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Autore: Devileyes    02/12/2012    4 recensioni
Albafica è morto nello scontro con Minos. Defteros, senza pace per la sua perdita va' a dargli l'ultimo saluto.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Gemini Deuteros, Pisces Albafica
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Fuoco e Veleno'
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Heilà! Dedico questa fiction alla cara dagliasa2 che mi sostiene sempre e che mi ha chiesto specificatamente un'ultima scena tra Defteros e Albafica. Sicuramente non è il mio lavoro migliore, né avevo particolare ispirazione, ma ci ho provato ugualmente... a voi la scelta se tirarmi verdura marcia in faccia o meno.

REQUIEM DI ROSE


Le campane suonavano.

Un rintocco lento, ritmato, lugubre, che si spandeva per miglia e miglia attorno al Santuario.

Tutti gli abitanti della zona sapevano cosa significasse.

Era morto un Cavaliere.

E non uno qualsiasi di basso rango, ma un Cavaliere d'Oro, uno dei più forti guerrieri a difesa del Grande Tempio. Vittima dei brutali Spectre sorti dal Mondo dei Morti.

E ora, in una lunga e lenta processione tutti i Cavalieri, i servitori, le ancelle e i popolani sfilavano a testa china lungo il sentiero che conduceva al cimitero vicino al Tempio, lì dove venivano sepolti i difensori della giustizia.

Defteros seguiva tutto ciò dall'alto di un dirupo dove nessuno lo avrebbe visto né disturbato. I suoi occhi non perdevano un solo movimento di quella colonna funebre, ma la sua attenzione continuava a concentrarsi solo su chi apriva la fila: Athena in persona e il Gran Sacerdote davanti a tutti, seguiti a ruota dai quattro Cavalieri d'Oro che portavano il corpo esanime di Albafica. C'era Shion, silenzioso e chiuso nel suo indiscutibile dolore. C'era Dohko, perso in contemplazione del nulla. C'erano Manigoldo e Sysiphos, che guardavano tutto tranne il corpo del bel Cavaliere dei Pesci.

Aveva ancora indosso l'armatura dorata, che faceva risaltare la sua pelle bianca come latte e il colore turchese dei suoi splendidi capelli. E nelle mani giunte sul petto, teneva un mazzetto di rose bianche, le uniche fedeli compagne che lo avrebbero seguito nell'Oltretomba.

Defteros non versò neppure una lacrima. Le aveva consumate tutte il giorno prima, quando aveva avvertito il cosmo dell'amante sparire del tutto dopo un'ultima esplosione di energia. Aveva pianto a lungo nell'oscurità opprimente della sua grotta a Kanon Island, circondato solo dai bagliori sanguigni di un fuoco violento che sembrava rispecchiare la sofferenza atroce che si portava dentro.

Nessuno aveva osato avvicinarsi alla grotta, evidentemente le urla di furore e disperazione erano riecheggiate fino a fuori, dando l'impressione che un nuovo demone fosse emerso dalla viscere del Tartaro.

Aveva colpito le pareti di roccia fino a sbucciarsi le nocche e preso a testate la pietra finché non aveva visto il suo stesso sangue scivolargli sugli occhi. Si era immerso nel magma bollente col preciso intento di bruciare il proprio dolore, divenuto insostenibile.

E solo dopo una notte insonne aveva trovato la forza di scacciare le lacrime, ricomporsi come un perfetto guerriero e spostarsi attraverso le dimensioni fino a raggiungere il Santuario.

Non avrebbe partecipato al corteo per rendere omaggio al cavaliere dei Pesci. Sarebbe rimasto lì, a dargli il suo ultimo saluto come una sentinella che veglia sul muro. Lo avrebbe vegliato da lontano, pur sapendo che ora, sarebbe stato lo spirito di Albafica a guardarlo dai Campi Elisi.

Il Gran Sacerdote recitò le formali parole di rito, Athena fece un breve discorso per sollevare lo spirito dei suoi guerrieri, poi il corpo di Albafica fu calato nella fossa, e solo allora, la Sacra Armatura di Pisces si staccò da lui per prendere posizione accanto alla lapide.

Un po' per volta, il sepolcro fu coperto e la terra ricompattata. Ci fu chi lasciò fiori, chi rosari, chi parole di ringraziamento, poi la folla cominciò a disperdersi per lasciare i Cavalieri d'Oro da soli.

E con calma se ne andarono anche loro, dopo aver reso un ultimo saluto al loro compagno di battaglie, il primo di quell'era ad essersi innalzato contro la minaccia di Hades.

Il primo ad essere caduto.

Solo quando non rimase più nessuno Defteros trovò il coraggio di scendere, per dirigersi verso quella tomba baciata dagli ultimi raggi del sole al tramonto.

Si fermò davanti alla lapide coperta di fiori, lo sguardo basso, il corpo svuotato di ogni energia.

Lì giaceva l'uomo di cui si era innamorato.

L'uomo che aveva passato tutta la vita in solitudine e che solo ora, nella morte, avrebbe potuto trovare compagnia nelle anime dei trapassati.

Aveva sempre saputo che in un modo o nell'altro sarebbe finita così, com'era destino per i Cavalieri che avessero combattuto nella Guerra Sacra.

Prima o poi sarebbero morti tutti, lottando, combattendo per la loro dea e per far trionfare la giustizia, e alla fine solo due di loro sarebbero sopravvissuti per prepararsi al prossimo conflitto.

Forse avrebbero potuto essere loro due, lui e Albafica, i fortunati. Ma ormai quel possibile futuro era sbiadito, tramutandosi in cenere.

Strinse i pugni, spostando lo sguardo sull'armatura d'oro che riposava lì vicino, in attesa di un nuovo padrone. E si sorprese di vederla nuovamente ricompattata attorno al corpo di Albafica.

O meglio, attorno al suo spirito.

Sorrise d'istinto nel vederlo così splendente, un corpo di pura luce che lo rendeva ancora più bello di quanto già non fosse in vita. Pareva un angelo sceso dal cielo, magari uno di quelli che componevano il Lost Canvas e che sarebbe rimasto lì, immortalato nel suo splendore finché la battaglia non si fosse conclusa.

“C'è un particolare motivo per cui preferisci questo schifo di posto invece della celeste luce?” domandò sarcastico all'indirizzo di Albafica, il quale, sorrise.

Volevo solo assicurarmi che tu non facessi sciocchezze. E ricordarti che prima di essere il mio amante, sei un Cavaliere d'Oro

Defteros scosse le spalle e sogghignò come faceva spesso, sporgendo pericolosamente i canini.

“Hai forse paura che venga a perseguitarti nei Campi Elisi?”

Ho paura che tu lo faccia troppo presto

Defteros gli si avvicinò e allungò una mano per accarezzare il suo viso, trovando sotto i polpastrelli solo la fresca consistenza di una luce eterea. Non poteva toccarlo. Però poteva vederlo e percepirlo, ultimo residuo del grande guerriero che era stato.

“Presto o tardi, ti raggiungerò” promise, stringendo i pugni allo stremo. “Perciò aspettami. Perché la strada che mi condurrà a te sarà ben presto disseminata di cadaveri di Spectre. Trascinerò le loro carcasse sanguinanti fino alle porte dei Campi Elisi e le costringerò a porgerti personalmente le loro scuse. Il Cielo piangerà lacrime di sangue davanti alla devastazione che porterò nelle fila di Hades, e la Terra stessa, fradicia delle loro viscere, mi implorerà di smetterla. Ma io non smetterò. Finché non avrò imbrigliato la morte e preso la testa del re degli Inferi, io continuerò a distruggerli tutti”

Quando la sua voce si spense e le sue promesse di vendetta si persero nel vento, Defteros scoprì che lo spirito di Albafica era ormai svanito, e che la sua armatura era di nuovo davanti a lui, muta testimone del suo dolore.

Il sole era tramontato.

Il vento taceva.

E quando Defteros abbassò lo sguardo sul suo pugno, lì dove si era conficcato le unghie nella carne con rabbia, trovò il gambo senza spine di una rosa rossa.

  
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