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Autore: fortiX    03/12/2012    6 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Finalmente, il cullante languore del sonno mi assale e piano piano sprofondo verso quel mondo in bilico tra incoscienza e realtà. Degusto appena il sapore del meritato riposo, quel diletto dolce e avvolgente, quando… La dannata sveglia mi desta con la sua odiosa suoneria gracchiate e nervosa. I miei sensi esplodono, cogliendo ogni singola sfaccettatura del mondo reale, impedendomi di concentrarmi. Mugugnando, affondo la faccia nel cuscino. Non ho la minima voglia di alzarmi, tantomeno di andare a lavorare. Il ‘cra cra’ dell’aggeggio mi trapana la testa e mi tenta a mettere fine la sua esistenza con un volo fuori programma. Alzo i lati del cuscino sulle mie orecchie martoriate e affondo la testa ancora di più nelle sue morbide curve. Cerco di ignorare quel suono odioso e concentrarmi a riprendere il sonno perduto, quando una delicata mano mi accarezza la schiena, provocandomi brividi di piacere dalla testa fino ai piedi. Sento i miei peli rizzarsi (e non solo quelli) e il cuore battermi all’impazzata. La palma scivola con tocco leggero, come un sospiro, e sale tra le scapole; poi sul coppino, fino a posarsi tra i miei capelli. Percepisco le dita affusolate scompigliarmi la pettinatura arruffata del primo mattino, sempre con la delicatezza che solo loro sono in grado d’imprimere. I miei tentativi di riaddormentarmi vanno letteralmente al diavolo. Sospiro ed esco dal mio pertugio, ruotando la testa verso sinistra. La mano mi si appoggia sulla guancia, non appena i miei occhi incontrano quelli ancora chiusi del mio angelo. Tifa mi accarezza la gota col pollice. Ha capito che sono sveglio. Mugugna e inizia ad agitarsi.
“Cloud, spegni quella sveglia.”, mi ordina con voce stizzita, sebbene la sua irritazione sia perfettamente nascosta dal tono assonnato.
Mi ero dimenticato che quell’aggeggio malefico stava suonando già da una quindicina di minuti buoni. Con fatica, assecondo il desiderio di Tifa e lo metto a tacere. La sento sospirare di sollievo. E anche la mia testa mi ringrazia. Mi volto verso di lei. La sue palpebre sono ancora chiuse, contornate dalle sue lunghe ciglia nere. La sottile pelle subisce degli spasmi di tanto in tanto, permettendomi di individuare le curvatura degli occhi sottostanti. Alzo lo sguardo e contemplo i capelli corvini che le cingono il viso. Per quanto siano arruffati, per me, sono sempre perfetti. Un flash lampeggia nella mia mente, collegandomi alla foto della donna misteriosa. Ora che Tifa ha gli occhi chiusi, mi sembra quasi di essere sdraiato di fianco a un’altra donna. La somiglianza è davvero impressionante! La vedo lì, viva e serena, trovare conforto sulla mia pelle, attraverso una delicata carezza. Il suo sorriso è leggermente accennato, come nella foto. Anche se non lo sta dimostrando, so che sta amando con tutta se stessa colui che è coricato accanto a lei. E’ rilassata, sa di poter contare su quell’uomo. Lo desidera, lo percepisce attraverso un singolo contatto, il quale la fa sentire completamente appagata. Di conseguenza, inizio a pensare cosa avrebbe fatto Sephiroth al mio posto, a chiedermi se anche lui provasse quella felicità immensa di svegliarsi al fianco della donna che ama. Mi è davvero difficile immaginarmelo alle prese con una ragazza. Era un uomo così analitico e distaccato, troppo freddo per provare una sensazione così calorosa. Grugnisco. Devo smetterla di credermi così superiore a lui; dopotutto anch’io ho passato un momento della mia vita, in cui non m’importava di niente e nessuno. Tifa e gli altri hanno sofferto tanto per questo. Io, a differenza sua, ho avuto la possibilità di rimediare; possibilità a lui preclusa per causa mia, tra l’altro. Dal suo diario ho imparato che spesso l’apparenza inganna. Credevo che un eroe del suo calibro potesse avere qualsiasi cosa. Quando, invece, mancava un dettaglio indispensabile nella vita di una persona: l’amore. Anche se non ho mai conosciuto mio padre, ho sempre avuto comunque qualcuno che mi trasmettesse quell’affetto da sentirmi protetto e felice. Lui aveva un padre, ma non era da considerarlo nemmeno tale. Hojo era un pazzo, un essere davvero terrificante. Mi chiedo come abbia fatto Sephiroth a convivere con la convinzione di essere suo figlio. Infatti, lo odiava a morte. Anche se, leggendo tra le righe, ho potuto notare un dolore celato dietro a quella rabbia. Credo che una parte di sé desiderasse sanificare quell’unico rapporto famigliare. Dopotutto, come si può odiare completamente l’uomo che ti ha messo al mondo?
Tutti i miei pensieri mi alienano dal mondo e rabbuiano la mia espressione, allarmando Tifa.
“Cloud? Tutto bene?”
Mi ridesto. Ora che è sveglia e incontro le sue iridi colore del cioccolato, vedo la donna di prima svanire per lasciare posto alla mia unica, insostituibile Tifa. Essa si è girata verso di me e mi sta accarezzando il collo, giochicchiando ogni tanto con qualche ciocca dei miei capelli. Ha la testa piegata di lato e mi studia attentamente. Sento di essermi pericolosamente esposto, quindi recupero con un sorriso stanco.
 “Tranquilla, Tifa. E’ la mattina che mi stronca.”, la prima scusa che mi viene in mente.
Lei sembra rilassarsi: posso tirare un sospiro di sollievo.
“Se la sera non andresti a letto così tardi, non avresti questi problemi.”
Cosa?!
Il fiato mi si blocca in gola e sento i miei occhi sgranarsi. La mia reazione sembra allarmarla e decide di andare più a fondo, porgendomi la domanda più pericolosa che una donna può fare ad un uomo.
“Cosa hai fatto ieri notte?”
La mia mente cerca disperatamente di trovare una scusa plausibile.
“Ehm… Ieri notte… c’era… c’era… la gara!” Sì, questa può andare. “Sono stato a guardarla fino a tardi.”
Tifa non sembra soddisfatta, mi guarda ancora con sospetto. Io cerco di sostenere il suo sguardo e controllare il rossore che mi sta infiammando le gote. Decido di rincarare la dose e autoconvincere anche me stesso.
“Inoltre, avendo dormito tantissimo ieri non avevo molto sonno quando sei andata a letto. Inoltre, su canale 7 ritrasmettevano… le gare che hanno fatto la storia del motociclismo. Come potevo non perderle?”
Grazie al cielo, mi è venuta in mente questa chicca, letta di sfuggita sfogliando il giornale.
Trattengo la mia esultanza, quando Tifa alza gli occhi al cielo e scuote la testa, sospirando.
“Ah, sei il solito. Quando si tratta di sport, non c’è orario che tenga!”
Si getta prona sul materasso e si stiracchia, lasciandosi scappare un sonoro sbadiglio. Getta uno sguardo svogliato all’orario. Sono quasi le sei. La ragazza si porta le mani al viso e sbuffa.
“Oh. Devo darmi una mossa. Tra poco devo aprire il bar. Vai tu a portare i bambini a scuola, appena esci?”
Annuisco , recuperando un colore umano, e le rivolgo un flebile sorriso. Lei lo ricambia con uno molto più bello e luminoso, per poi avviarsi verso il bagno.

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Questa giornata di lavoro è stata terrificante. Avrò sbagliato quattro o cinque volte a consegnare ai destinatari i pacchi a loro spediti, oltre che rischiare varie volte di prendere l’uscita sbagliata per i vari paesi. Fortunatamente non c’era molto da fare e sono rientrato a Edge per pranzo. La mancanza di sonno si è fatta sentire per tutta la giornata, la quale mi ha portato a commettere un errore astronomico: mi sono dimenticato di andare a prendere i bambini a scuola. Sono entrato al 7th Heaven, ridotto peggio di uno straccio e con un bisogno assoluto di caffeina. Mi sono trascinato fino al bancone pregustando un bel caffè forte, ma faccio per alzare gli occhi e vedo Tifa che mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite.
“Dove sono Marlene e Denzel?”
La osservo come se mi stesse parlando in aramaico, poi alla fine realizzo. Come se non bastasse, alla mia dimenticanza hanno assistito Shera, Cid, Yuffie e Barret.
“Che @!X*?, Cloud? Dov’è mia figlia?”
Sbarro gli occhi e per un momento il mio cuore si ferma. I ragazzi… Tifa appoggia il bicchiere e si porge pericolosamente verso di me.
“Te li sei dimenticati?”, soffia tra i denti e il fuoco negli occhi.
Mi guardo intorno sconsolato, implorando aiuto dagli altri, ma tutti mi stanno dilaniando con lo sguardo. Barret mi avrebbe già trasformato in un colabrodo se solo si trovasse in un luogo aperto, mentre Shera mi osserva con severità da maestrina. Solo Yuffie e Cid sembrano trovare divertente quella situazione, i quali potrebbero scoppiare a ridere da un momento all’altro. Ritorno da Tifa. Il suo sguardo iracondo è davvero agghiacciante.
“Dannazione, Cloud! Come diamine hai fatto a dimenticarteli!? Si può sapere che cos’hai per la testa?”
Sento all’improvviso che la mia ragazza non abbia del tutto creduto alla montagna di bugie che le sto propinando in questi giorni. Queste piccole frecciate, queste domande trabocchetto, mi destano allarme. Io non amo mentire e non sono nemmeno tanto bravo, ma quel dannato diario e tutto quello che sto scoprendo tra quelle pagine vale il rischio. Ormai sono troppo coinvolto per lasciare perdere tutto. Chiedo alla mia mente addormentata uno sforzo sovraumano per trovare l’ennesima storiella valida per salvarmi la pelle; quando un tintinnio attira l’attenzione dei presenti. Sulla porta, avvolto in un mantello rosso sangue, vi è Vincent accompagnato da Denzel e Marlene.
“A quanto pare sono arrivato giusto in tempo… Dovresti dormire un po’ di più. Non hai una bella cera.”
Mi stupisce sempre quanto Vincent possa cogliere con una sola occhiata. Decido di prendere la palla al balzo e approfittare dell’intuito dell’ex-Turk.
“Già! Ero talmente stanco che non ce la facevo proprio a passarli a prendere. Ho chiesto a Vincent di sostituirmi. Giusto, VINCENT?”
Enfatizzo il suo nome con uno sguardo languido ed implorante. Ti prego, Vincent, reggimi il gioco. Il pistolero mi osserva per un lungo minuto, in silenzio, imperturbabile come una statua. Devo ringraziare mille volte la sua faccia di cera e il suo self-control.
“Sì, giusto.”, risponde alla fine con tono piatto, anche se nei suoi occhi leggo un velo di sospetto.
Non è da me mentire così, eppure l’ho fatto volontariamente, davanti a tutti e coinvolgendo perfino qualcun altro. Credo abbia intuito che c’è qualcosa di diverso in me. Ed è vero: mi sto talmente abituando a dire bugie per proteggere QUEL segreto che sto proiettando questa abilità pure nella vita reale. Ma non ho assolutamente voglia di cedere ai tentativi di Tifa di fare breccia nei miei intrighi nascosti. So che ne soffrirebbe. So che mi odierà per aver accettato di conservare un oggetto appartenuto all’assassino di suo padre. Non mi perdonerà mai per questo. E io non voglio perderla, non ora che abbiamo cominciato a vivere.
La ragazza mi osserva di sottecchi ancora per un po’, finché i bambini non attirano l’attenzione di tutti.
“Tifa! Abbiamo fame! Cosa ci hai preparato?”
Maledetto Sephiroth. Questa me la paghi!
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Ho deciso di concedermi una pausa dal diario, giusto per riprendermi dalla mancanza di sonno dei giorni scorsi, costatami una ramanzina da parte di Tifa. Ovviamente, mi ha sgridato su altri argomenti, ma questo è un altro discorso. Finché riusciamo a mantenere il quieto vivere in casa nostra, nonostante quell’affare nel mio ufficio, ritengo ogni giornata una piccola vittoria. Anche se l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Vincent. Un altro che si è aggiunto alla lista dei possibili scopritori del mio segreto. Non mi preoccupa, però. E’ un uomo discreto, semai decidesse d’indagare lo farà con il massimo tatto e sono certo che non si scandalizzerà più di tanto, ma cercherà di capire il motivo delle mie azioni. Mi è capitato parecchie volte di pensare di confessargli tutto, ma la mia parte prudente mi consiglia di non essere avventato. Stiamo parlando di Sephiroth, dopotutto. Devo dire, però, che il pistolero è l’unico a cui il nemico abbia fatto un torto. Vincent si è unito a noi solo perché quel pazzo sanguinario stava per distruggere il Pianeta, per il resto cosa aveva da recriminare a LUI? Forse Vincent è l’unico ad aver visto il lato innocente di Sephiroth, sebbene all’epoca non fosse ancora nato. Ha conosciuto sua madre, l’ha amata. Si potrebbe dire di comprendere il figlio di Jenova attraverso Lucrecia? Chissà che tipo di uomo sarebbe diventato se l’avesse conosciuta.
Per ora mi accontento di apprendere le sfaccettature del suo animo tormentato attraverso l’inchiostro.
E’ sabato sera, domani non si lavora. Devo trovare un modo di armonizzare la mia vita diurna con le letture notturne per ovviare a inconvenienti che potrebbero avvicinarmi pericolosamente al baratro. Venerdì ne è stata la prova. Sospiro. Tifa è molto stanca e si è già addormentata accanto a me. L’attività del bar la affatica parecchio. Quando questa storia finirà e le nevi di Modeheim si saranno sciolte, la porterò in vacanza. Solo io e lei. Rinsalderemo il nostro rapporto e lo renderemo ancora più stretto di quanto non lo sia ora. E magari prima o poi le darò quel famoso anello che lei tanto desidera. Ma ora come ora, ho un’ombra difficile da scacciare che mi perseguita. Volente o dolente, Sephiroth continua a essere presente nella mia vita. E finché quell’ultimo nodo non sarà sbrogliato quella matassa non potrà mai essere filata per una nuova forma. Osservo le curve morbide che si elevano da sotto le coperte, desiderando con tutto me stesso di cavalcarle. Mi piace la sua silhouette, così sensuale e piena; mi perderei ore ad accarezzarla. Mi ricorda le strade di montagna dai tornanti vertiginosi, in un giorno di sole, fresco e ventoso. Ideale per un giro adrenalinico in moto. Mi sdraio accanto a lei e le cingo i fianchi affossati con il braccio. La stringo a me con delicatezza per evitare di svegliarla. Mi elevo sopra la sua testa e vedo il suo profilo perfetto. Sorrido. Le labbra sono appena dischiuse e da esse esce un flebilissimo sospiro. Appoggio le mie sulla sua guancia e guardo la sua bocca mentre s’increspa in un inconscio sorriso.
Sguscio dolorosamente fuori dal letto e mi dirigo verso l’ufficio. Tiro fuori il diario, provocando meno rumore possibile, e lo apro. La foto della donna svetta da sopra la pagina su cui l’avevo adagiata, come segnalibro. Era davvero stupenda. Devo dire che non mi stupisce il fatto che sia riuscita a sciogliere il cuore del freddo Generale SOLDIER. Una bellezza del genere è impossibile da ignorare. Mi ritrovo ad osservare la mano magra e noto quanto la sua pelle sia perfetta. Sembrava ricoperta di seta. Morbida, liscia seta finissima. Non era di certo una contadina o, comunque, una lavoratrice in un settore pesante. Per la finezza dei suoi tratti avrebbe potuto appartenere a qualunque cosa legata alla nobiltà. Sarà stata una figlia di qualche proprietario terriero di Wutai. Oppure la moglie… Scuoto la testa. Vacci piano, Cloud. E’ inutile fare strane constatazioni di tradimenti e di rocambolesche fughe d’amore da mariti cornuti.

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24 Dicembre XXXX, poche ore dalla mezzanotte

La Vigilia di Natale. Una festa tanto amata dai bambini di tutto il mondo, i quali attendono in trepidazione l’arrivo di Babbo Natale. Di tutti, tranne di uno. Io, tanto per cambiare. Da bambino non ho mai provato quell’allegria, quell’ agitazione, quella curiosità di aprire un regalo portatomi da un anziano barbuto vestito di rosso e bianco. Per Hojo, Natale era un giorno come un altro. La prima volta che vidi la civiltà sotto questo periodo, mi chiesi perché la gente appendesse in ogni dove pupazzi di uomini in vermiglio nell’atto di arrampicarsi sui tetti. Lo chiesi a mio padre e lui mi disse di non interessarmi delle frivolezze di un mondo che non conoscerò mai. Secondo lui, io dovevo solo apprendere i segreti della realtà militare. E basta. Il resto era sciocca, frivola, inutile illusione. Queste furono le sue lapidarie parole. Le ricordo tutt’ora, sebbene siano passati più di 10’anni. Da ingenuo infante quale ero non indagai più di tanto; anche se ero attrattissimo da quelle luci e l’atmosfera felice che si respirava per la città. Passavo ore a guardare fuori dalla finestra a studiare la gente scambiarsi regali e auguri. E poi mi divertivo osservare le luminarie colorate riempire di luce l’atmosfera fuori e dentro un’abitazione.
Mi ricordo di una casa in particolare. Era in fondo la via in cui abitavo e ogni anno veniva addobbata completamente, con luci che seguivano la sagoma della costruzione, pupazzi semovibili di renne e Babbo Natale, palline colorate, addobbi pelosi e chi più ne ha più ne metta. Era davvero spettacolare nella sua opulenza. Un anno i proprietari organizzarono perfino una sfilata di cori natalizi per la città e andavano a bussare porta a porta, compiacendo la gente col loro canto. Ovviamente, passarono anche da noi, ma Hojo non fu contento di ricevere quella visita, quindi li fece cacciare via. Io ero fermo sulle scale che portavano all’ingresso ad osservare inerme quel triste spettacolo. Avrei tanto voluto ascoltarli. In vita mia ho sempre voluto tante cose, ma, a differenza di altri bambini, ciò che desideravo non poteva essere comprato. Quando cominciai ad apprendere lo spirito natalizio attraverso le mie annuali osservazioni, mi feci più ardito con Hojo. Chiedevo cose semplici, come un filo di luci, un alberello da tenere in camera mia; insomma qualcosa che desse un po’ di colore a quella triste casa spoglia e asettica. Una battaglia infinita e mai vinta. Ancora oggi provo quella paura recondita nei suoi confronti. Eppure ora sono il doppio del suo fisico magro e rachitico, ma il suo ascendente su di me è sempre quello di quando avevo 6 anni. Non so perché, ma Hojo è in grado di mettermi in soggezione. Per quanto lo odi in modo viscerale, non riesco a impormi. Vorrei ribellarmi, ora ne ho il potere e le capacità, ma una parte di me vuole mantenere una tregua con lui. Forse sono talmente assuefatto dalla sua presenza che ormai lo sopporto per inerzia. Dopotutto, Hojo è l’unico a conoscere il mio vero io. Anche se ha fatto di tutto per cambiarlo a suo piacimento. Non credo ami il mio essere “umano”. Vorrebbe che io fossi più freddo, più analitico, più distaccato. Vorrebbe che fossi un robot, probabilmente. Una macchina spietata e senza sentimenti. Come se non bastasse per farmi sentire più in colpa, mi ripete che mia madre era esattamente come lui. Dice che non riesce a spiegarsi il mio comportamento. Io non credo ad ogni singola parola. Il Professore mi dipingeva un altro tipo di donna, sebbene ne parlasse molto svogliatamente. Credo che avesse paura delle conseguenze di quello che usciva dalla sua bocca. Sospetto ci fosse lo zampino di Hojo.
Jenova… Quel nome è la mia unica ancora di salvezza. Quando sono giù, mi ripeto quel nome all’infinito, lasciando la mia mente delineare l’aspetto di quella figura a me sconosciuta. Immagino una donna bellissima che mi guarda con occhi pieni di amore. Riconosco me stesso in quelle iridi verdi. Mi somiglia tanto e sorride. Sorride tanto. Un sorriso radioso che mi appaga completamente. Sogno di abbracciarla e chiamarla. Lei risponde al mio abbraccio e sospira il mio nome con la sua voce leggera e calda.
Avrei voluto tanto conoscerla, ma purtroppo la mia nascita ha messo fine alla sua vita. La mia prima vittima… Devo dire che il mio arrivo in questo mondo non poteva avvenire sotto peggior auspicio. Spesso mi sento come perseguitato da un destino nefasto. A volte, mi pare che la mia vita non sarebbe mai dovuta essere così, come se dentro di me vivessero due persone: una sono io, il risultato fatale del parto di mia madre; mentre l’altra è l’esistenza alternativa se lei fosse ancora viva. Mi chiedo spesso come sarebbe diversa la mia esistenza con l’affetto di una mamma. Forse sarei una persona migliore, molto più aperta e spontanea. Forse lei mi avrebbe permesso di dare sfogo alla mia curiosità e mi avrebbe spiegato i segreti del mondo della gente normale. Forse avrei fatto parte di loro.
Ho sempre desiderato essere come tutti gli altri. Invidio profondamente la quotidianità del tranquillo via vai di Midgar. Tutte quelle persone che vivono alla giornata, affrontando difficoltà, problemi, ostacoli. Io non ho questo privilegio e mi sono sempre limitato ad osservarlo come fosse una chimera irraggiungibile. Osservare… Non ho mai fatto altro, perfino ora dall’attico guardo la vita svolgersi davanti a me, sentendomi uno spettatore di quel miracolo meraviglioso, quale è il Lifestream. Io mi sento al di fuori di quel flusso vistale che soffia su questo Pianeta. Mi pare di appartenere ad un altro mondo, come la piccola Aerith.
La mia concorrente per l’affetto del Professore. La bambina che mi precludeva l’unica possibilità di scampo dalla realtà terribile che mi imprigionava. Ogni tanto mi dirigo alla chiesa nei bassifondi del Settore 5 e la trovo sempre lì, intenta a curare quegli strani fiori. Mi saluta porgendomi un sorriso così luminoso da abbagliarmi. Sebbene sia solo una ragazzina è davvero bellissima. E’ sempre contenta di vedermi e mi viene ad abbracciare, saltellando sulle sue gambette magre. Io avvampo d’imbarazzo tutte le volte, perché è così strano per me tutta questa profusione di affetto. Devo ammettere, però, che la cosa non mi dispiace per niente. Sono felice di rendere gioiosa una persona con la mia sola presenza. Spesso quest’ultima non è altro che sinonimo di morte. Provoca in me una tenerezza infinita, guardare i suoi boccoli castani ballonzolare da una parte all’altra del suo viso a ogni movimento. Provoca in me una certa ilarità che dimostro increspando appena le labbra. Vorrei essere più aperto, ma mi è difficile. Già, il sorriso è un grande passo avanti per me. Comunque, Aerith riesce a percepire il tumulto nel mio animo e ci basta.
Vedo nei suoi occhi il riflesso del Lifestream e non posso fare a meno di pensare a quanto siamo simili, eppure diversi. Entrambe le nostre iridi si illuminano della luce del Flusso Vitale. Il suo così naturale e caldo, il mio artificiale e gelido. Lei vede le anime che IO ho strappato da questo mondo e le consola con parole dolci, raccontando loro storie bellissime. Io spesso cerco di non mostrarmi subito al suo cospetto, nascondendomi dietro alle colonne con fare felino, proprio per rivivere quei momenti passati col Professore. Molte delle sue storie le conosco già, ma mi fa sempre piacere riascoltarle.
Anche oggi ho avuto il piacere d’immergermi nel mondo delle fiabe. Ogni Natale mi dirigo laggiù per porgerle i miei auguri e consegnarle il suo regalo. Non avendo la più pallida idea di che cosa regalare ad una bambina, le dono sempre delle ridicole bambole vestite con motivi floreali, aggrappandomi alle uniche certezze in campo infantile: è una bambina e le piacciono i fiori. Le mie abilità decisionali arrivano qui. Forse lei è stanca del solito regalo, ma non lo dà a vedere; anzi tutte le volte si mostra eccitata all’apertura del pacchetto. Probabilmente, strappare la carta da regalo è molto divertente per un bambino. Non saprei dire, dal momento che non ho mai aperto un dono in tutta la mia vita. Nemmeno la piccola mi fa questo immenso favore, donandomi vasi di fiori, trapiantati con le sue manine. Anche quest’anno sono tornato a casa con queste piantine. Dal mio libro di botanica, risultano appartenere alla famiglia delle Liliacee. Ci sono vari paragrafi sul come tenerli in vita, ma tutto ciò che passa per le mie mani è destinato a morire. Senza contare che la guerra è alle porte. Il Presidente ha permesso ai nostri soldati di passare , quelle che per molti saranno le ultime, le feste natalizie in tranquillità e in compagnia con le proprie famiglie. L’atmosfera di questo Natale è più pesante del solito. Nonostante si cerchi di nasconderlo, l’aria macabra del conflitto imminente aleggia su tutti noi. Il pensiero non può non andare a ciò che accadrà. Io attendo con ansia la partenza, ma credo che se avessi una famiglia vorrei fermare il tempo e far sì che sia sempre Natale. Purtroppo non c’è nessuna famiglia ad aspettarmi una volta di ritorno. Nessuna donna mi attende impaziente e piangerà sul mio petto quando apparirò da quella porta.
L'orologio di Midgar riempie l'aria con il suo scandire cadenzato, ridestandomi dai miei tetri pensieri. E' Natale. Un altro triste Natale passato in solitudine.

Ah! Ecco qua un nuovo capitolo fresco fresco di stampa! Allora, Cloud deve cominciare a stare in campana, perché Tifa non dorme mai!! Ora ci sarà anche Vincent a sospettare qualcosa. Riuscirà il nostro eroe leggersi in pace le memorie del bell’argentato? Per ora sembra di sì. Ancora nessuna notizia della donna misteriosa, anche se si evince che sia una persona altolocata… Uhm… Intanto, vi ho dato un assaggio dell’altro mistero riguardo a Aerith e assodato con tristezza che Sephy non ha avuto un’infanzia degna di questo nome. Povero caro! Finalmente, ho anche postato il famoso disegno della donna misteriosa. Non mi convince moltissimo (purtroppo è colorare che mi frega… Quanto desidero una tavoletta grafica T.T), ma cmq vi dà un’idea, nel caso la mia descrizione non sia stata chiara. Se volete vederlo è all’inizio del precedente capitolo.
Vi saluto e me ne vado a nanna perché è tardissimo, ma per voi questo ed altro signorine mie^^
Alla prossima
Besos
   
 
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