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Autore: Natalja_Aljona    30/11/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Trecentoottantotto


Trecentoottantotto

Гражданская Война Сибирячка

Graždanskaja Vojna Sibirjačka

La guerra civile siberiana

Четвёртая Часть

Čitvjortaya Čast’

Parte Quarta

Il tempo di morire



Stai nei miei occhi e racconti le sirene e gli inganni del tuo sogno che va
Tu, ragazzo dell'Europa
Tu non perdi mai la strada
Tu che prendi a calci la notte
Bevi fiumi di vodka e poi ti infili i miei jeans

Tu, col cuore fuori strada...

(Ragazzo dell’Europa, Gianna Nannini)

-Riferito a Feri-

 

[...]

 

Ieri sì, da giovane
La luce di ogni giorno portava una pazzia
La forza dell'età riempiva i giorni miei
E non vedevo mai il vuoto che c'è in lei

(Ieri sì, Charles Aznavour)

 

Krasnojarsk, 17 Marzo 1844

Venticinquesimo compleanno di Feri Desztor

 

Come una malattia

Qualcosa entrò nel cuore

Che neanche il sole mai guarì

E cresce a non finire

Brucia da morire

Un giorno come un fior svanirò

Perché ormai

Non si cura

Questo amor

(Come una malattia, Charles Aznavour)

 

Era tutta una questione di tempo, in quei momenti.

Il tempo di risalire sul cavallo, il tempo di trovare la forza d’ignorare le fitte delle ferite, e inventare una nuova gravità.

Sebbene la volta cristallina del cielo sia sempre troppo in alto, quando una lama o un proiettile squarcia la carne, e la sella del cavallo paia quasi insormontabile, se da lì dove sei caduto vedi solo gli zoccoli, e il solo strisciare sulla neve per mezzo sazhen’ ti costringa a soffocare un grido...

Ѐ sempre una questione di tempo, il tempo di morire per sopravvivere.

Feri sentiva le mani nivee e i capelli d’oro di Natal’ja sulla pelle, e invece era solo il suo sangue.

Feri ce l’aveva, la forza di rialzarsi.

Era lei che gliela toglieva.

-Capitano! Tutto bene?- gridò Innokentij, preoccupato dal tempo che impiegava a riprendersi, troppo tempo, e preoccupandosi si distrasse.

-Nočen’ka...-

Feri lo vide bene, lo Zarista alle spalle del suo amico.

Lo sfidò con lo sguardo, certo che sarebbe stato veramente capace di un gesto così meschino, del resto era uno di loro, ma, come tutte le altre volte, sperò ugualmente con tutte le sue forze che almeno uno di loro fosse un uomo d’onore.

Poi sentì lo sparo, e gli sembrò di sprofondare nella neve più di quanto non avesse già fatto.

-Solo gli Zaristi colpiscono alle spalle, Nočen’ka. Solo gli Zaristi e quelli come loro.

Ma tu non preoccuparti, no... Sei più forte di me, in questo momento.

Dio, Nočen’ka, quando t’innamorerai... Ti prego, non soffrire mai così-

-Мой Капитан...- mormorò il ragazzino, senza fiato, con una smorfia di dolore.

Feri lo incoraggiò con gli occhi, e lui non perse altro tempo.

Lo inseguì, quel tempo che avrebbe potuto non bastargli, quel tempo ch’era sempre maledettamente poco, in quei momenti.

Si rialzò, Innokentij, lottando con tutte le sue forze col bruciore del sangue che gli scorreva sulla schiena, trattenendo le lacrime che mai come quel giorno avevano minacciato di bucargli le palpebre, di farlo nel vero senso della parola, da tanto ch’era violento il dolore.

Si rialzò e fece una cosa straordinaria, quel minuscolo, giovanissimo Pietroburghese:

Innokentij Savel’evič Kovalev, studente diciassettenne d’ingegneria militare al Genio Militare di San Pietroburgo, tese una mano a Feri Desztor, venticinquenne terrorista ungherese ed eroe della Rivoluzione.

-Io non lo so, мой Капитан, quando m’innamorerò... Ma spero di riuscire ad amare tanto quanto te-

Feri lo ringraziò con un sorriso ed una pacca sulla spalla, stando ovviamente attento a non dargliela troppo forte, considerata la ferita che aveva poco più giù.

Non c’erano parole per descrivere la stima che aveva per quel ragazzino.

Ma il soldato zarista che gli aveva sparato, evidentemente, non era altrettanto soddisfatto di quella scena così meravigliosa.

-Ehi, Nočen’ka... Sei tu, il minore dei Kovalev, no? Hai saputo di tua sorella e dei tuoi genitori?

Non ti hanno ancora scritto dalla loro cella ad Omsk? O forse hanno troppo da lavorare?-

Nočen’ka sgranò gli occhi smeraldini, a quelle parole.

Fece un passo indietro, e non riuscì a rispondere nemmeno allo sguardo interrogativo del Capitano, in realtà non riuscì nemmeno più a guardarlo, il Capitano.

Tenne gli occhi verdissimi spalancati sulle punte dei suoi stivali neri, mentre ogni singola sfumatura sarcastica delle parole dello Zarista gli scavava il cuore.

-Lidija...- sussurrò soltanto, con un fil di voce e l’aria persa, di feroce impotenza che gli graffiava i bei lineamenti del volto, facendolo sembrare ancora più giovane e terribilmente smarrito.

-Lidija? Oh, certo. Una vera bellezza, la tua Lidija.

Con quei lunghi capelli proprio d’oro e quei begli occhioni grigi...

Peccato solo che sian sempre così tristi! Dev’essere di gusti difficili, la piccina...

Nessun carceriere è ancora riuscito a farglieli illuminare!

Ti saluta caramente, la piccola Lidočka... Ma farnetica spesso, poverina, dice che tu la salverai...-

-Lidočka... Lidočka...- ripeteva sommessamente il nome della sorella, Innokentij, e non riusciva a rispondere allo Zarista che lo sfidava con un sorriso fin troppo soddisfatto, fin troppo odioso.

-Non rispondevi alle mie lettere... E io pensavo semplicemente che ci fosse un ritardo delle poste, o che tu fossi arrabbiata con me perché sono andato con Feri e ti ho lasciata da sola...

Lo facevi anche quando stavo in Accademia e avevamo litigato quando ero venuto a casa in licenza... Tu non mi hai scritto per mesi per ripicca, e io un po’ ci stavo male, però ti conoscevo, e... Lo sapevo, com’eri tu... E invece tu... Non eri a casa, in questi mesi... Ti hanno portata via...

Ti hanno portata lì...-

Elena aveva Savelij.

Elena avrebbe sempre avuto Savelij, perché l’aveva sempre amata troppo, suo marito.

Ma Lidija...

Lidija, certo, aveva loro, la mamma e il papà, i suoi genitori.

Aveva diciotto anni, poi, non è che fosse proprio una bambina.

Era la figlia più grande, sapeva darsi un contegno, sapeva responsabilizzarsi alla perfezione.

Ma era quell’implicita complicità con Nočen’ka che scintillava in ogni sguardo, a darle la forza.

Lidočka senza di lui...

Innoček non riusciva ad immaginarsela.

E gli faceva male, troppo male, immaginarsela.

Poi, d’un tratto, alzò repentinamente la testa e puntò i suoi lucenti e fieri occhioni di smeraldo sul volto sardonico dello Zarista.

Imbracciò il fucile e, senza smettere di guardarlo negli occhi, gli sparò fino a fargli perdere quel dannato sorriso, fino a vederlo stramazzare nella neve.

Feri lo guardava accigliato, ma orgoglioso.

Era preoccupato per lui, soltanto questo.

-Nočen’ka...-

-Va tutto bene, Capitano. Distruggiamo questi bastardi, ci medichiamo le ferite e poi andiamo ad Omsk. Andiamo a prendere Lidija-

 

Mi basta il tempo di morire...

(Il tempo di morire, Lucio Battisti)

 

 

 

 

Note

 

Il tempo di morire, Lucio Battisti.

 

Questo capitolo lo dedico a George Harrison, il magnifico chitarrista dei Beatles che mi ha fatta innamorare del nome “George”, che è morto da undici anni, e ieri era l’anniversario della sua morte.

Quanto al capitolo, preferisco lasciarlo commentare a voi ;)

 

A presto!

Marty

 

  
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