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Autore: Mirokia    02/12/2012    4 recensioni
Vivere per inerzia può essere una scocciatura quanto una benedizione.
Chi vive per inerzia non causa alcun tipo di problema, disturbo o contrattempo a coloro con cui entra in contatto. E’ come se, invece di inciampare su un difetto dell’asfalto e rovinare su un passante, inciampi e cadi giusto accanto a lui: non gli causi alcun tipo di danno, ma intanto sei caduto e, anche se ti sei fatto male, quasi non lo senti, perché sei abituato a vivere per inerzia. E allora ti alzi, ti spolveri, e vai avanti, ed è come se non fosse successo nulla.
Poi arriva il momento in cui semplicemente non puoi più far finta di nulla. Proprio non ci riesci. E il tuo mondo costruito per inerzia sembra crollare come un castello di carte.

[...]
«Io sono gay.»
«No che non lo sei, hai solo bevuto troppo.»
«Ho una cotta per te.»
«Non sai di cosa parli. Adesso va' a dormire, basta vaneggiare.»
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Cap. 10


 

 

 

 

 

 



Alla fine l’avevo davvero preso in braccio, ma gli avevo raccomandato di rimanere un attimo steso sul divano mentre andavo a preparare l’acqua per la vasca. Gli chiesi se volesse qualcosa per coprirsi, ma lui negò dicendo che non dovevo preoccuparmi e se ne stette sul divano in finta pelle disteso supino mentre io riempivo la vasca d’acqua e mi assicuravo di tanto in tanto della sua temperatura. Mi misi su un paio di boxer giusto per non sentirmi del tutto indifeso, poi andai a prendere Valerio. Gli chiesi se riusciva a mettersi in piedi, e lui disse di sì, che davvero non dovevo preoccuparmi di nulla, ma le notai le smorfie di dolore sul suo volto anche solo quando si mise a sedere, perciò mi preoccupai di fargli scorrere un braccio sulla mia spalla e di tirarlo su in quel modo, come quando si accompagna a casa un ubriaco.
«Ti ho fatto davvero così male?» gli chiesi quando lo sentii saltellare su una gamba.
«Vorrei vedere… Non sei esattamente piccolo. E ci hai messo foga…»
«Scusa,» dissi imbarazzato e a testa bassa.
«Zitto, è stato meraviglioso,» ribatté lui all’istante, con quella voce che aveva un non so che di malinconico. Quando arrivammo in bagno, lui saltellando e io trascinandomelo sul fianco, lo aiutai ad adagiarsi in vasca. Rabbrividì per la temperatura dell’acqua e respirò forte sperando di abituarsi in fretta al calore. Io feci un salto in camera da letto a prendere le sigarette e poi nel secondo bagno, quello più piccolo, per recuperare il mio accappatoio. Tornai nel bagno grande e lasciai l’accappatoio sul lavandino, buttai il pacchetto di sigarette a terra e cercai un asciugamano piccolo da stendere davanti vasca, nel caso avessimo fatto acqua. Valerio attendeva tenendosi strette le gambe e guardandomi dall’alto in basso con tanto di occhi. Dedicai imbarazzato un pensiero ai miei boxer, e mi chiesi se fosse il caso di entrare con l’intimo nella vasca; ma poi mi dissi “Sei scemo, per caso? Te lo sei bombato pochi minuti fa, il Valerio, che rilevanza può avere se ti vede nudo un’altra volta? Hai dei problemi seri” e la voce nella mia testa fu abbastanza convincente. Mi spogliai del tutto e mi affrettai ad immergermi nell’acqua, la schiena appoggiata contro la vasca sul lato opposto a Valerio. Sospirai di sollievo quando l’acqua mi toccò tutto, e buttai la testa all’indietro, con le gambe di Valerio che se ne stavano chiuse al centro, mentre io le tenevo aperte ai lati.
«Era da un po’ che non facevo un bagno. Sempre e solo la doccia…» mormorai ad occhi chiusi, le braccia appoggiate ai bordi della vasca. «Mi sento come se stessi scaricando tutto lo stress della settimana scorsa,» confessai sospirando, ma quello se ne stava immobile, chiuso a riccio, le braccia che si tenevano le gambe e lo sguardo fermo sull’acqua, quasi stesse pensando intensamente a qualcosa. Veramente all’inizio pensai fosse squagliato dal caldo. Tirai su la testa e la inclinai per guardarlo in faccia, sapendo benissimo a cosa stava pensando. Era la stessa cosa a cui io tentavo di non pensare commentando su quanto fosse rilassante fare il bagno caldo.
«Valerio… quello che è successo stamattina…»
«E’ colpa mia,» mi interruppe quello senza guardarmi in faccia.  «Avrei dovuto fare più attenzione. E adesso guarda cosa ho combinato,» aggiunse, e avvicinò il mento alle ginocchia sollevate. Feci schioccare la lingua e sospirai, non sapendo davvero come avrei dovuto reagire a quello che era successo.
«Anche io sono stato sprovveduto, abbiamo sbagliato entrambi a esporci così tanto,» dissi con una mano che passava tra i capelli e che si fermava a grattare la nuca.
«No, io ti ho costretto a cenare con me, io ti ho portato a ballare, io ti ho baciato sulla pista da ballo, davanti a persone che avrebbero potuto benissimo riconoscerti. Ma non me ne importava, perché pensavo solo a quanto fosse bello averti, senza rendermi conto che avrei potuto danneggiarti. E così è stato. Mi sento una merda e credevo che non avrei più avuto il coraggio di guardarti in faccia,» disse,veloce come un treno, il vapore che iniziava ad accumularsi attorno a noi.
«…In effetti non ci siamo guardati in faccia più di tanto,» feci ironico, e avevo anche voglia di fare battute penose, a quanto pareva. Ma lui almeno sorrise, forse più per pena che per altro. Allungai il braccio e andai ad accarezzarlo con l’indice sotto al mento, notando come cercasse di tenere gli occhi giù, rivolti all’acqua. «Mi vuoi guardare, adesso?» lo spronai, continuando a far strisciare il dito sotto il mento. Non resistette a lungo: qualche secondo dopo fece guizzare gli occhi trasparenti su di me, e io subito mi sentii invadere dalla serenità. Quei suoi occhi erano la mia vita, la mia vita vera, e sarebbero stati anche la mia morte. Sorrisi come un ebete e lui non poté fare altro che sorridermi a sua volta, sospirando come una ragazzina. Gli feci segno con la mano di avvicinarsi, e quello si staccò piano dalla sua posizione.
«Appoggiati,» gli dissi indicandomi il petto, e lui, muovendosi con cautela per non lasciare che dell’acqua strabordasse, si girò di schiena e si adagiò su di me, il capo appoggiato sulla mia spalla sinistra. Lo avvolsi con le braccia sperando che non gli desse fastidio e gli posai un bacio sul collo ancora asciutto, facendolo rabbrividire.
«Che intendi fare?» mi chiese dopo un po’ che me ne stavo con la bocca appoggiato alla sua spalla e lo sguardo fisso nel vuoto, pensieroso. Allontanai il capo e allungai una mano all’esterno della vasca asciugandomela sul panno che avevo messo a terra, poi presi una sigaretta che spuntava dal pacchetto e feci per accendermela.
«Ti dà fastidio?» chiesi con la sigaretta che penzolava dalle labbra. Lui scosse la testa.
«Al contrario,» disse, e si accoccolò sul mio petto socchiudendo gli occhi. Adoravo fumare in vasca, ed era davvero troppo tempo che non lo facevo, troppo per poter evitare di farlo. Ma se avesse infastidito anche solo leggermente il mio Valerio avrei lasciato perdere sigarette e tutto. Avrei smesso di fumare definitivamente per lui. Avrei modificato gli orari in cui mi addormentavo e in cui mi svegliavo per lui. Avrei ribaltato completamente la mia vita per lui. Lui, che era così affamato d’amore, e che adesso mi stringeva inconsciamente le dita della mano sotto l’acqua, in attesa di una risposta.
«Che intendo fare? Non lo so… spero solo che quell’idiota non vada a spargere in giro la voce. Non sono riuscito neanche a fare in tempo a negare tutto, che tu già t’eri alzato per poi scappare via, lasciando intendere che le accuse derisorie di quel ragazzo non fossero del tutto false».
«Lo dicevo che è stata colpa mia,» disse l’altro facendomi finire a malapena la frase, e girò il capo verso il muro, senza però mollare  la presa sulla mia mano, anzi, rafforzandola. Alzai le spalle e buttai fuori una nuvola di fumo.
«Hai reagito d’istinto. Vorrei essere capace di farlo anche io. La razionalità non è sempre una buona cosa, spesso sa solo confonderti. Ammiro la tua spontaneità,» gli dissi, sincero come  poche volte lo ero stato, e avvertii il suo corpo irrigidirsi appena.
«Come fai a farmi ancora dei complimenti dopo la cazzata che ho fatto? Ti cacceranno dalla facoltà!» esclamò, la voce un po’ stridula, e io gli strofinai il capo sui capelli come un gatto in cerca di coccole per farlo calmare.
«No, non è così che funziona. Finché non hanno prove concrete, non possono sbattermi fuori. Le parole di un ragazzetto arrogante non contano niente, là dentro. E in ogni caso, in teoria, possiamo fare quello che vogliamo. Non hai mica dodici anni, sei maggiorenne e vaccinato e consenziente. Non verrò sbattuto fuori,» il mio discorso era perfettamente razionale, ma quella razionalità era nettamente diversa da quella che ero solito tirare fuori nella mia vita precedente, quella che puntava all’equilibrio, al rafforzamento delle basi del mio castello di carta, alla costruzione della mia esistenza mediocre, silenziosa e disinteressata. Adesso invece la mia razionalità snocciolava discorsi che miravano a rendere lecito quel mio squarcio di cielo, quel pezzo di felicità che avevo trovato, e che dovevo proteggere, a tutti i costi. E avevo bisogno di sapere che quella felicità non mi avrebbe lasciato di sua spontanea volontà, che sarebbe rimasta sulle mie spalle, leggera come una piuma, calda come un raggio di sole, ancora per un po’ di tempo.
«Ma avrai problemi, di sicuro. Inizieranno a circolare le voci. Due uomini che escono insieme sono già uno scandalo nella nostra società, ma addirittura alunno e insegnante…»
«Se mai le cose dovessero peggiorare, mi vedrò costretto a fare domanda altrove,» lo interruppi continuando a fumare con un braccio fuori dalla vasca, curioso della sua reazione, o forse più speranzoso.
«Dici che ti trasferiresti?» mi chiese, la voce che tremava e lasciava intendere il timore che aveva preso ad agitarglisi nello stomaco.
«Se la situazione diventa ingestibile sì, ma non credo che…»
«Io verrò con te,» mi interruppe subito, risoluto, il capo adesso rivolto verso di me, anche se riuscivo a vederne perfettamente solo il profilo.
«Non ho detto che mi trasferisco,» gli feci notare, la cenere che cadeva sul pavimento blu e di cui non poteva importarmene di meno.
«Se dovessi farlo, sappi con un largo anticipo che io ti seguirò ovunque andrai,» mi disse, seriamente, tanto che mi fece scoppiare a ridere tossendo fumo a destra e a sinistra.
«Devo avere paura?» chiesi divertito, mentre quello se ne stava lì a guardarmi, terribilmente serio.
«Sarò la tua ombra,» annunciò, e quel suo tono mi fece nuovamente sorridere divertito perché, davvero, non c’era motivo di essere seri. E adesso che mi ero assicurato che la mia felicità mi avrebbe seguita anche se avessi dovuto lasciarla andare, mi mise addosso un’inquietante serenità. Pensai di non essermi mai sentito così a posto nel mondo, nonostante gli avvenimenti di quella mattina, nonostante la ferita ancora fresca dovuta alla morte di Rosaria, nonostante fossi stato praticamente dimenticato da ciò che rimaneva della mia famiglia, nonostante il divorzio risalente solo a qualche mese prima. Nonostante tutto, stavo una meraviglia.
Tirai fuori la mano che tenevo sotto l’acqua e attirai il capo di Valerio su di me, per poi baciarla la tempia. Mi sta bene, non lasciarmi mai, stavo per dirgli, ma non ero tanto sentimentale da poterlo fare. La sigaretta era quasi finita, la bruciatura era ormai arrivata al filtro, ma Valerio si aggrappò al mio braccio per poi trascinarselo vicino alla bocca e fare l’ultimo tiro della sigaretta. Glielo lasciai fare, poi allontanai subito il mozzicone dalla vasca per evitare che la cenere cadesse nell’acqua, e lasciai andare il filtro ormai vuoto sul pavimento. Allora Valerio si voltò verso di me più che poté e buttò fuori il fumo sulle mie labbra socchiuse, che raccolsero quello che riuscivano a raccogliere, lo mandarono giù nei polmoni e lasciarono andare ciò che rimaneva. Mi sorrise e allo stesso tempo mi attirò con gli occhi, quindi io non potei fare altro che avvicinarmi ulteriormente e posargli un bacio sul lato della bocca. Lui mi appese una mano dietro la nuca e mi spostò sulla sua bocca, prendendo subito a baciarmi con trasporto e sospirando ogni qualvolta ne trovava l’occasione. Il collo era ben teso, e ne approfittai per accarezzarlo, facendolo sorridere sulla mia bocca.
«Fai il solletico,» mi disse, i denti bianchi a contatto con le mie labbra, e io giurai di volerlo mangiare. Gli mordevo le labbra adesso, e sentii davvero la fame che avevo di lui, la avvertii all’altezza dello stomaco e nel basso ventre, che avevo iniziato a muovere circolarmente sotto di lui. Portai la mano che prima reggeva la sigaretta sotto l’acqua, per poi percorrere con i polpastrelli la linea del suo fianco e finire sul fondoschiena morbido.
«Fa ancora male?» gli chiesi mentre mi avvicinavo con una lentezza snervante alla sua entrata.
«No. Hai ragione, un bel bagno caldo allevia tutte le sofferenze,» disse lui, completamente a sua agio, la testa ben appoggiata al mio petto.
«Sicuro che non fa male?»
«Sicuro… perché? Vuoi farlo ancora?» mi chiese, un misto tra serietà e divertimento, e io gli risposi con un paio di baci tra i capelli.
«Se solo avessimo qualcosa per…» mi interruppi guardando fisso davanti a me, oltre la spalla di Valerio. «Passami quel flacone,» gli chiesi poi, indicandogli col dito l’unico che si trovava sul bordo vasca sul lato opposto. Valerio s’allungò, lo prese e tornò al posto per poi leggere l’etichetta.
«Cosa… Johnson’s baby? Usi l’olio per il corpo Johnson’s baby?!» esclamò divertito, con la mano davanti alla bocca. Sbuffai e gli tolsi il flacone dalle mani.
«Non giudicarmi, ha un buon profumo. E idrata la pelle,» dissi col broncio mentre lo stappavo e subito dopo andavo a togliere il tappo alla vasca da bagno così che l’acqua potesse fluire via. Lui non obiettò su quello che stavo facendo, e parlò mentre il rumore del risucchio era più forte.
«Magari oggi scoprirai che è più utile a qualcos’altro,» e per quanto la frase fosse maliziosa, il suo tono era spontaneo e innocente come sempre, come un bambino che gioca con le costruzioni e  che ti dice tutto contento qual è il modo migliore per incastrare due pezzi.
«Hai freddo?» gli domandai quando ci ritrovammo stretti nella vasca vuota.
«No, sei caldo, contro di te sto bene,» mi disse, e si sistemò meglio su di me facendo scontrare inevitabilmente il fondoschiena con la mia erezione neonata. Dissi “Meno male”, e mi spremetti dell’olio sulle dita, pensando a quanto fosse imbarazzante quel rumore nel silenzio più totale. Tornai ad essere nervoso, come il bambino di prima che sta completando la torre e trema tutto mentre cerca di posare in cima l’ultimo pezzo senza lasciar crollare tutta la costruzione. Spostai quindi la mano insicura sotto di lui, che alzò leggermente l’anca per facilitarmi il movimento.
«Sei sicuro che…
«Vai,» mi rassicurò lui ancor prima che finissi di parlare. Poggiai le dita oliose e profumate contro la sua entrata, e lo vidi rabbrividire vistosamente, ebbe quasi uno scatto della gamba.
«E’ fredda?» chiesi, come un povero idiota, credendo che l’olio sulle mie dita bollenti potesse in qualche modo diventare freddo. Lo sentii sorridere tra sé, disse “No”, poi sembrò voler continuare la frase e la concluse con “…professore”, sicuro che in quel modo sarebbe riuscito a farmi perdere il controllo. E non aveva proprio tutti i torti.  Un mio dito gli scivolò dentro e gli mozzò il respiro. Si aggrappò al lato della vasca senza riuscire a reggersi decentemente, e restò a bocca aperta per un po’, mentre gli occhi li teneva stretti. Altro che freddo, il mio olio sulle dita adesso era bollente, bruciava quasi. Curvai il dito a uncino,  e Valerio sussultò trattenendo qualunque suono tentasse di uscirgli dalle labbra, poi prese a muoversi anche lui su di me.
«Due…» mormorò quindi, la voce che graffiava.
«Cosa?» chiesi, decisamente a fatica, quasi avessi fatto una lunga ed estenuante corsa.
«Due dita…mettile…» si interruppe quando si accorse che mi stavo già accingendo ad aggiungere il dito medio. Pensai che dovesse bruciargli un po’ a causa di quello che avevamo fatto prima di entrare in vasca, ma scese imperterrito sopra le mie due dita, quasi non avesse bisogno di altro nella vita. Portai l’altra mia mano sulla sua spalla, poi mi feci vicino al suo orecchio e,
«Fermo,» sussurrai, stringendogli piano il braccio, e quello smise di muoversi su e giù sulle mie dita, permettendomi così di lasciar fare a me. Si vedeva che era stanco e dolorante, non volevo farlo affaticare ulteriormente. Come se in quel modo non si sarebbe stancato. Era proprio vero che non ero più in grado di ragionare in quelle condizioni.
Tentai di alzarmi sulle ginocchia senza scivolare, poi presi nuovamente il flacone dell’olio e glielo aprii lì dove tenevo ferme le dita, facendolo rabbrividire per l’ennesima volta. Dopodiché mi impegnai a sbattergli le due dita in profondità, sforbiciando più che potevo, e intanto massaggiandogli l’anello muscolare all’esterno col pollice. Finalmente un suono abbandonò la sua bocca, ed era molto simile a quello di un animale in agonia. Gli chiesi per l’ennesima volta se gli faceva male, continuando comunque a lavorare con le dita senza ritegno, ma quello disse solo:
«Mi piace,» con la voce che si sforzava per non sembrare particolarmente lasciva. Scesi a baciargli il collo e, mentre cercavamo entrambi una posizione comoda –sembravamo essere fissati coi luoghi scomodi, a dirla tutta-, mi accorsi di essergli sopra, adesso. Lui stava fermo come gli avevo detto, rannicchiato contro la ceramica della vasca, la mano che aveva iniziato a muoversi sopra la propria erezione, la solita espressione sofferente che adottava quando era particolarmente eccitato.
Mentre tentavo di infilargli l’anulare, pensai che avrei dovuto fargli quello che non avevo fatto prima, lì in salotto. Gli infilai la mano libera tra le cosce, che mi premurai di separare, per poi spingere con il palmo la gamba sinistra verso l’esterno e riuscire finalmente a posizionarmi tra le sue gambe. Piegai tutte le falangi a uncino, e intanto mi buttai a succhiargli la base del membro eretto. Un suono strozzato e poco piacevole all’udito abbandonò la sua gola.
«Non trattenerti,» mormorai mentre gli soffiavo sulla punta del sesso. Non l’avevo mai preso in bocca, Dio, era qualcosa del tutto nuova per me, non avevo avuto un passato da risucchia-tutto, e di certo non mi ero mai esercitato coi cetrioli che comprava mia madre. Quindi trovai difficoltà a fare un lavoro come si deve. Scesi giù con la bocca, ma arrivai a prenderne solo poco più di metà, perché ancora non ero abituato a riempirmi la bocca in quel modo.
Ancora abituato? Perché, avevo forse intenzione di abituarmi?
Negai con la testa quasi a voler dire di no alla mia domanda retorica, ma quel gesto sembrò far impazzire Valerio, che ancora tentava di non urlare mordendosi a sangue le labbra.
«Non trattenerti,» dissi nuovamente dopo essermelo sfilato dalla bocca.
«E’ tardi, ci sentiranno,» disse lui, tra i sospiri trattenuti e i grossi brividi su tutto il corpo.
«Che ti importa?» chiesi tra una lappata e l’altra, tentando di essere il più preciso possibile mentre seguivo le vene in evidenza sulla sua lunghezza.
«Importa… a te…» fece quello a fatica, il capo gettato all’indietro col rischio di sbattere la nuca contro il bordo della vasca.
«Non mi importa,» asserii mentre avvertivo il suo cuore battermi sulla lingua.
«No?»
«No».
Valerio si mise a urlare all’improvviso, tanto forte da spaccarmi i timpani e farmi venire un coccolone. Per poco non gli morsi il pene.
«Che…che succede?» chiesi, un attimo scosso.
«Sono rumoroso, mi dispiace… so che dà fastidio e quindi…»
«Ti fai troppi problemi,» dissi divertito prima di sfilare le dita e strappargli un gemito. Salii verso la sua bocca lasciandogli una scia di baci su tutto il corpo e poi incastrai le mie labbra alle sue facendogli assaggiare il suo stesso sapore. Mi mugolò in bocca, e continuò a farlo anche quando mi staccai per ravvivargli i succhiotti sul collo, quasi non riuscisse più a stare zitto. Gli presi i polpacci e li sollevai: mi posai quindi la gamba sinistra sulla spalla, mentre la destra la lasciai andare sul bordo della vasca, a penzoloni.
«Urla quanto ti pare, a me non dà fastidio,» gli mormorai contro la bocca mentre cercavo la sua entrata per la seconda volta in quella sera. «La tua voce è l’unico suono che non mi infastidisce,» ammisi, e lui mi sorrise e annuì prima di baciarmi. E per la seconda volta in quella sera, mi spinsi dentro di lui come non ci fosse un domani, con troppa foga, rischiando di lacerarlo. Ed era per me la cosa più preziosa, il mio squarcio di felicità, e tanto l’amavo da non riuscire a controllarmi. Lui pianse dal dolore e urlò di piacere, e io non sapevo se essere preoccupato per la forza che ci stavo mettendo o felice per il piacere che gli stavo provocando. Una serie di “Aah” prolungati si propagarono per la stanza, finché non sentii Valerio gridarmi un “Più forte!” gracchiante che mi fece capire che, sì, gli stava piacendo, e io non potevo che esserne felice. Come un bambino che completa la sua torre di Lego e qualcuno gli dice che è la cosa più bella che abbia mai visto.
«Ancora…» 
Era stremato, ormai immobile sotto di me, e io ero al culmine, ma continuava a chiedermene ancora, e ancora.
«Dentro… stai dentro,» mi supplicò, e non aveva neanche più la forza di gemere. Gli dissi che non avevo intenzione di sporcarlo all’interno, quindi venni fuori, sulla sua coscia destra e lui sembrò cadere in trance, a occhi socchiusi, come qualcuno che ha appena  assunto delle droghe e non riesce più a muovere un muscolo.
«Dio santo…» invocai con una mano davanti alla bocca. Mi piegai su di lui con le braccia che non mi reggevano più e gli posai un bacio sulla fronte di nuovo coperta di sudore. «Scusami, maledizione. Giuro che non alzerò più un dito su di te, te lo giuro, io…»
«Mi hai… scopato maledettamente bene. Io… sono il ragazzo più felice del pianeta…» disse, gli occhi che ora guardavano tutto tranne me e la testa che ciondolava. Sembrava davvero aver assunto allucinogeni. «Ti amo tanto,» aggiunse poi, il tono cantilenante, quindi sospirò e chiuse gli occhi, quasi volesse dormire lì, accartocciato nella vasca.
Aspettai che tornasse un po’ in sé, che si rendesse conto che non poteva mettersi a dormire là dentro, poi lo baciai sulle guance tese in un sorriso e gli dissi che avrei riempito nuovamente la vasca di acqua, visto che eravamo tornati ad essere sporchi. Lo aiutai a lavarsi, e lui aiutò me a strofinare la schiena; gli lavai i capelli ancora umidi di pioggia grattandolo per bene sotto le orecchie con lo shampoo alle more, e lui per tutto il tempo fece un rumore con la bocca simile alle fusa dei gatti, e tenne gli occhi socchiusi e sbadigliò sommessamente. Quella situazione aveva tutte le caratteristiche di un sogno soffuso e odoroso e silenzioso.
Dopo il nostro secondo bagno, lo aiutai a uscire dalla vasca, ché rideva e barcollava come un ubriaco, e gli avvolsi l’accappatoio sulle spalle, mentre lui continuava a fare le fusa. Gli frizionai poi i capelli con un asciugamano più piccolo e mi sembrò di star accudendo un figlio, o un malato, visto che ridacchiava come uno poco sano di mente. Dopo avergli dato il phon e raccomandato di asciugarsi per bene i capelli che, notai, non erano poi così corti, andai in camera da letto a cambiarmi per la notte. Valerio accese il phon dando il via al fastidioso rumore di quest’ultimo e del cavo che sbatteva sul lavandino, e solo in quel momento mi resi conto che, diavolo, erano le tre di notte passate. Dovevo davvero darmi una regolata e smetterla di andare a dormire così tardi. Ma come facevo a dormire, come? Probabilmente non avrei chiuso occhio, quella notte.
«Tutto bene?» chiesi al vuoto quando il rumore del phon s’interruppe. Non ricevetti risposta, ma subito dopo Valerio entrò in camera mia zoppicando, in canottiera e mutande, e si lasciò andare sul materasso coi capelli finalmente asciutti e disordinati. Feci per alzarmi per andare ad asciugare i miei, di capelli, ma quello svettò a sedere a dispetto dei dolori che provava un po’ in tutto il corpo e mi riportò dov’ero tirandomi dal braccio. Mi girai a chiedergli spiegazioni con lo sguardo, e lui mi sorrise raggiante appoggiandosi col braccio sul materasso.
«Ti amo tantissimo,» mi disse senza alcun pudore, e io sentii di essermi acceso, come più di una volta era successo, come una candelina. Si distese supino senza smettere di sorridere ed allargò le braccia, aspettando che lo abbracciassi e, probabilmente, lo riempissi di baci. Non potevo non accontentarlo, non riuscivo ad ignorarlo, non ce la facevo. Così mi dimenticai dei capelli ancora umidi, e finii per rotolarmi sul letto con Valerio, a coccolarci come due quindicenni travolti dall’amore.
Restammo a parlare una mezz’ora del più e del meno, e stavo quasi per prendere sonno quando quello, inaspettatamente, mi sussurrò sulle labbra che voleva ancora fare l’amore. E quella era la terza volta in una sola notte. Pensai che, davvero, non m’ero mai sentito tanto spossato in vita mia.
Spossato e incredibilmente soddisfatto. E nella mia vita mai m’ero sentito soddisfatto. C’era sempre qualcosa che mancava, che rovinava il tutto, che mi lasciava l’amaro in bocca. Ma stavo tentando di accantonare la mia vita condotta per inerzia. E Valerio mi stava dando una mano, no, un braccio, no, tutto il corpo.
Respirava forte nel sonno, e la spalla nuda contro la guancia gli spingeva le labbra in fuori. Le ciglia chiare tremavano appena e i capelli andavano per conto loro. Restai sveglio un paio d’ore a guardarlo dormire.





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Forse sono un po’ inutili i capitoli in cui ci sono loro due e basta, no? XD Poi mi è sembrato poco scorrevole come capitolo, ma lascio a voi il giudizio, che siete davvero in gamba <3 Grazie di leggermi <3
Come avete notato, ho deciso di fare Valerio rumoroso. Perché tanto era destinato ad esserlo sin dall’inizio XD
Spero che si senta l’amore forte che c’è tra i due… vorrei farlo trasparire il più possibile. :)
Grazie ancora a chi recensisce, e un abbraccio speciale a Ceci, una cara amica che ha voluto cimentarsi nella lettura di questa storia e che sembra le sia piaciuta parecchio! <3



Pagina facebook Mirokia: http://www.facebook.com/mirokiaEFP



Mirokia (ps, per chi se lo stesse chiedendo, Mirokia si legge con l’accento sull’ultima “i”!)

 

 

   
 
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