Sonata al chiaro di luna
Disclaimer: i soliti
Camminava solitario, tra la neve. Il primo Natale da quando era successo era
appena passato, e ora lui si ritrovava a vagare da solo, come al solito,
pensando a cosa era successo. La neve cadeva violenta su Londra quella sera, e
poco a poco se ne trovò quasi ricoperto; scosse le spalle per scuotersela di
dosso, battè un po’ le palpebre. Respirare gli faceva male.
Ancora avanzò a passo svelto, non volendo fermarsi davanti a niente e nessuno;
solo quando i piedi lo portarono in una via familiare si fermò.
Con le mani sprofondate nel lungo e consunto cappotto di lana grigia e ancora
ricoperto di neve, Remus Lupin dimostrava molto più dei suoi 39 anni. Fissava
quella che fino all’altro anno sembrava essere ritornata un luogo in cui si
sentiva particolarmente felice ed accettato, un luogo in cui aveva ritrovato la
gioia di vivere, in cui si era circondato degli affetti che per quasi 15 lunghi
anni l’avevano abbandonato. Alzò il suo volto scarno su Grimmauld Place 12,
il luogo invisibile e rimase lì fermo, indeciso se entrarvi o meno. Sui dondolò
leggermente nell’attesa della risoluzione. Chissà cosa gli altri stavano
facendo. Molly aveva già preparato la cena?C’era anche Arthur? In effetti,
pensò con un filo di incoerenza, dovevano essere le nove passate. Se ne sarebbe
dovuto andare. Pensò che magari sarebbe dovuto entrare; erano giorni che non si
faceva vedere dai membri dell’Ordine. Erano giorni che era sprofondato nella
sua solitudine, erano giorni che qualsiasi essere umano non lo vedeva. Magari
Dumbledore mi darà per disperso, pensò, non preoccupandosene realmente;
entrare ora in quella casa sarebbe significato mettersi l’animo in pace.
Chiudere il cerchio. Essere pronto a perdonare il passato. A lasciarlo andare
via. E non era pronto.
Remus era morto dopo la sua morte, per la seconda volta; e non sapeva dire se
questa volta fosse stato meglio o peggio. Quando lo aveva perduto per la prima
volta, una rabbia cieca l’aveva invaso. Non poteva essere andata così,
pensava furioso. Non Sirius. E stentava a credere che il suo amico si fosse
davvero macchiato della colpa che poi si era rivelata essere di Peter,. Ma
questa volta…l’aveva visto lanciarsi nel furore della battaglia come non lo
aveva visto mai; gli occhi iniettati di quella che sembrava essere una follia
recondita, forse un male genetico di tutta la famiglia Black, forse un retaggio
di Azkaban. Lo aveva visto intraprendere un duello contro sua cugina Bellatrix
(E’ tua cugina, cazzo! aveva urlato nella sua mente ben sapendo che in realtà
non contasse molto) , quella stessa cugina Serpeverde con la quale non aveva
avuto il benché minimo rapporto neanche ai tempi di Hogwarts, se non per
urlargli di essere una troia di tanto in tanto. E quell’altra cugina, che
aveva ordito tutto, la sorella dai capelli del miele che gli era sembrata così
diversa da Bellatrix. Per lei Sirius non aveva mai speso parole, tranne quando
seppe del suo fidanzamento con Malfoy. Un male radicato, pensò ancora, mentre
fissava non realmente vedendola la grande casa verso la quale si era avviato non
rendendosene neanche conto. Gli faceva rabbia pensare che se la fosse cercata;
la follia dei Black serpeggiava viva negli occhi color della pece di Bellatrix,
e lui l’aveva deliberatamente sfidata, provocata. Una fitta allo stomaco ogni
volta. Se fossi vivo, almeno io non sarei solo
Era egoistico, lo sapeva; ma era stato così difficile per lui mostrarsi calmo,
sereno, dissimulare l’angoscia che si portava nel cuore subito dopo la caduta
di Sirius oltre il velo; l’aveva fatto principalmente per Harry, perché
sapeva che trauma doveva essere stato per il ragazzo. Ma non sapeva che il
trauma più grande l’aveva subito lui. Prima James e Lily, poi Sirius.
Scostò un mozzicone di sigaretta dal marciapiede imbiancato con la punta della
scarpa.
Non si accorse della sagoma nera che avanzava verso di lui leggermente, quasi
fluttuando; solo quando fu sufficientemente vicina si accorse che apparteneva a
Severus Snape.
L’uomo gli si avvicinò ancora, e lui fece finta di nulla, abbassando lo
sguardo ancora, come se in quel modo diventasse invisibile. Non voleva che Snape
gli andasse incontro.
“Remus Lupin?” chiese, e una nuvoletta di vapore caldo si sprigionò
nell’aria.
“Cosa?” rispose lui, un tantino bruscamente. Snape rimase a fissarlo. Anche
lui aveva una vecchia sciarpa verde girata più volte attorno al collo. Le rughe
del suo volto stavano diventando un tantino più evidenti, anche se i suoi
capelli rimanevano sempre neri come il carbone. “Che fine hai fatto?” chiese
ancora, senza mezzi termini. Remus lo fissò e distolse lo sguardo, non
rispondendo.
Severus annuì a se stesso “Forse faresti meglio ad entrare; i Weasley e
Potter sarebbero felici di vederti.”
“Quand’è che ha cominciato ad interessarti della felicità di Harry?”
sputò fuori, e subito si rese conto di aver parlato come Sirius. Snape lo fissò
un po’ “Ci sono molte cose che non sai, Lupin…” si voltò e cominciò a
camminare lentamente, superando Remus. La neve continuava a posarsi sui suoi
capelli scuri, creando uno strano effetto.
“Aspetta…” disse, fiocamente, e Severus si fermò in tralice
“Sto andando a bere qualcosa” fece l’insegnante di pozioni.
“Ti spiace…se vengo con te?” continuò a dondolarsi. Si era
improvvisamente ricordato che un bel wisky caldo gli sarebbe andato a genio.
Severus lo fissò un po’ in tralice e poi si avviò. Remus sembrò
trotterellargli dietro.
“Il paiolo magico” non era affollato quella sera. Moltissimi avventori erano
rimasti nelle loro case per le festività natalizie e i pochi che stavano seduti
nel locale erano stranamente quieti. Severus Snape trasse una sedia ad un tavolo
seminascosto del bar e si sedette, ordinando due wisky. Remus si sedette di
fronte a lui, fissandolo. Stettero in silenzio fin quando non arrivò
l’ordinazione, portata da una strega vestita in abiti pesanti. Severus se ne
versò un bicchiere e lo bevve tutto d’un fiato. L’altro lo fissò prima di
sorseggiare anche lui un po’ di bevanda.
“Così…” sentì Snape cominciare a dire, il tono della voce ancora più
basso di quello che usava solitamente. Remus notò solo allora che Snape portava
un sottile velo di peluria sul volto, come se l’uomo si fosse dimenticato di
radersi quella mattina. “…dove sei stato…in questo tempo?”
Remus vuotò il bicchiere “In giro…da nessuna parte…”
“Avresti potuto far sapere qualcosa…Molly…”
“Volevo rimanere da solo” sentenziò asciutto lui “Non volevo vedere
nessuno. Tu sei la prima persona che incontro dopo sei mesi.”
“Non deve essere stato un incontro piacevole” un sorriso stiracchiato si
disegnò sul suo volto.
Di nuovo, silenzio. Severus estrasse da una tasca del pesante mantello un
pacchetto di sigarette spiegazzato, ne estrasse una e cominciò a fumare. Subito
la strega che serviva ai tavoli gli portò un posacenere di legno.
“Non sapevo che avessi preso a fumare” disse con un filo di voce Remus, e
vide sottecchi l’altro uomo sorridere, come se Severus stesso avesse rivolto
quella affermazione a qualcun altro, in un ricordo perso tra le pieghe della sua
mente.
“Infatti lo faccio solo quando non sono ad Hogwarts…un vizio di gioventù”
Remus annuì scioccamente; gli sembrava surreale essere seduto in un bar con
Severus Snape che fumava a bere visky due sere dopo Natale. Dopo che si erano
odiati a morte...e forse lui odia ancora, riflettè il lupo mannaro.
“Dumbledore…” sbottò Snape, affondando il mozzicone della sigaretta nella
ceneriera “è preoccupato. Vuole che tu ritorni…dice che sei l’unico…per
Potter…”
“Non sono l’unico per nessuno” sbottò arrabbiato. Severus alzò un
sopracciglio “IO sono l’unico!Io!” urlò quasi, ma l’altro non si
scompose. “Harry ha i suoi amici…Ron, ed Hermione…” abbassò la voce.
Gli altri maghi si erano infatti voltati a guardarlo. “Io invece…non ho più
nessuno.”
Finalmente Severus si mosse, inclinandosi in avanti sul tavolo di legno rigato.
L’odore di alcol misto a pietanze gli dava la nausea. “Mi dispiace” disse
sofficemente, e fu il turno di Lupin guardarlo con un sopracciglio alzato. Ecco
qualcosa ancora di più surreale!
“Posso immaginare come tu ti senta”
Il volto di Remus fu attraversato da un sorrisetto ironico “Davvero?Sai cosa
si prova a rimanere soli? Sai come ci si sente quando sei rimasto…da solo?
James e Sirius, le uniche persone che mi hanno accettato per quello che
realmente sono, ora non sono più vive…e chi dovremmo ringraziare secondo
te?” alzò lo sguardo sull’uomo vestito di nero e quest’ultimo strinse gli
occhi.
“Mi stai accusando del mio passato, di essere stato…” abbassò la voce
tanto da ridurla ad un sibilo “…un Mangiamorte?”
“No; non ti sto accusando di niente.”
Piton prese un’altra sigaretta “Bene…perché io so cosa si prova, ad
essere te.” Silenzio, fin quando Severus non soffiò un’altra boccata di
fumo “Rodoluphus Lestrange, Bellatrix Black, Lucius Malfoy…non ricordi nulla
di loro?”
Remus cominciava a capire “Erano i tuoi…amici”
Severus annuì “Esattamente. E come sai, anche se Rodolphus e Bella sono a
piede libero, Lucius è stato imprigionato…Narcissa mi ha fatto capire senza
mezzi termini che anche io dovevo far compagnia a suo marito in cella. E, dal
momento che anche lei era…mia amica…puoi ben immaginare che i nostri stati
d’animo sono esattamente affini in questo momento.” Fu Severus a fissare
Remus questa volta, e l’uomo dai capelli striati di grigio si sentì
leggermente a disagio; sapeva che, almeno da giovane, Snape provava qualcosa per
Narcissa Black Malfoy, come amava gentilmente ricordare a tutti James, e il
fatto che il suo migliore amico fosse Lucius Malfoy non aveva reso certamente
facile le cose. In più, da come aveva parlato, sembrava proprio che Narcissa lo
ritenesse responsabile della cattura del marito, cosa che celava un risentimento
per il tradimento di Snape forse mai sopito.
“Allora puoi capirmi…non mi ero mai fermato a riflettere su quanto fossero
uguali le nostre condizioni.”
“Siamo gli unici sopravvissuti.” Disse tetramente Snape “Per questo almeno
tu faresti bene a riconciliarti col mondo…ti sono rimaste altre persone da
voler bene.” Si alzò, lasciando qualche falce sul tavolo come conto. Remus lo
fissava ancora.
“Devo ritornare ad Hogwarts, ora.” Annunciò, asciutto.
Lupin annuì anche se l’altro non poteva vederlo “Severus…aspetta”
L’altro si fermò, irrigidendosi. Ma non si voltò.
“Mi dispiace…davvero. Mi dispiace anche per l’inutile guerra che c’è
stata tra di noi ai tempi di scuola. Ti chiedo scusa a nome di James e Sirius.
Anche…per aver tentato di ucciderti.”
Silenzio; sembrava che Snape non avesse ascoltato affatto quelle parole e fosse
rimasto lì, congelato. Invece, dopo un po’, un angolo della sua bocca si alzò
“Riguardati.” Disse semplicemente ed uscì dal pub.
Remus rimase a fissare i due mozziconi di sigarette finchè la cameriera gli
chiese se desiderava qualche altra cosa da bere. Lui scosse il capo e si avviò
fuori dal locale, dove fu investito da un’altra tormenta di neve. Snape era già
scomparso.
Questa storia mi è uscita all’improvviso. Volevo scrivere qualcosa su
Lupin. So che non significa nulla ma passatemela. Dedicato soprattutto a
Galadwen e Tonks che mi hanno fatto pensare (per qualche secondo) con la testa
di una Grifondoro.
Il titolo viene appunto da una bellissima sonata di Beethoven “La sonata al
chiaro di luna”, appunto. Il fatto che poi la luna mi richiamava a mente Lupin
non fa che rafforzare la cosa. Se potete ascoltatela. Amechan