«Quindi
sono il figlio, cioè la figlia, del Presidente degli Stati
Uniti
d'America - assentii, scribacchiando su un post qualche
appunto - Ho
sedici anni e mi chiamo Georgie»
La ragazza annuii, compiaciuta.
«Bel lavoro, cantante»
«Potresti smetterla di chiamarmi
cantante? -, gonfiai le guance irritato - Non ti
darebbe fastidio se
ti chiamassi studentessa? Ho un nome»
«Antipatico - borbottò -Figo e ricco ma antipatico»
«E' tutto logicalmente
impossibile» ripeté Luke per la dodicesima volta,
camminando avanti
e indietro per la stanza.
«Anche l'esistenza di un mondo dentro
un armadio era logicamente impossibile, Lu -
ridacchiò Susan,
rigirandosi un mozzicone di candela tra le dita - Quindi hai
espresso il medesimo desiderio nello stesso attimo in cui l'ha
espresso Georgie? Interessante -, abbozzò un
sorriso. - Non ci posso
credere, sto chiacchierando con Louis Tomlinson dei One
Direction»
«Devo ritornare nel mio corpo immediatamente, a
giorni inizia il tour, capisci? - sospirai, passando le mani
tra i
capelli. - Georgie non può andare, manderebbe tutto
a monte, e..»
Si
aprì la porta, da cui entrò un uomo dai capelli
brizzolati e
sguardo assente. «Signorina Parker, la chiama Suo padre.
L'intervista si svolgerà nella studio ovale tra pochi
minuti - disse
facendo un breve inchino - Il Presidente le raccomanda di
rispondere
adeguatamente ad ogni domanda a cui verrà sottoposta. Scusi
il
disturbo, con permesso», rifece l'inchino e
sgattaiolò via,
lasciandoci nuovamente soli.
«E' la fine - esclamai con fare
secco, gettandomi a peso morto sul divanetto - Che faccio
adesso?
Non so nulla, provate a chiamare Georgie»
Susan annuì e, svelta,
fece partire la chiamata attivando il vivavoce.
«Che vuoi?»
grugnì qualcuno dall'altra parte della cornetta; trattenni a
stento
una risata, immaginando la figlia ben educata e fine del Presidente
degli USA insieme ai casinari dei miei amici.
«Che intervista
avresti dovuto fare adesso?» chiese Susan, saltellando
nervosamente
su un piede fino alla scrivania dalla parte opposta della stanza.
- E'
per uno giornalino di gossip, niente di particolare»
spiegò - Adoro
stare in famiglia, ho un bel rapporto con mio padre, ho una vita
tranquilla e no, non sono fidanzata» Susan trascrisse
velocemente tutto su un foglio di carta, lo piegò in quattro
e me lo
porse, invitandomi a portarlo con me in caso di estrema
necessità.
«Se ti incasini, improvvisa un mal di pancia e corri via,
chiaro?»
rettificò la ragazza.
Annuii. «Cercherò di sopravvivere»,
sospirai con tono melodrammatico e, incrociando le dita, mi
incamminai lungo il corridoio. Mi ritrovai spiazzato nel trovarmi di
fronte una quindicina di porte bianco sporco, una delle quali era
leggermente socchiusa e dalla quale proveniva un groviglio confuso di
voci.
Mi avvicinai piano e bussai, per poi entrare con finta
non-chalance: dodici uomini erano seduti a cerchio sui divanetti in
pelle, e nascosto per metà dietro una scrivania –
sulla quale
stavano decine e decine di libri impilati ordinatamente l'uno
sull'altro – c'era il Presidente degli Stati Uniti in
persona.
Sussultai, quella era la prima volta che lo vedevo di
persona. «Cara, siediti pure» sorrise mestamente,
invitandomi con
un cenno del capo ad accomodarmi sulla poltroncina accanto a
lui.
Obbedii, stirando le labbra in un sorriso.
«Buongiorno»
dissi, salutando tutti con un cenno del capo.
«Buongiorno, Miss
Parker - salutò il primo giornalista, scrivendo
qualcosa sul tablet
che, per mezzo di una base d'appoggio, teneva sulle gambe.
- Passiamo
subito al dunque; in questo periodo la vediamo coinvolta nel progetto
VBB, la vendita per beneficienza dei biscotti della fortuna, cosa
l'ha portata a partecipare?»
Cominciai a giocherellare col
ciondolo a forma di infinito appeso al collo, nervoso.
«Bè, ecco..
è sempre bello fare del bene, no? Mi sono divertito,
divertita
volevo dire.. e sono soddisfatta dei risultati» balbettai,
accennando un sorriso spastico.
«Senza dubbio, quanto denaro
siete riusciti a racimolare?» chiese un altro giornalista.
Non ebbi
neppure il tempo di andare nel panico che un uomo – lo stesso
che
mi aveva avvisato dell'intervista pochi minuti prima –
iniziò a
sbracciarsi dietro le telecamere mettendo in mostra un cartellone con
una scritta blu fluo.
«Un milione e duecentoventotto dollari
circa» risposi, cercando di mostrarmi indifferente alla
notizia come
se ne fossi stata già a conoscenza.
«Un eccellente risultato,
non c'è che dire» assentì il primo
giornalista. «Passiamo ad
un'altra domanda..»
Feci
la doccia rimanendo in boxer, fissandomi quasi in trance il petto.
Ero un ragazzo, perdipiù carino e famoso. Non riuscivo a
capacitarmene; uno stupido giochino da quattro soldi si era
trasformato in un incubo.
Quanto sarebbe durata quella storia? E
se fossi rimasta nel corpo di Louis Tomlinson per anni o,
addirittura, per sempre? Cercai di scacciare via questi pensieri
dalla mente, dedicandomi piuttosto all'asciugatura dei capelli
–
lunghi un terzo dei miei; dopo averli gellati a dovere, mi diressi
impavida in salotto, ancora in accappatoio – e boxer -, ma
quando
mi accorsi di non essere sola in stanza era ormai troppo tardi.
«Lou»
esclamò una ragazza, saltandomi quasi addosso.
«Come stai, tesoro?»
chiese, avvolgendo le gambe alla mia vita.
Inghiottii,
imbarazzata. «Sto» risposi, fissando le sue iridi
verde chiaro.
Sorrise, mostrandomi due file di denti perfetti. «Mi sei
mancato
tanto» sibilò, socchiudendo le labbra e
avvicinandole piano alle
mie.
«Oh, s-sì - balbettai, girandomi di
scatto prima che
potesse baciarmi - Mi sta squillando il cellulare,
arrivo»
mormorai, prendendo il cellulare e chiudendomi a chiave in bagno,
girando lentamente la chiave in modo che lei non ne sentisse il
rumore. Premetti velocemente un paio di numeri sulla tastiera, per
poi sollevare il cellulare fino all'orecchio destro.
«La tua
ragazza mi ha quasi baciato» spiattellai senza pensarci due
volte
non appena il ricevente accettò la chiamata.
«Sono il suo
fidanzato, è normale» borbottò Louis
– era strano sentire la mia
voce dall'altra parte della cornetta – schiarendosi la voce.
«Sono
una ragazza, idiota! - sbottai acida. - Mi fa
senso»
«Ma è carina -
ghignò - «Senti, possiamo vederci? Dobbiamo cercare
di tornare
ognuno nel proprio corpo, non la sopporto più quella
Susan»
«Almeno
non sei costretta a baciarla - borbottai - Dove mi
trovo esattamente
adesso?»
«Washington, a pochi isolati da qui. Domani i One
Direction canteranno per il Presidente Parker»
«Che?! -
strillai, tirandomi uno schiaffo sulla fronte - Vienimi a
prendere,
ora»
-
Sto aggiornando dopo sei giorni, cioè
boh HAHAHA
Grazie mille per le otto recensioni al capitolo passato, davvero.
♥
Che dire.. spero che anche questo vi sia piaciuto!
Nel prossimo capitolo Georgie e Louis si incontreranno per la prima
volta.. che succederà? uu
Al prossimo capitolo! ;)
«Filofobia - annuì, abbozzando un sorriso - Soffri di filofobia, la paura inspiegabile di innamorarsi o amare una persona»
«Questa l’ha cercata su Google, lo ammetta - assentii, saltando in piedi e dirigendomi imperterrita verso l’uscita - La seduta è finita, grazie tante»