La luna
piena, maestosa e colma di luce, splendeva nel cielo notturno coronato da un
milione di stelle, piccole sfere grandi quanto puntini, lontane mille anni luce
dal loro mondo. Non v’erano nubi a oscurare la pallida iridescenza del
satellite, ma una brezza sibilante soffiava, smuovendo le fronde degli alberi
secolari della loro foresta. Le conifere crescevano rigogliose e imponenti
nella Virginia meridionale, aiutate dal clima e dal disinteresse degli uomini
nel tagliarle, donando al paesaggio una sfumatura di antica nobiltà. Sembravano
danzare seguendo una melodia arcana e sconosciuta. Nulla poteva turbare la loro
quiete nemmeno quel lieve fragore che attraversò una zona periferica del bosco,
in prossimità di un lago dalle acque calme e illuminate da splendidi brillanti
sotto la luce lunare. Un nuovo suono accompagnava quello del vento novembrino.
Era quello dei ciottoli sollevati da passi. Una giovane donna passeggiava sul
suolo di terra e pietra del bosco limitrofo alla sua città natale. La sua carnagione
mulatta risaltava contro il bianco del suo pigiama semplice, composto da una
maglia con lo scollo a cuore e un paio di pantaloni lunghi, senza calzature. I
suoi begli occhi verdi, dalle sfumature color delle castagne, vagavano tra i
tronchi alla ricerca di qualcosa. O di qualcuno. Erano inquieti, quasi
impauriti, ma la giovane perdurava ad avanzare verso il laghetto. Era quella la
sua meta. Il richiamo era troppo potente per essere arginato. Quel lago, al
centro della foresta, racchiudeva una storia che gli alberi le stavano sussurrando
senza sosta con le loro voci leggere e soffuse. La giovane era in grado di
percepirle senza sforzo essendo una servitrice della Natura più pura e più
antica, che aveva le proprie radici negli albori del mondo. I rami scossi dal
vento gelido, che la penetrava sin dentro le ossa e che le faceva circondare il
busto con le braccia, raccontavano di una fanciulla. Di una fanciulla antica e
casta come poche, di una fanciulla amata e dolce, di una fanciulla morta
ingiustamente e prima del suo tempo. La giovane donna continuò ad avanzare tra
le foglie secche e rossicce che si sbriciolavano al suo passaggio. Interruppe
la sua lieve e guardinga andatura soltanto quando fu dinanzi allo specchio
d’acqua circolare che si perdeva all’orizzonte. La brezza sollevava la
superficie che sembrava essere vetrosa creando dei giochi di luce che
incantavano lo spettatore. Lo sguardo della giovane strega si fermò sulla
fanciulla seduta sulla riva limitrofa, accanto a un ramo d’albero oramai secco,
che dava le spalle allo spettacolo brillante. La fanciulla la stava osservando
con un impercettibile sorriso sulle labbra esangui. La strega non sapeva
trovare una spiegazione logica, ma aveva la sensazione che quel sorriso le
fosse familiare, come gli occhi. Azzurri, di un colore che rassomigliava a
quello del ghiaccio. Ipnotici e splendidi. Terribilmente tristi. I capelli
erano neri, ricci, dovevano essere stati acconciati un tempo, ma in quel
momento apparivano semisciolti e ricadenti tutti sulla spalla sinistra. Erano
molto lunghi e arrivavano sino alla camiciola da notte. Una lunga veste
candida, dalle rifiniture di pizzo e merletti, avvolgeva il suo corpo minuto ed
esile. Però ciò che colpì la strega fu il rosso che rifulgeva sulla sua pelle
candida. La parte destra del collo era macchiata dal sangue che era sceso sino
alla veste imbrattando anche il corpetto. Sulla gola, in prossimità della vena
principale, spiccavano due fori rosso sangue.
« Chi sei?»
domandò ansiosa la giovane strega. Non era intimorita da lei, no. Sembrava così
docile da non costituire affatto una minaccia per nessuno, nemmeno per l’essere
più indifeso del pianeta. Era spaventata dal sangue oramai rappreso e
dall’espressione di totale calma presente sul viso ovale e perlaceo della fanciulla.
Sembrava essere una nobildonna di altri tempi, una donna di alto lignaggio,
gentile e onesta.
« Riportami
in vita, Bonnie,» mormorò con calma, rivelando una voce dolce e melodiosa, ma
lieve e riservata. Quella frase, quella richiesta era intrisa di tanta mestizia
da stringerle il cuore in una morsa malevola. Non sapeva cosa significasse, non
riusciva a capirlo, ma sapeva che avrebbe acconsentito a qualsiasi richiesta
partita da quella fanciulla. Poiché il suo cuore era puro.
« Chi sei?»
ripeté la strega indietreggiando di un solo passo, gli occhi spalancati e il
respiro che diveniva più corto e irregolare. Aveva paura, sul serio. La
fanciulla stava cambiando. La pelle, prima lucente e vellutata, stava
diventando grigia e raggrinzita come quella di un cadavere. Le ossa
cominciarono a sporgere per tutto il corpo e il viso divenne una maschera
orribile e distorta. I capelli divennero stopposi, gli occhi spenti, le labbra
piegate in una smorfia sofferente, «
Come conosci il mio nome?» continuò per calmarsi. Il cuore aveva incrementato
il ritmo dei suoi battiti all’infinito e sbatteva le palpebre a intervalli
irregolari, sempre più velocemente. Avrebbe voluto correre via di lì, da quel
lago maledetto le cui acque si stavano sollevando sempre di più. Il vento era
divenuto più pungente, il gelo la attraversava facendola tremare con violenza,
le fronde non sussurravano più. Urlavano. La pelle della fanciulla cominciò a
scomparire, a polverizzarsi sino a divenire cenere sulla riva. Le ossa si
frantumarono con suoni grevi che le fecero inorridire. Ciò che rimase di lei fu
solo la veste candida e macchiata di sangue. Prima che scomparisse del tutto un
sussurro, un’invocazione, una preghiera si spanse nell’aria della notte.
« Aiutami.»