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Autore: pattzerella    03/12/2012    5 recensioni
Se devo spiegare tutto ciò che nell'età dell'incoscienza passa per la testa starei qui delle ore. Non mi va. Abbiamo passato tutti quel periodo. La casa è il luogo ostile dove si deve tornare, gli amici l'unica risorsa a cui attingere. Le uscite di sera per indossare abiti più leggeri con la scusa della discoteca, il contare i soldi per potersi permettere la bevuta al pub, o il potersi comprare il nuovo CD appena uscito che tanto aspettavi.
La prima sigaretta, che come cantava Qualcuno, ti fumava in bocca. Le fughe per rubare un bacio al ragazzo che ti ha fatto girare la testa.
Avere il mondo ai tuoi piedi.
Tu potente.
Forte.
Sicura.
Cazzate.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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1996…
Il mio anno, ritiro del diploma, nuovo fidanzato (si… con tanto di anello…), lavoro estivo al mare, una Laurea da scegliere e il vento in poppa a guidarmi…
 
15 settembre 1996… tutto rimandato.
Tutto fermo.
Nulla di ciò che mi ero prefissata era andato in porto.
La stagione si era dimostrata un fiasco sotto molti aspetti, il "fidanzato" geloso che mi ha trascinata a casa, non poteva stare troppo lontano da me. Le iscrizioni all'Università rimandate e un tremendo ritardo.
Si quel genere di ritardo.
Una cazzata immensa, per lo meno allora lo era.
20 anni e senza lavoro e un probabile fagotto a cui pensare.
La cosa ancora più drammatica?
l'essere sola in tutto questo.
Si si, proprio così, lo pseudo-fidanzato, colui il quale non poteva vivere lontano dalla sua donna, era pronto a rimangiarsi ogni singola promessa per il futuro e lasciarmi sola al mio destino.
La prova di questa cazzata avvenne qualche giorno dopo quando al consultorio giovanile del mio paesello ritirai l'esito di quel test.
Seduta in sala d'attesa, con la testa china e gli occhi piantati a terra attendevo il mio turno.
Ricordo ancora l'infermiera. Bionda, alta, giovane e con gli occhi colmi di comprensione per una folle ragazzina.
-è il tuo turno vieni…-
Le gambe si alzarono per inerzia e io come un fantasma seguivo il mio corpo muoversi verso quello studio.
La scena di un film. Non ero io. Non mi sentivo più padrona del mio corpo tanto meno della paura che mi aveva attanagliato e paralizzata. Anche se a dire il vero questa era una delle tante paure che avrei provato da li in avanti.
-Prima di tutto voglio sapere se vuoi che chiamiamo qualcuno o vuoi essere sola. Sei maggiorenne ma puoi chiamare qualcuno in supporto, che ne dici?-
-No-
-Ok…-
Mi fece sedere accanto a lei. Alla sua scrivania. Sopra di essa su un grande registro blu c'era la busta. Una lunga busta con scritto il mio nome e cognome.
-Apri. Tocca a te-
Le mani si alzarono e presero la busta. Tremavano come dopo aver bevuto troppi caffè, o come dopo essere caduti e tremare per il male.
Gli occhi erano colmi di lacrime. Sapevo già l'esito. Me lo sentivo. Il respiro grosso e nella testa era partito il count down…
Tre
Due
Uno….
"Positivo".
 
 
Se devo spiegare tutto ciò che nell'età dell'incoscienza passa per la testa starei qui delle ore. Non mi va. Abbiamo passato tutti quel periodo. La casa è il luogo ostile dove si deve tornare, gli amici l'unica risorsa a cui attingere. Le uscite di sera per indossare abiti più leggeri con la scusa della discoteca, il contare i soldi per potersi permettere la bevuta al pub, o il potersi comprare il nuovo CD appena uscito che tanto aspettavi.
La prima sigaretta, che come cantava Qualcuno, ti fumava in bocca. Le fughe per rubare un bacio al ragazzo che ti ha fatto girare la testa.
Avere il mondo ai tuoi piedi.
Tu potente.
Forte.
Sicura.
Cazzate.
Basta una parola scritta su un foglio di carta e tutto diventa preistoria, cazzate della gioventù e quant'altro. Tu sei lì. Sola. Davanti a quel foglio. E neanche la voce dell'assistente sociale ti aiuta a smuoverti dall'altra paura appena scoperta.
"Chi sono io? La ragazzina che fino al sabato prima cercava di fare l'autostop per arrivare in discoteca, o la giovane - futura mamma, terrorizzata da un foglio di carta che tra nove mesi sarebbe uscito da me?"
Il mio corpo in completo subbuglio.
La mia vita capovolta.
Il bisogno imminente di piangere con la mia mamma accanto.
Nulla di più rassicurante.
-Voglio mia mamma-
Le uniche parole che riuscì a dire.
-Ok-
E così dopo pochi minuti mia madre entrò nello studio.
Vedendomi piangere fece l'unica cosa che una madre può fare in quei momenti. Raccogliere i tuoi cocci e farsi forza per te.
Lo avrei imparato molto presto.
-Vuoi andare a casa?-
-Si-
-Vuoi parlarne ancora un po’?-
Neanche la forza di rispondere, altri piccoli singhiozzi che mi sconquassavano il petto.
-Senti, io direi di vederci tra qualche giorno, faremo un'ecografia, nel frattempo cerca di calmarti e di pensare al tuo futuro. Fai la scelta giusta.-
"fai la scelta giusta"
Non c'era neanche bisogno di dirlo. Non avrei mai tolto la vita ad un esserino indifeso tanto meno a colui che era nato in me.
Avevo mille dubbi, e nuove paure da affrontare, ma l'unica cosa di cui ero sicura era mio figlio.
Madre.
Camminavo accanto a mia madre che mi reggeva lungo la via per casa e pensavo a quanto la invidiavo. Si era sposata con l'uomo che dopo 21 anni ancora amava, avevano messo su famiglia, cresciuto me e mio fratello, e nonostante avessimo passato tante piccole tragedie eravamo insieme. Avevano aperto le porte di casa ad un ragazzo che amavo e che oggi mi lasciava incasinata. Avevano sopportato il mio periodo ribelle. Avevano sopportato il mio rifiuto all'università. Avevano sopportato tanto.
-Come avete fatto?-
-A fare cosa?-
-Ad andare avanti come genitori?-
-è l'essere genitori che ci fa andare avanti-
Non aprì più bocca per quel giorno. Mi chiusi in camera e piansi ogni lacrima possibile.
Ogni tanto percepivo le carezze di mia madre e gli occhi spaventati di mio padre che da lontano vegliava su di me.
Mio padre è di quelli vecchio stampo. Goliardici ma timidi quando si parla di sentimenti.
Un unico abbraccio in 20 anni, al mio diploma. Quando uscirono i quadri sentii le sue braccia avvolgermi fiere per aver terminato una scuola sbagliata. Mi chiamava "il soldatino". Scelta sbagliata ma portata avanti, e il mio 44/60 per lui fu motivo di enorme orgoglio.
Ed in quel giorno così strano per la mia famiglia sentivo la sua presenza sullo stipite della porta.
Era meglio di un abbraccio, più dolce di un bacio paterno. Era il suo amore per una figlia smarrita.
E poi lui, il mio fratellino 17enne. Il mio lottatore, il mio confessionale, sdraiato dietro di me, a piangere con me.
-Piango perché tu piangi. Ridi, e rideremo tutti-
Mi voltai verso di lui e le sue braccia mi tennero stretta fino a quando non mi addormentai un po’ meno triste.
Lo so che è triste usare questa parola, ma a vent'anni ed essere soli non potevo rendermi conto di cosa mi stesse accadendo, conoscevo allora solo la parte immediata della faccenda. 9 mesi di pancia in completa solitudine. E poi? Poi avrei avuto loro accanto e questo mi fece chiudere gli occhi quella notte.
 

   
 
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