Il giorno dell’eroe
Quella mattina il ragazzo che
portava il nome del conquistatore, Alessandro, si alzò per andare a scuola.
Il mattino era nuvoloso e cupo,
così come la sua mente era avvolta nella nebbia e il suo animo era triste per i
giorni precedenti, quando il dolore aveva superato l’amore che aveva provato
per 3 mesi e forse più per il suo cane ormai svanito.
In silenzio, scalzo e assonnato
andò in bagno e rimase colpito dalla sua immagine riflessa allo specchio: una ragazzo sui sedici anni, capelli scuri e lunghi che
ricadevano sulle spalle, occhi dello stesso colore.
Un viso scarno
e magro, che esprimeva tristezza e delusione, per aver soltanto espresso un’opinione,
dicendo che la morte vale più della vita e che la vita serve per prepararsi
alla morte.
E così da uno psicologo il giorno
dopo lo avevano portato, dicendo che era pazzo e che
la vita era bella, perché il suicidio non vale quanto un’emozione.
Con pensieri disturbati dalla
lunga astinenza da droga, si mise i vestiti, scuri come il suo cuore e i suoi occhi e senza né libri né penne né matite.
Poco gl’importava
della scuola, ancor di meno dell’opinione degli altri.
La scuola non era distante e,senza fare colazione, si avviò a piedi in silenzio con la
mente colma di pensieri di morte e di distruzione.
Un tempo era un ragazzo allegro:andava bene a scuola, aveva il suo gruppi di amici e
persino una ragazza con cui condividere momenti felici.
Poi qualcosa lo aveva cambiato:
era diventato schivo e aveva iniziato a fumare, a bere e a drogarsi.
Era questa secondo gli psicologici
la causa, ma solo lui sapeva che quello era stato l’effetto e non la causa che
l’aveva ridotto così.
Arrivò a scuola in ritardo, ma
ormai i professori non ci facevano più caso: la sua presenza a scola era solo fisica, mai mentale.
Andò in fondo all’aula, senza
salutare i suoi compagni, che si badarono bene dal rivolgergli la parola o
soltanto lo sguardo.
Viveva in un
mondo di tenebre, oscuro più della notte, la sua luna era la cocaina, le sue stelle erano le canne.
E così passava le giornate: prima una canna la mattina,
sniffava a pranzo e si bucava la sera.
Nessuno poteva farci niente: se
qualcuno provava a rimproverarlo diventava violento e picchiava chi gli
capitava a tiro.
Finite le prime ore di lezioni suonò la campanella della ricreazione e lui velocemente si
diresse dal suo spacciatore per la dose quotidiana, con i soldi in tasca…
Guadagnava
rubando piccoli oggetti, senza farsi mai scoprire, era molto abile in questo.
Comprò la sua dose di cocaina e si
chiuse in bagno per sniffare.
Il desiderio era sempre lo stesso,
ma ogni giorno diventava più forte, e doveva sniffare di più e gli servivano
più soldi.
La cocaina ebbe effetto: questa
volta non fu come le altre, questa volta capì qualcosa
che prima non aveva capito.
Capì perché si era ridotto fino a
quel punto: tanti anni prima, un giorno d’inverno, aveva letto di come gli
uomini avevano imposto la loro religione agli altri e li avevano bruciati e
torturati.
Il suo odio era stato fortissimo,
verso quei religiosi che sputavano su chi non la pensava come loro e si
arricchivano promettendo doni ultraterreni che mai nessuno aveva visto.
L’odio si era trasformato in disperazione quando il padre lo aveva costretto ad entrare
in uno di quegli edifici maledetti per parlare con uno di quei servi di quel
Dio malvagio.
E lui l’aveva fatto, per ore e ore, credendo di essere nel
giusto.
E poi l’uomo l’aveva preso per mano e condotto su per delle scala, fin nella sua
stanza, fin sul suo letto.
E lì in nome di quel Dio l’aveva violentato, tappandogli la
bocca a suon di colpi e lui non aveva reagito.
E così impotente aveva assistito a quel Dio che attraverso
il suo intermediario sulla terra lo violentava.
E poi non aveva più saputo cos’era il bene, soltanto il
disgusto e la rabbia erano parte di lui.
L’effetto della coca continuava,
ma ora vedeva una strada di luce, combattere il male ed estirparlo da questo
mondo, per renderlo migliore.
Uscì dal bagno, nascondiglio di
tali segreti e progetti, e ritornò in aula.
Lì la gente era radunata e gridava
a qualcuno: una ragazza, forse una sua compagna, era in piedi sulla finestra e
minacciava di gettarsi.
Alessandro spintonò i suoi
compagni finché poté assistere in prima fila alla scena.
La ragazza piangeva, il suo
ragazzo l’aveva lasciata e lei voleva farla finita.
Le sue amiche le dicevano di
scendere, e lei sempre più si sporgeva.
Fu un attimo: Alessandro si gettò
verso di lei che lo guardò impietrita.
Quindi gridò e si lasciò cadere all’ingiù.
Alessandro fu veloce e riuscì ad
afferrarla.
Nessuno venne ad
aiutarlo, erano tutti terrorizzati dalla situazione.
Ora anche lui stava perdendo l’equilibrio,
ma con la forza che gli rimaneva nelle braccia la tirò su, abbastanza per metterla al sicuro, ma lui perse l’equilibrio e fu un
triste volo, dove capì che aveva sbagliato, che doveva lottare e non
arrendersi.
E il suo corpo finì sfracellato nel cortile, tra le lacrime
dei compagni, dei genitori, dei parenti tutti.