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Autore: Joy    18/06/2007    13 recensioni
"Dormite bambine finché la musica suonerà o il lupo verrà a prendervi quando essa finirà..."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Narcissa Malfoy, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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NON DORMIRE

NON DORMIRE



Una volta sola spalancò per me le porte della sua infanzia, io con lei non l’ho mai fatto: capii in quell’occasione che non era necessario…



Mi confidò che nei suoi ricordi c'era una foresta, racchiusa in una sfera di vetro, e che le punte degli alberi, eternamente verdi, sembravano danzare sotto il bagliore della luna, mentre un piccolo lupo ululava.

Ricordava la musica tenue, leggermente ipnotica, che suonava per lungo tempo; la chiavetta che girava piano, esaurendo la carica…

Mi disse che la voce di sua madre ancora la tormentava con la sua petulante e spaventosa tiritera:

"Dormite bambine finché la musica suonerà o il lupo verrà a prendervi quando essa finirà..."

Ne aveva avuto paura e per anni aveva pregato di addormentarsi subito.

... Prima di cominciare a desiderare che il lupo la portasse via davvero.

"Non dormire." ripeteva tra sé nel buio della notte, aspettando che la musica finisse. Ma non succedeva mai niente, e al mattino, il giorno che si risvegliava era sempre uguale al precedente.

Non dormire non bastava per fuggire.



L'avevo incontrata molte volte prima d'allora: nella Sala Grande durante i pasti, impeccabile ed elegante sebbene avesse appena quindici anni; nei corridoi, mentre si recava a lezione attorniata da numerose ragazze chiacchierine e saltuariamente anche in biblioteca, durante i piovosi pomeriggi d'inverno, con la guancia posata sulla mano, sfogliando distrattamente qualche testo di poco interesse. Fissavo le sue scarpe lucide nascondendomi dietro un libro che non riuscivo a leggere; aveva l'abitudine di sfilarsele sotto il tavolo, quando pensava di non esser vista...

Una o due volte venne persino alla Torre per cercare Sirius, lo sguardo inquieto appena visibile sotto le ciglia chiare e le labbra leggermente più rigide del solito.

Non volevo intromettermi nei problemi della famiglia Black, ma le parlai cortesemente per intrattenerla, mentre aspettava che suo cugino scendesse dal dormitorio.

Sapeva essere piacevole e semplice, se lo voleva...

Poteva essere chiunque volesse, Narcissa Black.

Lasciai cadere le chiacchiere quando udii i passi di Sirius sulle scale e mi voltai a guardarlo; non era bravo con i sentimenti, ma capiva al volo cosa stesse succedendo se c'era di mezzo la sua famiglia. Sapeva cosa aspettarsi e dove loro sarebbero andati a parare, aveva avuto undici anni di tempo per allenarsi a cogliere i segnali e lei ne aveva avuti altrettanti per imparare a dissimularli. Lanciò al cugino uno sguardo eloquente, s'impose di nascondere qualsiasi cosa la tormentasse e mi salutò con garbo. Li osservai mentre uscivano dalla Sala Comune e prima che il ritratto si chiudesse, notai che si tormentava le mani.

Poteva essere chiunque volesse, ma la vera Narcissa Black riemergeva sempre.

Ero abituato a vederla compita e piena di dignità, e sorridevo di nascosto quando la sorprendevo a mordicchiarsi un’unghia per la tensione o a sbottonarsi il colletto della camicia davanti ad un calderone che bolliva. Erano piccole cose e le amavo ingenuamente, ma non avevo ancora capito che sarebbero state le porte di un labirinto…

Non ne sarei mai uscito.

Feci l'errore di credere che come Sirius volesse solo fuggire dalla sua famiglia, avrei dovuto capirlo quella notte...

Lei non soffriva di profonda inadeguatezza come suo cugino, al contrario, sapeva trasformare ogni suo gesto come l'occasione le richiedeva, ma quando non era costretta a farlo, si tratteneva a stento.

La vera Narcissa ribolliva di rabbia e quando me ne accorsi, mi parve di vederla davvero per la prima volta.



Ero sgattaiolato fuori dal dormitorio per rifugiarmi nell'aula di Astronomia. La scusa ufficiale era che dovevo compilare, lontano da sguardi indiscreti, il calendario lunare dei successivi sei mesi, ma la verità era che non riuscivo a dormire: già allora ero tormentato dagl'incubi, sopratutto nei giorni vicini al plenilunio.

Ricordo il buio e il silenzio di quei corridoi e il respiro che si condensava ad ogni passo: faceva freddo anche se era solo ottobre.

Non volevo che mi scoprissero fuori dalla torre dei Grifondoro dopo l'orario prestabilito; certo, in tal caso avrei potuto sfoderare l'invidiabile repertorio di scuse messo a punto da James e Sirius, ma mi sarei fatto incatenare volontariamente al Platano Picchiatore piuttosto che tradire ancora la fiducia di Silente: mi aveva ammesso a scuola cinque anni prima e da poco mi aveva nominato Prefetto, mentre io non avevo avuto neanche il coraggio di confessargli che i miei amici avevano scoperto il mio segreto.

Purtroppo non avevo con me il Mantello dell'Invisibilità: lo aveva reclamato Sirius prima di uscire misteriosamente dalla Sala Comune un'ora prima, e nemmeno l'appena collaudata Mappa del Malandrino, perché James aveva deciso di studiare ogni mossa di quella che era diventata da poco la sua più grande ossessione dopo il Quidditch: Lily Evans.

Accelerai il passo.

Avevo appena svoltato nell'ultimo corridoio, quando mi ritrovai davanti, senza neanche capire come, gli occhi rossi e inquietanti di Mrs Purr. Sobbalzai e subito dopo mi lasciai trasportare dalla rabbia per esser stato così stupido da farmi scoprire dalla gatta di Gazza. Le scoccai uno sguardo furioso e la vidi inarcare la schiena e drizzare il pelo, mi soffiò un paio di volte e poi fuggì via.

Gli animali sentono la mia vera natura.

... Soprattutto quando decido che devono sentirla.

Ma nonostante se ne fosse andata, non riuscii a tornare tranquillo; percorsi l'ultimo tratto di corridoio con la fastidiosa e umiliante consapevolezza di essermi abbassato a sfruttare la licantropia per spaventare un gatto.

Un atteggiamento tutt'altro che maturo, così poco controllato...

Entrai di volata nell'aula, chiudendomi la porta alle spalle con una perfetta espressione di disgusto ancora dipinta in volto e mi accorsi troppo tardi che la stanza non era vuota.

Lei era in piedi davanti alla vetrata, in silenzio. Indossava ancora la divisa delle lezioni, sebbene fosse già passata la mezzanotte e si era tolta il mantello: si rabbrividiva in quella stanza, ma lei non sembrava curarsene. Si voltò verso di me quando mi sentì entrare e mi fissò per qualche istante con le labbra socchiuse e lo sguardo confuso, o forse solo stanco.

Poi abbassò la testa e piegando le labbra in un sorriso rassegnato, si passò una mano sul volto.

"Non preoccuparti." esordì una voce maschile alla mia sinistra. Trasalii per la sorpresa e forse maggiormente perché mi era familiare… cercando nella penombra riconobbi Sirius.

Era seduto con la schiena contro la parete, la camicia slacciata e i capelli sul viso. Intuii che si rivolgeva a sua cugina, sebbene non la guardasse: fissava con aria vaga e distratta la bottiglia di burrobirra che teneva in mano. "Remus sa essere discreto." continuò.

Mi stavo ancora chiedendo cosa ci facessero quei due, in piena notte nell'aula di Astronomia, quando scorsi accanto alla gamba di Sirius una pergamena spiegata che portava il sigillo dei Black. Immaginai che avessero avuto dei problemi in famiglia, non sarebbe certo stata la prima volta… Mi voltai per discrezione ed accennai ad andarmene mormorando flebili scuse.

Lei mi trattenne.

"Puoi restare." mi disse semplicemente, immergendo di nuovo lo sguardo nell'universo stellato.

Rimasi immobile, lanciando un'occhiata interrogativa a Sirius e lo sorpresi a sorridere tra sé, con gli occhi bassi. Pensai che fosse lievemente brillo, prima di accorgermi che era troppo afflitto persino per bere: la bottiglia tra le sue mani era piena.

Osservai Narcissa e tra le ombre della stanza i suoi capelli mi parvero chiari quasi quanto la luna: mancavano pochi giorni al plenilunio. I boccoli perfetti sfoggiati quella mattina erano quasi del tutto sciolti, abbandonati, ed era senza scarpe: le calze sottili e trasparenti scintillavano maliziosamente sulle sue gambe...

"Ti piacciono le notti stellate come questa?" mi chiese all'improvviso senza distogliere lo sguardo dal cerchio quasi perfetto della luna.

"Le odio." risposi senza pensare.

In seguito mi pentii migliaia di volte di quella risposta diretta e sincera, se avessi mentito ci saremmo risparmiati tutto ciò che accadde dopo...

Una felicità sbagliata, durata solo per pochi istanti.

Si voltò verso di me, troppo stupita per nasconderlo e mi fissò incerta, dimenticando d'indossare una delle sue tante maschere.

Poteva essere chiunque volesse…

Ma quella notte scorsi in lei qualcosa che non avevo mai visto.

Rabbia, non soltanto rancore...

"Anch'io le odio." disse decisa, poi si voltò di nuovo verso la vetrata. "Tutta la mia famiglia è lassù, tranne me..."

"Farei volentieri a cambio con te, Narcissa." intervenne Sirius. "Ho sempre trovato ridicola questa tradizione dei nomi e certo non mi rende orgoglioso."

Avrei voluto andarmene, i problemi dei Black non mi riguardavano, avevo i miei e non erano da poco, ma l'espressione sdegnata e sarcastica che si disegnò sul profilo di lei mentre osservava la luna m'ipnotizzò.

La guardava come se non sopportasse quella bellezza disgustosamente ipocrita e quel bagliore luminescente e falso, ostentato con spavalderia nonostante fosse solo un pallido riflesso.

Una finzione, un inganno...

Le sue labbra erano piegate in un sorriso sprezzante.

Avrei voluto gridarle: 'Sì, odiala! Odiala di più!'

Ma lei si riscosse quasi subito, si chinò per raccogliere le scarpe e si sedette per indossarle.

Mi diede talmente soddisfazione sapere che detestava la luna così apertamente -cosa che io non potevo fare per evitare di destare sospetti-, che non compresi la verità fino a molto tempo dopo.

Insieme alla luna lei stava odiando se stessa, e io senza saperlo, incominciai ad amarla per quella rabbia.

Sbagliato fin dall'inizio…

Rialzò lo sguardo interpretando Narcissa Black, l'altera ultimogenita di una delle più nobili casate, sul volto una delle sue tante maschere: quella cortese, visto che con me lo era sempre stata. Si avvicinò a Sirius e gli baciò la guancia, come faceva per buona educazione in presenza dei suoi familiari, e scostandosi da lui, gli sfilò di mano la bottiglia.

“Cugino” disse “il Cappello Parlante ti ha smistato a Grifondoro. Hai la scusa per ribellarti.”

Lui ricambiò lo sguardo per metà irritato e per metà divertito.

“Ad Andromeda non è servita una scusa.” le rispose indicando la lettera ancora sul pavimento.

“No. Certo che no.” commentò lei sarcastica. “Le è bastato farsi mettere incinta da un mezzosangue.”

Pensai che Sirius avrebbe reagito nel peggiore dei modi, com’era successo altre volte quando qualcuno lo aveva provocato insultando le persone che più amava, per cui rimasi sbalordito vedendolo scoppiare a ridere.

Si alzò in piedi e fissò sua cugina dritta negli occhi. “Sembravi mia madre.” disse sollevandole il mento.

Vidi andare in frantumi la maschera appena indossata e finalmente conobbi la parte più seducente di lei: la sua risata.

Quella sincera.

Vera.

Abbracciò brevemente Sirius e a me porse la mano.

“E’stato un piacere, Remus.” mi disse prima di andarsene.

Osservai la porta finché non si fu chiusa alle sue spalle, avrei voluto chiedere a Sirius cosa fosse successo e mi trattenevo solamente perché non amavo fargli delle pressioni; nessuno dei miei amici ne aveva mai fatte a me, e sebbene avessero scoperto da tempo il mio segreto, avevano aspettato che fossi io a parlarne per primo.

Era stata la prima forma di rispetto che avessi mai ricevuto e non avrei dimenticato.

Ma lui, che aveva sempre mantenuto un ostinato silenzio per ciò che riguardava la sua famiglia, scrollò le spalle come se questa volta non gl’importasse, si chinò a raccogliere la lettera e me la mise tra le mani.

“Mia cugina Andromeda aspetta un figlio e il suo fidanzato è un mezzosangue. Si sposeranno tra poche settimane.” evitò di guardarmi e si voltò per afferrare il suo mantello. “E’ stata diseredata… e cacciata.”

Rimasi in silenzio, ammutolito, anche se innegabilmente poco sorpreso. Avevo conosciuto cattiveria, emarginazione e ingiustizie, eppure non seppi trovare niente da dire.

“Ci saranno delle conseguenze.” aggiunse lui qualche istante dopo.

“L’hanno cacciata e rinnegata.” replicai. “Cos’altro possono farle?”

Sollevò su di me lo sguardo limpido e lo riabbassò subito dopo.

“Le conseguenze non saranno per lei.” disse allungando la mano per afferrare la maniglia della porta. “Saranno per noi.”

E dalla smorfia che comparve sul suo volto, compresi che quel ‘noi’ si riferiva ai più giovani della discendenza dei Black: lui, suo fratello e sua cugina.



Credo che già quella notte Narcissa immaginasse ciò che ne sarebbe stato di lei; ripensandoci adesso, dopo tutti gli anni che sono passati, mi sembra quasi scontato. Le emozioni che tentava di celare, la rabbia che era esplosa all’improvviso sul suo volto, la rassegnazione piena di dignità nei suoi occhi quando se n’era andata, le parole di Sirius sulle eventuali conseguenze…

La immaginavo fissare con sguardo imperturbabile quella piccola bruciatura di fianco al suo nome, sull’arazzo di famiglia.

Aveva egoisticamente odiato Andromeda per il suo abbandono, forse.

Certamente aveva odiato la possibilità che accanto a quel piccolo foro ne comparisse un altro…

Non credo che qualcuno abbia mai compreso quanto lei detestasse il compromesso che aveva scelto, né quanto forte fosse l’obbligo che la spingeva a tale scelta.

Era convinta di farcela e aveva ragione: Narcissa Black se l’è sempre cavata egregiamente.

… Ma la felicità è tutt’altra cosa.

***

Quali fossero le conseguenze di cui parlava Sirius, fu chiaro anche a me qualche giorno dopo, quando lasciai l’infermeria dopo l’ultimo plenilunio.

I corridoi, negli intervalli tra una lezione e l’altra, pullulavano di chiacchiere e sussurri che non s’interrompevano neanche di fronte all’arrivo di un insegnante. Non feci nemmeno in tempo a domandarmi se il motivo di tanta agitazione riguardasse l’ultimogenita della famiglia Black, che la vidi svoltare l’angolo altera e perfetta come sempre, con i tacchi delle scarpe che picchiettavano deliziosamente sul pavimento e i boccoli vezzosi perfettamente in piega. Era circondata dal solito gruppo di ragazzine rumorose, belle la metà di lei e pettegole il doppio, che cinguettavano agitando le mani frenetiche.

Sembrava felice, sembrava…



“… Mia madre dice che è il miglior partito della scuola…”

“… oh ti prego, mostrami di nuovo l’anello!”

“… pensi che verrà a prenderti prima di andare a cena?”

“… ma insomma Narcissa! Non sei impaziente di farti chiamare ‘Signora Malfoy’?”

“… davvero, non puoi non essere felice!”



Sinceramente, non penso che Narcissa sia mai stata felice; ci assomigliamo troppo, persino adesso…



Me ne sarei andato senza dare nell’occhio: avevo già scoperto abbastanza e inoltre, dopo due giorni passati in infermeria non avevo certo una bella cera; non che m’interessasse del mio aspetto, ma temevo le domande dei curiosi. Non ebbi il tempo di sparire tra la folla, che lei si fermò proprio di fronte a me.

Vidi una delle ragazze che l’accompagnavano piegare le labbra in una smorfia di disgusto alla vista delle mie cicatrici e trattenni a stento l’istinto di terrorizzarla come avevo fatto qualche sera prima con Mrs Purr, ma quando alzai orgogliosamente gli occhi su Narcissa, scorsi nel suo sguardo la stessa rabbia bruciante e incontrollabile, troppo simile alla mia per poterla ignorare.

Mi stregò, e per la seconda volta in pochi giorni mi scoprii ad amarla perdutamente.

“Come te le sei procurate?” mi chiese indicando le ferite sul mio volto.

“Sono caduto.” le risposi vago.

Lei socchiuse gli occhi e si avvicinò quel tanto che bastava perché le sue parole fossero udibili solo a me. “Siamo bravi a mentire, noi due.” sussurrò.

Non era felice.



Nei giorni seguenti cominciai ad osservare Lucius Malfoy come non avevo mai fatto; non so cosa mi aspettassi di scorgere in lui, credo di aver cominciato allora a compatirlo.

Sfoggiava con superiorità la sua espressione boriosa da altolocato, si vantava con orgoglio della nobiltà del suo casato, parlava con freddezza dei pregi che gli avrebbe portato la sua futura sposa e non aveva la minima idea di chi lei fosse in realtà.

Seducente e ingannevole quanto la luna.

Capace di trascinare a sé persino le maree.

Persino me…

Non ho mai avuto alcuna possibilità di sfuggire alla luna, io.

E non ha mai avuto alcun senso tentare di sfuggire alla mia natura, sebbene all’epoca non desiderassi altro.

Lei amava in me, ciò che io disperatamente cercavo di cancellare: la forza istintiva e pericolosa di una bestia che avrebbe potuto distruggere con facilità e in una sola notte qualsiasi obbligo, morale e non, compresi quelli che la circondavano.

Ma ignorava che al mattino, quella bestia sarebbe stata di nuovo e soltanto un ragazzo, annientato dai sensi di colpa e con la dignità martoriata quanto il corpo.



Remus?”

Cos’altro hai dimenticato, Sirius?”

“… Va tutto bene?”

Certo.”

Mhm…”

Andiamo Sirius, cosa ti passa per la mente?”

Inchiostro.”

Cosa?”

L’inchiostro. Stai prendendo appunti senza intingere la penna nell’inchiostro…”



Merlino, sarei sprofondato.

Le ore di Incantesimi erano in comune con i Serpeverde, lei era seduta lateralmente a me e distante solo un paio di posti. In più di un’occasione mi capitò di chiedermi se fosse stato il buon vecchio professor Vitious a lanciarmi un dimostrativo incantesimo Confundus e se questo potesse giustificare il mio stato mentale, o meglio, la completa assenza del mio stato mentale.

Mi perdevo ad osservare il modo infantile in cui piegava la testa per scrivere, e i suoi occhi quando si voltava brevemente verso Sirius; aveva lo sguardo di chi osserva la propria vita come se fosse soltanto un’insipida replica, un’inutile accozzaglia di ipocrisia, egoismo e falsa moralità.

La finzione che condannava e sosteneva allo stesso tempo.

Amavo la sua rabbia perché mi appagava e la sua rassegnazione perché mi aiutava ad affrontare l’inevitabile.

E la mia condizione era inevitabile. Lei invece ha sempre avuto la possibilità di scegliere…

L’immancabile e rumorosa presenza di Sirius al mio fianco mi manteneva cosciente abbastanza da farmi ricordare che gli incantesimi Confundus erano materia del terzo anno, e che se mi fossi mostrato ancora una volta a intingere la piuma d’oca in un calamaio vuoto, non avrei avuto pace per almeno una settimana. Sirius rimaneva sempre… Sirius.

Mi accorsi, invece, che Narcissa cambiava impercettibilmente in sua presenza; mostrava di sé, in quelle poche occasioni, più di quanto facesse giornalmente circondata dalle persone che dicevano di volerle bene.

Si fidava di lui e non mentiva; a volte sembrava persino felice…

Cominciai a fare in modo di trovarmi continuamente al fianco di Sirius e non mi accorsi che lui, con un’espressione imperturbabile degna di sua cugina, mi agevolava in questa impresa.

O almeno tentò di farlo fino a che i provvedimenti disciplinari di casa Black non coinvolsero anche lui…



Tu cos’hai intenzione di fare? Torni a casa?”

Forse ti è sfuggito il tono di nostra madre, fratellino, non si trattava propriamente di un invito.”

Comunque sia, se tu rimani, rimango anch’io.”

Non possiamo. Si convinceranno che li stiamo sfidando e ci verranno a prendere. Sono capaci di farlo.”

Certo che lo sono, guarda cos’hanno fatto ad Andromeda!”

Ehi… Andrà tutto bene.”

Narcissa cosa fa?”

Lei torna.”



Insieme al Natale giunsero anche i permessi per tornare a casa e io, come al solito, stracciai il mio senza neanche finire di leggerlo. Il periodo delle vacanze natalizie cadeva sempre in modo tale da comprendere un plenilunio, non potevo sopportare di rovinare le festività ai miei familiari con l’ennesima trasformazione. Inoltre a Hogwarts avevo un luogo sicuro dove non potevo fare del male a nessuno e c’era Madama Chips, che mi avrebbe rimesso in sesto subito dopo; senza Padfoot e Prongs mi sarei massacrato e i miei sarebbero stati costretti a chiamare un guaritore che non potevano permettersi.

Dopo il fallimentare tentativo del primo anno, anche Sirius aveva smesso di tornare a casa per Natale, e quando i suoi genitori non si mostravano particolarmente impazienti di rivederlo, anche James si univa a noi. Quell’anno, mentre consumavamo l’ultimo pomeriggio prima delle vacanze davanti al caminetto della Sala Comune, Sirius disse che sarebbe tornato a casa.

Annuii evitando di fare domande di cui conoscevo la risposta e lo osservai partire il giorno dopo sulla stessa carrozza che ospitava sua cugina e suo fratello; James, che se ne sarebbe andato nel pomeriggio con il secondo gruppo, lo fissava preoccupato.



Quando tornarono a scuola, dopo le festività, fu chiaro che in casa Black era accaduto qualcosa di irreversibile. Incrociai Sirius mentre scendevo dal dormitorio, osservai in silenzio i suoi movimenti lenti e stanchi e gli occhi cerchiati a evidenziare lo sguardo ferito.

“Non potevo accettare quelle conseguenze.” disse soltanto, poi mi posò brevemente una mano sulla spalla e continuò a salire. Dovetti aspettare il giorno seguente perché James mi spiegasse che se n’era andato da casa e non vi sarebbe ma più ritornato.



Sirius non ha mai imparato a controllare i sentimenti come Narcissa. A volte ho desiderato che neanche lei riuscisse a farlo…



Regulus Black rientrò a scuola con due giorni di ritardo e la prima cosa che fece, fu di cercare suo fratello.

Conoscevo Sirius abbastanza bene da sapere che se aveva chiuso definitivamente i rapporti con i suoi genitori, non significava che desiderasse fare altrettanto con suo fratello, ma rimanere in contatto soltanto con lui avrebbe comportato una scelta che non gli competeva: quella di Regulus.

Rimasero immobili l’uno di fronte all’altro, in mezzo al corridoio affollato, e solo quando alcuni Serpeverde del terzo anno interruppero il silenzio sciorinando commenti poco lusinghieri verso noi Grifondoro e accennarono a trascinare via il loro compagno, decise che valeva la pena esporsi un’ultima volta.

Gli afferrò brevemente il braccio, trattenendolo.

“Mi dispiace.” lo sentii sussurrare.

Qualcuno rise beffardamente, mentre lui, circondato da sguardi di disprezzo, chiedeva scusa a suo fratello perché non era andato tutto bene come aveva promesso.

Sollevai lo sguardo in tempo per scorgere il ghigno derisorio ancora stampato sul volto di Malfoy; la sua futura sposa era in piedi di fianco a lui.

“Davvero, mia cara” esordì a voce alta, in modo che tutti potessero udire “è una fortuna che la tua famiglia si sia liberata di un simile elemento.”

Osservai Narcissa aspettando incuriosito la sua reazione. Sapevo che Sirius era per lei forse l’unico affetto sincero, ma quando la vidi voltare le spalle e andarsene con fare altezzoso, compresi che proprio in virtù di quell’affetto, Sirius rappresentava per lei anche l’unico punto debole.

… E se lo stava lasciando alle spalle.

Obbligarsi a cancellare la sua unica debolezza…

E’sempre stata incredibilmente forte… e infelice nella stessa misura.

Camminava un po’ troppo velocemente per qualcuno che vuol dare solo l’impressione di uno sfoggio di superbia, e teneva la testa un po’ troppo alta e lo sguardo fisso…

Poteva pretendere d’ingannare chiunque, ma io sapevo perfettamente che se le lacrime premono per uscire, l’unico modo per trattenerle è sollevare lo sguardo e camminare a testa alta.

L’impeccabile e falsa freddezza dei Black…

e non esisteva gelo che il loro temperamento non riuscisse a sciogliere.



Forse solo Narcissa ne era consapevole già da allora, ma se l’intento della famiglia Black era di distruggere ogni complicità tra i più giovani e di educarli separatamente in modo che non ci fossero “influenze”, potevano ritenersi soddisfatti.

La frattura tra loro era già visibile.



Volevo che tu avessi la possibilità di scegliere la tua vita!” replicava Sirius, due dita a sostegno della fronte e lo sguardo stanco e basso sotto il peso delle sue scelte.

Se tu mi avessi davvero dato la possibilità di scegliere, io sarei venuto via con te!”

Glielo rinfacciava continuamente.

E la crepa diveniva sempre più profonda…

Narcissa smise di venire alla Torre e Sirius rinunciò a farsi perdonare da suo fratello.

Io invece non riuscivo ad impedirmi di pensare a lei.

Me la ritrovai davanti la sera di un plenilunio; mi stavo recando in infermeria in modo che Madama Chips mi potesse accompagnare al Platano e non credo che fosse una casualità la sua presenza lì: niente era casuale nella vita di Narcissa Black.

Mi fissò con un sorriso dolce, non c’era alcuna maschera sul suo volto.

“Stai attento a non cadere, stanotte.” mi disse semplicemente.

Sapeva.

Lei sapeva.

Niente era casuale.

La sera successiva mi raggiunse in infermeria. Ricordo il silenzio quieto della notte e il buio consolante, la luce mi feriva gli occhi dopo la trasformazione. Non c’era nessun’altro nella stanza.

Mi accorsi di lei nell’istante in cui entrò, percepii lievemente il suo odore: una colonia antiquata e sensuale.

Feci per alzarmi, ma lei mi trattenne.

“Resta giù.” disse. “Dev’essere stata una brutta caduta…”

Sapeva la verità e voleva che io lo capissi, ma non che la temessi. Era prezioso per lei quel segreto, quasi quanto lo era per me.

La osservai in silenzio, inclinando la testa sul cuscino: non mi era mai sembrata tanto bella.

Le ombre dei desideri, uccisi per sua stessa volontà, a tingerle gli occhi di blu scuro.

Più alcuna traccia del celeste infantile…

Si sedette sul bordo del letto senza abbassare lo sguardo.

“Non riesci a dormire?” sussurrò chinandosi su di me.

“Non ci stavo nemmeno provando.” riuscii a rispondere, sebbene il suo profumo mi giungesse intenso per la prima volta.

“Bene.” disse lei piegando le labbra deliziosamente. “Non provarci.”

Si ritrasse leggermente e posò sul tavolino di fianco al letto un oggetto che prima non avevo notato.

Era un piccolo carillon e all’interno della sfera un lupo ululava alla luna, circondato da una foresta eternamente verde. Girò più volte la chiavetta e lo lasciò suonare.

Mi raccontò che la voce di sua madre ancora la tormentava con la sua petulante e spaventosa tiritera:

Dormite bambine finché la musica suonerà, o il lupo verrà a prendervi quando essa finirà…”

Ricordava lo sguardo di sua sorella Andromeda, lei non prestava attenzione alle storie di sua madre, e quello di Bellatrix, così sfrontato da credere che avrebbe sfidato il lupo… e vinto, sicuramente.

Ma lei… lei ne aveva avuto paura.

… Prima di cominciare a desiderare che il lupo la portasse via per davvero.

Non dormire.” ripeteva tra sé nel buio della notte, aspettando che la nenia terminasse, ma non succedeva mai niente.

Mi disse che non dormire non era sufficiente e che dopo tutti quegli anni aveva smesso d’illudersi.

Non credeva più in una via di fuga.

La melodia s’interruppe insieme alla sua voce, sentii l’ultima nota risuonare nella stanza deserta.

L’ultimo rintocco cristallino…

La osservai, rapito da quel suono e da lei, e sollevandomi dai cuscini le sfiorai il volto con le dita. Era soltanto tiepida, ma mi parve che non esistesse gelo che lei non potesse sciogliere. Così come ribolliva di rabbia, poteva ardere di passione…

“La musica è finita.” disse con voce suadente. “Tu cosa farai?”

Io la baciai.

Fu la prima ed ultima notte che trascorse con me.



Fui irruente con lei, forse sarei riuscito a trattenermi se avessi voluto, ma lei sembrava non desiderare affatto quel tipo di premure; voleva vivere l’istinto primitivo e semplice.

Lei stessa pretese che la mia smania la sopraffacesse, giocò con il lupo sfoderando le sue stesse armi: denti e unghie e fu la compagna capace di metterlo a tacere.

… L’unica che non fosse la luna.

Amai la rabbia con cui lo risvegliava e la forza scaltra con cui riusciva a domarlo, e quando ci abbandonammo esausti, lo sentii ululare dentro di me e poi acquietarsi appagato.

La mia luna.

Lei si addormentò, io non ci riuscii.

Non dormire…” mi aveva detto.

Affondai una mano nei suoi capelli scomposti e vi rimasi intrappolato.

Non ne sarei mai uscito…

Un labirinto di pelle candida e selvagge ciocche dorate.

Amai ciò che di sé rinnegava e nascondeva, come faceva lei con me, e nessuno dei due comprese l’errore dell’altro.



Tra le nebbie confuse dell’infanzia, entrambi ricordavamo una foresta.

Ma la sua era bella e perfetta, racchiusa in una sfera di vetro e cullata da una musica leggermente ipnotica, mentre la mia era reale, umida e spaventosa.

Lei sgranava sorpresa i suoi occhi di bambina osservando il piccolo lupo che ululava alla luna, io i miei terrorizzati e increduli di fronte ad una bestia ripugnante.

Lei, senza saperlo, desiderava un mostro che la portasse via. Io lo ero diventato.



Avremmo potuto scegliere un’altra vita, diversa, ma insieme; oppure fermarci senza permettere all’istinto di sopraffarci, come avevamo sempre fatto prima di trovarci.

E invece, ancor oggi, passiamo le notti a rimpiangere quell’unica occasione e i giorni a maledirla.

Abbiamo fatto una scelta ed era quella sbagliata.





La sua finestra é illuminata.

La osservo silenziosamente, con le mani infilate nel pastrano troppo pesante per questa serata tiepida e gli orecchi tesi, nel caso qualcuno passasse per strada.

Non ho con me il Mantello dell’Invisibilità, Moody non ha potuto prestarmelo e so che a niente servirebbe l’invidiabile repertorio di scuse messe a punto da James e Sirius, se qualcuno mi scoprisse nel giardino dei Malfoy.

Sono passati nove anni da quella notte in infermeria, il suo bambino ne ha già quattro e il cerchio della luna è quasi perfetto: tra due giorni ci sarà il plenilunio. Sento il consueto formicolio nelle braccia e nelle gambe e so che domani si trasformerà in tensione.

In tutti questi anni non l’ho mai cercata, mi sono tenuto a distanza perché il lupo continua a reclamarla incessantemente ad ogni luna piena, e anche perché sono stanco e deluso dalla famiglia Black. Dei suoi astri luminosi Narcissa è l’unica che splende ancora, ma lo fa per la casata dei Malfoy.

Piegata, ma non spezzata.

La morte e la follia hanno reclamato gli altri.

I vetri della finestra sono socchiusi, mi avvicino con discrezione per sentire la sua voce e riconosco la musica prima ancora di vedere il carillon posato sul tavolo.

Dormi, bimbo mio, finché la musica suonerà o il lupo verrà a prenderti quando essa finirà.” la sento sussurrare mentre prende in braccio il figlio.

Ha un tono di voce che non riconosco, è prossima al pianto e anche il bambino se ne accorge perché le getta di slancio le braccia al collo.

“Non aver paura, mamma, se arriverà il lupo papà lo ucciderà.” le dice affondando il visino nei suoi capelli.

Sobbalzo. Un gatto mi sta osservando con occhi gialli inquietanti, gli lancio un’occhiata furiosa e quello scappa. Ormai non ho più alcuno scrupolo a sfruttare la licantropia: la guerra ha cancellato questo tipo di remore.

Quando rialzo lo sguardo lei sta piangendo.

“Certo…” mormora senza smettere di cullare suo figlio “… tuo padre lo ucciderebbe.”

Ha il volto rigato dalle lacrime.

Ascolto la melodia che si conclude, l’ultima nota incerta si diffonde nell’aria…

Solleva gli occhi ancora lucidi e finalmente incontra il mio sguardo.

Merlino, l’amo ancora.

… E l’ho sempre ritenuto un errore…

La musica è finita.” leggo le sue labbra che non emettono alcun suono. “Tu cosa farai?”

Ma la risposta, mia unica compagna, ce l’hai tra le braccia.

Abbiamo scelto molto, molto tempo fa.



FINE:

  
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