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Autore: Bimba di Nebbia    16/06/2007    10 recensioni
Quando lo guardo ha gli occhi chiusi, la testa reclinata contro il tronco. La luce del sole si riflette sugli occhiali tondi, storti e ricoperti dallo scotch su un’asticella. Ha la bocca semiaperta e lucida, la pelle chiara al sole brilla quasi. Posso immaginarmi il suo tepore, il suo odore di latte e di pulito. Sospiro.
«Come stai?» Chiedo, più che altro per spezzare il silenzio gravoso che si è creato. Non risponde subito, mi guarda un attimo negli occhi – e dentro io ci vedo tutto il mondo – poi abbassa lo sguardo repentinamente.
«Non lo so» mi dice, alla fine. La voce è flebile, sul punto di spezzarsi. «Tu?»
È la domanda più complessa che possa farmi, in questo momento, l'esame più difficile che abbia mai sostenuto. Altro che G.U.F.O o M.A.G.O.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quattordici luglio


Buffo. La prima parola che mi viene in mente ancora ora, se penso a lui. Timido, impacciato, eterno bambino la seguono immediatamente.


È qui davanti a me, le mani che giocherellano tremanti con la bacchetta.
«Ciao.» Mi fissa, occhi di un verde così acceso che fa quasi male. La voce è bassa ed esitante.
«Ciao» rispondo, mentre il solito moto di tenerezza mi assale insieme all’ impulso, fortissimo, di passare una mano su quella fronte marchiata per sempre, di scompigliare ancora di più quei capelli ribelli. Non dice nient’altro. Poggio la testa sul tronco, sento la superficie ruvida e irregolare premermi contro la nuca, e affondo le dita nella terra umida. Si siede vicino a me, per sbaglio una mano finisce contro la mia. In quella frazione di secondo in cui sfioro la sua pelle calda e ruvida, smetto di respirare. Ritrae immediatamente la mano, diventando rosso porpora, come la maglia che indossa.
Un altro sorriso. Un altro slancio di tenerezza. Un’altra fitta al petto al pensiero di quanto tutto questo farà male, dopo.
Passano attimi lunghissimi. Guardo dritta davanti a me lo scintillio del sole sul Lago, sento Harry respirarmi accanto. È perfettamente immobile; cerco di non voltarmi, con tutte le mie forze, ma so già che cederò. Quando lo guardo ha gli occhi chiusi, la testa reclinata contro il tronco. La luce del sole si riflette sugli occhiali tondi, storti e ricoperti dallo scotch su un’asticella. Ha la bocca semiaperta e lucida, la pelle chiara al sole brilla quasi. Posso immaginarmi il suo tepore, il suo odore di latte e di pulito. Sospiro.
«Come stai?» Chiedo, più che altro per spezzare il silenzio gravoso che si è creato. Non risponde subito, mi guarda un attimo negli occhi – e dentro io ci vedo tutto il mondo – poi abbassa lo sguardo repentinamente.
«Non lo so» mi dice, alla fine. La voce è flebile, sul punto di spezzarsi. «Tu?»
È la domanda più complessa che possa farmi, in questo momento, l'esame più difficile che abbia mai sostenuto. Altro che G.U.F.O o M.A.G.O.
«Mi sento... Vuota. Sì, vuota.» Rispondo, dopo un attimo. «Sai, da quando è morto lui, è come se…» Incespico. Le parole non sembrano adatte per spiegare, mi muoiono in gola. «Niente ha consistenza. Niente. Non mi importa più di nulla. Vorrei solo poter dire di sentire davvero dolore. O qualcosa. Qualcosa.» Mi rendo conto che ciò che dico è confuso; me ne vergogno, quasi. Mi vergogno di espormi così tanto davanti a lui. Ma è quello che provo. È questo che mi grava da tanto sul petto. È questo che mi ha tolto l’appetito, il sonno ed il sorriso. È questa la sensazione impronunciabile. E mi sembra assurdo averglielo detto così. Mi fissa, serio. Tutto rimane immobile.

Poi annuisce con il capo. Chiude gli occhi, e ha un’aria… spossata. Ho quasi paura di parlare, di fare qualunque cosa. È come se tutto – ogni cosa di quest’ attimo – si reggesse sul filo di una lama, e temo che il più piccolo movimento possa farci cadere, che possa farci male.
Tiene gli occhi bassi e con le mani stuzzica un filo d’erba, cerca di nascondere l’imbarazzo.
«Sai. Ho creduto davvero di non farcela. Da quando è morto, nella mia testa c’è tanta… confusione. Rumore, ecco. Non faccio che pensare alle sue lezioni, alle sue parole. È come se… Come se lo avesse sentito, che il suo tempo stava per finire. “È l'ignoto che temiamo quando guardiamo la morte e il buio, nient'altro”. Me l’ha detto lui, quando siamo andati nella Caverna, quando ero spaventato per gli Inferi. Non aveva paura. Vorrei che potesse essere ancora qui, che potesse rispondere alle mie domande, chiarire i miei dubbi. Su di me, su quello che dovrei fare ora. Su questa maledettissima cicatrice.» Abbozza un sorriso, intriso di ironica amarezza, tenendo gli occhi bassi e sfiorandosi la fronte con le dita. «Devi scusarmi. Non avrei dovuto. Sono… Abbastanza patetico, immagino.»
«Non lo sei. Io credo, Harry, che… Insomma, che le sue risposte siano in quelle lezioni.»
Non aggiunge nulla. Continua a giocherellare con il filo d’erba. Guardo rapita le sue mani.
Grandi, forti, con qualche vena che sporge, le dita lunghe, la pelle un po’ screpolata; non stanno ferme un secondo, si muovono continuamente, bestie agonizzanti e senza pace. Vorrei afferrarle e aggredire il suo dolore, accarezzargli dolcemente i palmi, dirgli che andrà tutto bene. So che non posso. Non più. Stringo i denti e affondo le dita nella terra.
«Non so davvero cosa devo fare.» Mi guarda, la voce incrinata dal pianto. Vedo una lacrima rigargli il volto – solco invisibile di tristezza – ma questa volta non abbassa il viso. Mi fissa, con uno sguardo disarmante. Disarmante. E non resisto. Lo stringo forte a me, mi aggrappo a quei capelli spettinati mentre lui affonda le dita nella mia spalla e comincia a piangere. Gli sollevo il mento e lo costringo a fissarmi di nuovo, ma chiude gli occhi. Gli sfioro le palpebre con le dita e poi gli bacio il volto, mille volte, per asciugare ogni lacrima, gli bacio il volto piano, guance occhi fronte e poi le labbra, le sue labbra di miele rosso rosso, infinitamente dolce. Avevo dimenticato quanto la sua bocca potesse essere calda, e morbida.
Spalanca gli occhi ed io semplicemente precipito in quell’oceano verde, annego in un mare fatto di tenerezza, di dolore soffocato dietro ad un sorriso sghembo.

Fa per dire qualcosa. «Shh. Non parlare, Harry, non adesso. Ti prego». Lo spingo piano sull’erba fresca. So che tutto questo è sbagliato, so che non dovrei, so che dopo sarà ancora peggio. Ma il desiderio è troppo e pulsa nelle vene, annebbiandomi la mente.
Sento il suo cuore battere piano contro la mia guancia, gli poso le mani sul mio seno e poi mi stendo contro il suo petto. Chiudo gli occhi e mi concentro sul battito del cuore. Gli sollevo piano la maglietta, accarezzo i muscoli appena accennati di quel torace pallido, guido le sue mani sul mio corpo; voglio fargli dimenticare tutto, voglio che per lui esista solo quest’attimo, solo le mie labbra su di lui e gemiti soffocati a stento e questa fusione perfetta tra due corpi e mani che sfiorano e si sfiorano, mani che si muovono senza sosta, accarezzando, graffiando, stringendo, liberandosi dei vestiti.
«Ti amo.» La sua voce roca è come una carezza contro l’orecchio, mi fa venire un brivido. Sento quelle due parole rimbombarmi nella testa, all’infinito, le sento attraversarmi il corpo e farmi vibrare di piacere.
«Ti amo.»


Il ricordo di quella giornata estiva di tre anni fa – solo tre anni, incredibile, sembra passata una vita intera – è ancora dolorosamente vivido nella mia mente, tanto che devo fare uno sforzo per ricordarmi che lui non è qui accanto a me. Oggi più che mai, oggi in cui la mia testa è posata sullo stesso tronco di quel giorno; in cui il mio corpo è steso sulla stessa zolla in cui ci siamo amati, per la prima volta; oggi in cui miei occhi guardano nella stessa direzione in cui erano puntati i suoi. Le lacrime mi appannano gli occhi, altri ricordi si affollano nella mia mente e non mi lasciano scampo. L’Ultima Battaglia. Una risata gelida e inumana. Un lampo di luce. E il suo corpo steso a terra.

*
Grazie mile ad Angel605 e a London, che mi hanno avvertito dei problemi con l'html, di cui non mi ero accorta.
  
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