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Autore: Lost dream    01/12/2012    0 recensioni
"Scappa con me" mi urlava mentre il giardino innevato scompariva dalla mia vista.
Cos'è la felicità mi chiese un giorno un vecchio saggio? Sinceramente non seppi rispondere.
E forse non saprei rispondere neanche adesso, perchè non si può dare un nome alla felicità, specialmente se sei un sociopatico.
So soltanto che Maria Grazia ed io la provavamo mentre eravamo insieme, stando insieme eravamo felici, divisi eravamo solo come delle biglie in un universo immenso e spaventoso.
Lei una ragazza piena di paure e di incertezze ed io un folle, un folle carico di normalità.

Qui amant ipsi sibi somnia fingunt
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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La Reticenza del Movimento di A. Raffaele Calafiori

 

 

Capitolo XVII : “In punta di Piedi” (Nathalie Giannitrapani)

 

 

Che dolore che si prova a riveder ciò che ti ha dato tanto tormento, che dolore che si prova guardando la donna che si ama, che dolore che provo adesso mentre la guardo, lei bellissima ed io un folle.

 

Quando cammina io non respiro, quando lei parla io mi muovo disordinatamente e quando lei mi osserva io mi sento cadere come se fossi in un sogno.

 

Già solo a pronunciare il suo nome la mia vita si fa più allegra, se poi la sfioro non riesco ad eccitarmi perché lei non ha quell'eleganza femminea che ti fa scaturire pensieri sconci.

Lei ha un'eleganza che descriverla sarebbe banale, lei quando cammina, anche se con i tacchi, lo fa in punta di piedi.

 

Quando lei passeggia sembra di stare con la creatrice della grazia e della classe sulla terra, sembra, insomma, lo specchio di Dio sulla terra. Lei è la mia Beatrice.

 

“Ciao”. Dissi ancora frastornato dal suo arrivo.

 

Lei si avvicinò e senza proferir parola mi prese la mano e la accarezzò “Come hai fatto a sapere che ero qui?” chiesi con gli occhi ormai inumiditi.

 

Lei mi fissò con un mezzo sorriso e sempre continuando ad accarezzare la mia mano disse “Miranda”.

 

“Sai, ho dovuto rivalutare quella donna” dissi divertito “Ho creduto che fosse un mostro e molto probabilmente lo è stata, ma adesso sembra quasi...” “Buona” concluse lei.

 

“Già”

 

“Ti amo” Mi disse.

 

“Non so se te l'avevo già detto Diatene, ma da quando sei partito non vivo più, oltretutto non ti sei fatto sentire, né un email né un messaggio. Sono stanca di avere a che fare con gente banale. Io voglio stare con te”.

 

Non sapevo davvero cosa rispondere, l'amavo ma non riuscivo a dirglielo.

Dire ti amo è una cosa puramente cinematografica nel senso che noi abbiamo paura di dire ti amo non perché davvero questa parola sia spaventosa ma solo perché i telefilm americani ci fanno pensare che solo una volta nella vita si può dire “ti amo” o comunque se non è una volta è poche volte.

 

Pur non riuscendo a dirlo non sono d'accordo perché nella mia vita io ho amato tante persone, io ho amato Rosalie, ho amato Wosh, Bobò, la Sig.ra Bellont, Albore, ho amato Juliana, Gherardo, Miranda, i miei genitori, lo strano ragazzo greco, Maria, Carmelina e soprattutto Maria Grazia.

 

 

Nella mia vita ho amato tanto e ho sempre cercato di manifestare il mio affetto nel modo più palesemente possibile ed ora che dovevo dirlo davvero non ci riuscivo.

 

Ripeto non perché l'amassi ma perché mi sembrava una cosa ovvia, così ovvia da far paura.

 

“Maria Grazia, mi sei mancata così tanto che tuttora non riesco a credere che tu sia qui davanti a me, per me sei così importante che non posso più lasciarti andare, io credo che tu sia la persona più importante nella mia vita”.

 

“Però...” Fece lei per aiutarmi “Però non posso stare con te”.

 

“Non posso farlo perché tu sei così bella ed elegante mentre io puzzo da fare schifo; e non posso farlo perché mentre tu cammini in punta di piedi io lo faccio come un cavallo al galoppo; ma soprattutto non posso perché non sto bene.

Ho una situazione familiare poco chiara che mi fa impazzire, Maria Grazia io ho ucciso mia sorella, odio i miei genitori e non capisco più chi sia il buono e chi il cattivo. Ho uno zio molto particolare che a volte amo a volte no, ed è sposato con una ragazzetta.

Io ho appena avuto un'emorragia e non so da cosa sia stata dovuta.

Non posso perché mi sono accorto che la mia vita è troppo incasinata e non voglio che tu ci vada di mezzo. Maria Grazia ti amo troppo per permetterti di stare insieme a me”.

 

“No, tu non capisci Diatene” continuava lei


“La mia vita senza di te è scialba Diatene, io non vivo...cammino. Io non parlo...sospiro. Io non voglio bene...provo affetto.

Tutto ciò non voglio che avvenga più, voglio amarti, voglio fare l'amore con te e voglio sentirmi viva.

Voglio mangiare tutte le pizze del mondo con te e soprattutto voglio che tu sia il mio accompagnatore in qualunque cena io debba andare, voglio che tu mi ami e voglio stare con te.

Infine desidererei che tu affrontassi tutti questi problemi con me affianco, non voglio abbandonarti. Solo insieme riusciremo a risolvere tutte queste problematiche che ti affliggono.

Ma se tu ti rinchiudi in te stesso e affronti ogni cosa sempre da solo finirai per deprimerti.

E invece di risolvere tutti i tuoi problemi ti ritroverai sempre in questa clinica.

Vuoi finire come loro?” disse indicando il di fuori della stanza.

 

“Ma io...”

 

“Ora basta parlare Diatene, concediti a me per la prima volta”.

 

Si avvicinò sempre di più per stamparmi un bacio sulla bocca, il più bello ed il più sentito di sempre.

Era una donna speciale ed ero contento che fosse proprio lei la mia “lei”.

Maria Grazia si staccò mi tolse la maglietta e poi andò a chiudere la porta della stanza.

 

“Ciò che succederà sarà solo nostro”.

 

Poi fissò il muro e continuo “e anche delle pareti della stanza” rise un attimo e si avvicinò.

 

Riprese a baciarmi e stavolta non era amore che traspariva dai suoi occhi ma libidine.

 

 

 

 

La mattina successiva Maria Grazia era ancora con me, io sdraiato sul letto come un malato e lei sulla poltrona come la povera disgraziata che deve accudire il malato.

 

Quell'immagine mi fece così male che riuscire a riprendere sonno era ormai impossibile.

 

Non ci potevo credere: era quello che sognavo da tempo, eppure non riuscivo a farlo.

 

Se Maria Grazia mi avesse scelto la sua vita sarebbe cambiata, se lei si fosse privata della possibilità di una via d'uscita il suo animo sarebbe morto insieme al mio che era così lacerato da essere alla fine della sua vita.

 

Non potevo permettere che lei, la mia amata, si rovinasse la vita.

Aveva il diritto a ridere, a scherzare e ad avere tanti bei figli e tanta serenità.

Con me tutto ciò non sarebbe mai potuto accadere, era quasi come se ci fosse una maledizione su di me che non mi permetteva di vivere completamente.

Ed io non avrei mai permesso che a causa mia Maria Grazia potesse provare cos'è la depressione poiché solo io DOVEVO provarla, lei semmai doveva solo saperla pronunciare ma era una cosa che non la riguardava e sarebbe stato così per sempre perché così avevo deciso.

 

Mi alzai dal letto ed uscii da quella stanza per ritrovarmi in un lungo corridoio che sembrava quasi interminabile.

Capii di essere al quarto piano dell'Ospedale Psichiatrico, quello delle celle di isolamento.

 

Non ero mai stato qui poiché non ne avevo mai avuto bisogno, anche se la mia amica Rosalie aveva passato in questo luogo la maggior parte delle sue vacanze di natale -momento in cui la sua depressione saliva- e il suo ricordo ancora così fresco mi fece lacrimare di nuovo.

Iniziai a camminare per questo corridoio e mi resi conto che alla fine dei due lati -sinistro e destro- c'erano due scalinate.

Quella di destra saliva e quella di sinistra scendeva. Non mi ci volle molto a capire che quella che scendeva era la scala che mi avrebbe portato pian piano al salone principale mentre quella che saliva portava al famoso quinto piano segreto dove noi non avevamo accesso.

 

Così andai verso destra spinto dalla curiosità per sapere cosa c'era in questo piano e una volta arrivato lì davanti iniziai a salire gradino dopo gradino per poi arrivare ad un portone enorme.

 

C'erano due pomelli dorati e una specie di tassello al centro della porta che portava scritto il nome di Miranda.

Poi mi venne in mente il racconto di zio Gherardo e capii che quella era la famosa casa che nonno aveva regalato a Miranda e dalla quale poi lei ha fatto erigere l'Ospedale.

Quella era la casa da cui era partita tutta quella cupa storia che aveva assalito la sua famiglia.

 

Stranamente, quasi come se fossi in un film, la porta non era spalancata ma comunque aperta.

Infatti intravedevo uno strano baluginio dall'interno.

Cercai di osservare attraverso quello spiraglio ma non riuscivo a vedere nulla così entrai totalmente aprendo la porta con estrema cautela.

 

Vidi di fronte a me una delle case più semplici che avessi mai visto, non riuscivo a credere che Miranda potesse vivere in una così semplice baracca che però aveva la porta più bella che avessi mai visto nei brevissimi mesi in cui avevo conosciuto il mondo.

 

 

I mobili erano tutti antichi, sicuramente valevano parecchio ma esteticamente erano un pugno nell'occhio perchè non erano di quell'antico elegante ma di quell'antiquato e sporco marrone che faceva sembrare quelle mensole e quegli armadi presi dalla spazzatura.

 

Una volta entrato completamente vidi davanti a me solo tre porte, la prima era aperta e da lì si intravedeva un bagno, quella dell'altro lato era chiusa e non mi andava di curiosare in giro; invece quella centrale era semi-aperta.

Era da lì che proveniva quella luce, seppur così fievole, tetra e spaventosa.

 

Anche se in quel giorno ogni cosa mi sembrava tetra, perfino le mie stesse mani lo sembravano che camminavano proprio davanti a me come a voler dire di essere importanti.

 

Mi avvicinai sempre più alla porta e poi la aprii e dentro c'era Miranda vestita con una sottana da notte a bere acqua mentre era seduta sul suo letto matrimoniale posizionato sotto un crocifisso che osservava ogni sua mossa.

 

“Diatene, come hai fatto a venire fin qui?”. Chiese sobbalzando.

 

“Non è importante il come, ma il perché Miranda”. Dissi quasi piangendo.

 

“Proprio non ti viene zia, eh? Be' ti capisco”.

 

Mi andai a sedere vicino a lei e subito dopo lei mi diede un bacio sulla fronte, mi prese le mani e le unì poi disse “Devo parlarti”.

 

“Di cosa?” chiesi nonostante sapessi di cosa doveva parlarmi.

 

“Di tutto, di ogni verità della tua vita Diatene, di tutto ciò che ti abbiamo nascosto”.

 

Decisi di rimanere seduto lì vicino a lei ad ascoltare pur sapendo che sarebbe stata una storia lunga e soprattutto pur sapendo che più volte avrei potuto avere scatti di ira ma decisi di restare vicino a lei ad ascoltare la vera storia della mia vita.

 

“Tua sorella non esiste, non hai mai avuto una sorella, e non hai mai ucciso nessuno.

Tua madre partorì un unica bellissima figlia che morì davvero all'età di pochi anni ma non a causa tua.

Quando nascesti tu decidemmo che non eri adatto a crescere con tua madre, perché lei era così incompetente che neanche ti voleva, lei era così stupida e così inerte che decise di affidarti alla sorella.

Ma la sorella di tua madre era una persona molto complessata, l'unica vera folle della famiglia.

Tua zia decise ad un certo punto che non era giusto che tu crescesti con lei, voleva ridarti alla tua mamma naturale e così fece.

Tua zia finse un omicidio per sbarazzarsi di suo nipote e per riportarlo dalla madre naturale: io.

Io sono tua madre Diatene, Ilenia è solo tua zia. Ti ho affidato a lei perché pensavo che fosse più capace, ma lei dopo la morte della sua figlia naturale causata da una rara malattia decise di rimandarmi da te perché lei non voleva più crescere figli. Ilenia cadde in depressione e non voleva neanche occuparsi di suo nipote, cioè di te.

Fece in modo di riportarti da me, ed io ti feci ricoverare nella clinica psichiatrica come folle.

Sapevo benissimo che tu non lo eri, ma lo feci per stare vicino a te.

Lo feci perché potevo davvero dire di vivere e di occuparmi di mio figlio.

Tu non hai sorelle, ma solo cugine morte non a causa tua.

Tutto andava come previsto, tuo zio veniva a trovarti e tua zia ti scriveva tante lettere che non potevano esserti lette perché in quelle lettere lei ti diceva di non essere la tua reale madre.

Vedi mia sorella è sempre stata una persona migliore di me, si è pentita di ciò che ha fatto e ha cercato di riprenderti.

Veniva qui ogni giorno a dire di volerti tirare fuori da questa clinica e di volerti riportare in quell'orribile paesino della Calabria, insomma, voleva allontanarti da me.

Non gliel'ho permesso, perché ti volevo con me ma non avevo il coraggio di dirti la verità.

Quando tua zia Ilenia mi scrisse quella lettera dove mi diceva che dovevo rientrare in Calabria per firmare il completo passaggio di proprietà rimasi sorpresa ma venni lo stesso anche per poterti rivedere.

Quando dissi di volermi trasferire in Calabria tua zia la prese molto male, iniziò a pensare che volessi riprenderti con me, ma non era mia intenzione. Non volevo rovinarti la vita volevo solo conoscerti un po' di più e stare vicino alla mia bellissima creatura fatta con uno sconosciuto in una notte a caso.

Tua zia Ilenia mi aveva chiamato per ricattarmi, aveva intuito che io volessi trasferirmi da una precedente telefonata che avevamo fatto, così diede una tangente ad un notaio e fece fare a lui carte false, si procurò la mia firma e in quel contratto c'era scritto che io avevo deciso di donare volontariamente l'albergo a lei e a Gherardo. Poi venne da me e disse che se io ti avessi ripreso con me lei avrebbe reso pubblico quel contratto.

Così andammo al tribunale dei minori, lei bruciò quel contratto falso che aveva fatto ed io in cambio sotto scrissi un altro contratto in cui giuravo di starti alla larga e in cui dicevo che pur essendo la tua madre naturale lasciavo ad Ilenia il totale affidamento del mio unico figlio.

E non solo, se io ti avessi rivelato la storia avrei dovuto pagare una somma così ingente ad Ilenia che neanche quest'Ospedale bastava a ripagarla.

Così quella sera, la sera in cui tu sei andato da zio Gherardo, ci mettemmo d'accordo su tutto.

Io sarei ritornata a Boston e lei avrebbe rinunciato a tutti i diritti su quell'Ospedale.

Insomma Diatene quando mi venne chiesto di scegliere tra questo posto e te io scelsi questo posto.

Tua zia Ilenia invece fece di tutto per fare in modo che tu rimanessi con lei per sempre in quel paese terrificante.”.

 

“Sai Miranda” dissi provocatoriamente “Quel paese orribile come lo chiami tu mi ha insegnato tantissime cose.

Mi ha insegnato che non esistono differenze tra folli e normali, perché ciò che hanno fatto i folli lo hanno fatto anche i normali.

Gli omicidi e le torture fatte dai folli sono state fatte anche dai normali. E' questo il contenuto di quel paese. Rocca del Greco mi ha insegnato a conoscere le persone e mi ha fatto scoprire che i normali hanno fatto le stesse cose orribili dei folli. L'uomo compie le stesse scelte sia esso folle o normale.”

 

Ma questo non era solo il contenuto di quel villaggio, questo era il contenuto della mia opera.

Prima ho parlato di contenuti della narrazione, be' io con quest'opera non volevo parlare di problemi familiari o di scandali, questi sono solo la cornice.

Il contenuto della mia opera è che l'uomo è uguale in tutte le sue forme.

Perciò ogni tipo di luogo comune va abbattuto, sui neri, sugli omosessuali, sulle prostitute, sugli ebrei, sugli animali, sulle popolazioni del sud, sui folli e su tutte le altre cose.

 

Perché i luoghi comuni sono la rovina della nostra società, sono essi che distruggono l'intelligenza umana e che non permettono di far evolvere la società.

 

Ma Rocca del Greco, pur essendo un paese piccolo e insignificante, mi aveva aiutato a combatterli ed ora ero capace di pensare con la mia testa e quando un uomo pensa con la propria testa significa che siamo alla fine della storia.

 

“Scusa ma ora devo proprio andare”.

 

“Ma dov...?”.

 

“Te lo spiego dopo” dissi iniziando a correre.

 

Mi ci erano voluti anni e anni e finalmente avevo capito qual era lo scopo della mia nascita.

 

Fare guerra ai luoghi comuni, avrei scritto un libro. Il più bello di tutti contro i normali che denigrano i folli perché pur essendo normale preferivo considerarmi folle.

 

Corsi verso il salone principale sperando di trovare tutti lì e così fu.

 

Arrivato lì mi misi a piangere, erano tutti davanti a me a guardarmi.

 

C'erano Wosh, la Sig.ra Bellont, Bobò, Albore e tutti gli altri vecchietti con tutte le altre vecchiette: insomma c'era la mia vera famiglia.

 

Per anni e anni ho cercato una famiglia e non mi ero accorto che ce l'avevo proprio sotto gli occhi, in quanto io non ero figlio di Ilenia né di Miranda...ero figlio di questa struttura e di questa gente.

 

Wosh mi diede un abbraccio così grande che sembrava quasi interminabile, Bobò mi aspettava all'angolo del salone con un fiore come regalo per me, Albore mi diede una pacca sulla spalla, per lui era un po' più difficile esprimere sentimenti, e infine la Sig.ra Bellont mi baciò sulla fronte e mi venne subito in mente la scena di lei che si lanciava contro Juliana per farmi scappare dalla clinica.

 

Poi mi misi a cercare Juliana che stava portando il mangiare ad un signore che non conoscevo, appena mi vide posò il pranzo del signore e corse ad abbracciarmi.

 

Mi sentivo a casa.

  
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