivendo…
Il fatto è che anche Milly è in ferie questa settimana, e mi ha chiesto se
potevo terminare la sua intanto che...”
“Non m’interessa quanti relazioni ti sia fatta commissionare, io esigo quella
sulla fuga dei Dissennatori da Azkaban, e la voglio leggere entro l’una!”
La ragazza spalancò i grandi occhi azzurri e balbettò mortificata: “Ma signore,
è impossibile, sono già le undici e io avrei preso quel permes...”
“Nessun permesso! Non accetto scuse per i ritardi, Tonks!”
“Eh no, sono io che non accetto scuse semmai!” sbottò a quel punto la segretaria
mutando repentinamente tono, pestando un piede per terra e facendo scivolare
alcuni fogli sul pavimento. Il capo, preso alla sprovvista, sgranò gli occhi
scuri impallidendo preoccupato.
“Le avevo chiesto questo permesso ere fa, mi sembra, e non ho intenzione di
rinunciare ai miei impegni per le sue stupide relazioni. Ci siamo spiegati?”
Ninfadora Tonks sbatté con un gran tonfo la catasta di pergamene proprio sotto
il naso del suo direttore, mentre la scrivania vibrava pericolosamente.
Senza osar replicare a quella domanda che aveva dell’inflessibile, l’uomo si
tolse dalla bocca il sigaro, deglutendo lentamente. Tonks si stava esibendo nel
suo rinomato – almeno tra i colleghi – cipiglio sfacciato ed estremamente
caparbio, di cui andava decisamente fiera: sopracciglia lievemente inarcate,
mani sottili fermamente sui fianchi e labbra carnose piegate senz’allegria,
incutenti un certo timore. La sua stravagante chioma dal color rosa shocking era
passata ad un sanguigno rosso scuro, nient’affatto rassicurante.
“Allora, capo... ho o no il permesso?”
L’uomo scrollò la testa e corrucciato compì un gesto rapido con la mano, come a
dire che poteva andare, se proprio doveva. Tonks sorrise soddisfatta, dopodiché
lasciò l’ufficio a passo di marcia mentre l’altro si esibiva in un grosso
sospiro di sollievo, rabbrividendo di fronte al pericolo scampato.
Quando si mette in testa una cosa, quella ragazzina sa essere terribilmente
convincente...
***
Era una giornata tersa di fine autunno, scevra di nuvole in cielo; soffiava un
vento tiepido e umido, che appiccicava i capelli contro la nuca. Ninfadora Tonks
sospirò seccata e si passò una mano tra le ciocche bagnate, tornate nel
frattempo di un rasserenante rosa, che le erano finite sbadatamente sulla
fronte. Stava percorrendo in tutta fretta la strada affollata all’ora di punta,
dopo una breve sosta in casa atta a cambiarsi d’abito. Era in cerca di un luogo
indisturbato dove usare la materializzazione, maledicendo tutto e tutti perché
era di nuovo in ritardo per la riunione indetta da Moody il giorno prima a
Grimmauld Place, la nuova sede dell’Ordine della Fenice.
In effetti, rimuginò nervosamente strada facendo, la settimana non sarebbe
potuta cominciare in maniera peggiore per lei.
A parte l’ultimo litigio con quell’ottuso stacanovista del suo capo, aveva
trascorso cinque giorni d’inferno in ufficio, costretta a sostituire ben tre
colleghi che se n’erano andati in vacanza fuori stagione. A differenza sua, che
il mese prima aveva utilizzato le sue – poche – ferie rimaste dall’estate
precedente per restaurare il vecchio appartamento situato nei pressi di Hyde
Park: un’impresa immane e poco rimunerativa.
La settimana prima una lettera dal suo padrone di casa babbano aveva reso
crudelmente inutile tutta quella fatica: il simpaticone voleva vendere, ragion
per cui le intimava lo sfratto entro il fine settimana. Di comprare la casa, per
una ragazza come lei che viveva sola e con un modesto stipendio part-time,
ovviamente, non se ne parlava proprio... e così, puf, niente più
appartamento.
Infine, come se tutto questo non bastasse, quella mattina c’era stata la
settimanale telefonata semi-accorata di sua madre, che non mancava di tirare
fuori ogni volta la storia del ‘quando hai intenzione di ritornare a casa dalla
tua famiglia?’, telefonata che era sfociata come prevedibile in un furioso
litigio. Non appena Andromeda Tonks aveva saputo della faccenda dello
sfratto.
Decisamente, ribadì tra sé la giovane serrando le labbra, quella non la sua
settimana. Almeno fin’ora.
Finalmente trovò un vicolo non molto largo, un po’ sudicio, che però poteva fare
al caso suo. Tonks si guardò intorno un paio di volte, giusto per stare
tranquilli, quindi si smaterializzò con discrezione riapparendo subito dopo di
fronte al viale principale e congratulandosi con se stessa per essere riuscita
ad azzeccare la via giusta. Era conscia di essere in inammissibile e disastroso
ritardo.
Il vecchio Malocchio mi Schianterà, stavolta...
Le scale che conducevano al portone erano vecchie e pericolanti, al punto che
nella foga Tonks rischiò almeno due volte di scivolare e rompersi l’osso del
collo. Nell’accingersi a suonare il campanello si ravvide all’ultimo istante che
non doveva assolutamente causare rumore molesti. Perciò bussò, piano, e rimase
in attesa. Nessuno venne ad aprirle.
Aggrottando la fronte la strega si guardò perplessa intorno. Solo a quel punto
notò il filo di luce gialla che passava attraverso lo stipite, rimasto
socchiuso: era come se qualcuno, entrando, avesse poi dimenticato di chiudere la
porta. Dall’interno non proveniva alcun suono, sospetto e non. Cosa strana,
considerato che quello era il Quartier Generale di una squadra piuttosto fornita
di esperti Auror.
Un brivido non meglio definito le corse su per la schiena.
Che strano... ma non doveva esserci una riunione alle undici e mezza?
La giovane strega decise di fare la prima cosa che le avevano insegnato al corso
per Auror: estrasse la bacchetta dalla tasca della veste e la puntò di fronte a
sé, sensi irti, mentre con l’altra mano spingeva lentamente la porta adducendola
ad aprirsi con un cigolio funesto.
“Ehm,” si schiarì la voce, che echeggiò in un sussurro lugubre nell’oscurità.
“C’è qualcuno? Sirius? Moody?”
Nessuna risposta. Tonks entrò e la porta si richiuse silenziosamente alle sue
spalle. Si ritrovò immersa in un buio grave ed un silenzio pesante quasi come
l’aria che si respirava in quell’antica e sinistra dimora. L’atmosfera di cui la
casa era pregna non le era mai piaciuta, nemmeno da bambina. La faceva
costantemente rabbrividire, come per un freddo impossibile da cacciar via.
Decisa a raggiungere il salone al primo piano, dove solitamente si tenevano le
riunioni dell’Ordine, percorse qualche metro in perfetto silenzio e con solo la
punta della bacchetta a fare un po’ di luce sul suo cammino. Quando imboccò le
scale, i gradini scricchiolarono minacciosamente ad ogni suo passo. Funeree
candele erano sospese sopra la sua testa, le fiamme aranciate e tremolanti al
soffio di un vento invisibile disegnavano ombre inquietanti contro le pareti.
Tonks fece una lieve smorfia.
L’ho sempre detto a Sir che questo posto sembra più un covo di Mangiamorte,
che il Quartier Generale dell’Ordine...
Distratta da quei pensieri poco positivi, all’improvviso il suo piede urtò
qualcosa di duro facendole perdere sbadatamente l’equilibrio. Tonks si ritrovò
ad annaspare disperatamente con le braccia in cerca di un appiglio che purtroppo
non c’era. Le sfuggì un urletto stridulo, e fu solo per miracolo che cadendo
all’indietro non si ruppe la schiena. Nel tentativo di salvare il salvabile la
sua mano finì per aggrapparsi alla cornice di uno dei quadri appesi, ma
quest’ultima, staccandosi come prevedibile dalla parete, la seguì nella caduta
caracollandole addosso e causando un chiasso apocalittico che echeggiò a lungo
per tutta la casa.
“Ahio!” piagnucolò la strega.
In quello stesso istante un grido alto e acuto trafisse il silenzio mortale di
Girimmauld Place numero dodici, seguito da altre grida, una più orribile e
straziante dell’altra, che sembravano emergere direttamente dagli inferi.
“SOZZURA! FECCIA IMMONDA! FUORI DA QUESTA CASA, TRADITORI DEL VOSTRO SANGUE,
VILI...”
Oh no, non di nuovo! pensò Tonks, strizzando gli occhi.
Dalla sua scomoda ed imbarazzante posizione – ovvero semi sepolta sotto un
pesantissimo ritratto che sbraitava anche lui come uno scellerato, lamentando
che gli era stata crudelmente ostruita la visuale – cercò freneticamente di
liberarsi. Finalmente, diversi minuti dopo e tra imprecazioni soffocate, riuscì
ad estrarre un braccio che agitò per qualche istante nel vuoto in cerca della
bacchetta magica.
A quel punto le sembrò di percepire un debole suono di passi che si
avvicendavano. I passi la sfiorarono, per poi allontanarsi e salire piano le
scale. Si udirono una sequenza di fruscii sommessi, di mormorii e di colpi
sordi. Le grida furibonde della signora Black cessarono così com’erano iniziate.
Ancora suoni di passi lenti, quasi strascicati, e poi una voce maschile sopra di
lei esordì in un pacato:
“Locomotor!”
Tonks si sentì come se qualcuno l’avesse liberata da un enorme peso sullo
stomaco, e non era certo una metafora. Di nuovo in grado di respirare, si
ritrovò a fissare il soffitto ammuffito e pieno di ragnatele dell’ingresso
distesa di schiena sul pavimento, il petto che si sollevava e s’abbassava
affannato.
Due occhi intensamente castani la osservavano dall’alto adesso, uniti ad un
sorriso gentile.
“Niente di rotto?”
La vergogna la portò ad arrossire immediatamente in viso, oltre che nei
capelli.
O Merlino santo!
Continua...
ndA: Prima parte andata! ^^
Ovviamente era solo un'introduzione, infatti la storia vera e propria prenderà
il via solo dal prossimo capitolo. Ci tengo a fare delle precisazioni: la storia
si svolge, come ho già detto prima, durante il quinto anno di Harry e Co. a
Hogwarts, tuttavia non segue per filo e per segno le vicende originali
raccontate nel romanzo, mentre alcune le accenna solamente. Per questo ho
preferito inserire nelle note AU (Alternative Universe), in modo da fugare ogni
dubbio e prevenire eventuali critiche circa la discontinuità della trama
rispetto a quella originale.
Ora, so di essere petulante e che le mie storie non sono granchè, ma per favore
fatemi sapere se posso continuare a pubblicare, a sperarci insomma, o se devo
semplicemente andare nel mio account e cliccare su Cancella Storia, e
metterci una pietra sopra. Il vostro parere è importante!
La seconda parte, in caso di successo, sarà on-line venerdì prossimo.
COMMENTATE VI SCONGIURO!
Ginny85.