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Autore: Firelight_    03/12/2012    9 recensioni
Luna Lovegood è decisamente strana, e Daphne Greengrass è decisamente innamorata.
[ femslash; Luna/Daphne ]
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Daphne Greengrass, Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Stardust.

 
 
 

 

Luna Lovegood è strana.
Lo sanno tutti, a Hogwarts, che quella ragazza ha qualcosa di talmente diverso da risultare inconciliabile con qualunque altra persona: vaga per i corridoi di marmo come se veleggiasse fra le pareti spumose di un sogno, gli occhi enormi, tondi e persi, i capelli biondi che le frustano la schiena ad ogni passo troppo allegro.
Indossa gli stessi abiti bizzarri che veste suo padre, quel matto di Xenophilius con i suoi stupidi ciondoli fasulli e la sua rivista strampalata, e sfoggia tante teorie folli ogni giorno che si tende a perderne il conto. Ma la verità è che, di solito, nessuno tiene veramente conto di Luna; lei è Luna Loony Lovegood, la ragazza che parla con tutti e a cui nessuno risponde, quella che ottiene voti mediocri e bisbiglia strani incantesimi agitando la bacchetta di noce sbreccato.
Lei non è nessuno.
 
 
 
Mentre la sta osservando, Daphne pensa che forse – alla lontana, in un universo parallelo che sputacchia asteroidi aldilà dell’immaginazione – Luna potrebbe essere bella. Non sa come definire quelle efelidi caramellate che il sole le sciorina sulle gote pallide, facendole comparire come bucaneve al primo giorno di primavera, e si perde confusa nei ghirigori che le ciocche ondulate le disegnano contro il mantello scuro.
Comunque sia, se c’è qualcosa che Daphne Greengrass non può fare, quella è proprio lasciarsi sorprendere da qualcuno a interessarsi a Loony, perciò quando coglie l’occhiata in tralice di Pansy è costretta a distogliere lo sguardo, il cipiglio altero inciso sul suo profilo marmoreo. Il pudding ristagna nel suo piatto, le luci che si riflettono altissime e accecanti contro la ceramica bianca, e tutto quel che le viene in mente è che la gola le sta prendendo fuoco per quanto si sente arida dentro.
Vorrebbe scalciare la sedia all’indietro, farla strisciare sui pavimenti pregiati e scaraventarla via con fragore per far sì che tutti gli occhi sbarrati degli studenti ruotino su di lei come pianeti senza bussola. Ma Daphne non può e, le posate che tintinnano fra loro, rimane in silenzio come si conviene a quel che sembra e a quel che non è; rimane artica e insensibile, il disprezzo nelle iridi ghiacciate e l’odio che stride sotto i denti doloranti.
Sente le lacrime premere da qualche parte in fondo a lei, sepolte chissà dove fra gli strati di convenienza e controllo, schiacciate mollemente sotto quella moltitudine di rifiuti e astinenze frenate a stento. Vorrebbe urlare, perché non ricorda più che suono abbia la sua voce.
 
 
“Daph, che cosa stai facendo?”
Solleva stancamente gli occhi, strizzando le palpebre alla luce del fuoco che danza mutevole nel camino, e mette faticosamente a fuoco la figura di Pansy che, le labbra arricciate, la sta guardando da chissà quanto tempo.
“Il tema per Piton” si stringe nelle spalle, i vestiti che formano pieghe sul petto “Devo consegnarlo domattina”.
L’altra sghignazza, una risata stridula che le ferisce le orecchie provate.
“Sai perfettamente che non oserebbe dire una parola contro nessuno di noi Serpeverde” la riprende, una sgradevole nota derisoria nella voce penetrante.
“Tu dove stai andando?” cambia discorso Daphne, la piuma d’oca che le solletica le dita e le unghie smangiucchiate che, ne è certa, sua madre squadrerebbe con orrore.
“Stasera sono di ronda come Prefetto” la Parkinson rotea fastidiosamente gli occhi e poi, come in confidenza nella ampiezza della Sala Comune, sussurra a fior di labbra: “Insieme a Draco”.
Lei annuisce perché non ha niente da dire, non sapendo che espressione assumere a quella notizia, e vede chiaramente che Pansy è irritata dalla sua palese mancanza di interesse.
“Tu sei veramente strana, Daphne Greengrass” smangiucchia le punte rovinate dei propri capelli, poi getta indietro il capo e ride di nuovo in modo inopportuno “Dovresti passare meno tempo da sola”.
In un attimo ha già varcato la soglia ed è scomparsa nei sotterranei bui e, improvvisamente, Daphne si sente come se chiunque la stesse fissando insistentemente e ridesse di lei. Si sente come Luna Lovegood, additata e derisa, evitata da tutti solo perché – perché?
Per la prima volta nella sua vita, fa esattamente quello che il suo istinto le suggerisce: s’adira, colpisce il tavolino di legno intagliato con la punta delle scarpe riuscendo solo a farsi del male, getta a terra le pergamene e si macchia d’inchiostro le mani diafane. E ora sì, ora sì che la stanno guardando tutti.
 

 * * *

 
Luna Lovegood è in biblioteca e, come se questa fosse una condizione imprescindibile dalla sua persona, è sola. Canticchia sommessamente una melodia priva di ritmo, guadagnandosi qualche occhiataccia da parte della inflessibile Madama Pince, ma sembra non curarsene affatto. Estrae i libri dagli scaffali, soffia sui dorsi impolverati, sorride fra sé nel leggerne poche righe e poi li richiude all’istante, subito disinteressata e in continua ricerca.
Daphne è lì, rannicchiata dietro una cassettiera tarmata, che si chiede ripetutamente perché si trovi lì alle tre di una sonnacchiosa domenica pomeriggio, durante la quale Pansy e Millicent saranno di certo nelle loro stanze a spettegolare e bere Whisky Incendiario a tutte le ore. Persino quella fanatica di Hermione Granger non c’è e, davvero, sospetta che loro due siano le uniche a trovarsi lì, insieme all’anziana bibliotecaria che di tanto in tanto si appisola dietro le lenti rotonde degli occhiali.
Daphne si sente una ragazzina sciocca mentre, serrando un volume al petto come nel tentativo di calmare il cuore che le rimbomba contro la carne, cammina rumorosamente in direzione delle poltroncine della sala lettura, premurandosi che Luna si accorga di lei. E, proprio come previsto, la ragazza si volta a guardarla lentamente, con la stessa estenuante calma di ogni suo movimento: non coglie gli occhi con i suoi ma, alienata dal mondo, balzella dalle sue gambe al suo viso arrossato, un sorriso vago e smemorato sulle belle labbra.
Daphne inciampa fino a ricadere fra i cuscini, la schiena che cozza contro lo schienale e Madama Pince che sibila uno strascicato: “Silenzio!”
Apre frettolosamente il libro che tiene fra le mani, sfogliando a caso le pagine e soffermandosi al terzo capitolo con aria corrucciata, lo sguardo che saetta sempre sulle stesse parole. Quasi non ci crede quando, attraversando senza alcun rumore quei pochi metri che le dividono, Luna scivola vicino a lei con la stessa quiete di un ruscello, abbandonandosi al suo fianco e prendendo a sbirciarla con il capo piegato su una spalla.
A Daphne tremano le mani, non riesce a reggere il tomo con fermezza ed è costretta ad appoggiarlo sulle gambe accavallate, sicura che se dovesse alzarsi in piedi le ginocchia non riuscirebbero a reggerla.
“Ciao” dice infine Luna, la voce cristallina e chiara che le sussurra di tutto, intrecciando le dita fra loro e appoggiandovi il mento, il viso cereo scavato “Sei di Serpeverde, non è vero?”
Lei annuisce, non ha il coraggio di rispondere e serra forte la sciarpa verde-argento che porta orgogliosamente al collo, desiderando chiudere gli occhi per non riaprirli mai più.
“Giusto” stavolta sorride e, delicata, fa un cenno verso i suoi abiti che portano gli inconfondibili colori della sua Casa di appartenenza “Avrei dovuto capirlo” fa una pausa durante la quale si tortura le labbra screpolate con i piccoli denti e, a quella vista, Daphne muore e rinasce un’altra volta “Temo che tu non abbia molta voglia di parlare con me. Scusami, non era mia intenzione disturbarti”.
Sorride ancora e – come riesce a continuare a farlo? – fa per raddrizzarsi e andar via, quando lei la ferma serrandole le dita gelide attorno a un polso, l’impronta delle ossa che la squarcia.
“Non…” il tono è gracchiante, insicuro, non suo “Ho voglia di parlare con te. Davvero”.
“Davvero?” ripete Luna, una nota incredula che le contorce la lingua.
“Davvero” conferma piano, deglutendo con il cuore che sbatacchia ovunque fra collo, petto e testa, che casca giù oltre le costole e precipita chissà dove ai confini dell’impossibile.
“Ne sono contenta” afferma infine l’altra, il volto che si schiude e s’illumina in quello che, più che un sorriso, pare essere il trionfo che si oscura e scoppia dentro alba e tramonto.
“Perché?” domanda Daphne, la sicurezza che barcolla e cade.
“Perché anche tu lo sei”.
E si accorge di stare sorridendo solo quando, diversi secondi dopo, Luna ha già oltrepassato il portone e si è dileguata lungo i sentieri tortuosi del castello, lasciandola indifesa di fronte a quei battiti che le si appiccicano alle vene e con uno specchio di se stessa tatuato nelle iridi.
 
 
 
“Vattene, Zabini”.
Daphne sbuffa spazientita, liberandosi dalla stretta sgradita e incespicando un po’ più in là, la vista che oscilla a causa dei bicchieri di troppo che le pesano sullo stomaco.
È la notte di Natale e, nella Stanza delle Necessità, la musica è così assordante che sembra conficcarsi nelle mura e scardinare gli usci; per fortuna la Granger – che ora sta pomiciando disgustosamente con Weasley sui divani di velluto rosso – è riuscita a insonorizzare l’intero locale, perché lei non ha alcuna voglia di ricevere un altro richiamo disciplinare e un’altra lettera delusa e sdegnata inviata da Greengrass Manor.
Mentre sguscia in silenzio oltre l’uscita, d’improvviso le ritorna in mente quando lei e Astoria erano ancora piccole e, la mattina del venticinque di dicembre, caracollavano giù per le scale della residenza di famiglia con i piedini nudi contro le mattonelle e la domestica che le sgridava bonariamente alle loro spalle. Si ricorda di quando si catapultavano nel lettone soffice dei genitori, scuotendoli e strillando d’impazienza sino a che, tutti insieme, non sedevano assonnati attorno al maestoso abete addobbato a scartare le centinaia di pacchetti colorati.
Si sente così male a quel pensiero, una realtà che sembra non appartenerle neanche più, che una roccia pare scivolarle giù fino a pressarle duramente il ventre, ricordandole quanto tutto sia in realtà maledettamente ingiusto.
Spinge la vetrata di uno dei balconi della Torre Nord del castello, sperando di trovare conforto nell’aria invernale che mulina incessante aldilà delle mura, ma quando si accorge di non esser sola i suoi pensieri si interrompono come colpiti dal fulmine più violento durante il temporale.
Non sa che ora sia, dove si trovi, che cosa stia succedendo; non sa perché Luna sia lì e non ricorda neanche il proprio nome ma, nonostante tutto, riesce ugualmente ad avanzare e a sporgersi verso di lei, fragile come non è mai stata.
“Oh” la ragazza si volta a guardarla con un’espressione incredula, e solo in quel momento Daphne si rende conto che ha le guance rigate da lacrime mute “Daphne”.
La chioma bionda è in disordine, lasciata andare su quelle spalle ossute, e solo una vestaglia sfilacciata che si allaccia attorno alla vita copre la camicia da notte chiara che le fascia malamente il corpo. Gli occhi trasparenti sono diventati così lucidi che prendono la forma di una sorgente gonfia d’acqua, gravida di sentimenti e malinconia, e Luna se li asciuga velocemente, le ciglia bagnate che sfregano sul dorso della mano.
“Stai bene?” domanda Daphne, mordendosi la lingua un attimo dopo per la domanda scontata.
“Certo” le labbra tremano incontrollate, ma lei non si arrende “Non preoccuparti, stavo andando via”.
“Resta”.
Non ha idea del perché l’abbia detto né di cosa ciò significhi con esattezza, ma le sembra la cosa giusta e, inspiegabilmente, anche Luna pare pensarla allo stesso modo.
“Perché stai piangendo?” le domanda alla fine, tirando su col naso e sorreggendosi alla ringhiera di ferro battuto.
“Non sto piangendo” precisa Daphne con stupore, un’ombra di esitazione che la coglie mentre si tasta il viso asciutto.
“Non è vero, io riesco a vederlo” asserisce semplicemente Luna, con lo sguardo di chi sa e ha sempre saputo, con quella consapevolezza fuori dal comune che le riempie fino all’orlo ogni centimetro di pelle liscia “Mi manca mia madre” aggiunge poi, a sproposito “È morta tanti anni fa. Ci assomigliavamo molto”.
Si sente in imbarazzo, guarda quella ragazza negli occhi e comprende vergognosamente che lei può udire tutti i bisbigli, tutto quel che le malelingue dicono di lei, e probabilmente l’unica cosa che la manda avanti è se stessa.
“Mi dispiace”.
“Non fa niente” si passa una mano sulla nuca, scompigliandosi ancor di più i capelli “È stato tanto tempo fa, ma sei gentile a interessartene”.
“Tu mi piaci”.
Daphne vorrebbe maledirsi, vorrebbe non esistere, vorrebbe capire perché adesso anche lei sente le lacrime sconosciute pungerle ai lati degli occhi, che la pregano per nascere e colare giù, fino a posarsi nell’incavo della sua gola.
Luna non solleva lo sguardo, ma le sue labbra si contraggono in un’espressione piena di forse.
“Lo so”.
Avrebbe – ingenuamente, peraltro – sperato in un’altra risposta, e la delusione è così amara da mandar giù che la sua mente non riesce neppure a realizzare quel che sta facendo.
Sollevare il braccio è la maggior fatica che abbia mai compiuto e, quando il suo palmo si posa contro la guancia umida di Luna, una scossa la scuote da capo a piedi e le fa dimenticare di che cosa stiano parlando, lasciandola frastornata. Preme i polpastrelli contro quella pelle per impararne a memoria ogni dettaglio, tentando disperatamente di ricordare per sempre ogni fiato e ogni polvere, pigiando contro le lentiggini e contandole sottovoce fino a perdere la cognizione del tempo.
“Non si possono contare le stelle” dice infine, un vuoto che la ustiona proprio al centro del petto e le membra che non riescono più a reggersi insieme.
“Non sono stelle” la contraddice adagio Luna, scostando appena il viso di lato e incastrando le ciglia dorate.
“Lo sono, invece” Daphne ride e, per una ragione che non conosce, anche l’altra la imita “Sono tantissime stelle disseminate ovunque sulla tua pelle, stelle che nascondi di giorno e che ti fanno brillare di notte”.
“Brillano ancora?” chiede Luna con una risatina soffiata, piccole rughe che le si formano intorno agli occhi.
“Ma certo” cattura una lacrima con un dito e gliela sfrega all’angolo della bocca “Brillano tanto che non riesco a vedere nient’altro”.
Poi Daphne non sente altro che le labbra contro le labbra, e non sa se stanno ridendo o piangendo, ma quel che sa è che si stanno baciando e il corpo caldo e pallido di Luna è ovunque addosso a lei. E sa anche che, forse, da qualche parte fra le lingue che si intrecciano e le orme fredde che le risalgono la colonna vertebrale e cercano sempre più, si è appena innamorata di una di quelle stelle cadute; e che, forse, anche lei è esattamente come Luna Loony Lovegood: strana.

 
 
 
 
























Autrice:
 
Salve a tutti!
Eccomi a pubblicare per la seconda volta nel fandom di HP e, *rullo di tamburi*, avete appena letto la mia prima storia femslash. Omg, la mia bambina. Progettavo una cosa del genere da un paio di mesi, ma non ho mai sufficienti tempo e ispirazione per buttare giù le mie idee; se non che, ieri sera tra le dieci e l’una, mi è venuta questa sorta di illuminazione improvvisa dopo che sabato avevo guardato per la centesima volta HP5. Insomma, io sono sempre stata innamorata di Luna (sono l’unica che pensa che sia palesemente lesbica? Sì?), ma non trovavo nessuno degno di poter stare con lei. E alla fine la scelta è caduta su Daphne: non è che zia Row ne abbia parlato granché, per cui mi sono sentita libera di plasmarne un po’ il carattere.
Non ho mai scritto qualcosa di così fluff, non so cosa mi stia succedendo xD sarà che le ultime tre settimane sono andate decisamente meglio, yup! Tra parentesi, ho lasciato ‘Loony’ invece di Lunatica perché, non so, secondo me suona decisamente meglio e rende bene l’idea.
Vorrei ringraziare El, che mi ha betato la storia, perché è sempre terribilmente carina e non ha ancora capito che non riuscirà mai più a liberarsi di me ♥ E dato che, anche se non ha ancora capito neanche questo, scrive splendidamente, vi consiglio di dare un’occhiata qui:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=181005
Spero tantissimo che qualcuno di voi mi lascerà una recensione, anche se so che il femslash non è molto popolare qui in giro; sappiate che, in caso mi scriveste anche un piccolo parere, mi rendereste davvero felice! ♥ Ringrazio tutti i miei lettori, quelli nuovi e quelli affezionati. Sul mio account trovate molte altre storie, mi farebbe piacere se passaste a leggerle. Grazie ancora di aver letto.
Un bacio,
 
Jun
 
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