Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: AxXx    03/12/2012    2 recensioni
Anno 1918. Dopo la fine della prima guerra mondiale le forze Bolschviche di Lenin stanno affrontando una guerra incredibilmente violenta per affermare la loro ideologia.
Gli assassini hanno una missione da compiere in questo pericoloso territorio.
Con i templari da una parte e un gruppo di assassini traditori dall'altra, un giovane assassino discendente di Ezio Auditore si dovrà confrontare con le forze in campo e soprattutto con il suo stesso credo per portare in salvo l'ultima discendente dei Romanov.
Questa è la mia prima storia unicamente di Assassin's creed. Non mi aspetto un capolavoro, ma vorrei davvero avere delle recensioni che mi permettano di migliorare, grazie a chi leggerà e dirà la sua anche se è una rcensione negativa.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
                              Perm
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ci rimettemmo in cammino all’alba.
 
Non era saggio rimanere troppo a lungo in un unico posto.
 
Ci avrebbero potuto trovare ed io da solo non potevo battermi contro uno squadrone delle truppe russe.
 
Salimmo a cavallo e ci dirigemmo più velocemente possibile verso nord-ovest.
 
La strada era lunga e ci mettemmo un’intera settimana per attraversare la pianura che collegava Perm con Ekaterimburg.
 
I paesaggio cambiavano radicalmente ogni giorno: foreste impenetrabili di aghifoglie, paludi acquitrinose, pianure sterminate e fiumi si alternavano senza ordine logico, spesso più volte nella stessa giornata.
 
Solo una cosa rimaneva sempre uguale: la neve.
 
La Russia sembrava un luogo dove la neve era perenne.
 
Ovunque voltassimo lo sguardo c’era la neve.
 
Copriva le foglie degli alberi e gli immensi campi che si perdevano a vista d’occhio.
 
Solo durante tre mesi la neve dava tregua a quel luogo dando alla popolazione la possibilità di riprendere il lavoro nei campi e dare sostentamento alla gente.
 
Ma con la guerra, i contadini venivano spinti con la forza a coltivare il terreno gelato per ricavare quel poco di grano che veniva poi spedito al fronte per sostenere l’esercito.
 
Più di una volta, mentre cavalcavamo, ci imbattemmo in campi che venivano coltivati da persone smagrite sotto il rigido controllo di guardie armate.
 
Chi non si presentava a lavoro o si fermava, spesso, veniva ucciso sul posto.
 
“Questo è inumano!” Sussurrò Anastasia mentre osservava una guardia trascinare via un uomo scheletrico crollato a terra per la fatica dopo averlo pestato.
 
“Questa è la guerra.” Risposi io senza soffermarmi più di tanto.
 
Incrociammo decine di contadini affamati in fuga verso la parte centrale del paese.
 
Molti di loro erano fuggiti dai dintorni di Ekaterimburg come noi e si stavano dirigendo nelle zone più sicuro, dove speravano di trovare del lavoro più sicuro e meno armi.
 
Arrivammo in città dopo una settimana a cavallo con solo tre fermate.
 
Ci accodammo ad una colonna di persone che entrava, probabilmente per cercare lavoro o per trovarsi in dentro delle mura sicure.
 
Una cinta muraria alta dieci metri difendeva la parte più interna e ricca della città, dove vi erano le abitazioni delle persone più ricche.
 
Un tempo erano nobili, poi erano passate agli alti ufficiali di Lenin ed alle autorità più alte della città, mentre la nobiltà veniva schiacciata ed uccisa.
 
La parte esterna, invece, era un agglomerato di case senza alcun ordine logico.
 
Spesso erano costruite sovrapposte, tanto che case a più piani si appoggiavano, spesso e volentieri alle abitazioni più piccole.
 
Entrammo lungo la strada principale, sorvegliata da un carro armato ed una ventina di soldati.
 
Scendemmo dal cavallo e ci mettemmo in marcia.
 
Confondersi con la gente era semplice: molti avevano un animale da soma per caricare le proprie cose ed il nostro era così sporco che non attirò molto l’attenzione.
 
Intorno a noi c’era un vociare confuso e la calca era tale che bisognava fare attenzione a non essere travolti.
 
Tenni Anastasia per mano durante tutto il tragitto quando, giunti ad un paio di centinaia di metri dall’entrata, svoltammo in un vicolo.
 
“Dove andiamo?” Mi chiese insicura mentre attraversavamo quel vicolo.
 
“Da degli amici.” Risposi.
 
Tra quei vicoli cadenti, infatti, c’era una base degli assassini.
 
Dall’interno, la città, era ancora peggiore di quanto si potesse vedere dall’esterno.
 
Le strade erano strette, sporche e dissestate.
 
Le case erano malridotte, più di una volti ci dovemmo fermare per evitare una tegola che cadeva o una trave di legno messa male.
 
La gente per le strade era mal vestita e denutrita e più non era raro trovarsi davanti ai cadaveri di persone denutrite.
 
“Tutto questo è orribile.” Disse Anastasia bianca in volto per la nausea e l’orrore.
 
Io non risposi, dato che, se avessi aperto bocca avrei vomitato.
 
Sopra le case torreggiavano degli enormi giganti di ferro e metallo: le immense fabbriche della città che sfornavano armi e mezzi per l’esercito.
 
Tutto era diventato una macchina.
 
Gli operai venivano usati al pari degli schiavi.
 
Turni massacranti, sottoposti ad uno stress fisico e psicologico che li annientava, diventavano facilmente indottrinabili grazie alla pesantissima propaganda Leniniana.
 
Le viuzze si facevano via via più strette.
 
Mentre ancora stavamo camminando, qualcuno attirò la mia attenzione.
 
“Ehi, ragazzo, vieni qui.” Mi bisbigliò una voce in un vicolo.
 
Mi voltai un attimo per vedere chi mi avesse chiamato, ma non vidi nessuno.
 
Avvertii, semplicemente un leggero sibilo alle mie spalle, ma tanto bastò a farmi intuire il pericolo.
 
Senza nemmeno voltarmi mi abbassai, e fu provvidenziale, dato il bastone che mi stava per colpire dietro la nuca.
 
Anastasia si mise ad urlare quando un uomo la afferrò alle spalle cercando di trascinarla nel vicolo.
 
L’individuo che mi aveva aggredito impugnò un coltello e cercò di colpirmi, ma io ero rapido e con un'unica mossa afferrai il suo braccio e glielo torsi in modo da disarmarlo.
 
Non capii bene quanti erano gli aggressori, ma non dovevano essere più di cinque.
 
Anastasia, intanto, era riuscita a liberarsi dell’uomo che la tratteneva con una spinta, ed io ne approfittai subito per lanciare il coltello di cui mi ero appropriato contro di lui.
 
Quell’uomo stramazzò al suolo con il coltello piantato nel petto.
 
Ebbi pochissimi istanti per decidere il mio prossimo bersaglio.
 
L’individuo con il bastone tentò di colpirmi di nuovo, ma questa volta afferrai l’arma e gliela tolsi torcendogli il braccio.
 
Quello urlò di dolore e tentò di rifilarmi un pugno, ma io lo evitai finendolo con un pugno nella bocca dello stomaco.
 
Due mi afferrarono per le spalle, cercando di tenermi fermo, ma fu Anastasia a tirarmi fuori dai guai.
 
Afferrò il bastone dell’uomo che avevo stordito e lo usò per colpire alla nuca uno dei due che mi teneva.
 
Io presi l’iniziativa e colpii l’altro in piena faccia.
 
L’ultimo se la dette a gambe mentre i suoi compagni erano a terra.
 
“Chi sono questi uomini?” Mi chiese Anastasia che teneva ancora in mano il bastone sporco di sangue.
 
“Ladri, probabilmente. O poveracci che non avendo lavoro e necessità di mangiare si abbassano a derubare.” Dissi controllando quello che avevano in tasca.
 
Non che volessi derubarli di qualcosa, ma volevo vedere se c’era qualcosa che potesse identificarli.
 
Sfortunatamente non trovai nulla di utile.
 
“Andiamo, meglio non rimanere qui. Potrebbero arrivare altri ladri, o peggio, la polizia.” Dissi ad Anastasia mentre ricominciavamo la marcia.    
 
Ci mettemmo un quarto d’ora a raggiungere la porta che sapevo essere quella della base.
 
Se non fossi stato un assassino, non l’avrei potuta riconoscere, eppure c’era una cosa che la distingueva: sullo stipite c’era incisa una ‘A’ stilizzata, simbolo degli assassini.
 
Eppure qualcosa attirò subito la mia attenzione.
 
Di solito c’era sempre un assassino a controllare le porte delle nostre basi sotto copertura nelle città, ma lì intorno c’erano solo poveraccio trasandati che cercavano un riparo.
 
Nessuno che stava appoggiato ad una casa e muoveva ‘casualmente’ lo sguardo verso di me.  
 
‘C’è qualcosa di strano qui.’ Pensai sospettoso.
 
Bussai alla porta per tre volte di fila, poi feci una pausa di qualche secondo e battei altre quattro volte e finii con altre due battute veloci: il segnale degli assassini.
 
Nessuna risposta.
 
‘Forse una trappola. O forse sono fuggiti, ma qui intorno non c’è nessuno.’ Mi dissi.
 
In effetti, a parte due donne affacciate alla finestra ed un gruppetto di bambini che giocavano sotto la sorveglianza di un uomo anziano, non c’era nessuno.
 
“Qualcosa non va?” Mi chiese Anastasia, probabilmente intuendo le mie preoccupazioni.
 
“Stai pronta a scappare.” Dissi semplicemente mentre spingevo la porta.
 
Come immaginavo: era aperta.
 
Entrai in un locale spazioso, formato da un’unica stanza in legno molto ampia.
 
Tutto all’interno era distrutto: i tavoli, le sedie, i mobili e c’erano persino tracce di sangue, anche se non c’erano cadaveri.
 
“Come immaginavo, qui sono tutti morti, devono averli scoperti, meglio andarsene.” Dissi dopo essermi addentrato di pochi passi all’interno, con Anastasia sempre alle spalle.
 
Stavo per allontanarmi quando da dietro un tavolo uscì un uomo con un uniforme rossa armato di carabina che urlò qualcosa in russo.
 
“A terra!” Gridai io mentre mi gettavo sul pavimento.
 
Il proiettile mi passò a pochi centimetri dalla testa, ma ebbi abbastanza prontezza di riflessi da sparare e colpire l’agente della Ceka in mezzo agli occhi uccidendolo.
 
“Ce ne sono altri!” Mi avverti Anastasia osservando l’esterno.
 
“Dovevano esserci delle sentinelle che dovevano intervenire per fermare chiunque entrasse, quello era solo per trattenerci.” Dissi io indicando il soldati morto a pochi passi da me mentre cercavo una via d’uscita.
 
Mi ci vollero pochi secondi per trovare ciò che cercavo: una scala a pioli che dava sulla travi del tetto.
 
“Vieni, presto!” Urlai ad Anastasia, che aveva chiuso la porta e la stava bloccando con una trave.
 
La feci salire per prima, mentre i soldati cercavano di aprire la porta con violenza.
 
Ci mise un po’ ad arrivare in cima, ma, appena arrivò in cima ed io iniziavo a salire, un soldati armato di mitra fece irruzione.
 
Quell’uomo tentò di sparare, ma prima che potesse premere il grilletto, un colpo di fucile lo raggiunse in pieno volto.
 
Io raggiunsi l’impalcatura interna che sorreggeva il tetto e mi guardai intorno.
 
Tra le travi c’era la figura di un uomo che non riconobbi a causa della scarsa luce che filtrava.
 
Notavo solo una giacca molto lunga ed una barba folta.
 
Forse era un assassino sopravvissuto.
 
Oltre a questo potevo vedere solo il fucile.
 
“Andate, cosa fate dormite?” Ci incitò mentre sparava di nuovo facendo un’ altra vittima.
 
Non me lo feci ripetere due volte e presi Anastasia per mano, dirigendomi verso un’apertura sul tetto.
 
Una volta all’aria aperta ci trovammo sui tetti della città.
 
Lo spettacolo da la su era molto migliore rispetto alla strada, ma anche più pericoloso.
 
Sui tetti, infatti, erano appostati due cecchini.
 
“Stai giù!” Avvertii, mentre un paio di colpi raggiungevano le tegole vicine.
 
Presi la pistola e sparai tre colpi, uno dei quali raggiunse uno dei soldati.

“Vieni, presto!” La incoraggiai tirandola su con uno strattone, mentre l’altro cecchino si metteva a riparo dietro un camino.
 
Lei si issò su e si appoggiò a me per non perdere l’equilibrio.
 
“Adesso? Siamo in trappola qui!” Urlò lei mentre cercava di trattenere il panico.
 
“No, ascolta, cerca di correre tra i tetti.  Io ti raggiungerò, ma devi avviarti. Lo spazio tra i tetti non dovrebbe essere troppo largo, ce la farai.” Dissi con convinzione mentre sparavo per tenere in copertura il soldato che rimaneva sul tetto vicino.
 
Lei si avvio rapidamente, benché non mi fosse sfuggita una scintilla di panico negli occhi.
 
Altre due unità erano andate in aiuto del cecchino che tenevo sotto tiro, ma uno di loro morì prima ancora di raggiungere un riparo, dato che mi bastò un colpo per ucciderlo.
 
Gli altri due erano mi spararono, ma nello stesso istante in cui loro si alzarono, io mi mossi per nascondermi dietro la parte scoscesa del tetto dall’altro lato, mentre sparavo uccidendo uno dei due soldati.
 
‘Ho un solo colpo. Meglio se lo uso bene.’ Pensai mentre uno sparo, faceva saltare una tegola molto vicina al mio orecchio destro.
 
‘Ok, te la sei cercata.’ Usando i miei sensi super sviluppati mi permisero di capire quando il soldato si sarebbe sporto e, con un colpo ben mirato, lo uccisi.
 
In quel momento due soldati uscirono dall’ apertura sul tetto, forse erano riusciti a superare la copertura del nostro inaspettato alleato, ma io non avevo tempo per scoprirlo; afferrai due coltelli da lancio e colpii i due uomini proprio dietro al collo uccidendoli.
 
“Ottimo!” Disse una voce poco lontano da me.
 
Su un Tetto, ad una cinquantina di metri da me, c’era un uomo sui quarant’anni dalla pelle chiara, dai capelli neri tagliati cortissimi, quasi pelato e gli occhi verdi.
 
I lineamenti erano abbastanza duri e spigolosi, ma coperti da una corta barbetta.
 
“Jacob!” Urlai.
 
Era uno dei più abili assassini statunitensi mai vissuti e si era rivoltato contro di noi affermando che il nostro credo era obsoleto.
 
“So che hai seminato Yung. Devo ammettere che non me l’aspettavo, da un ragazzino come te.” Mi disse con un sorrisetto che non faceva presagire qualcosa di buono.
 
“Cosa vuoi!” Chiesi cercando di non far notare il mio nervosismo.
 
“La ragazza è poco lontana. A chi arriva prima?” Chiese con un sorrisetto ancora più ampio.
 
Non ci voleva un genio per capire cosa volesse dire.
 
Mi lanciai subito a corsa sui tetti, usando la corsa acrobatica per superare gli stretti spazzi delle viuzze tra le case.
 
Spesso non dovetti nemmeno saltare, ma solo allungare il passo, per superarle da quanto erano strette.
 
Avevo mandato Anastasia verso il fiume che tagliava Perm in due che poi sfociava nel lago, ma lei non era andata lontana, anche perché il fiume non era lontano.
 
Io corsi più veloce che potevo, ma Jacob aveva già l’arma puntata.
 
Mi rimase solo una cosa da fare.
 
Con uno slancio superai i sei metri che mi separavano da lei ed usai il mio corpo come scudo ricevendo il colpo proprio all’altezza della spalla sinistra.
 
Il dolore fu incredibile, ma riuscii a sopportarlo e a ragionare logicamente.
 
“Mio Dio! Nathan!” Urlò lei mentre le crollavo addosso.
 
Il fiume era a pochissimi metri e non potevo colpire, dato che non avevo colpi nel revolver.
 
L’unica cosa che potevo fare la feci.
 
“Reggiti, stiamo per bagnarci!” Urlai, mentre sapevo che, alle mie spalle, Jacob stava ricaricando l’arma per sparare.
 
Lei annuì mentre la prendevo in braccio.
 
Percorsi con le mie ultime forze gli ultimi passi che mi separavano dall’acqua e saltai.
 
Il gelo.
 
Era la sola parola con cui potevo descrivere quella sensazione.
 
Mi penetrava nei pori e inibiva ogni mio ragionamento.
 
Istintivamente, mi aggrappai all’unica fonte di calore esterna che sentivo: il corpo di Anastasia.
 
Anche lei fece lo stesso e ci ritrovammo stretti in quella morsa ghiacciata.
 
Non so per quanto rimanemmo bloccati in quella posizione, trascinati dalla corrente, ma dopo quelli che parvero secoli o pochissimi secondi, qualcuno ci trascinò fuori dall’acqua.
 
L’improvvisa sensazione di duro e solido legno sotto i piedi mi fece quasi perdere i sensi dal sollievo, ma mi costrinsi a rimanere cosciente e a tossire tutta l’acqua che avevo bevuto.
 
Dopo almeno un minuto ad ansimare, io ed Anastasia riuscimmo a scorgere il nostro salvatore.
 
Solo allora capii che non ero così contento di vederlo e che ne avrei fatto volentieri a mano.
 
“Rasputin!” Urlammo allo stesso tempo riconoscendo l’uomo che avevamo davanti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve gente che mi segue. Felici di vedermi? No? Be’ mi sembra giusto.
Allora, per chi è digiuno di storia farò un veloce resoconto su questo nuovo personaggio.
Rasputin era un uomo di spicco nella corte Romanov.
Ufficialmente non aveva alcun ruolo ufficiale, ma aveva un forte ascendente sulla Zarina e sembra tenesse molto alle figlie dell’imperatore. (Forse un po’ troppo, se volete che sia più preciso.)
Morì in maniera cruenta e a dir poco spettacolare: inizialmente lo avvelenarono, ma il veleno non ebbe effetti e gli piantarono un coltello nella schiena. Non essendo ancora morto, gli spararono tre colpi di pistola e poi, vedendolo ancora respirare lo gettarono in un fiume. (Sti cazzi! scusate.)
Nella mia fic, si scoprirà che a morire è stato un suo sosia, mentre lui era in fuga dopo aver scoperto del piano per eliminarlo.
A presto e recensite.
AxXx 
  

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: AxXx