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Autore: PeterLinus    30/11/2012    0 recensioni
Credo nei momenti, quei momenti che rimbombano in testa, quelli che permangono, che la mente rivive milioni di volte, quegli attimi sono immagini vivide, credo nell'attesa, nell'agonia del dubbio, quando sei li con il telefono in mano indecisa se fare quella telefonata, senza fiato, quando quel qualcuno dall'altra parte della cornetta risponde...e poi?
Non è solo una storia, è un insieme di emozioni di ragazzi e ragazze che casualmente si incontrano, si conoscono, stringono amicizie, si innamorano. Ogni personaggio ha un ruolo ognuno è unico. e io mi sono permessa di leggere nella loro mente e scrivere tutto sulla pagina bianca. Perchè Marco, Francesca, Eleonora, Valentina, Alessandro, sono ragazzi che amano, come tutti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 2: Amici come prima

 

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A volte sentire i commenti acidi delle mie amiche (perlomeno coloro che avrebbero dovuto esserlo) su di me e su come mi comportassi mi faceva stare male, soprattutto perché ero stata io stessa ad ispirarli.

Gli avevo raccontato ogni piccola porzione della mia vita e delle mia storia perché volevo essere sorretta, aiutata, confortata, da qualcuno.

Tutte quelle cose brutte, tutte quelle voci non le venivano mai a dire alla sottoscritta: buon viso a cattivo gioco, proprio come faceva quella faccia d'angelo per cui avevo tradito Marco.

Bastò un finto sorriso e un paio di finte parole carine e io mi buttai in quello che sarebbe stato poi il più grande casino della mia vita.

Sesso senza amore,

così dicevano.

Tutte le mie amiche erano convinte che fossi una specie di puttanella a comando. Lui chiamava io andavo, e facevo tutto quello che voleva, ogni volta. Effettivamente questo era proprio quello che succedeva, tranne un particolare, un piccolo particolare che non si poteva di certo considerare insignificante: Io lo amavo.

Amavo, non facevo solamente sesso. L'amore che sentivo dentro in quei minuti in cui lui si divertiva ad annullarmi e mortificarmi potevo sentirlo esplodere e crescere come un tumore che si stava espandendo, impadronendosi di quel poco che ancora era rimasto sano in me.

Violando le regole che io stessa mi ero imposta riguardo al fatto di farmi sentire al massimo un paio di volte a settimana, lo chiamai:

"Cucciola, come mai questa telefonata improvvisa?

Già ti manco?"

"Si"

"Anche tu, se potessi correrei subito da te, sul tuo letto, ora"

La solita storia, bastavano due parole e io impazzivo. Morivo dalla voglia di farlo mio ancora una volta, anche se, a pensarci bene, davvero mio non era mai stato.

"Vorrei che lo facessi"

"Lo so cucciola ma sono a Praga fino alla settimana prossima"

"A Praga?"

"Si, non te l'avevo detto?"

"No"

No non l'hai fatto, me ne ricorderei, no te non parli con me, non senti minimamente il bisogno di dirmi cosa cazzo fai quando non sei con me, non ti passa nemmeno lontanamente per l'anticamera del cervello, no. Io non esisto. Quando non sono con te sotto le lenzuola, non esisto.

"Credevo di si, comunque va beh non tornerò prima di lunedì prossimo"

mancavano nove fottuti giorni.

Ero incapace di parlare, troppo concentrata a reprimere una sfuriata che sarebbe sfociata in tanti insulti e un pianto isterico.

"Ce la farai senza di me fino a lunedì?"

"Si, mi inventerò qualcosa"

Mentivo, non potevo dargliela vinta.

"Brava, esci piccola, divertiti. Ma ricorda che sarai mia quando torno. Devo scappare. Un bacio. Ciao"

 

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Mi prese in giro in macchina da casa mia al bar, rideva e mi prendeva in giro.

Ordinò i due caffè, si mise di fronte a me e si accese una sigaretta.

Era una tipica giornata autunnale, ma dietro quelle nuvole scure che ormai stazionavano lì in cielo da giorni si intravedeva un po’ la luce del sole.
L'idea che fosse li e che si potesse intravedere mi faceva stare bene, sarebbero spuntati presto i primi raggi e la giornata sarebbe migliorata,

come la mia vita, con Alessandro vicino.

Il mio sguardo passò dal grigiore del cielo al fumo della sigaretta, al suo cappotto nero e alla sua espressione pensierosa prima di confondersi con il suo.

Osservare è sempre stato quello che sapevo fare meglio, adoravo spalancare i miei occhi castani e sbirciare il mondo,

sempre con una bella dose di fantasia, dipingendolo a volte migliore di quello che era. Emozioni e attimi si confondevano e gli occhi cercavano di parlare per me e di farmi capire mentre spesso le parole restavano bloccate ancora prima di lasciare l'angolo ignoto del cervello in cui venivano generate.

Adoravo guardare intensamente gli occhi di qualcun altro, soprattutto quando riuscivo a leggere cosa volevano raccontarmi:

Con Ale ci riuscivo, gli sguardi tra noi erano sempre più eloquenti di ogni spiegazione, battuta, discorso.

In quel pomeriggio mi parlò degli ultimi mesi che aveva trascorso, in cui non ci eravamo sentiti:

Aveva litigato con suo fratello perché voleva trasferirsi a Berlino da una ragazza che aveva conosciuto ormai da un paio di anni, lasciando suo padre a casa da solo con lui.

"Ele io non ce la faccio da solo, lui ha bisogno di aiuto e io non so come…"

Gli avevano diagnosticato una forma di leucemia senile, aveva bisogno di trasfusioni una o due volte al mese, peggiorava di giorno in giorno…

parlò prevalentemente lui, della sua famiglia, di come stesse crollando poco a poco tutto e di come fino al mese scorso non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi in questa brutta situazione, si scusò con me per non essersi fatto sentire, sapeva che era colpa sua e anche se non l'aveva mai ammesso ne l'avrebbe ammesso oggi, domani, o dopodomani, mi considerava davvero importante.

Quest'ultima cosa, che ovviamente non mi disse, la colsi, ne ero sicura,

parlarono i suoi occhi.

Mi sentì in colpa per averlo giudicato, per aver pensato in quest'ultimo mese che lui mi avesse usato come e quando gli era stato comodo per poi salutarmi quando non voleva avermi intorno. Ora che sapevo che non era mai stato così avrei voluto sapermi esprimere meglio, sorridergli e dirgli che gli volevo bene e che gli sarei sempre stata vicina, che anche lui era importante per me e che insieme, come avevamo fatto fin'ora avremmo potuto affrontare tutti i mali del mondo.

 

Ma non lo amavo? Non era questo che gli volevo dire?

Forse no…

Ci stavo pensando mentre lo sentivo parlare dell'ultima figuraccia che aveva fatto con il padre di un suo amico,

che forse era davvero tutto li, e lo era sempre stato, incredibilmente vicino quanto incredibilmente lontano.

Non sentivo il minimo bisogno di sfiorarlo, ne di baciarlo,

 di abbracciarlo si, ma come un amico, un caro amico,

il più caro al mondo.

 

A casa quella sera stessa gli scrissi un messaggio che non avrei mai inviato:

 

"Ero arrabbiata con te solo perché ho avevo paura di perderti,

ora non ne ho più,

Amico mio ti voglio bene,

come prima,

come sempre."

 

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