Cap. 10
Alla fine l’avevo davvero preso in braccio, ma gli avevo raccomandato di
rimanere un attimo steso sul divano mentre andavo a preparare l’acqua per la
vasca. Gli chiesi se volesse qualcosa per coprirsi, ma lui negò dicendo che non
dovevo preoccuparmi e se ne stette sul divano in finta pelle disteso supino
mentre io riempivo la vasca d’acqua e mi assicuravo di tanto in tanto della sua
temperatura. Mi misi su un paio di boxer giusto per non sentirmi del tutto
indifeso, poi andai a prendere Valerio. Gli chiesi se riusciva a mettersi in
piedi, e lui disse di sì, che davvero non dovevo preoccuparmi di nulla, ma le
notai le smorfie di dolore sul suo volto anche solo quando si mise a sedere,
perciò mi preoccupai di fargli scorrere un braccio sulla mia spalla e di
tirarlo su in quel modo, come quando si accompagna a casa un ubriaco.
«Ti ho fatto davvero così male?» gli chiesi quando lo sentii saltellare su una
gamba.
«Vorrei vedere… Non sei esattamente piccolo. E ci hai
messo foga…»
«Scusa,» dissi imbarazzato e a testa bassa.
«Zitto, è stato meraviglioso,» ribatté lui all’istante, con quella voce che
aveva un non so che di malinconico. Quando arrivammo in bagno, lui saltellando
e io trascinandomelo sul fianco, lo aiutai ad adagiarsi in vasca. Rabbrividì
per la temperatura dell’acqua e respirò forte sperando di abituarsi in fretta
al calore. Io feci un salto in camera da letto a prendere le sigarette e poi
nel secondo bagno, quello più piccolo, per recuperare il mio accappatoio.
Tornai nel bagno grande e lasciai l’accappatoio sul lavandino, buttai il
pacchetto di sigarette a terra e cercai un asciugamano piccolo da stendere
davanti vasca, nel caso avessimo fatto acqua. Valerio attendeva tenendosi
strette le gambe e guardandomi dall’alto in basso con tanto di occhi. Dedicai imbarazzato
un pensiero ai miei boxer, e mi chiesi se fosse il caso di entrare con l’intimo
nella vasca; ma poi mi dissi “Sei scemo, per caso? Te lo sei bombato pochi
minuti fa, il Valerio, che rilevanza può avere se ti vede nudo un’altra volta?
Hai dei problemi seri” e la voce nella mia testa fu abbastanza convincente. Mi
spogliai del tutto e mi affrettai ad immergermi nell’acqua, la schiena
appoggiata contro la vasca sul lato opposto a Valerio. Sospirai di sollievo
quando l’acqua mi toccò tutto, e buttai la testa all’indietro, con le gambe di
Valerio che se ne stavano chiuse al centro, mentre io le tenevo aperte ai lati.
«Era da un po’ che non facevo un bagno. Sempre e solo la doccia…»
mormorai ad occhi chiusi, le braccia appoggiate ai bordi della vasca. «Mi sento
come se stessi scaricando tutto lo stress della settimana scorsa,» confessai
sospirando, ma quello se ne stava immobile, chiuso a riccio, le braccia che si
tenevano le gambe e lo sguardo fermo sull’acqua, quasi stesse pensando
intensamente a qualcosa. Veramente all’inizio pensai fosse squagliato dal
caldo. Tirai su la testa e la inclinai per guardarlo in faccia, sapendo
benissimo a cosa stava pensando. Era la stessa cosa a cui io tentavo di non
pensare commentando su quanto fosse rilassante fare il bagno caldo.
«Valerio… quello che è successo stamattina…»
«E’ colpa mia,» mi interruppe quello senza guardarmi in faccia. «Avrei dovuto fare più attenzione. E adesso
guarda cosa ho combinato,» aggiunse, e avvicinò il mento alle ginocchia
sollevate. Feci schioccare la lingua e sospirai, non sapendo davvero come avrei
dovuto reagire a quello che era successo.
«Anche io sono stato sprovveduto, abbiamo sbagliato entrambi a esporci così tanto,»
dissi con una mano che passava tra i capelli e che si fermava a grattare la
nuca.
«No, io ti ho costretto a cenare con me, io ti ho portato a ballare, io ti ho
baciato sulla pista da ballo, davanti a persone che avrebbero potuto benissimo
riconoscerti. Ma non me ne importava, perché pensavo solo a quanto fosse bello
averti, senza rendermi conto che avrei potuto danneggiarti. E così è stato. Mi
sento una merda e credevo che non avrei più avuto il coraggio di guardarti in
faccia,» disse,veloce come un treno, il vapore che iniziava ad accumularsi
attorno a noi.
«…In effetti non ci siamo guardati in faccia più di
tanto,» feci ironico, e avevo anche voglia di fare battute penose, a quanto
pareva. Ma lui almeno sorrise, forse più per pena che per altro. Allungai il
braccio e andai ad accarezzarlo con l’indice sotto al mento, notando come
cercasse di tenere gli occhi giù, rivolti all’acqua. «Mi vuoi guardare, adesso?»
lo spronai, continuando a far strisciare il dito sotto il mento. Non resistette
a lungo: qualche secondo dopo fece guizzare gli occhi trasparenti su di me, e
io subito mi sentii invadere dalla serenità. Quei suoi occhi erano la mia vita,
la mia vita vera, e sarebbero stati anche la mia morte. Sorrisi come un ebete e
lui non poté fare altro che sorridermi a sua volta, sospirando come una
ragazzina. Gli feci segno con la mano di avvicinarsi, e quello si staccò piano
dalla sua posizione.
«Appoggiati,» gli dissi indicandomi il petto, e lui, muovendosi con cautela per
non lasciare che dell’acqua strabordasse, si girò di
schiena e si adagiò su di me, il capo appoggiato sulla mia spalla sinistra. Lo
avvolsi con le braccia sperando che non gli desse fastidio e gli posai un bacio
sul collo ancora asciutto, facendolo rabbrividire.
«Che intendi fare?» mi chiese dopo un po’ che me ne stavo con la bocca
appoggiato alla sua spalla e lo sguardo fisso nel vuoto, pensieroso. Allontanai
il capo e allungai una mano all’esterno della vasca asciugandomela sul panno
che avevo messo a terra, poi presi una sigaretta che spuntava dal pacchetto e
feci per accendermela.
«Ti dà fastidio?» chiesi con la sigaretta che penzolava dalle labbra. Lui
scosse la testa.
«Al contrario,» disse, e si accoccolò sul mio petto socchiudendo gli occhi.
Adoravo fumare in vasca, ed era davvero troppo tempo che non lo facevo, troppo
per poter evitare di farlo. Ma se avesse infastidito anche solo leggermente il
mio Valerio avrei lasciato perdere sigarette e tutto. Avrei smesso di fumare
definitivamente per lui. Avrei modificato gli orari in cui mi addormentavo e in
cui mi svegliavo per lui. Avrei ribaltato completamente la mia vita per lui.
Lui, che era così affamato d’amore, e che adesso mi stringeva inconsciamente le
dita della mano sotto l’acqua, in attesa di una risposta.
«Che intendo fare? Non lo so… spero solo che
quell’idiota non vada a spargere in giro la voce. Non sono riuscito neanche a
fare in tempo a negare tutto, che tu già t’eri alzato per poi scappare via,
lasciando intendere che le accuse derisorie di quel ragazzo non fossero del
tutto false».
«Lo dicevo che è stata colpa mia,» disse l’altro facendomi finire a malapena la
frase, e girò il capo verso il muro, senza però mollare la presa sulla mia mano, anzi, rafforzandola.
Alzai le spalle e buttai fuori una nuvola di fumo.
«Hai reagito d’istinto. Vorrei essere capace di farlo anche io. La razionalità
non è sempre una buona cosa, spesso sa solo confonderti. Ammiro la tua
spontaneità,» gli dissi, sincero come
poche volte lo ero stato, e avvertii il suo corpo irrigidirsi appena.
«Come fai a farmi ancora dei complimenti dopo la cazzata che ho fatto? Ti
cacceranno dalla facoltà!» esclamò, la voce un po’ stridula, e io gli strofinai
il capo sui capelli come un gatto in cerca di coccole per farlo calmare.
«No, non è così che funziona. Finché non hanno prove concrete, non possono
sbattermi fuori. Le parole di un ragazzetto arrogante non contano niente, là
dentro. E in ogni caso, in teoria, possiamo fare quello che vogliamo. Non hai
mica dodici anni, sei maggiorenne e vaccinato e consenziente. Non verrò
sbattuto fuori,» il mio discorso era perfettamente razionale, ma quella
razionalità era nettamente diversa da quella che ero solito tirare fuori nella
mia vita precedente, quella che puntava all’equilibrio, al rafforzamento delle
basi del mio castello di carta, alla costruzione della mia esistenza mediocre,
silenziosa e disinteressata. Adesso invece la mia razionalità snocciolava
discorsi che miravano a rendere lecito quel mio squarcio di cielo, quel pezzo
di felicità che avevo trovato, e che dovevo proteggere, a tutti i costi. E
avevo bisogno di sapere che quella felicità non mi avrebbe lasciato di sua
spontanea volontà, che sarebbe rimasta sulle mie spalle, leggera come una
piuma, calda come un raggio di sole, ancora per un po’ di tempo.
«Ma avrai problemi, di sicuro. Inizieranno a circolare le voci. Due uomini che
escono insieme sono già uno scandalo nella nostra società, ma addirittura
alunno e insegnante…»
«Se mai le cose dovessero peggiorare, mi vedrò costretto a fare domanda
altrove,» lo interruppi continuando a fumare con un braccio fuori dalla vasca,
curioso della sua reazione, o forse più speranzoso.
«Dici che ti trasferiresti?» mi chiese, la voce che tremava e lasciava
intendere il timore che aveva preso ad agitarglisi
nello stomaco.
«Se la situazione diventa ingestibile sì, ma non credo che…»
«Io verrò con te,» mi interruppe subito, risoluto, il capo adesso rivolto verso
di me, anche se riuscivo a vederne perfettamente solo il profilo.
«Non ho detto che mi trasferisco,» gli feci notare, la cenere che cadeva sul
pavimento blu e di cui non poteva importarmene di meno.
«Se dovessi farlo, sappi con un largo anticipo che io ti seguirò ovunque
andrai,» mi disse, seriamente, tanto che mi fece scoppiare a ridere tossendo
fumo a destra e a sinistra.
«Devo avere paura?» chiesi divertito, mentre quello se ne stava lì a guardarmi,
terribilmente serio.
«Sarò la tua ombra,» annunciò, e quel suo tono mi fece nuovamente sorridere
divertito perché, davvero, non c’era motivo di essere seri. E adesso che mi ero
assicurato che la mia felicità mi avrebbe seguita anche se avessi dovuto
lasciarla andare, mi mise addosso un’inquietante serenità. Pensai di non
essermi mai sentito così a posto nel mondo, nonostante gli avvenimenti di
quella mattina, nonostante la ferita ancora fresca dovuta alla morte di
Rosaria, nonostante fossi stato praticamente dimenticato da ciò che rimaneva
della mia famiglia, nonostante il divorzio risalente solo a qualche mese prima.
Nonostante tutto, stavo una meraviglia.
Tirai fuori la mano che tenevo sotto l’acqua e attirai il capo di Valerio su di
me, per poi baciarla la tempia. Mi sta
bene, non lasciarmi mai, stavo per dirgli, ma non ero tanto sentimentale da
poterlo fare. La sigaretta era quasi finita, la bruciatura era ormai arrivata
al filtro, ma Valerio si aggrappò al mio braccio per poi trascinarselo vicino
alla bocca e fare l’ultimo tiro della sigaretta. Glielo lasciai fare, poi
allontanai subito il mozzicone dalla vasca per evitare che la cenere cadesse
nell’acqua, e lasciai andare il filtro ormai vuoto sul pavimento. Allora
Valerio si voltò verso di me più che poté e buttò fuori il fumo sulle mie
labbra socchiuse, che raccolsero quello che riuscivano a raccogliere, lo
mandarono giù nei polmoni e lasciarono andare ciò che rimaneva. Mi sorrise e
allo stesso tempo mi attirò con gli occhi, quindi io non potei fare altro che
avvicinarmi ulteriormente e posargli un bacio sul lato della bocca. Lui mi
appese una mano dietro la nuca e mi spostò sulla sua bocca, prendendo subito a
baciarmi con trasporto e sospirando ogni qualvolta ne trovava l’occasione. Il
collo era ben teso, e ne approfittai per accarezzarlo, facendolo sorridere
sulla mia bocca.
«Fai il solletico,» mi disse, i denti bianchi a contatto con le mie labbra, e
io giurai di volerlo mangiare. Gli mordevo le labbra adesso, e sentii davvero
la fame che avevo di lui, la avvertii all’altezza dello stomaco e nel basso
ventre, che avevo iniziato a muovere circolarmente sotto di lui. Portai la mano
che prima reggeva la sigaretta sotto l’acqua, per poi percorrere con i
polpastrelli la linea del suo fianco e finire sul fondoschiena morbido.
«Fa ancora male?» gli chiesi mentre mi avvicinavo con una lentezza snervante
alla sua entrata.
«No. Hai ragione, un bel bagno caldo allevia tutte le sofferenze,» disse lui,
completamente a sua agio, la testa ben appoggiata al mio petto.
«Sicuro che non fa male?»
«Sicuro… perché? Vuoi farlo ancora?» mi chiese, un
misto tra serietà e divertimento, e io gli risposi con un paio di baci tra i
capelli.
«Se solo avessimo qualcosa per…» mi interruppi
guardando fisso davanti a me, oltre la spalla di Valerio. «Passami quel
flacone,» gli chiesi poi, indicandogli col dito l’unico che si trovava sul
bordo vasca sul lato opposto. Valerio s’allungò, lo prese e tornò al posto per
poi leggere l’etichetta.
«Cosa… Johnson’s baby? Usi
l’olio per il corpo Johnson’s baby?!» esclamò
divertito, con la mano davanti alla bocca. Sbuffai e gli tolsi il flacone dalle
mani.
«Non giudicarmi, ha un buon profumo. E idrata la pelle,» dissi col broncio
mentre lo stappavo e subito dopo andavo a togliere il tappo alla vasca da bagno
così che l’acqua potesse fluire via. Lui non obiettò su quello che stavo
facendo, e parlò mentre il rumore del risucchio era più forte.
«Magari oggi scoprirai che è più utile a qualcos’altro,» e per quanto la frase
fosse maliziosa, il suo tono era spontaneo e innocente come sempre, come un
bambino che gioca con le costruzioni e
che ti dice tutto contento qual è il modo migliore per incastrare due
pezzi.
«Hai freddo?» gli domandai quando ci ritrovammo stretti nella vasca vuota.
«No, sei caldo, contro di te sto bene,» mi disse, e si sistemò meglio su di me
facendo scontrare inevitabilmente il fondoschiena con la mia erezione neonata. Dissi
“Meno male”, e mi spremetti dell’olio sulle dita, pensando a quanto fosse
imbarazzante quel rumore nel silenzio più totale. Tornai ad essere nervoso,
come il bambino di prima che sta completando la torre e trema tutto mentre
cerca di posare in cima l’ultimo pezzo senza lasciar crollare tutta la
costruzione. Spostai quindi la mano insicura sotto di lui, che alzò leggermente
l’anca per facilitarmi il movimento.
«Sei sicuro che…?»
«Vai,» mi rassicurò lui ancor prima che finissi di parlare. Poggiai le dita oliose e profumate contro la sua entrata, e lo vidi
rabbrividire vistosamente, ebbe quasi uno scatto della gamba.
«E’ fredda?» chiesi, come un povero idiota, credendo che l’olio sulle mie dita
bollenti potesse in qualche modo diventare freddo. Lo sentii sorridere tra sé,
disse “No”, poi sembrò voler continuare la frase e la concluse con “…professore”, sicuro che in quel modo sarebbe riuscito a
farmi perdere il controllo. E non aveva proprio tutti i torti. Un mio dito gli scivolò dentro e gli mozzò il
respiro. Si aggrappò al lato della vasca senza riuscire a reggersi
decentemente, e restò a bocca aperta per un po’, mentre gli occhi li teneva
stretti. Altro che freddo, il mio olio sulle dita adesso era bollente, bruciava
quasi. Curvai il dito a uncino, e
Valerio sussultò trattenendo qualunque suono tentasse di uscirgli dalle labbra,
poi prese a muoversi anche lui su di me.
«Due…» mormorò quindi, la voce che graffiava.
«Cosa?» chiesi, decisamente a fatica, quasi avessi fatto una lunga ed
estenuante corsa.
«Due dita…mettile…» si interruppe quando si accorse
che mi stavo già accingendo ad aggiungere il dito medio. Pensai che dovesse
bruciargli un po’ a causa di quello che avevamo fatto prima di entrare in
vasca, ma scese imperterrito sopra le mie due dita, quasi non avesse bisogno di
altro nella vita. Portai l’altra mia mano sulla sua spalla, poi mi feci vicino
al suo orecchio e,
«Fermo,» sussurrai, stringendogli piano il braccio, e quello smise di muoversi
su e giù sulle mie dita, permettendomi così di lasciar fare a me. Si vedeva che
era stanco e dolorante, non volevo farlo affaticare ulteriormente. Come se in
quel modo non si sarebbe stancato. Era proprio vero che non ero più in grado di
ragionare in quelle condizioni.
Tentai di alzarmi sulle ginocchia senza scivolare, poi presi nuovamente il
flacone dell’olio e glielo aprii lì dove tenevo ferme le dita, facendolo
rabbrividire per l’ennesima volta. Dopodiché mi impegnai a sbattergli le due
dita in profondità, sforbiciando più che potevo, e intanto massaggiandogli
l’anello muscolare all’esterno col pollice. Finalmente un suono abbandonò la
sua bocca, ed era molto simile a quello di un animale in agonia. Gli chiesi per
l’ennesima volta se gli faceva male, continuando comunque a lavorare con le
dita senza ritegno, ma quello disse solo:
«Mi piace,» con la voce che si sforzava per non sembrare particolarmente
lasciva. Scesi a baciargli il collo e, mentre cercavamo entrambi una posizione
comoda –sembravamo essere fissati coi luoghi scomodi, a dirla tutta-, mi
accorsi di essergli sopra, adesso. Lui stava fermo come gli avevo detto,
rannicchiato contro la ceramica della vasca, la mano che aveva iniziato a
muoversi sopra la propria erezione, la solita espressione sofferente che
adottava quando era particolarmente eccitato.
Mentre tentavo di infilargli l’anulare, pensai che avrei dovuto fargli quello
che non avevo fatto prima, lì in salotto. Gli infilai la mano libera tra le
cosce, che mi premurai di separare, per poi spingere con il palmo la gamba
sinistra verso l’esterno e riuscire finalmente a posizionarmi tra le sue gambe.
Piegai tutte le falangi a uncino, e intanto mi buttai a succhiargli la base del
membro eretto. Un suono strozzato e poco piacevole all’udito abbandonò la sua
gola.
«Non trattenerti,» mormorai mentre gli soffiavo sulla punta del sesso. Non
l’avevo mai preso in bocca, Dio, era qualcosa del tutto nuova per me, non avevo
avuto un passato da risucchia-tutto, e di certo non
mi ero mai esercitato coi cetrioli che comprava mia madre. Quindi trovai
difficoltà a fare un lavoro come si deve. Scesi giù con la bocca, ma arrivai a
prenderne solo poco più di metà, perché ancora non ero abituato a riempirmi la
bocca in quel modo.
Ancora abituato? Perché, avevo forse intenzione di abituarmi?
Negai con la testa quasi a voler dire di no alla mia domanda retorica, ma quel
gesto sembrò far impazzire Valerio, che ancora tentava di non urlare mordendosi
a sangue le labbra.
«Non trattenerti,» dissi nuovamente dopo essermelo sfilato dalla bocca.
«E’ tardi, ci sentiranno,» disse lui, tra i sospiri trattenuti e i grossi
brividi su tutto il corpo.
«Che ti importa?» chiesi tra una lappata e l’altra, tentando di essere il più
preciso possibile mentre seguivo le vene in evidenza sulla sua lunghezza.
«Importa… a te…» fece
quello a fatica, il capo gettato all’indietro col rischio di sbattere la nuca
contro il bordo della vasca.
«Non mi importa,» asserii mentre avvertivo il suo cuore battermi sulla lingua.
«No?»
«No».
Valerio si mise a urlare all’improvviso, tanto forte da spaccarmi i timpani e
farmi venire un coccolone. Per poco non gli morsi il pene.
«Che…che succede?» chiesi, un attimo scosso.
«Sono rumoroso, mi dispiace… so che dà fastidio e quindi…»
«Ti fai troppi problemi,» dissi divertito prima di sfilare le dita e
strappargli un gemito. Salii verso la sua bocca lasciandogli una scia di baci
su tutto il corpo e poi incastrai le mie labbra alle sue facendogli assaggiare
il suo stesso sapore. Mi mugolò in bocca, e continuò a farlo anche quando mi
staccai per ravvivargli i succhiotti sul collo, quasi non riuscisse più a stare
zitto. Gli presi i polpacci e li sollevai: mi posai quindi la gamba sinistra
sulla spalla, mentre la destra la lasciai andare sul bordo della vasca, a
penzoloni.
«Urla quanto ti pare, a me non dà fastidio,» gli mormorai contro la bocca
mentre cercavo la sua entrata per la seconda volta in quella sera. «La tua voce
è l’unico suono che non mi infastidisce,» ammisi, e lui mi sorrise e annuì
prima di baciarmi. E per la seconda volta in quella sera, mi spinsi dentro di
lui come non ci fosse un domani, con troppa foga, rischiando di lacerarlo. Ed
era per me la cosa più preziosa, il mio squarcio di felicità, e tanto l’amavo
da non riuscire a controllarmi. Lui pianse dal dolore e urlò di piacere, e io
non sapevo se essere preoccupato per la forza che ci stavo mettendo o felice
per il piacere che gli stavo provocando. Una serie di “Aah” prolungati si propagarono per la stanza, finché non sentii
Valerio gridarmi un “Più forte!”
gracchiante che mi fece capire che, sì, gli stava piacendo, e io non potevo che
esserne felice. Come un bambino che completa la sua torre di Lego e qualcuno
gli dice che è la cosa più bella che abbia mai visto.
«Ancora…»
Era stremato, ormai immobile sotto di me, e io ero al culmine, ma continuava a
chiedermene ancora, e ancora.
«Dentro… stai dentro,» mi supplicò, e non aveva
neanche più la forza di gemere. Gli dissi che non avevo intenzione di sporcarlo
all’interno, quindi venni fuori, sulla sua coscia destra e lui sembrò cadere in
trance, a occhi socchiusi, come qualcuno che ha appena assunto delle droghe e non riesce più a
muovere un muscolo.
«Dio santo…» invocai con una mano davanti alla bocca.
Mi piegai su di lui con le braccia che non mi reggevano più e gli posai un
bacio sulla fronte di nuovo coperta di sudore. «Scusami, maledizione. Giuro che
non alzerò più un dito su di te, te lo giuro, io…»
«Mi hai… scopato maledettamente bene. Io… sono il ragazzo più felice del pianeta…»
disse, gli occhi che ora guardavano tutto tranne me e la testa che ciondolava.
Sembrava davvero aver assunto allucinogeni. «Ti amo tanto,» aggiunse poi, il
tono cantilenante, quindi sospirò e chiuse gli occhi, quasi volesse dormire lì,
accartocciato nella vasca.
Aspettai che tornasse un po’ in sé, che si rendesse conto che non poteva
mettersi a dormire là dentro, poi lo baciai sulle guance tese in un sorriso e
gli dissi che avrei riempito nuovamente la vasca di acqua, visto che eravamo
tornati ad essere sporchi. Lo aiutai a lavarsi, e lui aiutò me a strofinare la
schiena; gli lavai i capelli ancora umidi di pioggia grattandolo per bene sotto
le orecchie con lo shampoo alle more, e lui per tutto il tempo fece un rumore
con la bocca simile alle fusa dei gatti, e tenne gli occhi socchiusi e
sbadigliò sommessamente. Quella situazione aveva tutte le caratteristiche di un
sogno soffuso e odoroso e silenzioso.
Dopo il nostro secondo bagno, lo aiutai a uscire dalla vasca, ché rideva e
barcollava come un ubriaco, e gli avvolsi l’accappatoio sulle spalle, mentre
lui continuava a fare le fusa. Gli frizionai poi i capelli con un asciugamano
più piccolo e mi sembrò di star accudendo un figlio, o un malato, visto che
ridacchiava come uno poco sano di mente. Dopo avergli dato il phon e
raccomandato di asciugarsi per bene i capelli che, notai, non erano poi così
corti, andai in camera da letto a cambiarmi per la notte. Valerio accese il
phon dando il via al fastidioso rumore di quest’ultimo e del cavo che sbatteva
sul lavandino, e solo in quel momento mi resi conto che, diavolo, erano le tre
di notte passate. Dovevo davvero darmi una regolata e smetterla di andare a
dormire così tardi. Ma come facevo a dormire, come? Probabilmente non avrei
chiuso occhio, quella notte.
«Tutto bene?» chiesi al vuoto quando il rumore del phon s’interruppe. Non
ricevetti risposta, ma subito dopo Valerio entrò in camera mia zoppicando, in
canottiera e mutande, e si lasciò andare sul materasso coi capelli finalmente
asciutti e disordinati. Feci per alzarmi per andare ad asciugare i miei, di
capelli, ma quello svettò a sedere a dispetto dei dolori che provava un po’ in
tutto il corpo e mi riportò dov’ero tirandomi dal braccio. Mi girai a
chiedergli spiegazioni con lo sguardo, e lui mi sorrise raggiante appoggiandosi
col braccio sul materasso.
«Ti amo tantissimo,» mi disse senza alcun pudore, e io sentii di essermi
acceso, come più di una volta era successo, come una candelina. Si distese
supino senza smettere di sorridere ed allargò le braccia, aspettando che lo
abbracciassi e, probabilmente, lo riempissi di baci. Non potevo non
accontentarlo, non riuscivo ad ignorarlo, non ce la facevo. Così mi dimenticai
dei capelli ancora umidi, e finii per rotolarmi sul letto con Valerio, a
coccolarci come due quindicenni travolti dall’amore.
Restammo a parlare una mezz’ora del più e del meno, e stavo quasi per prendere
sonno quando quello, inaspettatamente, mi sussurrò sulle labbra che voleva
ancora fare l’amore. E quella era la terza volta in una sola notte. Pensai che,
davvero, non m’ero mai sentito tanto spossato in vita mia.
Spossato e incredibilmente soddisfatto. E nella mia vita mai m’ero sentito
soddisfatto. C’era sempre qualcosa che mancava, che rovinava il tutto, che mi
lasciava l’amaro in bocca. Ma stavo tentando di accantonare la mia vita
condotta per inerzia. E Valerio mi stava dando una mano, no, un braccio, no,
tutto il corpo.
Respirava forte nel sonno, e la spalla nuda contro la guancia gli spingeva le
labbra in fuori. Le ciglia chiare tremavano appena e i capelli andavano per
conto loro. Restai sveglio un paio d’ore a guardarlo dormire.
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Forse sono un po’ inutili i capitoli in
cui ci sono loro due e basta, no? XD Poi mi è sembrato poco scorrevole come
capitolo, ma lascio a voi il giudizio, che siete davvero in gamba <3 Grazie
di leggermi <3
Come avete notato, ho deciso di fare Valerio rumoroso. Perché tanto era
destinato ad esserlo sin dall’inizio XD
Spero che si senta l’amore forte che c’è tra i due…
vorrei farlo trasparire il più possibile. :)
Grazie ancora a chi recensisce, e un abbraccio speciale a Ceci, una cara amica
che ha voluto cimentarsi nella lettura di questa storia e che sembra le sia
piaciuta parecchio! <3
Pagina facebook Mirokia: http://www.facebook.com/mirokiaEFP
Mirokia (ps, per chi se lo stesse chiedendo, Mirokia si legge con l’accento sull’ultima “i”!)