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Autore: Serenity Moon    29/11/2012    3 recensioni
"L'ora che precede l'alba è sempre quella più nera, ma piano piano, i raggi del sole cominciano a far capolino. Con una lentezza dilaniante, squarciano le nubi e colorano il cielo di infiniti miliardi di sfumature. E' quello lo spettacolo più bello, l'attimo prima dell'alba. L'istante in cui il sole si fa attendere, hai paura che non arrivi più, ma sai che c'è, devi solo dargli il tempo giusto perché sorga e ti abbagli, in tutto il suo splendore.
Ed io ero così. Ero un'alba che aspettava di nascere.
E lui era la Terra che gira. Mi ha dato vita e luce e poi me le ha tolte entrambe".
Dopo tanta attesa, ecco finalmente, il prequel di 'Bitch'.
Bentornata, Jude.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bitch '
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Volevo dedicare questo capitolo a mio nonno. Domani saranno cinque anni dalla sua scomparsa. Gli devo molto e se esiste Jude, forse, un po' è anche merito suo.

Ti voglio bene.

I ringraziamenti in coda. Buona lettura.

 

Dawning bitch

 

 

# 4

 

Mamihlapinatapai (lessico Yahgan): guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l'altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo.

 

You and me (Parte 2)

 

'Cause it's you and me
And all of the people
With nothing to do
Nothing to lose

And it's you and me
And all of the people
And I don't know why
I can't keep my eyes off of you”.

 


 

Gli diedi le istruzioni per raggiungere casa mia nella maniera più accurata possibile. Non era facile arrivarci, infatti scesi in strada per incontrarlo, all'angolo con la via principale. Trepidavo nell'attesa.

Avevo pensato per tutto il pomeriggio a quello che era successo in negozio e alla fine mi ero convinta a lasciar perdere. C'erano buone, se non ottime possibilità che dietro a quel 'tesoro' si nascondesse davvero la sua ragazza. Non ero mai stata fortunata in certe cose e minuto dopo minuto avevo ricostruito le mie barriere difensive. Qualunque cosa fosse successa quella sera, sicuramente l'indomani sarei stata tutta intera.

Non avevo timore. L'unica cosa che volevo era rivederlo, trascorrere un po' di tempo con lui e provare tutte quelle belle sensazioni che mi trasmetteva con la sua presenza. Volevo ascoltare la sua risata, guardare ancora e ancora i suoi occhi, sentirlo parlare di sciocchezze. Volevo averlo vicino, tutto qui.

Mi ero seduta su un muretto, sotto il fascio di luce di un lampione, ad aspettare. Le gambe penzoloni e le braccia dritte lungo il busto mi davano l'aria di una bambina. Passarono un paio di auto che tirarono dritto. Mi resi conto che non sapevo quale fosse la sua. Se mio padre mi avesse vista, mi avrebbe fatto una bella lavata di capo.

Dieci minuti dopo, infine, si avvicinò una macchina scura, rallentò e si fermò proprio davanti a me. Il finestrino si abbassò e dal lato del guidatore qualcuno si sporse.

«Un passaggio, signorina?».

Il cuore iniziò a battere a mille non appena riconobbe la sua voce. Gli bastava così poco per mandarmi in paradiso, santo cielo, ma come faceva?

«Volentieri, grazie» dissi, scendendo con un salto dal muretto. Aprii lo sportello e montai su.

La prima cosa che mi colpì fu l'odore. Era un profumo che mai avevo sentito. Buono come il bagnoschiuma per bambini e deciso allo stesso tempo. Me ne innamorai all'istante.

Mi voltai e gli sorrisi e lui fece lo stesso. Nella poca luce della sera, intravidi la curva delle sue labbra. Pensai che quel gesto era dedicato solo a me, perché lui era lì, non c'erano 'tesori' che avrebbero tenuto. Eravamo nella stessa macchina, a pochi centimetri di distanza, respiravamo la stessa aria, i nostri vestiti, i nostri capelli si stavano impregnando dello stesso favoloso profumo.

«Sai che è pericoloso salire in macchina con degli sconosciuti?» mi disse. Un lampione illuminò l'abitacolo e vidi la sua espressione scherzosa, in attesa di una delle mie risposte a tema.

«Pazienza. Rischierò» dissi facendo spallucce e lui rise, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.

Era questo che adoravo nel nostro rapporto. Tutto era naturale. Non c'era imbarazzo o vergogna, nulla. Era come se ci conoscessimo da una vita. Sentivo quasi ci fosse una corda spessa ed intrecciata a legarci. Era destino che ci incontrassimo, ne ero sicura.

«Svolta a destra» gli indicai ed entrammo nella via dove c'era il mio appartamento. «Altri duecento metri e siamo arrivati. E' lì».

Ryan si sporse a guardare e si fermò proprio sotto il portone. Parcheggiò con sole due manovre e poi spense l'auto.

«Complimenti!» lo presi in giro e lui strinse gli occhi in quel modo che mi piaceva da impazzire. Poi gli feci strada mentre, già con le chiavi in mano, cercavo quella giusta per aprire.

«Sei sicura di volermi fare entrare? I tuoi vicini non penseranno male?».

Finsi di pensarci un po' su.

«Nah, il cadavere l'ho già portato la settimana scorsa, non faranno caso a te».

Ryan prima mi guardò sconvolto, poi scoppiò a ridere.

«Sei un personaggio» disse entrando nell'atrio.

Il mio appartamento era al quinto piano. Gli feci strada ed infine, varcammo la soglia ritrovandoci direttamente in cucina.

Per prima cosa si guardò intorno. Sfiorò il bancone, gli sgabelli, il mobile col piano cottura e dall'altra parte, i divani spalla a spalla. Si sedette su quello rivolto verso il televisore, totalmente a suo agio.

«L'hai sistemato tu?».

Classica domanda da maschio. Una qualunque ragazza si sarebbe sbrodata in una quantità assurda e almeno nel 98 per cento dei casi falsa, di complimenti. Lui, in quanto ragazzo si era buttato sul lato più pratico.

«Già» risposi. «Cosa ti offro?».

«Solo acqua, grazie».

«Non bevi?» gli chiesi riempiendo un bicchierone trasparente e porgendoglielo.

«Non più» disse lui. Aveva uno strano sorriso stampato in faccia e mi fece tanta tenerezza. Ebbi l'istinto di abbracciarlo e consolarlo, senza nemmeno averne motivo.

Mi sedetti accanto a lui che poggiò il bicchiere sul famoso tavolinetto basso, sul quale avevo messo il mio cellulare quando mi aveva inviato il primo SMS, mi voltai verso di lui ed incrociai le gambe, come gli indiani davanti al fuoco. Lui era il mio fuoco.

«Hai studiato?» domandò e da lì iniziammo a parlare senza fine, toccando i più svariati argomenti, senza alcun senso logico. Ridevamo, scherzavamo come ormai eravamo soliti fare. Mi raccontò come da piccolo, gran peste che era, si fosse procurato la cicatrice sul mento che avevo notato la prima volta che ci eravamo scontrati.

Ogni parola ci trovava più vicini. Non sapevo spiegarmelo. Semplicemente come due calamite dalle polarità opposte, ci attraevamo e la distanza diminuiva sempre di più fino a quando ci ritrovammo abbracciati, i nostri nasi che si sfioravano. Potevo sentire il suo alito profumato di menta, osservare le sue ciglia alzarsi ed abbassarsi ad ogni battito. Osai fare scivolare la mano sulla sua guancia in una carezza timida. Era liscia, appena rasata.

Avevo il cuore in gola. Stargli così vicino mi faceva tremare l'anima. Non mi ero mai sentita così al sicuro in tutta la mia vita. Pensai fosse quello che provavano i feti all'interno del grembo della propria madre. Avevo finalmente trovato il mio posto nel mondo e qualcosa mi dava la certezza che anche lui stava provando le stesse emozioni.

Mi accarezzò i capelli mentre bisbigliavamo, pianissimo, a fior di labbra. Dentro urlavo: baciami, baciami, baciami, ti prego. Ero troppo codarda per fare io quel passo. Avevo troppa paura di non piacergli, che se lo avessi fatto, lui poi sarebbe scappato. Intanto continuavamo a parlare, parlare, a non finire. Poi d'un tratto, di colpo, calò il silenzio. Non erano finiti gli argomenti. Ci eravamo solo resi conto che potevamo concederci anche quello, il silenzio. Ma non uno di quei momenti vuoti e imbarazzanti da dover per forza riempire. Il nostro silenzio era pieno, colmo, in procinto di traboccare. Bastava guardarci e ci dicevamo tutto.

Era tutto bellissimo. Forse, finalmente riuscivo a capire cosa ci fosse di così spettacolare nello stare con qualcuno.

D'un tratto però, mi tornò in mente la telefonata con 'tesoro'. Presi un respiro profondo, il colpo di coraggio più grande di tutta la mia vita...

«Lei chi è?».

Ryan trasalì a quella domanda. L'avevo chiesto più per scherzo, che per altro, perché in cuor mio iniziavo a pensare che davvero fosse troppo bello per essere vero, che in tutto quello che stava accadendo non ci fosse il 'ma', il 'però' che rovina tutto. Lo avevo chiesto ma la speranza di sbagliarmi era grande. Volevo, pretendevo che si mettesse a ridere, mi tirasse un buffetto sul naso e mi dicesse che ero una sciocchina, doveva essere così, anche io mi meritavo il mio lieto fine. Volevo il mio 'e vissero felici e contenti' e lo volevo in quell'esatto momento, con lui.

«Come lo sai?».

Mi sentii crollare. Se fossi stata un vaso di cristallo, mi sarei ridotta in mille pezzi, ma feci finta di nulla. Ingoiai il groppo alla gola ed indossai la maschera dell'indifferenza alla quale ero tanto affezionata. Sciolsi l'abbraccio e mi allontanai da lui per guardarlo in faccia.

«L'ho detto tanto per» dissi distogliendo lo sguardo. Non ce la facevo proprio. Il petto mi si era appesantito di colpo. «Esiste davvero una lei?».

«Mi dispiace» sussurrò.

Mi sarei messa volentieri ad urlare, ma il nodo in gola me lo impediva. Mi alzai dal divano e mi appollaiai sul bancone. Dovevo calmarmi. Come diamine era possibile che non fosse nella mia sorte trovare qualcuno totalmente apposto? Cosa avevo potuto fare di tanto orribile nella mia vita precedente per meritarmi un simile destino?

Ryan mi fu davanti in un batter d'occhio, mi poggiò le mani sulle spalle e le fece scivolare fino ai gomiti, dove si fermarono. Avrei dovuto scrollarlo, mandarlo via, ma non ne fui capace. Tutto quello che volevo era che restasse con me, nonostante tutto, nonostante lei. Non potevo dire l'altra. L'altra ero io.

«Ero venuto per dirtelo. Volevo parlartene, ma poi...».

«Poi cosa?» lo invitai a proseguire. A conti fatti non ero arrabbiata, non riuscivo proprio ad esserlo.

«Poi ti ho visto. Ho pensato che se te l'avessi detto, tu te ne saresti andata e non volevo che succedesse».

«Tecnicamente sono a casa mia, non posso andarmene» dissi distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.

«Non intendevo in quel senso» disse lui strappandomi un mezzo sorriso. Anche in una situazione del genere riusciva ad illuminarmi. «Ma vedi, è proprio questo che mi piace di te. Noi possiamo parlare, possiamo scherzare, senza costrizioni di nessun tipo. Mi sento libero con te».

«Lo so». Lo sapevo benissimo come si ci sentiva. Erano le stesse sensazioni che provavo io stando con lui.

 

All of the things
That I want to say
Just aren't coming out right
I'm tripping on words
You got my head spinning
I don't know where to go from here”

 

«Non andartene, Jude».

Era così bello il modo in cui pronunciava il mio nome. Nemmeno in bocca al coro di mille angeli avrebbe suonato meglio. Quella supplica così sbagliata non poteva essere più giusta.

«Non lo farò» mi ritrovai a promettere. E come avrei potuto dirgli il contrario? Sarebbe stato uccidere me stessa. All'improvviso anche solo pensare di vivere senza di lui mi sembrava impossibile. Non avevo mai provato il calore di un abbraccio come il suo, i brividi di uno sguardo, la scossa ad un tocco, macché, ad uno sfiorarsi di dita, di nasi, di ciglia. Il suo profumo avvolgente, il dolore per il cuore che batte troppo forte. Non potevo rinunciare a tutto quello.

«Me lo giuri?».

«Lo giuro».

In quel momento mi vincolai a lui, nel bene e nel male. Quelle due piccole, minuscole parole si riempirono di solennità come mai era successo prima e suggellarono un patto quasi di sangue, per la vita.

Sentii che anche volendo, non lo avrei mai rotto.

Osai guardarlo mentre lo dicevo e mi persi nei suoi occhi. Se stava recitando non avrebbe potuto farlo meglio, ma era sincero, tanto quanto lo ero io e lo capimmo entrambi.

D'un tratto, senza che neanche me ne accorgessi, mi prese il viso fra le mani e si avvicinò.

Finalmente mi baciò.

Fu un bacio desiderato fino all'ultimo, violento quasi per la sua impetuosità, ma colmo di una tale tenerezza da commuovermi quasi, per la sua situazione, per il fatto che, per quanto ne sapessi, poteva pure essere l'ultimo, per il trasporto che c'era dentro, la disperazione, la volontà di appartenersi e la consapevolezza di poterlo fare solo a metà.

E fu dolce. Il bacio più dolce della mia vita, come un buongiorno dopo un coma o la buonanotte della mamma al suo bambino appena nato. C'era qualcosa di indescrivibile in quel bacio, un fiocco rosa a stringerlo.

Separarci fu quasi un dolore fisico, insopportabile per tutti e due. Avvampai in volto quando lui fece scivolare il dorso della mano sulla mia guancia e d'istinto nascosi la faccia fra le pieghe della sua felpa stringendolo forte.

«Andrà tutto bene» mi rassicurò. «Non vorrei essere da nessun'altra parte all'infuori di qui, con te».

Annuii convinta che avesse ragione e mi aggrappai più forte a lui. Non poteva essere altrimenti. Era scritto che tutto questo accadesse e doveva essere così. Dentro quella casa era giusto in quel modo.

Ma fuori c'era tutto un altro mondo, fatto di spine e per quello che mi riguardava di tagli, netti e profondi, da disinfettare il più presto possibile.

«Devi dirglielo» sussurrai, la voce rotta dalla paura.

Lui mi guardò e un'ombra scurì i suoi meravigliosi occhi.

«Non posso, Jude, succederebbe un casino. Tu... Tu non la conosci. Non posso dirglielo».

Mi sarei dovuta dispiacere per me, invece provai pietà per lui. L'insano istinto di liberarlo, di proteggerlo, mi portò a stringerlo più forte e a non dire più nulla sull'argomento. Sarebbe stato il nostro segreto. Silenziosamente, stringemmo quell'ulteriore patto.

 

Passammo le ore successive abbracciati, un po' giocando, un po' parlando, un po' ancora in silenzio. Non ci era necessario nient'altro per essere felici che qualche carezza e un bacio rubato.

Ero consapevole che tali sarebbero stati quella sera e le sere in avanti e ciò che mi stupiva di più era che fossi disposta ad accettarlo senza se e senza ma. Lo guardavo negli occhi più che potevo, lui faceva lo stesso, come incantati da chissà quale formula magica. Erano la cosa più bella che avessi mai visto, non li avrei lasciati per nulla al mondo.

'Per lui, pur di avere lui' mi ritrovai a pensare, 'avrei fatto questo e altro'.

Eravamo io e lui, il resto non importava, non aveva alcun senso. La gente fuori poteva fare ciò che più voleva, non ci avrebbe scalfito. Quella casa sarebbe stata il nostro regno, dove nessuno, all'infuori di noi, sarebbe mai entrato. Quei muri avrebbero protetto il nostro segreto e fino a quando ci saremmo stati noi, tutto sarebbe andato bene.

 

'Cause it's you and me
And all of the people
With nothing to do
Nothing to lose

And it's you and me
And all of the people
And I don't know why
I can't keep my eyes off of you”.

 

 

 

Mi hai baciato di nuovo, più a lungo e non è esistito più niente. Era un bacio impregnato di 'non importa', 'andrà bene', 'è il nostro segreto'”.

 

La notte è in fiamme, Carmelita Z.

 

 

Grazie mille a tutti quelli che hanno inserito questa storia fra le seguite, le preferite e le ricordate. Grazie a chi ha letto Bitch e ha deciso di spendere qualche attimo in più per scoprire come è nato tutto. Ce la sto mettendo tutta, spero di riuscire a trasmettervi tutto quello che questa storia ha con sé.

Vi aspetto domenica 9 dicembre per il prossimo capitolo. I ringraziamenti alle recensioni li troverete presto in posta.

Siete fantastici.

Serenity.

   
 
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