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Autore: Fannie Fiffi    02/12/2012    6 recensioni
Ok questa è tipo una follia perché non porto a termine mai niente, ma va bè!
Gli avvenimenti sono tutti collocati verso il finale della terza stagione, ma le cose potrebbero andare diversamente. L'inizio della storia fra l'originale Klaus e la vampira Caroline. Vi posto una parte del 1° capitolo:
E così voltandomi le spalle se ne andò. Klaus se ne era veramente andato, come mi aveva detto e mentre osservavo l’ibrido non potei fare a meno di chiedermi se e quando lo avessi rivisto. Perché quei dubbi, se tutto ciò che io e i miei amici volevamo stava accadendo? Perché sentivo quello strano sentimento sconvolgermi il petto e trasmettermi l’impulso di seguirlo?
Dal capitolo 11:
« Forse dovremmo rientrare. » spezzai il silenzio.
« Tu vuoi? »
« No» dissi alzando lo sguardo per fermarlo nel suo.
Lui annuì sorridendo.
« Perché mi hai detto che te ne saresti andato da Mystic Falls e poi sei rimasto? »
« Le prospettive cambiano. »
« Non è una risposta. »
« Non volevo lasciarti. »
Oh, questa si che lo era. Rimasi interdetta per un attimo, poi continuai, decisa ad ottenere le mie tanto agognate risposte.

Avviso importante: potrebbe contenere tracce di OOC.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Heaven’s in your eyes.
 
Pov Klaus
 
« Salve, fratello. » una voce profonda ed elegante attraversò il silenzio della casa, tuttavia senza sorprendermi.
« Elijah. » osservai noncurante, prendendo i bicchieri di cristallo e versandone all’interno il liquido ambrato di cui avevo tanto bisogno in quel momento.
« Non sapevo ti saresti trattenuto in città così a lungo. » aggiunsi voltandomi verso la sua direzione e porgendogli il bicchiere.
« Sono qui di passaggio, proprio come la scorsa volta, non trovo assolutamente nulla di interessante in una piccola cittadina come questa. E ammetto, mi sorprende parecchio scoprire che, invece, tu ne sei molto affascinato. » Elijah e le sue argute osservazioni non erano mai cambiati, sempre pronti nel momento meno opportuno.
« Ucciderei ogni abitante di quest’inutile borgo. Tuttavia…»
« Tuttavia qualcosa, o per meglio dire qualcuno, ha catturato la tua attenzione e, come sappiamo entrambi, non ti fermerai fino a quando non avrai ottenuto ciò a cui aspiri. » concluse lui al mio posto, sorridendomi beffardamente ma mantenendo sempre un portamento raffinato.
Bevemmo quasi contemporaneamente e, guardandolo, annuii.
« Hai ragione, è proprio così. E a quanto pare non sono l’unico. » affermai alludendo alla strana relazione tra la stregha Bonnie e Kol, che proprio in quel momento stava scendendo dalle scale con aria assonnata.
Elijah seguì il mio sguardo e, per niente sorpreso, disse: « La vostra indole infantile non è cambiata nemmeno dopo mille anni. »
Kol, sentendosi punzecchiato, rispose a tono: « Ehi, se avessi voluto un padre oppressivo sarei rimasto con Michael. Ho un mal di testa da sbronza epocale, ragazzi, non ho proprio voglia di ascoltarvi. »
Cercando di non pensare alle sensazioni che il nome di Michael avevano riportato a galla, osservai il nostro fratellino giungere in cucina e prepararsi un caffè.
« Sei ubriaco alle quattro del pomeriggio, Kol? » chiese sorpreso – ma non troppo – Elijah, che d’altronde non si era mai lasciato trasportare dai vizi della bella vita ed era sempre rimasto con i piedi ben ancorati a terra.
« Dovreste sentirvi. » una nuova voce si aggiunse, questa volta femminile, ai profondi discorsi che stavano intrattenendo i due Originali.
« Bekah, sorellina, hai finalmente finito di metterti lo smalto? » chiesi beffeggiandola e accomodandomi sul divano.
Lei si sedette sulla sua poltrona e mi guardò con aria scocciata.
« No, Niklaus, ma fra qualche minuto ti solleverò dall’opprimente peso della mia presenza, non preoccuparti. » rispose lei acidamente, guardandomi con aria superiore e offesa.
« Ancora con i vostri complessi di inferiorità reciproci, fratelli? » questa volta fu Kol a rispondere e a spalmarsi su un’altra poltrona alla mia destra.
« Non ho nessun complesso di inferiorità. » esclamammo simultaneamente io e Rebekah, guadagnandoci un ghigno da parte del nostro fratello più piccolo e un cenno indifferente dal più grande.
« Non ho intenzione di sentirvi battibeccare come bambini, perciò me ne vado. » disse affabile Elijah, mal celando l’ironia di fondo.
Kol e Rebekah alzarono gli occhi al cielo mentre io sorridevo di quanto le cose non fossero affatto cambiate.
« Ah, Niklaus, potresti accompagnarmi alla porta? » chiese cortese lui. Assunsi una faccia seria e mi alzai, già prevedendo che non sarebbero state buone notizie.
« Dimmi, Elijah. »
« Sei sempre stato un bravo calcolatore e non ti sei mai lasciato coinvolgere. So che sei innamorato di Caroline, ma non tutti in questa città sono benevoli quanto lei. »
Udite quelle parole ne rimasi sconvolto, non riuscivo a credere che Elijah potesse pensare una simile cosa e per un momento tentennai, ma poi mi ripresi.
« Io non… »
« Niklaus, » mi interruppe, «  il tuo cuore avrà anche smesso di battere, ma non è morto. » e così dicendo si dileguò in un attimo, lasciando dietro di sé un vuoto che quelle sue stesse parole avevano scavato nel mio petto.
 
Pov Caroline.
 
Drin. Drin. Drin. Drin.
C’era forse rumore più molesto e dannatamente irritante di un cellulare che squilla ininterrottamente?
Beh, forse il mio respiro.
Volevo semplicemente smettere di respirare, chiudere gli occhi e sognare. Ok, forse non era proprio quello che volevo, ma dopo tre giorni passati a letto e una buona dose di The Notebook – lo stesso film che guardai insieme a Tyler – non avevano di certo contribuito al mio buonumore.
Buonumore che, ne ero sicura, sarebbe tardato ad arrivare.
Finalmente il telefono smise di suonare e con lui per poco più di un attimo anche i miei mille pensieri fecero silenzio.
Respirai profondamente portandomi la coperta fin sulla testa e chiusi gli occhi cercando di prendere sonno. Forse c’era qualcosa di sbagliato in me: ogni qualvolta tentassi di svuotare la mente, questa rievocava immagini e sensazioni che non avrei mai dovuto sentire.
Brividi che solo una persona aveva provocato: Klaus.
Sì, doveva esserci definitivamente qualcosa di folle in me. Ma cos’era? Cos’era che mi spingeva inesorabilmente verso di lui e mi portava a desiderarlo, ad averne bisogno ma ad odiarlo al tempo stesso così intensamente e dolorosamente?
Tra le tante insicurezze che mi affliggevano – come il litigio con la mia migliore amica, o l’indifferenza che riservavo al mio ragazzo – questa era quella che mi tormentava di più, forse perché non sapevo da dove derivasse né cosa potessi fare per scacciarla.
Tutto quello che sapevo era che stargli lontana faceva dannatamente male e stargli vicina portava sensi di colpa che le mie spalle erano troppo fragili per sopportare. Ma allora qual era la soluzione? Cosa fare quando la stessa cosa che ti uccide è la medesima che ti tiene in vita?
Appesa a un sottilissimo filo, in bilico sulla lama di un rasoio, sarei comunque caduta nell’immenso vuoto che mi sottostava sia che avessi deciso di lasciarlo in pace, sia di stargli vicina.
Trasportata dalle macchinazioni che la mia povera mente era stanca di formulare, non mi ero nemmeno accorta dell’intermittenza e della fastidiosa insistenza con cui il mio telefono cellulare aveva ripreso a squillare.
Desiderosa di un po’ di pace, afferrai l’apparecchio e senza nemmeno guardare accettai la chiamata.
« Pronto? » brontolai infastidita al telefono facendo invidia all’uomo delle nevi.
« Non sei venuta a scuola. » una voce calma ma nello stesso momento preoccupata mi riprese.
« Buongiorno anche a te, Bonnie, e sì, devo dire che è davvero una pessima giornata. » risposi velocemente per evitare che la mia amica cogliesse nel mio tono di voce più tristezza del dovuto.
« Non è il giusto modo di affrontare le cose, lo sai bene. »
« Non so proprio di cosa parli, ho l’influenza. » non appena risposi, mi diedi dell’idiota per aver inventato una scusa tanto stupida quanto decisamente inverosimile.
« I vampiri non possono prendere l’influenza, Care. » disse Bonnie scocciata ma, prima che potessi rispondere, continuò addolcendo di parecchio il tono di voce: « sono solo in pensiero per te. »
« Presumo che Elena ti abbia raccontato tutto. » sbuffai scompigliandomi i capelli già annodati.
« Già. È così. » il suo tono neutrale mi fece pensare che non si sarebbe schierata.
« E…? »
« Devi darle tempo. Elena è… oh, Elena è qui. Sta arrivando, devo attaccare. Ti richiamo alla fine della lezione! » disse le ultime parole velocemente senza darmi il tempo di rispondere.
Mi sentivo malissimo. Mi sentivo come se tutti cercassero e si sforzassero di vivere al massimo le loro vite e io fossi perennemente bloccata e congelata in un tempo che non mi aveva riservato alcuna fortuna.
Non riuscivo più ad andare a scuola, ero chiusa in me stessa e ogni azione mi sembrava sempre troppo stupida o scontata per essere compiuta. Senza rendermene conto una lacrima calda mi bagnò gli occhi e percorse lentamente il profilo del mio volto, scivolando sulla guancia destra e perdendosi fra le labbra.
Piangevo, piangevo tanto in quel periodo. Forse perché era l’unico modo per buttar fuori tutto quello che mi faceva male o forse perché non c’era nessuno pronto ad accogliere i miei tormenti. Rimasi immobile nel letto per alcuni minuti, il sole del mattino che lasciava posto a quello del primo pomeriggio e l’aria che si faceva sempre più opprimente.
Improvvisamente sentii dei passi sulla veranda di casa mia che, poco dopo, vennero sostituiti da un forte bussare alla porta. Riflettei un istante: non poteva certamente essere mia madre, aveva le chiavi, e nemmeno Bonnie, poiché era ancora a lezione. Che fosse… ?
Mi alzai di scatto dal letto e ravvivai i capelli spenti e opachi. Le mie condizioni erano pessime ma il mio bisogno di vederlo era divenuto troppo forte, ora che sapevo che l’avrei incontrato di lì a poco.
Mi forzai un falso sorriso sulle labbra ed aprii sicura di me. Quello che mi ritrovai davanti, però, non era proprio tra le mie aspettative.
Due occhi neri mi fissavano imperturbabili, scuri e determinati.
« Tyler… »
« Dobbiamo parlare. » rispose lui serio come non l’avevo mai visto. Ero perfettamente consapevole che le cose tra noi dovessero essere risolte a ogni costo. L’unico modo per cui questo sarebbe potuto accadere però, era finirla una volta per tutte con la finzione e le bugie che ormai erano alla base del nostro rapporto corroso.
Senza voltarmi mi diressi in salone, ascoltando attentamente i suoi passi e percependo la sua presenza dietro di me. Mi sedetti e lo guardai in attesa che parlasse. Se ne stava lì, fermo, le mani tremanti e gli occhi persi nel vuoto.
In quel momento ripercorsi mentalmente tutte le tappe del nostro rapporto: mi sembrava ieri quando, confuso sulla sua natura di licantropo, mi aveva accusata di essere come lui.
In quello stesso salone avevamo visto il filmato della prima trasformazione di Mason e l’avevo abbracciato, stringendolo teneramente al mio petto e assicurandogli che sarebbe andato tutto bene, che non l’avrei mai abbandonato.
L’avevo visto urlare, piangere, contorcesi nel dolore senza fine di perdere se stesso e la sua umanità. L’avevo visto sorridere e lottare. Avevamo lottato insieme, avevamo programmato di fuggire. Quelli erano i tempi in cui eravamo così convinti di poterci bastare, che potesse bastare il nostro amore, da dimenticare tutti i guai che ci avevano sempre rincorso.
E ora eravamo lì, entrambi consapevoli che a tenerci uniti era rimasto solo il vecchio ricordo dei gloriosi anni passati.
Tyler si mosse impercettibilmente e mi guardò negli occhi.
Aspettavo il momento in cui sarebbe esploso, gridando che non era possibile. Che, no, diamine, non eravamo finiti. Lo vidi raccogliere il respiro e quasi percepii già la sua voce arrabbiata.
 « Da quanto tempo? » un sussurro quasi nemmeno pronunciato.
Sospirai pensando che forse quello era il momento più serio che avessimo mai condiviso. Era quasi buffo che riuscissimo ad avere una tale intimità solo nel momento in cui ci stavamo dicendo addio.
« Un po’. » confessai guardandolo e cercando di prevedere le sue azioni.
« Perché? È colpa mia? »
Mi alzai e mi avvicinai a lui, ma si scansò.
« Non ci sono colpe. Semplicemente non posso andare avanti così, mi dispiace. Tra noi… andiamo, Ty, ci conosciamo dalla prima elementare. Non c’è più niente da scoprire dell’altro, ci conosciamo alla perfezione. Tutti i giorni sono uguali, la nostra relazione non va né avanti né indietro. Niente ha più senso… » balbettavo, cercando in qualsiasi modo di fargli capire che non c’era più niente da sapere l’uno dell’altra perché ormai conoscevo le sue abitudini, capivo i suoi gesti e non c’era più niente da offrirci.
« Oh, ma andiamo! Sono davvero stanco di ascoltare tutte queste cazzate. La verità è che non sai nemmeno quale scusa inventare. Ho fatto il possibile per noi e tu stai lasciando andare tutto questo per niente! Ti credevo diversa, Caroline. » disse interrompendo il mio pessimo tentativo di spiegargli come mi sentissi.
Mi guardò per un’ultima volta, lo sguardo amareggiato e deluso.
In un attimo non c’era più.
Rimasi ferma in quel salone per un tempo che sembrò infinito, cercando in tutti i modi di elaborare quello che era appena successo. L’avevo perso e, per quanto non l’amassi più, una parte di me sentiva già la sua mancanza. Sentivo dolore in ogni parte del corpo e della mente, non riuscivo più a trovare un senso a tutto quello che mi stava accadendo.
Avevo bisogno di smettere di pensare e così feci quello che avrebbe fatto la vecchia me: mi diressi in bagno e cominciai a pettinarmi. Dopo aver ordinato alla perfezione i capelli, passai al trucco. In mezz’ora ero truccata e pettinata a meraviglia. Mi avviai, poi, verso il grande armadio della mia stanza e scelsi un vestitino nero e le mie Jimmy Choo preferite.
Da una parte mi sembrava quasi assurdo che con tutto quello che stava succedendo io riuscissi ad agire in quella maniera, comportandomi come se fosse tutto estremamente normale, dall’altra mi sentivo sempre più bisognosa di shopping curativo e prepararmi per le grandi feste aveva sempre avuto un effetto molto simile.
« Sei bellissima. » il pensiero di una voce, la sua voce, mi arrivò come se Klaus fosse veramente lì.
Vidi il suo riflesso nello specchio e, con tutta la tranquillità del mondo, mi voltai verso la sua figura.
« Bene, ora ho anche le allucinazioni. » dissi più a me che a lui, guardandolo dalla testa ai piedi, meravigliandomi di quanto la mia fantasia riuscisse a riprodurlo con così tanta perfezione.
Sembrava quasi reale.
« Allucinazioni? Ti senti bene? » chiese alzando un sopracciglio e guardandomi interrogativo.
« Io e Tyler ci siamo appena lasciati e la mia migliore amica mi odia, non so ancora esattamente come sentirmi. » ammisi voltandomi di nuovo verso lo specchio e osservandomi, piegando le leggere pieghe sul vestito.
« Oh, capisco… » disse l’allucinazione di Klaus in tono falsamente dispiaciuto. Stavo davvero impazzendo, il mio bisogno di averlo accanto era diventato così forte da farmi credere che fosse qui.
« Dovrei proprio smetterla di parlare da sola. Ora chiuderò gli occhi e tu non ci sarai più. » senza aspettare oltre li chiusi e, contando mentalmente fino a tre, li riaprii poco dopo. Era ancora lì.
« Sul serio?! » esclamai sorpresa ritrovandomelo ancora più vicino.
« Non sono né un’allucinazione, né una proiezione aliena, Caroline. Sono qui. » disse Klaus sorridendomi e facendo dei leggeri passi verso di me. Io assunsi un’espressione confusa e lo guardai senza accennare a muovermi.
« Non ci credo. » proferii ferma nelle mie idee. Non era possibile che fosse qui, con me. Era una cosa troppo bella per essere vera.
« Posso dimostrartelo, amore. » disse sorridendo maliziosamente e avvicinandosi molto, molto più del dovuto. Arrivò a pochi centimetri da me, e, ancora senza sfiorarmi, mi guardò negli occhi. Risposi al suo sguardo senza paura che potesse succedere qualcosa, in fondo era solo la mia sadica immaginazione che giocava a farmi perdere il controllo.
Klaus continuava a sorridermi e a guardarmi senza però fare niente, fino a quando non lo intravidi alzare una mano e posarla sulla mia guancia. Il contatto con la sua pelle mi fece fremere e, istintivamente, gli sorrisi. La sua mano continuò il percorso del mio viso fino a posarsi sul collo. A quel punto i brividi erano diventati incontrollabili, troppo forti perché potessero essere frutto della mia sola inventiva.
In un istante realizzai tutto e in ancora meno tempo indietreggiai barcollando.
« Oh mio Dio, sei veramente tu! » dissi alzando di parecchi toni il mio timbro di voce.
« Finalmente te ne sei resa conto. » rispose Klaus ridendo e schernendomi. Continuai a guardarlo ancora per qualche momento, poi mi avvicinai nuovamente fino a scontrarmi contro il suo petto.
Questa volta fui io, spontaneamente, ad alzare la mano per accarezzargli la leggera barba incolta sulla sua guancia. Klaus poggiò una mano alla base della mia schiena e fui grata di quel contatto.
« Si può sapere perché credevi che fossi un’allucinazione? » chiese divertito piegandosi verso il mio volto, arrivando a una manciata di millimetri dalle mie labbra.
« Perché volevo davvero che fossi qui. » sussurrai abbozzando un sorriso e avvicinandomi ancora.
Avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino e non avevo più forze per negarlo.  Avevo lottato e combattuto contro me stessa e i miei sentimenti per paura di soffrire e di sbagliare, ma non volevo più negarmi l’unico modo per essere felice.
Ed era proprio questa la verità: in quel periodo così buio, in cui non facevo altro che sentirmi sbagliata e perennemente nel torto, tutto quello che mi impediva di abbandonarmi completamente era lui, Klaus.
Chiusi gli occhi, pregustando già il sapore delle sue labbra e dandogli il permesso di fare quello che entrambi anelavamo. Contai i secondi – tre e mezzo – che passarono prima di sentire quel contatto e, quando la sua bocca si posò sicura sulla mia, fu come ricevere un battito di vita.
Allacciai le braccia al suo collo, lui abbracciò la mia schiena e poi sorridemmo sinceramente entrambi, l’uno sulle labbra dell’altra, liberi di esserci trovati.
Quel contatto durò ancora e si ripeté una, due, tre volte fino a quando soddisfatti ci staccammo. Lo guardai per un istante negli occhi e, forse veramente per la prima volta, vidi il vero Nik.
« Questo doveva essere il nostro primo bacio. » disse trionfante stringendomi in un forte abbraccio mentre io, scossa per quello che era appena successo, poggiavo la testa sulla sua spalla.








 
 
*Commento*
Ebbene sì, ragazzi e ragazze, finalmente dopo tanto (troppo) tempo SONO TORNATA :DD
credevate di esservi liberati di me, eh?
Non so davvero come farmi perdonare ma spero che voi lo facciate lo stesso! Mi dispiace per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare ma la scuola e la poca ispirazione non sono proprio una coppia vincente! Spero che qualcuno si ricordi ancora di me xD
Vorrei chiedere scusa a tutte le autrici per essermi dimenticata di recensire le vostre storie, vi voglio davvero bene e prometto che mi rimetterò in pari con i vostri meravigliosi aggiornamenti :D
Riguardo il capitolo non ho molto da dire, lascio a voi i commenti.
Tanti baci e grazie mille per il supporto. <3

  
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