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Autore: NaiStella    02/12/2012    2 recensioni
Noi siamo uomini. Viviamo nel mondo di mezzo, al centro di tutto. Tra noi si nascondono altre creature.
Una profezia, una speranza. Due ragazzi per salvare una realtà desolata. Loro sono speciali. Solo che ancora non lo sanno...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Noi siamo uomini. Viviamo nel mondo di mezzo, al centro di tutto. Tra noi si nascondono altre creature. Tempo fa alcuni angeli, che ci osservavano dall’alto, decisero di venire tra noi e aiutarci a vivere. Da allora sono qui, sul pianeta Terra e condividono con noi gioie, paure, amore ma soprattutto persone. Si sono trovati così bene che hanno sposato donne mortali e dormito nelle nostre case per anni, amando e morendo. Non solo loro, però, erano abbastanza curiosi da lasciare il proprio mondo per vivere con gli uomini; anche alcuni demoni degli inferi decisero di cambiare dimora. Come gli angeli s’introdussero nelle città come umani qualsiasi, ci mentirono rinnegando una parte del loro essere e celarono la loro vera natura per vivere vite mortali. Secoli trascorsero mentre altri angeli e demoni si trasferivano come i loro simili nel nostro mondo. Sempre più ultraterreni s’innamoravano e, a volte, capitava nascessero esseri metà angeli e metà umani, o mezzi demoni e mezzi umani. Questi mezzosangue, si scoprì, avevano poteri soprannaturali e pericolosi. Per questo si decise di convocare il convegno degli Assoluti, ovvero un concilio che racchiudeva in se i supremi del mondo di sopra. Essi decisero di continuare a concedere sia agli angeli sia ai demoni di visitare la terra di mezzo, a patto di non generare questi ibridi umani. I due popoli accettarono subito, ma pur di evitare in ogni modo il concepimento degli eredi impuri gli Assoluti posero un divieto assoluto su questo. La punizione per la violazione era l’esilio. L’unico particolare che rendeva fragile la legge dei supremi era che non avevano a disposizione molti Guerrieri, angeli che controllavano chi la eseguiva e chi non punendo i trasgressori, quindi continuavano a nascere figli degli ultraterreni, anche se ben nascosti. Nel tempo, i supremi allentarono la presa sugli ultraterreni “umani” e la sacra regola, e per alcuni secoli tutto continuò senza intralci. Ma un giorno un'altra terra nacque, creando sgomento e timore nella terra di sopra e nella terra di sotto. Questa nuova terra era governata da creature magiche sconosciute ed inesistenti fino ad allora, che amavano vestire i panni di déi divinati nell’antica Grecia. Il loro Re, di conseguenza, portava il nome di Zeus. Questo nuovo regnante era inorridito dallo scompiglio che credeva di vedere sulla Terra, causato dalla fusione di umani, angeli e demoni nello stesso luogo, così istituì una vera e propria caccia agli ultraterreni mortali. I supremi non poterono fare nulla, e si sottomisero alla persecuzione, ponendo però un limite: angeli e demoni sarebbero solo stati esiliati e sarebbero rimasti in vita, mentre i loro figli non avevano alcuna protezione e potevano essere uccisi senza conseguenze. Zeus accettò, e la caccia cominciò. Non diedero troppo nell’occhio, sapendo di non potersi fare notare dagli umani, ignari di tutto ciò che accadeva, ma sterminarono moltissime centinaia di mezzosangue. Tutto ciò procedette ancora per molto tempo. Gea, una dea molto saggia che nonostante abitasse sul pianeta Olimpo non credeva realmente alle colpe attribuite al popolo ibrido dal suo re, scrisse una profezia in seguito ad un sogno ammaliatore che la colpì con la verità più sincera;
 
Un giorno di mezza estate, un angelo puro metterà al mondo la Prescelta.
Lei abbatterà il male e riporterà la pace nelle quattro terre.
Una notte di mezzo inverno, un demone sincero assisterà alla nascita di suo figlio, il Difensore.
Lui accetterà il bene e distruggerà la guerra nelle quattro terre.
Un Demone ed un Angelo consacrati dall’unione dell’amore 
Porranno fine alla tristezza e alla sofferenza.
 
Poco dopo aver scritto questo, vennero i soldati di Zeus e la uccisero per “presunto tradimento all’Olimpo e al suo Re”. Nonostante ciò, la profezia rimase nel cuore dei popoli magici, insidiando nei loro cuori la speranza della fine della guerra. Sì, guerra, perché l’Olimpo aveva ormai esagerato, e ,con la lucidità offuscata dal potere, aveva dichiarato battaglia agli inferi e al paradiso. Ma un giorno tutto cambiò.
                                                                                      
                                                                                             

Gahjera, Domenica 4 settembre
 
 
 
 
<< Moira! La colazione è pronta! >> Gridò mia madre dalla cucina. Il profumo di torta appena sfornata invase la mia camera. Aprii lentamente gli occhi e mi sedetti. Sentii i jeans sfregare contro le mie ginocchia, sulle quali era ancora appoggiato un libro; “Le leggende di Gahjera”. Probabilmente mi ero addormentata mentre lo stavo leggendo. Mi stiracchiai e mi guardai attorno. Le pareti color panna mi avvolgevano come coperte piacevolmente fredde, colorate a tratti da disegni e schizzi, e interrotte bruscamente da una libreria rosso sangue, piena di libri sparsi a casaccio. Lo ammetto, ero una lettrice affannata. Adoravo i romanzi d’avventura, i saggi sulla natura, tomi pesanti sulla storia e soprattutto, non avrei mai potuto vivere senza i racconti di fantascienza. Il libro che avevo letto la sera prima appartiene a quest’ultima categoria. O almeno credo. Scesi definitivamente dal caldo e morbidissimo letto, anche se letto non è la parola giusta per definire un materasso, quattro cuscini e un copertone un po’ vecchiotto. Mi avviai placidamente verso il bagno. Accesi la luce e mi guardai allo specchio. Oh. I miei capelli sembravano fieno ammassato sulla mia testa. Diedi qualche colpo di spazzola, presi un nastro e me li legai distrattamente. Scesi le scale a chiocciola appena fuori dalla camera, trascinando il mio corpo in trance fino alla cucina. 
<< Buongiorno, zombie! >> Scherzò mia madre, allegra e fresca come una rosa, la schiena verso di me e il viso tutto concentrato nel preparare qualcosa. La salutai con un mugugno e osservai la tavola. A-C-C-I-D-E-R-B-O-L-I-N-A. Ogni centimetro del tavolo in mogano era ricoperto di prelibatezze. Muffin, Waffles, Crêpes, frittelle al miele, biscotti al cioccolato, crostate di frutta, torta al cioccolato,  burro, pane alle noci, marmellate, e tanto,tanto,tanto ancora. L’acquolina mi colava ormai dalla bocca solo a guardarli. Di colpo mi sentii più sveglia e attenta ad ogni minuzioso dettaglio di quella colazione paradisiaca. Mi precipitai sul cibo, ma proprio mentre stavo per azzannare il primo toast alla nutella, mia madre mi fermò.
<< A-a. Stiamo ancora aspettando una persona. >> Sbuffai. Poggiai la mia preda zuccherosa sul piatto, e aspettai, battendo impaziente il piede sul tappeto azzurro. Dopo alcuni minuti mio padre comparì sulla soglia della cucina.
<< Buongiorno, angeli miei. Dormito bene? >> Papà semplicemente adorava chiamarci con quel nomignolo. Era assurdo, lo sapevo bene, ma per lui io e mamma eravamo davvero un dono del cielo. Lo diceva con tanta convinzione, che a volte non riuscivo proprio a capirlo. Si avvicinò alla mamma e la baciò dolcemente. Romantico!
<< Caro, siediti, o mi farai bruciare la frittata. >> Frittata! Quello che una volta era un semplice borbottio di fame ora era diventato un lamentoso urlo disperata ricerca di nutrimento. Papà si mise a capotavola, come sempre. Sembrava il comandante di una nave, con la schiena dritta e gli occhi imperscrutabili, che si perdevano in quel mare di cibo. Anche lui era della mia stessa opinione, decisamente.
<< Piccola Moira, come stai stamattina? >> Mi chiese, sorridendo.
<< Benissimo, papi! >> Poi mi voltai verso mamma e dissi, alzando un po’ il volume.<< Ma avrei molta fame! >> Finalmente i guantoni pieni di maialini ed ochette che le avevo regalato a natale lasciarono cadere l’ultima deliziosa pietanza sul tavolo.                   
<< Aspettate! >> Ci bloccò mamma, nel preciso istante in cui sia io che papà stavamo cominciando a trangugiare famelici le frittelle. Immobili, aspettammo che tornasse tentando di ignorare i provocanti profumi della colazione migliore di tutti i miei quindici anni di vita. Dopo alcuni minuti, la cuoca rientrò portando un pacchetto d’argento e appoggiandolo sulle mie cosce. Guardai prima lei, poi mio padre.
<< Perché? Non è il mio compleanno…>> Sorrisero.
<< Ma domani è il tuo primo giorno di scuola. >> Subito dopo quell’affermazione abbracciai la dolcezza di mia mamma e stampai un bacio sulla guancia di suo marito. Esitai per un istante, ancora serena dall’insolito comportamento dei miei genitori. 
Ma l’esitazione durò pochissimo. Strappai la carta in fretta e furia, e strappo dopo strappo la mia curiosità cresceva in maniera impressionante. Dopo aver tolto moltissimi strati argentei, raggiunsi una scatolina. Era blu, grande quanto il piedino di un neonato. Prima di aprirla, mi soffermai a guardare i miei genitori con gratitudine, mentre loro attendevano forse più impazienti di me l’apertura della morbida cassettina.  Non resistetti alla voglia di scoprire il mistero. Quando la aprii, davanti ai miei occhi brillava una catenina di metallo. Infilata in quel filo argenteo, c’era una gemma meravigliosa, celeste come gli occhini miei e di mamma, intagliata a formare un paio d’ali, incorniciata dallo stesso materiale al quale era appesa. La sollevai, portandola a scaturire di mille colori quando un raggio di sole lo colpì di sfuggita. Rimasi ad ammirare quel gioiello meraviglioso per dei minuti.
<< Ti piace? >> Chiusi la bocca, riprendendomi dallo stupore e guardando papà.
<< Se mi piace? >> Ero stranita da quella domanda. Come poteva non piacermi?
<< È assolutamente bellissima! Oh grazie, grazie! >> Li abbracciai entrambi fortissimo.
<< Era di tua nonna…>> Disse mamma, abbassando lo sguardo. L’uomo di casa le cinse la vita e la fece sedere sulle sue ginocchia. Io presi la collana, la allacciai intorno al mio collo e chiusi gli occhi. Diversamente da come mi aspettavo, non era affatto fredda, anzi, mi dava una sensazione di calore molto strana. Inspirai profondamente, riaprendo le palpebre. Battei le mani.
<< Adesso si mangia?>>
 
 
Il resto della giornata trascorse velocemente e in maniera molto tranquilla. Verso le due mamma andò dalle sue amiche per la loro settimanale bevuta di tè. Invece mio papà restò a casa con me l’intero pomeriggio, ma poi lo chiamarono dall’ospedale in cui lavorava per un’emergenza, e dopo avermi salutato con un bacio sulla fronte ed un “ti voglio bene” corse a salvare qualche vita come solo un primario di neurochirurgia può fare. Così, arrivate le cinque e mezza di sera rimasi sola, e decisi che trovare qualcosa di cui occuparmi era decisamente meglio rispetto a morire di noia. Mi guardai in giro, cercando ispirazione. Esclusi i compiti, perché la scuola non era ancora cominciata. Una torta? Non ero esattamente un’ottima cuoca. Fu quando mi cadde l’occhio su un cd che scattò qualcosa nella mia testa. Due mesi fa avevo preso in prestito dalla videoteca del paese un album e non lo avevo ancora riportato, così salii le scale che portavano fino a camera mia e la misi a soqquadro, ma non lo trovai da nessuna parte. Rimasi per un po’ ferma immobile, grattandomi la testa sperando di trovare una risposta all’improbabile quesito. E la risposta arrivò; circa una settimana prima mia madre era in cerca di una playlist per la festa di natale che ogni anno si preoccupava di organizzare nelle palestre della scuola elementare di Gahjera, quindi ovviamente aveva frugato nella mia stanza e si era tranquillamente appropriata di qualunque fonte di musica si mostrasse ai suoi occhi.
Andai nella camera dei miei genitori. Come al solito, quella meravigliosa casalinga era riuscita a far diventare la loro stanza più simile ad una perfetta foto da catalogo che al nido d’amore di una coppia di innamorati sposati da vent’anni. Perfetta, era tutto ciò che potevo dire per definirla; le lenzuola bianche erano ripiegate ordinatamente sul bordo del letto enorme, e dalla porta-finestra filtrava quel po’ di luce che basta a rendere un luogo accogliente e caldo. Andai a controllare tra i mille compact disc che tenevano accanto alla piccola radio, e lo trovai subito. Sulla copertina c’era il primo piano di una ragazza dall’aspetto un po’ cadaveresco. Però la musica non era male.
Soddisfatta del mio ritrovamento, raggiunsi quasi saltellando la mia stanzetta. Non mi preoccupai troppo della bellezza nell’abbinare i vestiti, non acconciai i capelli con molta accuratezza, in fondo, stavo andando solo in una videoteca per restituire un semplice album, giusto? Infilai la causa del mio viaggio in una piccola tracolla marrone e scesi in cucina. Scrissi un biglietto per mamma e papà, solo per avvisarli della mia piccola commissione nel caso uno dei due tornasse prima di me, anche se ne dubitavo. 
Poi andai in garage. Appena entrata dalla vecchia porta, tastai il muro alla mia destra e accessi la luce. Cominciai a cercare la mia bicicletta rossa, sperando fosse ancora in questa specie di ripostiglio incasinato. L’ultimo nome che si poteva utilizzare per definire quell’ammasso di inutilizzate cianfrusaglie era proprio “garage”, questo anche perché non c’era neppure la nostra macchina, lì dentro. Solo una moltitudine di quadri mai finiti da mamma, alcuni orologi a cucù, una “antica” collezione di macchinine che papà teneva da quando era piccolo e per completare l’opera centinaia di scatole ammassate l’una sopra l’altra, senza che nessuno di noi avesse la più pallida idea di cosa ciascuna contenesse.
In fondo a sinistra, tra un fascio di assi di legno e un’altalena rotta, c’era il mio amato mezzo di spostamento. Oramai, non si poteva neppure definire un unico veicolo; il rosso, una volta fiammante, che ricopriva la bicicletta era presente solo a macchie qua e là, le ruote finissime erano piene di scotch per tappare i buchi procurati da sassi poco appariscenti, il faretto anteriore pendeva distrutto con una meravigliosa crepa al centro e le catene erano più consumate della dentiera di mio nonno. Sospirai, pregando il cielo che quell’ammasso di ferraglia resistesse almeno per un piccolo viaggio. 
Montai sul sellino in pelle, e uscii dal garage, tra cigolii e strani rumori. Cominciai a pedalare lungo le strade di Gahjera. Ovunque guardassi c’era vita; una mamma che sgridava i propri bambini per aver fatto cadere il gelato alla sorella, alcune vecchiette sedute su una panchina tutte intente a spettegolare, un ragazzo che portava a spasso il suo cane. La città sembrava un piccolo formicaio frenetico anche di domenica. Ci misi solo qualche minuto di scomodo e irregolare tragitto per arrivare in videoteca. “MovieAndMusic”, si chiamava. L’insegna fluorescente aveva smesso di illuminare la maggior parte delle lettere, ed un fioco verde intenso galleggiava abbandonato appena sopra il portone di vetro. Poggiai il rottame al muro di mattoni.
Entrai, e dall’alto giunse uno scampanellio allegro. Davanti a me c’erano scaffali pieni di film, vecchi e non, di ogni genere. Decisi di curiosare un po’. Trovai una pellicola in cui Maryilin Monroe si innamorava di un uomo truffaldino, che per sfuggire con il compare ad una banda di mafiosi si travestiva da donna, ed entrava nella banda musicale della quale faceva parte la celebre attrice. Sembrava un film molto simpatico. Sorrisi, poi mi spostai a sinistra. Stavolta la copertina, anonima, intrappolava due vecchietti che si scambiavano un bacio sulle sponde di un laghetto di montagna. Continuai a soddisfare la mia irrefrenabile curiosità, fino a quando sentii qualcuno che si schiariva la voce dietro di me. Mi girai.
Rimasi immobile di fronte a ciò che vidi; un ragazzo alto, con i capelli corti ed una piccola cresta, mi fissava con i grandi occhi scuri, ed inarcava il sopracciglio, sul quale notai un gran bel piercing. L’abbigliamento era quello tipico di un amante della musica rock, indossava un gilet scuro in jeans, una maglietta con il volto di qualche cantante a me sconosciuto, e ai piedi delle scarpe completamente nere. 
<< Ha bisogno di una mano, signorina? >> Serrai la mascella di colpo, accorgendomi di essere rimasta per circa trenta secondi con un’espressione da pesciolina lessa.
<< Ehm…sì…sarei venuta a riportare un cd. >> Risposi, frugando nella tracolla ed estraendo l’album per poi porgerlo verso il ragazzo. Lui lo prese e lo guardò.
<< Fallen degli Evanescence. Bel disco. >> Io annuii e lui andò verso la cassa. Lo seguii. Da dietro il balcone, lo vidi digitare alcune parole sulla tastiera di un vecchio computer, di quelli a forma di scatolone bianco sporco. Io ammirai le strane smorfie che ogni tanto spuntavano sul viso abbronzato, come si mordeva le labbra sulle quali evidentemente c’era un altro piercing, o i movimenti involontari del suo sopracciglio se si concentrava o si stupiva di qualcosa. Ad un tratto smise di cercare qualunque cosa stesse cercando e tornò diritto.
<< Bene, la ringraziamo di aver riportato il suo disco dopo soli due mesi. >> Si fermò a guardarmi. Poi guardò il cd e ancora dopo tornò a me.
<< Lo ha preso in prestito per lei? >> Ero perplessa.
<< Certo. >> Lui sembrava stupito. << Come mai questa domanda? >>
<< Lei non mi sembra esattamente il tipo di ragazza che ascolta questo genere di musica. >>
<< Evidentemente signor…>>
<< Gabriel. >> Mi informò.
<< Gabriel, lei non mi conosce affatto. Mi piace scoprire cose nuove, anche se non sono ciò a cui sono abituata. >> Lui poggiò un gomito sul balcone e si avvicinò un po’ a me. 
<< Evidentemente signorina…>> Cominciò, con un voce ammiccante.
<< M-Moira. >> Balbettai, disarmata di fronte alla sua sicurezza e dal suo fascino.
<< M-Moira, dovrei conoscerla meglio. >> Si avvicinò al mio orecchio, e mentre io arrossivo come mai prima di allora, lui sussurrò; << E mi diverte molto metterla a disagio.>> Si allontanò, con una specie di ghigno stampato in volto, e io feci per andarmene.
<< Allora ci si vede, bionda! >> Urlò, mentre io stavo già attraversando l’uscio del negozio. Mi girai, squadrandolo con fare disprezzante, infastidita dal nomignolo affibiatomi per il colore dei miei capelli. E lui, per tutta risposta al mio ribrezzo, scosse la mano per salutare, esattamente come fanno i bambini
  
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